l'amore non è un trattato di pace
Non
è un trattato
di
pace
C’era
un clima di festa nella sala proiezioni, agghindata da
bandiere con croci uncinate su sfondi dello stesso colore
del sangue. Sullo schermo spiccava il volto di un giovane soldato
tedesco; con
l’occhio sul mirino, scrutava dall’alto di una
vecchia torre la piazza
sottostante, pronto a fare fuoco alla vista di una divisa nemica.
Fredrick
Zoller sedeva verso le ultime file della platea mentre guardava quel
film in cui si
era improvvisato attore e recitava nei panni di se stesso. La sua
impresa
eroica aveva fatto il giro di tutta la Germania nazista ed era giunta
persino
alle orecchie del ministro della propaganda, il Dottor Goebbels, che
gli aveva proposto di diventare protagonista della sua nuova pellicola.
Fredrick
ogni tanto abbassava lo sguardo scuotendo malinconicamente il capo.
Stolz der Nation – l'Orgoglio
della Nazione: il film della sua avventura di guerra, di
come aveva
ucciso da solo centinaia di
nemici della patria tedesca. Aveva ricevuto medaglie e riconoscimenti
per le sue gesta; era diventato famoso tra i suoi commilitoni e persino
i grandi
esponenti politici ne tessevano le lodi, portandolo come esempio da
seguire. Nella poltrona davanti di lui c’era anche il
Führer
che, grandemente soddisfatto della proiezione,
si complimentava con un Goebbels quasi commosso.
Quando
aveva parlato per la prima volta con la bella Emanuelle Mimieu, non le
aveva detto
di essere un eroe di guerra per il fatto che non si riteneva tale.
Era un semplice soldato che ad un certo punto, trovatosi accerchiato
dal nemico, era salito in
cima ad una torre in cerca di salvezza. Tra quelle quattro mura aveva
sentito la mano della Morte avanzare,
invisibile come una morsa di gelo, e aveva provato paura. Sarebbe stato
molto più eroico se si fosse arreso, se fosse uscito
sventolando
una bandiera bianca sopra la
testa, invece aveva caricato il fucile e si era messo a sparare.
D'altronde la struttura di
quell’edificio, definita trespolo
nel gergo militare, si era dimostrata molto vantaggiosa e
così,
per avere salva la vita, Fredrick aveva scelto di diventare uno
spietato
assassino. Forse non avrebbe mai raccontato a Emanuelle ciò
che
aveva fatto, se
solo – il giorno in cui l’aveva incontrata casualmente in un
bar
del centro – la sua
presenza fosse passata del tutto inosservata... Invece un po' di persone lo
avevano riconosciuto e una donna gli aveva persino chiesto una dedica
firmata.
«Chi è
lei?»
, aveva chiesto Mademoiselle Mimieu. «Non è un
semplice soldato tedesco.»
Scosse
nuovamente la testa. Quel film non gli piaceva; dal momento in cui
cominciava
la sparatoria non riusciva più a guardare. Gli sembrava di
trovarsi ancora lì, dietro un muro di mattoni scrostati dai
proiettili, rannicchiato su un pavimento
cosparso di cartucce.
Distolse
per l’ennesima volta lo guardo dallo schermo ripensando a
lei. L’unica cosa
positiva di quella serata di festa era Emanuelle, sola al piano
superiore a
controllare i nastri del film. Da quando l’aveva vista la
prima volta, in
quello stesso cinema di cui era la proprietaria, ne era rimasto
incantato.
Sembrava che in quel mondo devastato dallo squallore della guerra un
angelo
avesse deciso di scendere dal cielo. Qualcosa in lei lo aveva colpito
fin da subito. C’era una lacrima astratta nei suoi occhi:
sembrava che stesse
sempre per piangere, anche le poche volte in cui accennava a un
sorriso.
Fredrick si domandava che cosa avesse visto di tanto terribile da
lasciarle una
traccia così vivida nell’animo. Non sospettava
nemmeno lontanamente che fosse
ebrea, che il suo vero nome fosse Shosanna Dreyfus e che quattro anni
prima i
tedeschi avessero sterminato la sua famiglia lasciandola orfana.
Si
giustificò con Goebbels dicendo che preferiva fare due
passi, poi si alzò dalla
poltrona e abbandonò la sala. Doveva vederla, non riusciva
più a fingere che la première del film gli
importasse di più di lei. Salì le scale con una
certa impazienza verso lo
stanzino in cui Emanuelle controllava la proiezione. Arrivò
davanti la porta con
il volto illuminato di una persona innamorata, espressione che si
spense quando si rese conto che la
soglia era socchiusa e che dall’interno proveniva la voce di
un
uomo.
S’immobilizzò e tese l'orecchio.
«Quando
darò fuoco alle pellicole in nitrato d’argento
dietro al palco, laggiù si
scatenerà l’inferno e noi avremo la nostra
vendetta!»
Ci
fu qualche istante di silenzio durante il quale Fredrick
cercò di dare una
spiegazione alla frase che aveva appena ascoltato.
Sbriciò da uno spiraglio della porta e vide Emanuelle e
quello
sconosciuto
baciarsi. L’unica cosa che provò in quel momento
fu rabbia. Gli occhi divennero due fessure dalle quali traspariva
appena un barlume di luce cupa: con
quello stesso sguardo aveva scrutato attraverso il mirino del fucile,
disprezzando
tutti coloro che l’avevano costretto a diventare una macchina
da guerra. Lui
amava l’arte e il cinema in particolare, non le armi che gli
avevano obbligato
a imbracciare.
Poi
sentì la voce concitata di lei. «Ora vai, Marcel
adorato. Tieniti pronto. Tra
poco farò partire il quarto rullo.»
Fredrick
ridiscese le scale e aspettò con la pistola in mano e il
dito pronto a premere
il grilletto. Non poteva sopportare che qualcuno gli rubasse la donna
che
amava. Se qualcuno poteva rendere Emanuelle felice, quel qualcuno
doveva
essere lui e nessun altro. Anche lei lo amava, ne era certo, aveva
solo
bisogno dell’incentivo giusto che risvegliasse in lei la
consapevolezza del
sentimento.
Qualche
minuto dopo, il corpo dell’ignaro Marcel era riverso a terra
nella
hall del cinema. Il
colpo di pistola che lo aveva raggiunto in testa non era stato udito da
nessuno, coperto dai rumori del film in proiezione. Risvegliando la sua
mente fredda di soldato, Fredrick aveva già elaborato un
piano. Terminò di barricare l’ultima
porta con la barra di ferro che Marcel aveva lasciato cadere quando era
stato
colpito dal proiettile. Poi
trascinò
il corpo senza vita dell'uomo dietro al palco, accanto alla catasta di
pellicole in
nitrato pronte per essere bruciate. Si prese qualche istante per
ispezionare il posto, finché non trovò quello che
stava cercando: una piccola
porta che dava sul retro del cinema.
Non
pensò al motivo per cui Emanuelle potesse desiderare una
morte così atroce per
tutti i tedeschi in sala, fino al momento in cui non si
ritrovò di nuovo a qualche passo dallo
stanzino per le proiezioni. Questa volta bussò alla porta
con decisione.
La
voce di lei sopraggiunse come un anestetico. «Sì,
chi è?»
«Sono
Fredrick.»
Ci
volle qualche istante prima che lei aprisse lentamente la porta; non
sembrò per
niente felice quando, affacciandosi, si ritrovò davanti il
volto sorridente del
soldato: quel sorriso da ragazzo perbene che in realtà
nascondeva la ferocia di
un assassino nazista senza scrupoli. Persone come lui avevano trucidato
senza
pietà la sua famiglia lasciandola a correre disperatamente
per le colline
francesi sporca del sangue dei suoi cari. Non riusciva a comprendere
come fosse
riuscita a tenersi tutto dentro: ogni volta che vedeva un'uniforme
tedesca
avrebbe voluto sputare in faccia a chi la indossava. Dominò
per l’ennesima
volta il suo rancore e cercò di apparire cordiale.
«Non
dovrebbe essere qui. Questa è la sua serata, dovrebbe
essere giù con loro.»
Il
sorriso di Fredrick si spense tra le labbra sottili. «Mi
avrebbe davvero lasciato
morire con gli altri?» Lo disse con una nota di sdegno nella
voce, mentre
osservò nascere una sfumatura di sorpresa sul viso angelico
della donna che gli
aveva rubato il cuore.
«Di
che cosa sta parlando? Non capisco», mormorò lei.
«Lo
sa bene di cosa parlo.»
La
sorpresa si tramutò in inquietudine. Emanuelle
divenne pallida e indietreggiò di
qualche passo, cercando con la coda dell’occhio la borsetta
dentro la quale
aveva nascosto una
pistola. La individuò
sopra una sedia.
«Ma
non deve temere», continuò Fredrick,
«l'ho già perdonata per questo. Non so
che cosa alimenti il suo risentimento, ma immagino esista una
motivazione
molto importante.»
La
donna arrivò alla borsetta e vi frugò dentro con
cautela tenendo le mani
nascoste dietro la schiena, finché sentì il
metallo freddo dell’arma tra le
dita. Gettò uno sguardo verso la platea, attraverso la
fenditura dalla quale
veniva proiettato il film. La
telecamera era fissa su un primo piano di Fredrick con lo sguardo
mesto, perso
nel vuoto: sembrava che stesse soffrendo sinceramente
per tutte le morti che aveva causato.
Il soldato avanzò di
qualche passo. «Sono venuto da lei perché quella
parte del film non
mi piace...», esitò qualche istante, poi
continuò: «non mi piace sparare alla
gente.»
Eppure
ogni tanto si trovava nella condizione di non poter far altro che
premere il
grilletto, come dimostrava il cadavere del compagno di Emanuelle
abbandonato nel
retro del palco: il sangue che fuoriusciva dalla ferita sulla testa
scendeva su
una tempia fino al pavimento, dove formava un’ampia chiazza
rossa. Lei non lo sapeva.
Se lo avesse saputo non avrebbe esitato oltre. Ciò che la
faceva indugiare era
l’apparente innocenza del volto di Fredrick, alimentata ora
da quella confessione che
lo dipingeva come la pedina di un complicato gioco di potere, un
bravo ragazzo sopraffatto dagli eventi e dalla follia dei capi militari.
«Un
giorno, quando vorrà, io le terrò la
mano mentre mi racconterà la sua
storia, allora potrò capire le sue motivazioni. Ma ora
desidero solo dimostrarle
quanto lei sia importante per me…»
Fece
qualche passo in avanti. Emanuelle sentì
l’agitazione aumentare. Il cuore
pareva volesse uscirle dal petto. Era certa che non si trattasse di un
sentimento di tipo romantico:
provava un misto d’emozioni confuse tra cui l’unica
facilmente riconoscibile era la
paura. La pellicola originale stava quasi per finire,
dopodiché sarebbe cominciata la
registrazione aggiuntiva che aveva filmato personalmente: un bel
discorsetto di
addio per tutti i nazisti in sala.
«Darò
fuoco di persona alle pellicole dietro lo schermo», disse Fredrick
sorprendendola. «Le porte
della sala sono già tutte sbarrate. Mi permetta di essere
suo complice in questa dolce
vendetta.»
Emanuelle
lasciò cadere l’arma e prese tra le mani il volto
di lui con una delicatezza
disarmante. «Fredrick, se lo metta bene in testa: tra me e
lei non potrà mai esserci niente,
quindi la prego, se ne vada... esca dal cinema prima che sia troppo
tardi.»
Fredrick
sorrise, lasciando sottintendere la sicurezza di ciò che
stava facendo.
«La
aspetterò fuori, nel retro, col suo amico
Marcel», disse. Poi le prese
una mano e la baciò con fare galante.
Aveva pronunciato di proposito il nome del compagno di lei come
garanzia, e anche la parola “amico” non era
casuale, bensì studiata per apparire
più ingenuo a suoi occhi.
Emanuelle
avrebbe pensato a un incidente, avrebbe pensato che Marcel fosse morto
per una
tragica fatalità; senza di lui si sarebbe sentita sola e
allora Fredrick
sarebbe entrato in azione, pronto a consolarla e a darle tutto
l’amore di cui
aveva bisogno.
Un
giorno sarebbe corsa spontaneamente
tra le sue braccia. Doveva solo
pazientare,
e se proprio non sarebbe successo, avrebbe trovato un pretesto per
convincerla. Con le buone o con le cattive avrebbe vinto anche quella
battaglia.
Note
autore:
Prima
di tutto ho una grave confessione da fare: l’unico motivo per
cui ho guardato Bastardi
senza gloria è la presenza
dell’attore Daniel Brühl (nei panni di Fredrick
Zoller).
E ora due noticine sulla storia:
Ho usato il nome falso di Shosanna Dreyfus (ovvero Emanuelle Mimieu),
nel tentativo di rendere più veri i pensieri di
Fredrick,
che non conosce la reale identità della donna di cui si
è
invaghito.
Sono
consapevole del fatto che il mio stile esula completamente da quello di
Tarantino,
ma il finale tragico con cui si è conclusa la storia tra
Fredrick e Shosanna non
mi ha soddisfatto pienamente. Da grande amante degli happy ending, ho
voluto rimescolare
le carte, mettere fuori gioco Marcel e dare una nuova
possibilità all’amore
(anche se si tratta chiaramente di un amore un po’ malato).
Ammetto
di adorare pazzamente le coppie impossibili. E cosa
c’è di più impossibile di
una love story tra una donna ebrea sopravvissuta al massacro della sua
famiglia
da parte dei tedeschi e un eroe di guerra nazista?!
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