Nb:
so che negli avvertimenti ho già inserito l’OOC ma
mi
sento in dovere di ribadirlo! Non venite a dirmi che non ve
l’avevo detto XD
Buona lettura!
-CAPITOLO 1-
Tre
giorni prima della luna piena, precisamente dieci giorni
prima del suo diciassettesimo compleanno, la secondogenita di Agdar
venne
imbarcata sulla nave ammiraglia della flotta reale, la Dronning av
vinden*. Il
re avrebbe tanto voluto accompagnarla nel suo viaggio verso un futuro
ignoto,
in quella terra governata da assassini e ladri, ma di quei tempi, con
la guerra
che premeva alle porte, non era saggio lasciare in carica qualcuno che
non
fosse lui. Nemmeno la sua regina era in grado di affrontare un tale
viaggio:
giorni prima della partenza, aveva smesso di mangiare e di dormire e si
era chiusa
in un ostinato silenzio, intramezzato solo da pianti muti e preghiere
indirizzate a quel dio che molto probabilmente aveva abbandonato loro e
tutte
le terre del Nord. Così il re aveva delegato il delicato
compito di proteggere
Anna durante il suo viaggio, a due dei suoi uomini più
fidati: Lord Thomsen e
suo figlio Joseff, il capo della guardia reale. Avrebbero fatto le sue
veci,
vegliando che tutto andasse come pattuito con Heinrick e che Anna
venisse
trattata come spettava ad un’ospite del suo rango. A nozze
celebrate sarebbero
tornati ad Arendelle, lasciandola lì insieme
all’unica altra persona che
l’avrebbe accompagnata: la sua dama di compagnia, Ingrid.
Prima che la nave salpasse, il
re si era concesso un lungo
abbraccio con la figlia. «So che ti ho chiesto già
troppo imponendoti questo
matrimonio, ma promettimi che sarai forte e affronterai con coraggio
quello che
verrà. Da parte mia cercherò di concludere al
più presto possibile questa
guerra e verrò a prenderti, figlia mia, te lo prometto. Non
ti lascerò nelle
loro mani più di quanto necessario».
Anna lo aveva guardato con
sguardo assente, quasi non fosse
interessata a quello che aveva da dirle. In realtà era
rimasta paralizzata
dalla paura. L’ignoto e il mistero avevano sempre esercitato
un insano fascino
sulla sua giovane mente. Conoscere cose che prima le erano oscure era
sempre
stata fonte di godimento per lei, e una vita piena
d’avventura era stata la sua
massima aspirazione fin dalla tenera età di sette anni.
Nonostante ciò, non
aveva mai varcato i confini di Arendelle, né tantomeno
viaggiato per mare.
Aveva sentito centinaia di
storie sul conto dei Westergard e
della loro corte; conosceva a menadito i nomi dei tredici principi ed
era a
conoscenza degli indicibili fatti di cui ognuno di loro si era
macchiato.
Tuttavia non sapeva davvero cosa aspettarsi. Quel viaggio, ma
soprattutto quel
matrimonio, erano come un salto nel vuoto: sapeva in cosa si era
lanciata, ma non
sapeva dove sarebbe atterrata. Davvero la famiglia del suo futuro
marito, di cui
non conosceva ancora l’identità, era
così terribile? Avrebbero torturato ed
ucciso anche lei? Non era certa di voler conoscere tanto presto la
risposta a
quelle domanda.
Le sembrava di essere in uno di
quei sogni sfocati, dove i
suoni sono ovattati e le immagini corrono veloci come lampi sotto le
palpebre:
un momento prima era abbracciata a sua sorella e l’attimo
successivo era
imbarcata su una nave diretta a sud.
Elsa.
Quando l’aveva
salutata prima di dirigersi al porto, l’aveva
ulteriormente rassicurata che entrambe sarebbero state bene e che nulla
le
avrebbe potute separare.
«Ti
scriverò delle lettere lunghissime, dove mi
dilungherò a
parlare della corte, del castello, del paesaggio che vedo dalla
finestra, dei
ricevimenti ai quali prenderò parte e soprattutto del cibo.
Spero tanto che i
loro cuochi siano almeno alla pari dei nostri, altrimenti
alzerò delle vibranti
proteste».
Elsa aveva sorriso, coprendosi
la bocca educatamente. «E poi
potrai sempre venire a farmi visita: le Isole Meridionali distano solo
pochi
giorni di nave da qui. Sono sicura che sarai la benvenuta»
«Non credo che nostro
padre mi lascerà venire»
«Scusa,
perché mai? Il solstizio d’inverno è
ancora lontano,
non succederà nulla fino ad allora. Starai bene»
«Non intendevo
quello» Elsa era diventata seria, le aveva
preso le mani e aveva sospirato pesantemente «Anna, tutto
questo non è un
gioco. So cosa stai cercando di fare, ma fidati, è inutile.
Sappiamo entrambe
che né per me né per te sarà facile
sopravvivere. Non voglio spaventarti, ma…sta
attenta e non farli arrabbiare».
Così aveva smesso di
provare a convincerla che sarebbe
andato tutto per il meglio e si era ammutolita. Il terrore era
cominciato
allora. Aveva abbracciato a lungo la madre, che le aveva sussurrato un
mesto perdonami, e poi si era
lasciata condurre
alla nave, con l’insolita remissività che
l’aveva caratterizzata in quei
giorni.
Solo quando il castello era
diventata una figura irregolare
nella nebbia e il vascello aveva issato le vele, si era concessa di
piangere.
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Il sole tramontò con
un’inconsueta lentezza su quel primo
giorno di viaggio, facendo brillare ancora per alcuni minuti
l’acqua nera del mare
di un argento scintillante: non c’era nulla ad intralciare la
sua vista, solo
una distesa d’acqua salata a perdita d’occhio, in
qualunque direzione si
voltasse lo sguardo. Affacciata al parapetto della nave Anna cercava di
scorgere all’orizzonte il profilo della sua terra, ormai
lontana ed
irraggiungibile. Già le mancava. Chissà cosa
stava facendo Elsa a quell’ora.
Ingrid le aveva tenuto
compagnia fino a pochi minuti prima,
intrattenendola con storielle divertenti e letture leggere, deviando i
suoi
tetri pensieri verso argomenti più ameni ed innocui. Ma
l’aveva congedata,
ordinandole di riposare e di pensare a se stessa perché lei
se la sarebbe di
sicuro cavata per qualche ora senza di lei.
Ed allora tutta la matassa
ingarbugliata di dubbi e paure
che aveva represso fino a quel momento, era riaffiorata al limitare
della sua
coscienza, facendola boccheggiare per l’intensità
della loro forza prorompente.
Forse avrebbe dovuto rifiutare
quel matrimonio, puntare i
piedi affinché suo padre trovasse un’altra via
d’uscita. Ma sarebbe servito?
Sicuramente no. Avrebbe fatto solo la figura dell’egoista,
indifferente alla
sorte del proprio popolo. Rifiutarsi di partire avrebbe significato
guerra
certa.
Per il
bene di
Arendelle,continuava a sussurrarle una vocina.
Sperò davvero che il
suo sacrificio servisse a salvare il
suo regno. Perché era di questo che si trattava, ora
l’aveva capito. Lei era
l’agnello sacrificale, pronto ad essere sgozzato
sull’altare di una causa più
giusta, il cui sangue avrebbe irrigato gli aridi rapporti tra le parti
in
contrasto.
Un sospiro strozzato le
sfuggì dalle labbra dischiuse.
«Una moneta
d’oro per i tuoi pensieri» una voce profonda
alle sue spalle la fece sussultare.
«Ho più
monete di quante tu possa mai offrirmene. E poi non
c’è bisogno che apra bocca per esprimerli ad alta
voce. Puoi leggerli sulla mia
faccia» rispose monocorde, mentre un giovane uomo le si
affiancò, poggiando le
braccia conserte al parapetto.
«Se ti stai chiedendo
se dove stiamo andando ci siano i
krumkake, devo deluderti, ma la riposta è no. Ma so che in
compenso uno dei
prodotti più esportati dalle Isole Meridionali sono degli
ottimi biscotti al
burro. Credo ti piaceranno, e diventando tu moglie di uno degli eredi
al trono,
penso che potrai chiederne a iosa».
«Eri quasi riuscito a
strapparmi un sorriso, Joseff. Potevi
evitare di aggiungere l’ultima parte» si
lamentò, voltandosi con la schiena
verso il mare. Sotto i loro piedi il legno gemeva, barcollando ora a
destra ora
a sinistra. Si
stava alzando un vento
freddo che gonfiava le vele quadrate, come fossero i polmoni della
nave.
Sembrava quasi di essere sul dorso di una gigantesca creatura senziente.
«Evitare di parlarne
non cambierà la situazione, lo sai
vero? È inutile scappare via come hai fatto poco
fa».
«Sono stanca degli
sguardi di pietà che continua a lanciarmi
tuo padre, ma soprattutto non riesco a sostenere questa tua leggerezza.
Ti
comporti come se tutto andasse bene, come se tra un giorno non
dovessimo sbarcare
nella tana del lupo.»
«Mi sono
semplicemente rassegnato al volere del mio re. Che
io abbia qualcosa in contrario, non cambia il fatto che devo obbedire
agli
ordini» disse abbassando la voce, affinché solo
lei potesse sentire.
«Non è
giusto» sbuffò la principessa, con la schiena
dritta
e le braccia conserte, strette al petto, come a volersi proteggere,
mentre
cercava di trattenere le lacrime che le premevano agli angoli degli
occhi. Vide
Joseff allungare una mano verso di lei, e poi ritrarla di scatto quando
uno
degli uomini dell’equipaggio scivolò
giù dall’albero maestro. Sia Anna che il
giovane capitano della guardia lo osservarono legare stretta una corda
alla
base dell’albero, in silenzio. L’uomo si accorse
d’aver interrotto qualcosa e
si allontanò velocemente, inchinandosi brevemente alla
principessa, per poi
sparire sotto coperta. «Io avrei dovuto sposare te»
singhiozzò, stringendosi
ancora di più su se stessa «Saremmo dovuti
scappare sulla Montagna del Nord
quando te l’ho proposto la prima volta!»
«E poi? Avremmo
vissuto da eremiti tra le vette innevate, in
un castello di ghiaccio? Non sei in una favola, Anna. Non sempre
ciò che
vogliamo poi si avvera» le disse con tono tagliente. Anna
riusciva a scorgere
l’amarezza dietro quelle parole, ma la sua resa la accecava
di rabbia.
«Ma
avevamo promesso!»
«Quella
promessa è di una vita
fa, quando la guerra era solo un avvenimento sui libri di storia. Non
l’abbiamo
fatto noi quel patto, ma due bambini ignari del mondo esterno e delle
enormi
forze in gioco che tirano le fila di questa immane tragedia che
chiamiamo vita.
A cosa sarebbe servito scappare? Tuo padre avrebbe mandato
l’intero esercito
alle nostre calcagna e tu saresti stata comunque destinata a questo,
per non
parlare del fatto che poi avrebbe voluto la mia testa su una
picca».
«Così
ti sta bene che da qui a
qualche giorno donerò anima e corpo ad un uomo di cui non
conosco nemmeno il
nome?»
«Non
me lo stai chiedendo
davvero» disse sconvolto, voltandosi di scatto verso di lei,
facendo ondeggiare
la sua chioma di ricci ramati.
«Mai
stata più seria in tutta la
mia vita».
La
osservò bene per alcuni
secondi e si rese tristemente conto di non avere più davanti
la ragazzina con
cui giocava a nascondino, né tantomeno la sua migliore
amica, ma una giovane
donna impaurita ed arrabbiata, e non sapeva come arrecarle conforto.
«Certo
che no.»
«Intendi
fare qualcosa a
riguardo?»
«Sai
che non posso…» cercò di
spiegarle, ma lei gli voltò le spalle e si diresse a passi
svelti verso le
scale che portavano in coperta, inciampando quasi su una sartia
lasciata
arrotolata sul ponte.
«Anna,»
sibilò prendendola per un
braccio «se potessi mi ammutinerei, prenderei il comando di
questa nave e ti
riporterei a casa, dove ti chiuderei dietro porte spesse metri
affinché nessuno
possa toccarti» le prese anche l’altro braccio
«Andrei nelle Isole Meridionali ed
ucciderei Heinrick ed ognuno dei suoi tredici figli, perché
nessuno di loro
possa invocare un qualche diritto su di te» spostò
le mani sulle sue spalle «E
poi tornerei ad Arendelle da te e chiederei la tua mano» le
sue mani scesero a
catturarne una delle sue, piccola e morbida «Ma non posso, e
lo sai».
Anna
rimase interdetta da quella
confessione voluta ma insperata. Un groppo le chiudeva la gola
impedendole di
rispondergli. Aveva aspettato quella dichiarazione per almeno cinque
anni ed
ora era arrivata. Ma ormai era troppo tardi.
«Non
continuare a tormentare
entrambi con questi pensieri. Qui non c’è nessun ma e nessun se.
Le cose
sarebbero comunque andate a finire così, Anna.
L’abbiamo sempre saputo che
saresti stata destinata a qualcosa di più».
Le
lacrime erano riuscite a
superare la barriera di spavalderia che aveva tirato su, togliendole il
respiro.
«So
solo che avresti dovuto farlo
molto tempo fa, perché per quanto tu cerchi di trovare una
scusa, mio padre ti
stima e si fida di te e ti avrebbe concesso la mia mano senza battere
ciglio»
lo rimbeccò, con lo sguardo saldamente puntato nei suoi
occhi chiari.
«Arendelle
non avrebbe avuto via
di scampo se noi due ci fossimo sposati, perché sai bene
quanto me che i tuoi
genitori non avrebbero mandato mai Elsa al tuo posto» la
bocca tirata in
un’espressione grave «Per quanto questo possa
suonare cinico, tu sei l’unica
speranza di salvezza del regno».
«E
se non volessi esserlo?»
«Lo
sei già. Questo è un punto di
non ritorno, Anna. Non si torna indietro»
«Potrei
sempre gettarmi in mare,
lo farei sembrare un incidente»
«Credi
davvero che ti permetterei
di toglierti la vita?» le chiese scettico.
«Sempre
meglio di questa
condanna»
«Non
sai ancora cosa ti aspetta»
tentò di rassicurarla «Gli dèi ti hanno
messa su questo sentiero: devi percorrerlo
e arrivare alla fine. Loro hanno
un progetto più grande per te, ne sono sicuro».
Anna
si guardò le mani, dove
l’anello di Elsa brillò per un secondo ai raggi
del sole morente, poi si voltò
di nuovo verso di lui e sospirò.
«Voglio
che in questo disegno
divino ci sia tu al mio fianco» gli disse quasi come una
supplica, stringendo
una delle sue mani tra le sue.
Joseff
corse ad asciugarle gli
occhi con la mano libera, e indugiò per un minuto con il
palmo premuto contro
una delle sue guance, rese rosse dal pianto. «Sarò
sempre al tuo fianco. Ma
devi accettare il fatto che non lo sarò nel modo in cui
desideriamo entrambi».
Le
lasciò un’altra carezza
leggera, percorrendo con il dorso delle dita il suo viso stravolto,
dalla
tempia al mento, con una lentezza logorante e senza staccare i suoi
occhi dal
suo sguardo tormentato. Il respiro di Anna accelerò,
riempiendole il torace, tanto
da farlo premere con forza contro le stecche di balena del suo bustino,
rendendole difficile inspirare. Il cuore le batteva ad un ritmo serrato
nel
petto.
Quando
era stata l’ultima volta
che lei e Joseff erano stati così vicini? Probabilmente mai.
Ora o mai più, le
urlò la voce nella sua testa. E ancora prima che
la voce potesse ripetersi, colmò la distanza tra i loro
visi, premendo le sue
labbra contro quelle di Joseff. Il giovane si irrigidì al
contatto e la scostò
piano, tenendola per le spalle.
«Perché
lo hai fatto» le chiese
con un filo di voce, guardando in terra, incapace di incontrare il suo
sguardo
speranzoso.
Non
poteva salvarla.
«Perché
volevo che, almeno in
questo, tu fossi il primo» gli rispose con il candore di una
bambina innocente,
non rendendosi conto che, quello che aveva appena detto, era stato per
Joseff
peggio della sensazione di essere trapassato da una spada.
Il
solo pensiero che di lì a poco
l’avrebbe persa per sempre, lo portò a considerare
cosa era lecito e cosa no,
su quella nave in mezzo al mare. Nessuno avrebbe visto. Nessuno avrebbe
saputo.
Ma entrambi ne avrebbero sofferto.
Con
un gesto fulmineo le allacciò
un braccio alla vita, una mano si perse in quel mare di fuoco che erano
i suoi
capelli, e l’attirò di nuovo a sé, con
l’urgenza di sentirla anche per pochi
secondi sua.
Quando
si scostarono, il volto
rosso e le labbra tumide, Joseff scorse la scintilla della vita negli
occhi di
Anna. Quella luce che non le vedeva da tanto, e sapere che era stato
lui a
riaccenderla, lo riempì di orgoglio.
«Grazie»
gli sussurrò lei,
guardandosi attorno mentre si riordinava i capelli.
«A
te, per avermi reso il tuo
primo bacio».
Le
porse il braccio «Ti va di
scendere in coperta? Mio padre si starà chiedendo che fine
abbiamo fatto.»
«Beh,
non c’è molta strada da
fare su una nave» sorrise lei, piegando le labbra lievemente
all’insù. Poi
poggiò la mano nell’incavo del suo gomito e si
strinse per quanto possibile a
lui.
Per
il resto della serata cercò
di allontanare ogni pensiero nocivo dalla sua mente, di non pensare al
suo
futuro né a quello che sarebbe successo una volta arrivati a
destinazione.
L’unica cosa che si premurò di tenere bene a mente
fu il sapore ricco ed
inebriante delle labbra di Joseff.
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Il giorno dopo, prima che il
sole raggiungesse lo zenit, un
grido si alzò dalla gabbia di vedetta.
«Terra!»
urlò il
marinaio dalla cima dell’albero maestro.
Anna era in coperta, intenta a
cucire le sue iniziali su un
fazzoletto di seta: maneggiare un ago in mezzo al mare non era il modo
migliore
di far passare il tempo, soprattutto se il lavoro che ne risultava era
scadente
ed insoddisfacente. Ma Ingrid aveva insistito per farle fare pratica,
adducendo
come scusa che il cucito liberava la mente da pensieri indesiderati.
Non era
molto brava con ago e filo, quella dotata era Elsa, come in molte altre
cose,
ma Ingrid non aveva avuto tutti i torti, e per un tempo non calcolabile
il
punto croce aveva davvero catturato la sua mente e la sua attenzione.
Finché
quel grido non l’aveva irrigidita, la sua concentrazione era
scemata in un
battito di ciglia, ed era finita per pungersi il dito medio con la
punta
dell’ago.
Si portò il dito
offeso alle labbra, succhiando via la
piccola stilla di sangue che ne fuoriusciva e lasciò andare
il suo lavoro di
cucito. Ingrid lo raccolse e le posò una mano sulla schiena.
«Tranquilla mia cara,
andrà tutto per il meglio. Io sarò al
vostro fianco» cercò di rassicurarla.
«Andiamo a prendere una boccata d’aria
fresca».
Si lasciò trascinare
sul ponte, dove intravide Joseff
parlare con il capitano, un uomo dalla statura considerevolmente bassa
rispetto
agli altri uomini del nord, con baffi chiari e sopracciglia folte e
perennemente aggrottate, ma con un sorriso bonario stampato sul volto
cotto dal
sole. Intanto Lord Thomsen era preso a scrutare in lontananza con un
cannocchiale piantato saldamente sul suo occhio destro. Si diresse
verso il
primo, curiosa di sapere di cosa stessero discutendo i due uomini.
Ingrid frattanto
le orbitava attorno, aggiustandole lo scialle sulle spalle e
lisciandole le
pieghe inesistenti sul suo vestito.
«Vostra
Altezza» entrambi gli uomini si inchinarono. Joseff
le scoccò un’occhiata inquisitoria, riuscendo a
malapena a nascondere la sua
preoccupazione. Doveva avere una faccia terribile, ma si
sforzò di sorridergli
debolmente mentre inspirava l’aria pulita del mare.
«Capo Haaber
è in vista, mia signora» la informò il
capitano, reggendo con mani salde il timone, quasi più alto
di lui.
«Capo Speranza.
Nome singolare per questa terra che ne è priva»
commentò aspramente la giovane,
stringendosi di più nello scialle.
«Il mare del Nord
è impervio, Vostra Altezza. Quando una
nave delle Isole giunge in prossimità di Capo Haaber sa di
essere sfuggita
all’implacabile forza di queste acque nere, e di essere
prossima a casa. Per
questo motivo porta questo nome.»
Anna annuì
sovrappensiero.
«Quanto manca
all’arrivo?» si intromise Ingrid, che si
reggeva una mano allo stomaco. Nemmeno per lei quel viaggio era stato
una
passeggiata.
«Se il vento ci
sarà favorevole, riusciremo ad approdare
nelle tana del leone prima di sera.»
«Cosa?»
sussultò Anna, colta alla sprovvista da quelle
parole.
«Løvenshule,
è il nome della
capitale delle Isole Meridionali» si sbrigò a
spiegare Joseff, accortosi dello
stato di tensione della principessa. «Significa letteralmente
“tana del leone”».
«Si,
giusto». Si affrettò a
nascondere il suo turbamento, sventolandosi una mano davanti al viso
per
dissiparne ogni traccia. Certo, sapeva come si chiamava la capitale
delle
Isole, ma sentirne dire il significato ad alta voce l’aveva
scossa nel profondo,
rendendo tutto ancora più reale.
Il
piccolo gruppetto rimase in
silenzio per alcuni secondi. «Vogliate scusarmi, capitano
Hammer, vorrei
conferire con Sua Altezza» Joseff si congedò.
Porse il braccio ad Anna e stoppò
sul nascere le proteste di Ingrid, quando alzò una mano per
fermarla dal
seguirli. «Da soli» aggiunse in tono deciso.
Si
allontanarono di qualche
metro, scendendo dal cassone di poppa, camminando lungo il ponte. Sulle
navi
non esistevano punti nascosti e il concetto di “privato”
era sconosciuto ai marinai, che vivevano addossati
praticamente l’uno all’altro sotto coperta. Il
massimo dell’intimità che i due
giovani potevano permettersi in quel momento era la panca posta verso
prua, a
una decina di metri da dove si trovavano il capitano e la dama di
compagnia.
Molto probabilmente, il mozzo che stava strigliando il ponte a pochi
passi da
loro avrebbe sentito tutto, ma più di così non
potavano allontanarsi,
altrimenti sarebbero finiti in mare.
«Come
ti senti?» le chiese
subito, lasciandola sedere.
«Mi
viene da vomitare». Anna si
portò una mano alla bocca e strinse gli occhi, per frenare
l’orribile
sensazione di rollio che le faceva rivoltare lo stomaco. Non sapeva se
era per la
nave che si muoveva sotto i suoi piedi o per la vista che le giocava
brutti
scherzi.
«Comprensibile.
Questa stupida
nave continua ad ondeggiare pericolosamente».
«Sai
che non mi riferisco a
quello» si lamentò, spostando la mano dalla bocca
allo stomaco, sempre con gli
occhi saldamente chiusi. Inspirò ed espirò
diverse volte prima di riuscire a riaprirli
e a focalizzare lo sguardo su un punto impreciso del cielo: sembrava
una tabula
rasa, pronta ad accogliere nuvole e stelle, ma per il momento pulita e
di un
azzurro immacolato. Anche lei avrebbe voluto sentirsi così,
svuotata, riuscire
ad eliminare ogni impurità dalla sua mente. Avrebbe
volentieri acconsentito a
farsi bucare il cranio pur di essere liberata da quel tormento.
«Siamo
così vicini e…»si voltò a
guardarlo «non credo di essere pronta».
Joseff
non disse nulla e si limitò
a distogliere lo sguardo dagli occhi di lei, troppo tristi e cupi per
appartenerle.
«Ti
ricordi quando mi chiedesti se
ci saremmo sposati?» Lei fece un verso di assenso, poco
fiduciosa della sua
voce: quella strana richiesta di matrimonio risaliva ad almeno otto
anni prima,
molto prima che cominciasse a provare qualcosa per lui, quando tra una
rincorsa
e una battuta di nascondino, lei gli aveva detto che una delle dame di
compagnia della madre si sarebbe sposata molto presto con una delle
guardie di
palazzo, e la domanda le era sorta spontanea. Joseff era arrossito fino
all’inverosimile, guardandola con la bocca spalancata, come
se avesse appena
detto un’idiozia. Quel ricordo la faceva ancora ridere.
«Prima
di rispondere ti dissi che
molto probabilmente eri già stata destinata ad un principe
di una terra
lontana, qualcuno con modi affabili e zigomi sporgenti».
Agitò una mano nel
vento, indicando un punto lontano, verso quel profilo di terra che
diveniva
ogni minuto più visibile e reale.
«Mi
dicesti che i principi ti
annoiavano e che avere un marito noioso non faceva proprio per
te».
«Già,»
ridacchiò lei, facendo un
verso a metà tra un singhiozzo e una risata «e tu
inventasti per me
l’immaginario guerriero della Grande Montagna, capace di
sopravvivere alle battaglie
più sanguinarie e alle cime più impervie del Nord
e di riuscire comunque a
tornare sempre da me» disse in tono solenne, gonfiando il
petto. Una risata
nervosa le salì alla gola e non riuscì a fermarla
«Io ti avevo chiesto qualcosa
in più di un principe e tu mi offristi un personaggio
iperbolico, che nemmeno
nelle saghe più epiche potrebbe esistere».
«Iperbolico?
Inventato? No, no.
Lui è davvero là fuori da qualche parte,
è solo che ti dovrai accontentare di
un principe e chissà che anche lui non sia un guerriero
invincibile».
Molto più probabile che sia un assassino,
si ritrovò a pensare la
principessa, rabbrividendo al pensiero di essere sfiorata da mani
sporche di
sangue. Ma non esternò i suoi pensieri. Invece rise assieme
all’amico, cercando
di racimolare un po’ di buonumore e coraggio per lo sbarco
imminente.
«Sei
sprecato come capitano della
guardia reale» gli disse all’improvviso,
pensierosa. «Potresti essere un
eccezionale indovino. Tutte le tue profezie si avverano prima o
poi.»
«Non
tutte, purtroppo» lo sentì
mormorare.
Rimasero
in silenzio, con le mani
intrecciate in un contatto capace di rallentare il cuore di Anna e di
accelerare
quello di Joseff, ad osservare il destino farsi sempre più
vicino.
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La
sera era calata a coprire ogni
cosa con le sue tenebre già da qualche ora, quando il
palazzo dei Westergard
apparve per la prima volta davanti agli occhi di Anna: un maniero
possente
affacciato sul mare, con mura alte e spesse, e torrioni di guardia ad
ogni
angolo, che si stagliavano scuri contro il cielo.
La mia nuova casa, pensò
tremando, stringendosi di più nel mantello
che Ingrid le aveva posato sulle spalle. Joseff non era più
al suo fianco e ora
nulla impediva alle sue paure di farsi prepotentemente strada tra i
suoi
pensieri. Le parole dell’amico non erano bastate: erano tutte
vuote promesse
che non avrebbe potuto mantenere.
Non ti lascerò, le aveva
assicurato. Ma entrambi sapevano che era
una bugia: a matrimonio consumato lui sarebbe tornato ad Arendelle,
lasciandola
sola a combattere quella battaglia.
Non
si rese conto del tempo che
passò tra l’arrivo al molo e lo sbarco. Si
ritrovò semplicemente sul pontile di
legno, che collegava il mare e il castello, con Ingrid al suo fianco e
Joseff e
Lord Thomsen che conducevano il gruppo. Gli occhi puntati saldamente in
terra e
il cappuccio del mantello calato sulla fronte, si muoveva leggera senza
far
rumore, quasi fosse un fantasma. Nessuno parlava e l’amico,
con la mano
sull’elsa della spada che gli pendeva dal fianco sinistro,
continuava a
voltarsi indietro per guardarla: cosa credeva, che sarebbe scappata?
Anche per
quello era troppo tardi.
Si
accorse di essere arrivata,
quando la luce di una lanterna rischiarò
l’oscurità in cui era immersa,
accecandola e una voce calda e profonda la accolse.
«Benvenuta
nelle Isole
Meridionali, mia signora».
Capelli
rossi, modi affabili e
zigomi sporgenti.
Joseff
non sbagliava mai.
*
Dronning av vinden: Regina del
vento
Nda:
anche se è passato più di un
secolo da quando ho pubblicato il primo capitolo e varie volte mi
è venuta
l’insana voglia di cestinare tutto, ho comunque deciso di
aggiornare e di non
lasciare che questo capitolo ammuffisse in qualche recesso polveroso
del mio
pc. Questa storia mi sta troppo a cuore per lasciarla incompiuta e ci
vorranno
anche mille anni, io la finirò! So che finora non
c’è stata molta “azione” ma
fidatevi, già dal prossimo capitolo il ritmo si
farà più incalzante. Ringrazio
chi l’ha aggiunta tra i seguiti e chi leggerà
anche questo nuovo aggiornamento
:) Mi raccomando fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla
prossima! ;*
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