Pensavo che

di Mayth
(/viewuser.php?uid=660321)

Disclaimer: questo testo è proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


 
 
[ post DOFP ]

Pensavo che (sarei riuscito ad ignorarti)



I.
 
Sta avendo un incontro col senatore Kelly, anti mutante, attivista convinto e grande spina nel fianco. Le mani dell’uomo sono accartocciate in grembo e una luce furiosa gli illumina il volto. Charles, con diplomazia, lo ignora.
 
“Thè, senatore Kelly?” chiede con gentilezza. I pensieri dell’uomo gli rivelano che odia il thè, ma Charles allunga comunque una tazza e la zuccheriera, il sentore esita per qualche secondo, dopodiché ringrazia con un piccolo cenno del capo e aggiunge un cucchiaino di zucchero.
 
“Il thè è un ottimo propellente per il cervello” continua Charles, rivolgendo un sorriso sottile, “Immagino che un uomo della sua carica sia molto occupato”, Kelly si specchia nel liquido ambrato. Pare esitare, insicuro sul da farsi. Charles si appoggia più comodamente allo schienale della propria sedia a rotelle e tamburella le dita contro il legno massiccio della scrivania.
 
“Bevvi il miglior thè della mia vita ad Oxford, sa? A quel tempo credevo che fosse il nettare degli dèi, mi aiutò molto a superare il difficile periodo che ogni maturando vive poco prima di concludere la propria tesi” gira il capo per nascondere la risata triste. Charles non ama molto rimestare il passato. “Se mai le capitasse di passare per l’Inghilterra, ci faccia un pensiero”.
 
Il senatore lo fissa negli occhi, stringe così forte la tazza da far sbiancare le proprie nocche. Charles vorrebbe chiedergli di calmarsi, ma in conclusione decide di attendere.
 
“Ovviamente” dice Kelly, per poi poggiare le labbra sulla tazza in ceramica e prendere un sorso di thè. All’improvviso, Charles percepisce sorpresa.
 
“Ma immagino non sia venuto qui per provare del buon thè e un po’ di compagnia, signore” sospira stancamente. 
 
“C’è qualcosa di cui vorrei parlare con lei, Professor Xavier” chiarifica l’uomo. Charles si chiede quanto tempo gli ruberà quell’incontro, se farà in tempo a raggiungere i ragazzi per cena, se riuscirà ad evadere gli occhi inquisitori di Hank.
 
“Certo,” annuisce, allungando la schiena e alzando il mento, “si tratta di Erik, immagino”.
 
 
II.
 
“Onestamente, Hank, ora non è il momento”. Hank sosta immobile sullo stipite della porta, le sue labbra sono una linea sottile, lo sguardo duro e serio.
 
“Non dovresti proteggerlo” dice Hank, mentre Charles raggruppa un plico di fogli e li poggia in un cassetto. “Non dovresti farti questo”. Charles deve la sua vita ad Hank. Hank è quel ragazzo fantastico che ha abbandonato i propri sogni per stargli affianco, ciononostante non ha la forza di dargli ascolto, tantomeno di spendere altro tempo parlando di Erik.
 
“I ragazzi hanno cenato?” chiede con indifferenza. Hank gli rivolge uno sguardo triste, ma non aggiunge altro. Si gira, pronto ad uscire, quando un pensiero lo arresta, si volta e sospirando dice: “Non capisco dove trovi tutta quella speranza in lui, Professore”
 
“Hai mai creduto in qualcuno con così completa convinzione da non poter agire di conseguenza?” chiede, il principio di un sorriso triste gli decora il volto. Hank non reagisce, eppure la risposta è evidente per entrambi. “Ti sei mai innamorato, Hank?”.
 
Hank sbatte gli occhi, confuso.
 
“È complicato” conclude.
 
“Lo so, Professore” c’è una nota di apprensione nella sua voce, ma eventualmente decide di arrendersi e lo lascia solo. Charles rimane immobile per diversi istanti, dopodiché sospinge la sedia a rotelle fino all’armadietto degli alcolici e si riempie un bicchiere di bourbon.




Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3362652