Lunedì 10 Novembre,
ore 00.00, Torino, Fabbrica delle Ceramiche "Appiani Uzia"
Era stato
un ottobre molto mite, con temperature, sostenevano gli esperti della
meteorologia, al di sopra delle medie stagionali.
Ciò
aveva permesso ai torinesi di godersi il tepore del sole, passeggiando
nei parchi con il solo riparo di una giacca o di un maglione non troppo
pesante, attardandosi sulle panchine o sui ponti che galleggiavano
sopra il Po, andando a lavorare con un sorriso e tornando a casa
soddisfatti per quel tempo così magnanimo.
Tuttavia,
l’epoca dell’estate prolungata, come
l’avevano definita i colonnelli dell’Aeronautica,
impettiti e professionali davanti alla cartina dell’Italia,
si poteva considerare ormai agli sgoccioli: la ricorrenza di
Ognissanti, infatti, oltre ad aver portato con sé fiumane di
persone tra le tombe di defunti di cui, solitamente, si sarebbero
dimenticati per il resto dell’anno, maree di lumini e
vagonate di fiori finti, aveva riversato sulla città un
vento gelido, le cui raffiche erano talmente potenti da fare quasi
invidia alla bora triestina.
Tristi
mucchi di foglie accartocciate rimbalzavano da un lato
all’altro dei marciapiedi, come in un folle ping pong senza
sosta; le fronde nodose degli olmi e dei frassini oscillavano
pericolosamente, piegandosi come in una danza macabra.
La
stretta strada che conduceva alla fabbrica era illuminata da due soli
lampioni, poiché il terzo si era guastato per
chissà quale motivo.
Ai
lati del lungo sentiero, nella periferia più estrema e meno
accogliente, si propagavano distese di erba secca, alte mezzo metro e
bisognose di una bella e abbondante innaffiata.
L’insegna
della fabbrica “Ceramiche Appiani Uzia” era
insolitamente accesa: la costruzione, un lungo parallelepipedo bianco
con le finestre nere, si stagliava diritta e fiera nel cielo povero di
stelle.
Improvvisamente,
un lieve, breve sussulto fece capolino in mezzo a quel silenzio,
seguito da un grido soffocato, un crescendo di voci, un rumore, poi
più niente.
Il
sipario della morte era calato, avvolgendo ogni suo personaggio che vi
era rimasto impigliato.
Ore 8.15, commissariato
“L’Aquila”, Torino
Mezzo
commissariato era decimato dai vari malanni di stagione: influenza,
tosse, raffreddore, insomma, in confronto la pioggia di cavallette
biblica si sarebbe rivelata una comoda passeggiata tra le vie del
centro cittadino.
In
quei giorni, il tempo era stato davvero inclemente, freddo ed uggioso:
ormai, seppure con qualche brontolio di disappunto, ci si era abituati
alle temperature autunnali, ai maglioni, ai cappotti e ai calzettoni
pesanti, ma, al vento freddo proveniente da est, a quello ancora i
torinesi non avevano fatto il callo.
I
corridoi della stazione di Polizia risultavano così meno
caotici del solito, mentre un uomo sulla trentina, alto come una
pertica, i capelli ricci e rossi in contrasto con gli occhi petrolio e
il naso aquilino, barcollò fino a una porta bianca, alla
quale si ritrovò a bussare con un paio di colpi di nocche.
L’ispettore
Francesco Ghirodelli si affacciò alla soglia
dell’ufficio del suo superiore, il commissario Alessandro
Terenzi.
-E’
permesso?-
-Vieni
pure- lo accolse l’altro, intento a battere sulla tastiera
del computer, mentre la voce del nuovo arrivato, nasale e distorta,
anticipava il suo ingresso, seguito da un rumoroso starnuto.
-Ghirodelli,
per favore, stammi lontano! Questo non è più un
commissariato, è un lazzaretto! Bini e Di Biase sono a casa
con la febbre a quaranta, Rossetti è più le volte
che tossisce di quelle che respira, adesso anche tu stai covando
qualcosa?!-
-Ma
no, commissario, è solo un semplice raffreddore. Sa, tra il
riscaldamento interno e il freddo che c’è fuori,
è facile beccarsi qualcosa-
-Basta
che non mi stai troppo vicino: se mi ammalo anch’ io e tu sei
conciato così, chi ci viene a sostituire? Il questore?-
L’ispettore
sorrise, strofinandosi il naso arrossato con un fazzoletto di carta, un
naso simile a quello degli attori degli anni Trenta, divertito ad
immaginarsi la dottoressa Del Fiore al posto loro.
-Dai,
a parte gli scherzi, cosa volevi?-
-Purtroppo,
non porto buone notizie. Hanno ammazzato Giorgio Appiani Uzia
… -
Terenzi,
la solita barba incolta, s’interessò subito a
quella rivelazione: socchiuse gli occhi scuri e arricciò le
labbra, cercando di trovare, in mezzo ai cassetti della memoria,
qualche appiglio che gli confidasse chi fosse la vittima.
-Dovrei
conoscerlo?- si arrese poco dopo, scuotendo il capo.
-Ma
era il noto imprenditore, quello della fabbrica di ceramiche Appiani
Uzia! Non mi dica che non lo conosce? Mezza Torino quando si sposa va a
fare la lista di nozze lì!-
Il
commissario sbuffò e alzò lo sguardo al cielo,
quindi si drizzò in piedi e fece il giro della scrivania,
ponendosi di fronte al sottoposto, le braccia conserte.
-E
invece ti dico che non lo conosco! E poi, nessuno di noi due
è sposato, quindi come fai ad essere così
informato?-
-Beh,
è per via di mia sorella. L’anno prossimo si sposa
… e la lista di nozze la vuole fare a tutti i costi da loro,
nel negozio che hanno in centro!-
-Ah,
non lo sapevo, congratulazioni!- si rabbonì Terenzi,
regalando una pacca affettuosa sulla spalla sinistra
dell’ispettore, che ringraziò imbarazzato.
-Comunque,
tornando a noi, chi ci ha avvisato del ritrovamento del cadavere?-
-Carlo
Della Robbia, il braccio destro di Appiani-
-E
si sa già come l’hanno ucciso?-
Ghirodelli
scosse la testa, il volto desolato:
-Da
quello che ho capito, dovrebbe essere stato colpito al capo, ma Della
Robbia era talmente scosso che non è stato molto chiaro
sulle condizioni in cui è stato rinvenuto il corpo-
-Testimoni?-
-Quanti
ne vuole … ovvero, nessuno-
-Hai
già avvisato il medico legale?-
-Sì,
commissario, e ho mandato Rossi sul posto -
-Bene,
andiamo anche noi-
L’uomo
recuperò il cappotto in finta pelle e uscì con
l’ispettore, la porta dell’ufficio accostata.
Venti
minuti più tardi, Terenzi e Ghirodelli arrivarono sul luogo
del delitto, un paio di macchine parcheggiate nel piazzale e la
camionetta della Scientifica già pronta per compiere i primi
rilievi .
Tirandosi
su il bavero del cappotto, il commissario salutò con un
cenno del capo un uomo sulla cinquantina, alto e dalla corporatura
massiccia, con una voglia a forma di fragola sulla mano destra, i folti
capelli castani striati di grigio.
-Buongiorno,
dottore-
L’uomo,
in piedi davanti al cofano di un' Alfa Romeo rossa, si girò,
sorridendo stancamente:
-Direi
che non è un ottimo buongiorno, commissario, almeno per quel
poveretto. Sono appena arrivato, anzi, la mia cara e vecchia automobile
rischiava di lasciarmi a piedi, quindi non ho ancora avuto modo di
visionare il cadavere. Vogliamo vederlo insieme?-
-Visto
che ci tocca … - cercò di ironizzare l'altro,
notando la scarsa voglia di fare conversazione del dottore.
Terenzi
e l’ispettore seguirono Bertani, il medico legale,
all’interno della fabbrica, un’immensa costruzione
degli anni Cinquanta, bianchissima e con la grossa insegna in ferro
battuto “Ceramiche Appiani Uzia” scritta a
ghirigori, sovrastante il tetto piatto di ghisa.
I
tre percorsero un lungo corridoio, le pareti tinte di un giallo limone
e adornate da stampe raffiguranti opere di Dalì ed Andy
Warhol, fermandosi alla quarta porta a destra, attirati dagli agenti
della Scientifica che stavano fotografando la stanza, ampia e luminosa,
i muri decorati da quadri di paesaggi naturalistici.
Però,
constatò il commissario, il proprietario aveva una passione
per l'arte ... alternativa.
Agguantarono
un paio di calzari e dei guanti bianchi che un agente gli stava
passando, quindi si prepararono a varcare la soglia.
Subito,
il loro sguardo cadde sulla lunga libreria stracolma di volumi, proprio
dietro un’elegante poltrona castagna in ecopelle, su cui si
abbandonava mestamente il corpo di Giorgio Appiani Uzia.
La
vittima era seduta alla scrivania di vetro, immobile e con la testa
rivolta a sinistra appoggiata al tavolo, le braccia cascanti lungo i
fianchi.
Doveva
essere un bell’uomo, pensò Terenzi, e anche
particolarmente elegante, almeno dal taglio della giacca.
Era
completamente pelato, ma si vedeva che era alto ed atletico, intuizione
dettata dall’ampiezza delle spalle.
Un
rivolo di sangue gli aveva macchiato il colletto della camicia, per il
resto risultava impeccabile.
Il
medico legale si avvicinò al corpo e, appoggiando sul
pavimento di grandi piastrelle grigie rettangolari la borsa da lavoro,
si acquattò di fianco al cadavere.
Lo
toccò con mani esperte, spostandolo con delicatezza, dopo
che, una giovane agente della Scientifica che stava fotografando la
stanza, gli diede il via libera.
-A
prima vista, direi che l’hanno colpito con qualcosa di non
molto pesante, come un fermacarte o un posacenere-
Terenzi
e Ghirodelli si guardarono intorno, concentrandosi sugli oggetti che
meglio avrebbero rappresentato l’arma del delitto.
-Da
una prima occhiata, dottore, direi che qui in giro non vedo nulla di
simile- constatò pensieroso il commissario, convinto che
l’assassino non sarebbe stato così stupido da
lasciare sul luogo del misfatto la prova regina che avrebbe potuto
incastrarlo senza troppa difficoltà.
-Pensa
che potrebbero aver inscenato una colluttazione?- continuò,
indicando con un cenno del capo Appiani Uzia.
-Voglio
dire, da come doveva essere piazzato la vittima, mi sembra strano che
non abbia opposto un minimo di resistenza al suo assassino …
- gli fece notare il poliziotto, mentre Bertani esaminava le unghie del
cadavere.
-Questo
ancora non glielo posso dire, mi faccia fare l’autopsia, poi
confermerò o smentirò quello che le ho appena
detto-
-A
che ora dovrebbe risalire la morte?-
-E’
freddo e anche particolarmente rigido, quindi direi da almeno una
decina di ore. Più o meno, ovviamente-
-Secondo
lei il corpo è stato trasportato o l’hanno ucciso
qui?-
-No,
non credo lo abbiano spostato: è posizionato troppo bene,
non so se mi spiego … - azzardò il medico legale,
alzandosi.
-Ho
capito. Per quando potrebbe fare l’esame autoptico?-
-Posso
dargli un’occhiata già oggi pomeriggio, ma prima
di domani mattina non riescirò a cominciare sul serio-
-D’accordo.
Grazie, dottore, la chiamerò domani nel primo pomeriggio-
-Va
bene, commissario. Arrivederci-
Terenzi
e l’ispettore si accomiatarono da Bertani e dagli agenti
della Scientifica, apprestandosi ad uscire dall’ufficio, ma
subito vennero bloccati da un giovane poliziotto, magro e con i capelli
corti castani.
-Oh,
Rossi, allora?- lo salutò il primo, dandogli una pacca sulla
spalla destra.
-Commissario,
sono arrivato un’ora fa, ma purtroppo non ho trovato nessuno
che possa aver visto o sentito qualcosa. Questa è una zona
di periferia, destinata ai capannoni industriali. Le abitazioni
più vicine sono a mezzo chilometro di distanza, tutto il
resto è area per i podisti amatoriali …
- puntualizzò concentrato l’agente
scelto.
-Mi
sono accorto anch'io che non è propriamente il posto ideale
per reclutare testimoni, ma sembra essere piuttosto il luogo ideale per
commettere un omicidio. Altre cose?- domandò con una punta
di amarezza, grattandosi la barba incolta.
-Di
là ci sarebbe Carlo Della Robbia, è lui che ha
trovato il corpo-
-Ti
ha già detto qualcosa?- gli chiese il superiore,
incamminandosi dietro il giovane.
-E’
molto sconvolto: ha solo confermato che ha trovato il corpo questa
mattina, alle sette e mezza, quando è entrato in fabbrica.
Toccava a lui aprire, oggi, per questo è arrivato
così presto. Di qua, commissario-
Terenzi,
Ghirodelli e Rossi scesero una scala con i gradini in pietra e si
ritrovano in quella che aveva tutta l’aria di essere una sala
mensa: in una grande stanza color avorio, tre lunghi tavoli ricoperti
di tela cerata colorata occupavano la parte centrale del locale, mentre
sulla parete nord, dalla parte opposta dell’ingresso, erano
stati collocati due distributori di bevande.
-Ecco,
è lui- gli fece cenno l’agente, indicando un uomo
sui sessant’anni, abbandonato su una sedia di ferro, i
capelli non molto folti biondo scuro e gli occhi chiari acquosi,
intento a sorseggiare un bicchiere d’acqua, la bottiglia sul
tavolo davanti a sé.
Il
commissario e l’ispettore gli si avvicinarono, mentre
l’altro poliziotto rimase in disparte a pochi passi dal
gruppetto.
Poi,
recuperarono due sedie e vi si accomodarono.
-Signor
Della Robbia, buongiorno, sono il commissario Terenzi: insieme al mio
vice, l'ispettore Ghirodelli, mi occuperò
dell’indagine. Potrei farle qualche domanda?-
L’uomo
alzò la testa, visibilmente sconvolto e, il volto pallido,
annuì comprensivo, stringendo le mani dei poliziotti.
-Lo
so che è un momento difficile, ma è importante
cominciare ad indagare fin da adesso, mi capisce?-
L’uomo
fece di sì con la testa un’altra volta, lo sguardo
concentrato sul bicchiere mezzo vuoto.
-Mi
hanno detto che è stato lei a trovare il signor Appiani Uzia
... -
-E’
così, ma ho già detto tutto al vostro collega,
poco fa … - la voce era un sibilo, mentre accennava a Rossi,
davanti a lui.
-Questo
lo sappiamo, ma anche noi abbiamo la necessità di porle
delle domande. Ascolti, ha toccato qualcosa quando è entrato
nella stanza?-
-No,
nulla- si rassegnò a rispondere Della Robbia.
-Era
normale che il signor Appiani arrivasse in fabbrica così
presto? Mi risulta che, oggi, toccasse a lei aprire. Per quale motivo?-
-Sì,
di solito alle sette e mezza era già in ufficio: gli piaceva
occuparsi di ogni cosa, era fatto così, povero Giorgio.
Venerdì pomeriggio, però, mi chiese se avrei
potuto arrivare prima, stamattina, per aprire al suo posto. Ma non mi
domandi il motivo, perché non me lo ha detto
… -
Terenzi
rivolse uno sguardo d’intesa all’ispettore, come a
voler dire che quello avrebbe potuto rivelarsi un indizio molto
importante, un punto di partenza per cominciare a far luce sul caso.
-Era
solito fermarsi a dormire qui in fabbrica?-
-No,
che io sappia non è mai successo, ma perché me lo
sta chiedendo?-
Carlo
Della Robbia si risvegliò dall’apatia in cui era
precipitato, interessato a quella domanda di cui non trovava un senso.
-E’
molto probabile che la morte risali a questa notte, che
l’abbiano ucciso proprio qui, nel suo ufficio-
L’uomo
si mise le mani nei capelli, ritornando ad abbassare lo sguardo.
-Giorgio
ed io eravamo amici, oltre che soci. Questa mattina ci saremmo dovuti
incontrare con un gruppo di francesi interessati a comprare un cospicuo
numero delle nostre ceramiche: era un affare molto importante, che ci
avrebbe assicurato grande visibilità ma, purtroppo, non
è andata così … -
-Conosceva
bene il signor Appiani?-
-Lavoravo
con lui da venticinque anni, praticamente è stato Giorgio ad
insegnarmi tutto quello che so: è stato il mio maestro, il
mio consigliere, un grande amico e ... adesso non
c’è più –
-Vuole
fare una pausa?-
Della
Robbia scosse la testa, versandosi poi dell’altra acqua.
-Dove
si trovava questa notte?-
-A
casa mia, dormivo: c’è mia moglie che lo
può confermare- si irrigidì il braccio destro,
sistemandosi meglio sulla sedia.
-Che
ruolo ricopre nell’azienda, signor Della Robbia?-
-Sono
il vice direttore della fabbrica da dodici anni-
Altro
elemento interessante, rifletté il commissario.
-Quando
ha visto per l’ultima volta la vittima?-
L’uomo
si passò una mano sulla bocca, poi sospirò
stancamente.
-Gliel’ho
detto, è stato venerdì sera, intorno alle sette,
o era dopo, non mi ricordo, quando mi chiese di arrivare prima,
stamattina. Ci eravamo fermati fino a tardi per definire gli ultimi
preparativi per l’incontro con i francesi. Poi, l'ho lasciato
come al solito, normalmente. Non avrei mai pensato che potesse
succedergli una cosa così brutta ... -
-A
questo proposito, ha idea di cosa sia successo? Voglio dire, il signor
Appiani aveva dei nemici, aveva dei conti in sospeso con qualcuno?-
L’interrogato
fissò per qualche secondo il bicchiere mezzo vuoto,
dopodiché guardò smarrito Terenzi.
-No,
commissario, non lo so. Qui tutti gli eravamo affezionati e la
concorrenza da queste parti praticamente non esiste: non sono molte le
aziende come la nostra, il settore non è particolarmente
ghiotto per il mercato, per cui non riesco a capire chi possa aver
fatto questo e, soprattutto, perché! -
-Quando
è entrato nella fabbrica, questa mattina, ha visto qualcosa
di inusuale, di diverso dal solito?-
L’altro
deglutì e rimase in silenzio per qualche secondo, quindi
rispose:
-Solo
io e Giorgio avevamo le chiavi: prima, però, non le ho
nemmeno usate, perché il portone d’ingresso era
aperto. Ho subito pensato che Giorgio fosse già arrivato,
che avesse cambiato idea, così sono andato direttamente in
ufficio da lui: la porta era aperta e…
l’ho visto- l’uomo trangugiò un altro
sorso d’acqua, fece un sospiro profondo,
d’incoraggiamento, poi continuò lentamente,
incredulo:
-Era
riverso sulla scrivania, immobile. Ho capito che c’era
qualcosa che non andava, così mi sono avvicinato,
l’ho chiamato, ma lui non mi rispondeva … -
-Ha
toccato il corpo, quindi?- domandò incalzante Terenzi,
lievemente irritato e intuendo già la risposta, sebbene poco
prima gli avesse assicurato di non aver toccato nulla.
-Sì,
per vedere se era ancora vivo-
-Ha
notato se mancava qualche oggetto, un posacenere o un fermacarte, per
esempio?-
-Giorgio
non fumava e, a dir la verità, non ci ho fatto caso. Sono
subito uscito dalla stanza per cercare aiuto, ma i primi operai ancora
non erano arrivati, così vi ho chiamato perché
veniste … -
Il
poliziotti osservò per qualche secondo il viso magro e
spigoloso dell’uomo, una faccia rassicurante e a modo suo
anche dai bei lineamenti.
-Il
signor Appiani era sposato?-
-Sì
... cioè, lui e Clelia si erano separati cinque anni fa, ma
i loro rapporti sono sempre rimasti buoni. Si vedevano di
frequente, per questo avevano mantenuto una relazione il più
normale possibile. E poi, la loro ra stata una separazione consensuale,
molto civile -
-Si
stavano forse riavvicinando?- s’informò
interessato il commissario, incrociando lo sguardo con quello di
Ghirodelli.
-Non
credo, Giorgio non parlava volentieri di questa cosa: sono convinto
che, in cuor suo, non si fosse completamente rassegnato, infatti, non
aveva trovato nessun’altra donna. Capitava che si vedessero
perché Clelia è a capo di una piccola ditta di
abiti da sposa e, ancora quando stavano insieme, Giorgio le aveva fatto
creare l’esposizione a fianco dei laboratori delle ceramiche,
nella dependance qui dietro-
-A
che ora apre il negozio?-
-Alle
nove, ma in questi giorni non l’ho vista, credo sia un
po’ influenzata-
-Dovremo
avvisarla di quello che è successo: mi può dare
l’indirizzo?-
-Lo
posso fare io. Sa, sarei già andato a trovarla oggi
pomeriggio, per quella faccenda dei francesi che volevano vedere anche
il suo laboratorio, però, se vuole, le do ugualmente il
numero di telefono e l’indirizzo. Se aspetta un attimo,
glielo scrivo sul mio biglietto da visita-
L’uomo
tirò fuori dalla tasca interna della giacca una Montblanc
nera e un rettangolo di carta plastificata, su cui cominciò
a scarabocchiare delle cifre.
-Tenga-
-Grazie,
per me basta così, signor Della Robbia. La faccio
accompagnare nell’ufficio della vittima, così
può controllare che non manchi nulla-
-No,
commissario, la prego- lo interruppe agitato -le faccio un inventario,
qualsiasi cosa, ma non mi chieda di entrare lì dentro, non
reggerei un’altra volta alla vista del povero Giorgio-
-D’accordo-
acconsentì l’altro –ma dovrà
compilarmi un elenco degli oggetti e delle carte del signor Appiani,
entro oggi, se riesce. Se si dovesse accorgere della mancanza di
qualcosa, me lo faccia sapere immediatamente-
-Non
mancherò -
Terenzi
si alzò dalla sedia e appoggiò una mano sulla
spalla di Carlo Della Robbia, che sorrise mestamente.
-Vuole
che la faccia riaccompagnare a casa?-
-Non
si preoccupi, ho l’auto qui fuori-
-Si
tenga a disposizione, allora, potrei avere ancora bisogno di lei-
-Certamente,
commissario-
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