「
“
You were red and you liked me ‘cause
I was blue
You
touched me and suddenly I was a lilac sky
And
you decided purple just wasn’t for you ”
Halsey, Colors 」
La baia di San
Francisco all’alba sembra un paesaggio osservato attraverso
un caleidoscopio:la luce s’infrange contro sottili e
invisibili pareti di vetro, così che si rifranga in un
incanto di colori chiari, pacati, un tripudio di tenue rosa e tiepido
giallo nel cielo ancora azzurro, velato di bianco dalle nuvole,
all’apparenza così soffici, stacciate
nell’aria.
Una lunga vetrata
limpida corre lungo tutto lo spazio dove dovrebbe essere situata la
quarta parete della stanza, ad offrire un’ampia visuale sul
mondo esterno e sulla vita che, molto più in basso, scorre,
con il solito inesorabile ritmo.
Il Golden Gate
scintilla di rosso in lontananza, sormontando
l’immensità del blu profondo dell’Oceano
Pacifico, che come sempre continua a muoversi nel suo perpetuo stato di
quiete.
Un contrasto
magnifico, specie di mattino presto, quando il sole appena sorto
illumina con i suoi raggi flebili l’imponente struttura.
Le punte dei piedi
scalzi s’appoggiano laddove trovano appiglio, sul linoleum
ancora freddo nella luce del giorno appena iniziato o sul legno dello
sgabello un po’ tremolante.
Yuuto si passa una
mano tra i capelli, trovandoli incredibilmente disordinati.
Il pennello lungo e
fino gli trema appena nella mano, la punta che rimane sospesa a pochi
centimetri dalla tela davanti a sé, nel timore di commettere
un errore impossibile da correggere.
Tra quelle immutabili
pareti bianche come il latte riesce a trovare la concentrazione, nel
silenzio delle prime luci dell’alba concilia la propria mente
di modo che sia in perfetta simbiosi con l’ambiente che lo
circonda, così da poterne percepire ogni minimo dettaglio,
che gli sfuggirebbe in caso contrario.
Avverte infatti con
una nitidezza che ha dell’incredibile la matita posta sul suo
orecchio destro, tanto da poterne quasi definire il peso basandosi solo
su quella semplice percezione, come anche il tessuto
–cotone– di cui è composta la camicia
azzurrina che indossa, unico indumento in cui è ora avvolto
il suo corpo, di qualche taglia troppo grande per lui, tutti i bottoni
di madreperla allacciati e le maniche eccessivamente lunghe arrotolate
per tutti gli avambracci fino ai gomiti, anche per agevolarlo nel suo
operato.
Nella luce dorata del
sole la sua fronte risplende appena di piccole gocce di fatica, le
palpebre si chiudono e si riaprono velocemente sui suoi occhi rossi per
reidratarli.
Un velo lieve di
nebbia si alza dalle acque gelide dell’oceano, sommergendo
nell’opacità delle sue vesti ogni cosa incontri.
Il sole illumina piano
quella foschia, che cautamente si rarefà, creando
incantevoli giochi di luci e di ombre in tutta la baia.
È proprio
questo il motivo per cui è sveglio a quell’ora:
cercare di intrappolare sulla tela quel fenomeno spettacolare, che si
verifica unicamente nei minuti subito successivi all’alba,
gli unici che possano permettere un simile avvenimento per
compatibilità di inclinazione della luce solare e
temperatura atmosferica.
Poggia con calma la
punta del pennello sulla tela, accennando sbuffi di colore grigio
violaceo all’incirca all’altezza delle linee appena
tracciate del disegno preparatorio, presupposte per una metà
secondo ricordi e per l’altra basandosi sulle proprie
supposizioni.
Man mano che i primi
istanti passano le incertezze pian piano si dissipano e i tratti del
pennello iniziano ad intensificarsi, un po’ di più
ma egualmente soffici come il vapore di cui è ora ricolmo il
paesaggio.
La mente quasi si
assenta, persa tra quei fumi, mentre la mano continua a muoversi sulla
tela come in trance.
Quando avverte delle
braccia circondargli la vita rischia di sobbalzare e danneggiare il suo
lavoro, tuttavia riesce ad agire tempestivamente mentre allontana il
pennello e lo poggia sul supporto del cavalletto, sospirando di
sollievo.
Per fortuna nessun
tocco di colore in eccesso ha macchiato la tela.
Vorrebbe voltarsi e
lanciare un’occhiataccia alla persona accanto a
sé, tuttavia non ne ha il tempo, poiché
quest’ultima infila il volto nell’incavo del suo
collo e comincia a riempirlo di piccoli baci a fior di pelle, che fanno
sobbalzare Yuuto di sorpresa e gemere sommessamente di piacere.
«Sei
già sveglio a quest’ora?»si sente
domandare, mentre dei brividi caldi gli corrono giù per la
schiena.
Riesce a rispondere
solo quando i baci sul suo collo si arrestano e dopo aver preso diversi
respiri profondi, sia per recuperare fiato che per calmarsi.
«Do
– dovevo cercare di imprimere sulla tela la foschia che si
forma durante le prime ore del giorno nella baia
…»cerca di spiegare, con ancora il fiato
frammentato.
Sente un nuovo peso
gravare sulla sua spalla ed accoglie ben volentieri la testa del nuovo
arrivato nella stanza, mentre quest’ultimo osserva
attentamente l’opera del giovane: lievi sbuffi violetti
tingono con eleganza la tela bianca sulla quale stava dipingendo.
Yuuto rimane immobile
tra le sue braccia, come ipnotizzato dal respiro caldo e cadenzato di
Kageyama, che s’infrange a pochi centimetri di distanza dalle
sue guance leggermente arrossate.
«È
molto bello …»lo sente commentare alla fine, dopo
diversi minuti di osservazione.
Gli occhi di Yuuto si
allargano a dismisura per la sorpresa mentre chiede con voce
soave:«Dici sul serio?».
L’uomo
sorride, sfiorandogli appena una guancia con la punta di un dito.
«Certo che
sì»risponde, serenamente«altrimenti
credi che te l’avrei mai detto? Non ti mentirei mai,
Yuu~».
Le guance del ragazzo
arrossiscono ancora di più, tuttavia Yuuto cerca di
dissimulare il proprio imbarazzo continuando a parlare, quindi
spiega:«Beh, è una cortina che si solleva
solamente a partire dalle prime luci dell’alba e per pochi
minuti prima che s’intensifichi e diventi la solita nebbia
fitta che aleggia continuamente intorno al Golden Gate, quindi gli
unici momenti che avevo per riuscire a rappresentarla erano proprio
questi …».
Reiji corruga appena
la fronte, impensierito.
«Quindi ti
ho fatto perdere l’attimo?»gli domanda infatti poco
dopo, sembra pensieroso.
Yuuto sorride,
incapace di non restare colpito dalla preoccupazione
dell’uomo, mentre gli posa candidamente una mano su una
guancia, accarezzandola con levità.
«Reiji»mormora,
con una certa dolcezza«ci sono altre albe da
vivere».
Kageyama si lascia
sfuggire un sorriso tranquillo e Yuuto si sente subito molto
più rasserenato.
Poco dopo avverte
l’uomo sollevarlo dallo sgabello e prenderlo in braccio,
stringendoselo al petto.
«Allora
adesso andiamo a riposare»sussurra, come a giustificare la
natura del suo gesto«è ancora presto
dopotutto».
Yuuto lo osserva
attentamente ma alla fine rimane in silenzio e si stringe a lui,
permettendogli di portarlo in braccio fino in camera.
Lasciano la stanza
vuota, occupata unicamente dal cavalletto con la tela, mentre le luci
dell’alba trionfano sull’oscurità della
notte.
* AA *
* lancia sguardi
circospetti intorno * Ehm … saaalve …
Vi prego, non
uccidetemi. Lo so che sono scomparsa per un tempo incalcolabile. Lo so.
Non è stato
propriamente mancanza d’ispirazione, forse non lo so neanche
io cosa sia stato.
Diciamo che
fondamentalmente avevo bisogno di una pausa, eew.
Ora per,
sfortunatamente, sono di nuovo qui. Quindi … si salvi chi
può, oserei dire :3
Parliamo della fic che
è meglio, okay. Fondamentalmente la storia è nata
per un caso analogo a quello di “Mele
e cannella”:un’idea che mi ronzava per
la testa già da un po’ di tempo e poco tempo per
realizzarla, poi alla fine arriva un giorno in cui un allineamento
favorevole di eventi mi permette di arrivare a un livello di
concentrazione ottimale e … bom, finisco in una sorta di
trance creativa dalla quale non riesco a sottrarmi, inizio a scrivere a
ruota e non riesco più a fermarmi finché non ho
finito del tutto. Detesto lasciare le cose sospese a metà,
gnn.
Tornando al caso
specifico di questa shot {anche perché se mi metto a pensare
a tutte le cose in sospeso che ho dopo mi deprimo e non vado
più avanti owo} le mie fonti d’ispirazione sono
state, a parte la suddetta idea che mi tormentava la mente
già da giorni, la canzone che ho citato all’inizio
della storia:è un brano della cantante statunitense Halsey, il cui
titolo è –che ovvietà- Colors. Non so
perché ma sinceramente l’ho trovato molto adatto
alla storia, forse perché parlava di colori …
Mi sento Capitan Ovvio
stasera, éwé.
Btw, parliamo un
attimo di On time. Giuro che in questi giorni mi metto a lavorare
seriamente … sta venendo fuori una cosa dalla lunghezza
mastodontica, aiut-
E no, niente, spero vi
piacerà, come mi auguro che possiate aver apprezzato questa
mia sciocchezzuola qua sopra. Vorrei essere più presente, davvero, solo che di recente ho finito per allontanarmi
irrimediabilmente e spiacevolmente dal fandom di ie e da tutto Efp in
generale. Prometto che cercherò di fare quanto
più mi sarà possibile, mh?
Bene gente, penso che
adesso mi dileguerò, dubito sia il caso di tediarvi oltre ^^
I’ll
wait you to the moon
Aria~
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