Where My Demons Hide
In questa storia si fa un importante riferimento all'anime 2003, per cui è Roy e non Scar ad aver ucciso i Rockbell.
Il titolo è tratto da "Demons", degli Imagine Dragons.
Ci sono notti in cui
Roy può giurare che la canna della sua pistola sia di nuovo
premuta fermamente contro la sua giugulare.
E’ una percezione non vigile, un ritorno al passato coi piedi ben ancorati nel presente, un sogno fin troppo reale.
Non certo un ricordo,
perché una vita fa è un tempo troppo lungo perché
gli scenari non cambino a piacere. Non ci sono, ora, gocce di sudore
sulla sua fronte, non c’è traccia di alcol nel suo fiato,
non c’è confusione delirante nella sua mente. Manca
l’odore caldo e pungente delle notti infuocate di Ishbar, manca
la puzza metallica del sangue dei Rockbell sparso sul pavimento e non
completamente ripulito. La sua fronte è asciutta, il suo fiato
pulito, la sua mente lucida, e dalla finestra non entra che
l’odore calmo delle notti di Central City.
Eppure il gelo del metallo non è cambiato, e le fiamme ardono ancora, seppellite a fondo nella fornace del suo cuore.
E il grilletto è pesante
come allora, sotto i suoi polpastrelli nudi. Sussurra seducenti parole
di oblio, offre pietoso una secchiata di acqua gelida su
quell’inferno segreto ed eterno che mai si fa vedere e mai assume
forma concreta, ma che nonostante tutto trova sempre il modo di rubarti
l’anima.
Nel buio, a occhi chiusi, Roy fa
pressione su quel grilletto senza spingerlo a fondo, e sa che merita la
morte. Non sono le vittime a condannarlo, quelle vittime morte prima di
poter provare altro che non fosse terrore, e lo stupore di chi crede,
spera, di poter vivere ancora a lungo. Non è l’esercito a
giudicarlo, quell’esercito che gli ha donato medaglie al valore
per il suo perfetto lavoro da macellaio.
Roy il giudice e Roy
l’esecutore –così è, così dovrebbe
essere, in un mondo giusto, in un mondo che abbia un senso.
Lucidamente, freddamente, Roy stabilisce che deve premere il grilletto.
Ma quando riapre gli occhi, la pistola non è reale.
Solo il gelo rimane ad aleggiare sotto il suo mento, a mo’ di sordo richiamo.
Roy giace silenzioso e fissa il
buio. In quelle notti è facile domandarsi a che scopo ci sia
ancora aria nei suoi polmoni.
Ci sono altre notti, invece,
notti in cui non è il freddo del metallo a svegliarlo, ma una
pioggia di capelli sparsi sul suo collo e sotto il suo mento.
Profumano di buono, di shampoo e
di vita, di una ventata d’aria fresca contro i fumi tossici delle
fiamme e della carne bruciata. Profumano di lui, e Roy rimane immobile, trattiene il fiato, e ha paura, una paura atavica e dolorosa di scoprirsi prigioniero di un sogno.
Ma quando riapre gli occhi, Edward è reale.
Gli occhi aperti, il viso serio,
Edward non lo guarda e non parla. Se ne sta silenzioso ad ascoltare il
suo cuore agitato dagli incubi, il suono secco degli spari scanditi dai
suoi battiti convulsi.
La commozione irrora pietosa il
terreno arido del suo cuore incenerito, e piega le sue labbra in un
sorriso. Roy si china appena e bacia quei capelli e quel capo dorato,
le labbra che indugiano sul calore della sua pelle.
E allora Edward solleva la
testa, e i suoi occhi stanchi indagano il motivo del silenzio
dell’altro, e le sue guance si colorano appena nel riconoscere il
sentimento che sta dietro la semplicità della sua adorazione.
“Dormi, stupido”,
gli intima, e sorride di nascosto, posando il capo sotto il mento di
Roy, proprio lì, dove il gelo aleggia ancora. La pistola,
impotente, viene gettata a terra, in un clangore insolitamente dolce.
Roy ride piano. “Agli
ordini”, replica, e lo stringe a sé, per avere la sua
immagine impressa nelle retine anche quando obbedisce al suo
sottoposto, e chiude gli occhi.
In quelle notti non sa cosa sia
l’inferno, ed è difficile ricordare per quale motivo
premere un grilletto possa essere allettante.
|