That's my lullaby

di Nimel17
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That's my lullaby

 

 

 

 

 


Is simply why I'll be
king undisputed
respected, saluted
and seen for 
the wonder I am!
Yes my teeth and ambitions
 are bared
Be prepared!

 

 

 

 

 

"Farebbe meglio a mandarla in convento."
La prima volta che Malien udì quelle parole, aveva solo sei anni. Stava saltellando per il corridoio, fingendo di essere la ballerina che aveva danzato per loro la sera prima, ma era stata attratta dai bisbigli di due dame. Trattenendo una risatina di divertimento, gattonò fino a nascondersi sotto un tavolino vicino alle nobildonne.
"Non dico che non sia un peccato, è senza dubbio la figlia più bella!"
"Convengo, sembra una bambolina, con quel visetto di porcellana."
"Tuttavia..."
"Tuttavia, è sesta in linea di successione."
"Del tutto inutile per la famiglia reale."
"Povera piccola."
"Povera Malien."
La bambina sussultò, facendo oscillare la tovaglia che la copriva, ma ormai era sola. Stavano parlando di lei! Aveva capito poco della conversazione, ma un istinto fino ad allora rimasto nascosto emerse con violenza, facendole prendere la decisione improvvisa di non chiedere ai genitori il significato di ciò che aveva sentito. Aveva scolpito quelle parole nella mente e, quando sarebbe diventata grande, le avrebbe comprese da sola.

 

Alla giovane età di quindici anni, la principessa Malien era la bellezza del regno: lunghi boccoli corvini, un viso minuto e dolce, grandi occhi verdi, naso piccolo e all'insù, una bocca a forma di cuore sempre distesa in un sorriso. La sua pelle candida, così diafana che bastava un nonnulla per farla arrossire, era l'invidia di tutte le donne che vivevano a corte: la fanciulla restava spesso chiusa in camera o in biblioteca, usciva poco, tenendosi al riparo dai raggi del sole ed evitando abbronzature poco eleganti o efelidi. Quando si presentò all'ingresso della sala da ballo, tutti emisero un collettivo verso d'ammirazione per l'abito bianco, modesto ma elegante, che completava alla perfezione l'immagine dell'Innocenza.
Malien tenne rispettosamente gli occhi abbassati e il sorriso inalterato, mentre procedeva a piccoli passi a fianco della madre: era cosciente dei complimenti che le venivano rivolti a bassa voce e, ancora una volta, l'orgoglio le fece raddrizzare la schiena.
Stolti, vedete solo quello che io voglio mostrarvi.
Il giovane principe del confinante regno di Gor fu il primo a porgerle omaggio, chinandosi a baciarla la mano, i capelli dorati che le sfiorarono la pelle per un momento. La fanciulla pensò cinicamente che aveva fatto lo stesso con sua sorella maggiore, ma esteriormente allargò il sorriso e fece una riverenza di ringraziamento. Avrebbe voluto pulire discretamente sulla gonna le tracce di quel bacio, ma sapeva che avrebbe avuto lo stesso impulso per ogni altro uomo quella sera e non poteva ridurre l'abito a una scia di saliva. Ogni volta che doveva tendere la mano e ringraziare meccanicamente, si distraeva osservando la sala da ballo: la sua opulenza mostrava sfacciatamente la ricchezza del reame, ma a Malien non dispiaceva l'ostentazione. I servi dovevano avere iniziato a pulire settimane prima per far scintillare a tal punto il marmo traslucido delle pareti, di una gradevole tonalità ambrata; il pavimento era sempre marmoreo, ma di una sfumatura chiara, rosata, importata dal Nord. I lampadari a goccia di cristallo riflettevano diverse luci, creando effetti talora caleidoscopici e la principessa sentiva di amare quella sala più di qualsiasi altra stanza del castello. Quando sarebbe diventata regina, avrebbe spostato lì il suo trono.
Le ginocchia le facevano male per l'ennesimo inchino, ma stette bene attenta a mantenere un'espressione serena: era importante che le persone la vedessero come una persona amabile, finché era ancora la sesta in linea di successione. Quando fu il momento di sedersi alla grande tavola per il banchetto, guardò la sua famiglia con uno sguardo che chiunque altro avrebbe definito amorevole.
In realtà, ripassava una volta di più la gerarchia ereditaria.
I suoi genitori, re Hyan e la regina Lillian, erano sovrani di Lor da più di trent'anni. Il padre aveva i capelli biondi appena striati di grigio, la folta barba priva di fili bianchi: gli anni di guerriero erano ormai lontani e il corpo recava tutti i segni di una vita sedentaria votata al buon vino e alle gustose pietanze reali, ma veniva ancora considerato un bell'uomo. La moglie aveva la chioma completamente candida, la pelle appariva un poco sfiorita, ma la sua figura era ancora snella dopo cinque gravidanze, il sorriso splendente e gli occhi verdi sempre vivaci. Malien le assomigliava più dei suoi fratelli, fisicamente, cosa che da piccola le faceva piacere.
Ora non più.
In caso di una malaugurata disgrazia, il regno sarebbe andato al primogenito, Poythen; quella ridicola scelta, attuata per motivi di sangue, le faceva serrare i denti per l'irritazione. Sarebbe stato un re molto buono, indubbiamente, ma mediocre: avrebbe scrupolosamente consultato il Consiglio per ogni inezia, avrebbe evitato guerre e conflitti e mantenuto intatte le alleanze.
Probabilmente, nei libri di storia avrebbero associato il suo regno alla pace, ma Malien lo considerava invece stagnante. Non che lei sarebbe stata così sprovveduta da mandare in rovina il Paese con continue battaglie, ma nemmeno avrebbe temuto di conquistare ragionevoli prede reali, ampliando così i territori del reame. Per questo motivo prestava particolarmente attenzione alle lezioni di storia e geografia, mascherando il suo interesse per il desiderio d'imitare il padre, famoso per la sua indole studiosa.
Dopo Poythen veniva Sthenalin, l'unico consanguineo che non suscitava il suo disprezzo: intelligente e astuto, dal carattere introverso e cupo, aveva tuttavia l'imperdonabile difetto di avere talvolta certi accessi di rabbia che lo spingevano a rompere gli oggetti che gli stavano a portata di mano. Più di qualcuno aveva mormorato la parola "pazzo" nei suoi confronti, ma non era mai stato dichiarato ufficialmente inadatto eventualmente a governare: il confine da sorpassare era sottilissimo, motivo per cui Malien aveva deciso di non privarlo della vita. Si sarebbe limitata a dargli una piccola spinta psicologica.
Il terzo in linea di successione era un cugino di primo grado, Ilan. Era un bravo soldato, ma la sua predilezione per i giovani fanciulli era ben nota a corte, tranne che agli zii: la sua fiamma corrente sedeva al suo fianco, con la scusante d'essere il suo compagno d'armi più fidato. La principessa apprezzava tutto ciò che era bello, quindi per lei non era spiacevole vedere la testa fulva del cugino china verso quella bionda di Qariel: anzi, le faceva estremamente piacere. Nessuno lo avrebbe mai accettato come sovrano, in quel regno così conservatore, una volta persa la protezione della famiglia reale. Fortunatamente, lei era ben consapevole del fatto che Ilan non desiderava affatto regnare e non sarebbe stato difficile convincerlo ad abdicare.
Le sue sorelle, tuttavia, erano un altro discorso. Erano gemelle, Neneusine e Laenira e, anche se non eguagliavano la sua bellezza, erano estremamente avvenenti, di cinque anni maggiori rispetto a lei.
Neneusine era sposata da due anni con il barone Von Furstenberg, ma l'unica figlia che aveva partorito era morta pochi giorni dopo la nascita, troppo debole e fragile per sopravvivere. Osservò i due coniugi, fingendo di tenere lo sguardo fisso sul calice da cui stava bevendo: la sorella aveva un'aria molto gracile a causa della bassa statura, del corpo sottile e del pallore della pelle. I capelli color platino erano sciolti semplicemente sulle spalle e nell'insieme non poteva essere più diversa dal marito, bruno, vigoroso, freddo dove lei era dolce e gentile. La gelosia possessiva del barone non era un segreto ed era l'appiglio migliore di cui Malien poteva servirsi: i sentimenti erano talmente semplici da manipolare, che non avrebbe avuto bisogno di sporcarsi le mani con loro.
"Tutto bene, sorellina? Ti annoi?"
Laenira la stava guardando con aria complice. A quanto pareva, non era stata abbastanza discreta nell'esaminare la coppia.
"Non temere, sorellina, sei ancora troppo giovane, ma un giorno avrai anche tu un marito."
Lei finse di essere imbarazzata e ridacchiò, mentre in realtà stringeva così forte un lembo della gonna, che certamente si sarebbe stropicciato. Avrebbe voluto dire alla sorella che, se i genitori volevano aspettare che lei scegliesse il suo futuro sposo, a Malien non avevano riservato la stessa gentilezza: no, per la figlia minore avevano scelto un conte ricchissimo, ma di diversi lustri più vecchio di lei e vedovo con due bambini.
La furia minacciava di farla tremare e di farle stringere troppo il calice. Non poteva rischiare di spezzarne lo stelo, così rilassò la presa e contenne la rabbia, promettendosi di liberarla più tardi, quando sarebbe stata sola. Improvvisamente le pernici guarnite, le zuppe vellutate di ortaggi diversi, i pasticci di carne, i polli aromatizzati, i pesci arrostiti, i pasticcini, le torte cremose, la vista di quelle pietanze le fece salire la nausea. Il chiasso stava diventando troppo forte per i suoi gusti e minacciava di causarle una forte emicrania. Con la mente, cercò di visualizzare il suo corridoio segreto: ancora poco tempo e avrebbe finto di ritirarsi per la notte, mentre in realtà sarebbe andata nella sua camera celata, di cui tutti ignoravano l'esistenza.
"Sei molto stanca, tesoro?"
Una parte di lei voleva sbottare per quelle attenzioni, dire che non era più una bambina, ma l'opportunità che le si presentava davanti era troppo ghiotta.
"Perdonatemi, madre. Temo d'essermi sforzata troppo oggi, negli studi."
"Il maestro Aldemar mi ha detto che hai superato te stessa, durante la lezione di storia. Sono orgogliosa di te, piccola mia. Vai pure, ti scuserò io se qualcuno farà domande."
Malien le diede un bacio di ringraziamento sulla guancia e si allontanò in fretta, per paura che la maschera crollasse davanti a tutti: era fiera di lei, della sua intelligenza, oh sì! Lo era tanto da farle sprecare le sue doti, mandandola a essere una giumenta da riproduzione entro due anni! Così ammirata, da non consultarla nemmeno per la scelta! Quella disgustosa vecchia ipocrita!
Respirò normalmente solo quando giunse nella sua... stanza da studio, come le piaceva definirla. Lo specchio nella parete di fronte le rimandò il suo riflesso, accaldato e spettinato: non andava bene, se qualcuno l'avesse vista in quello stato mentre si dirigeva lì, la sua finzione sarebbe crollata. Dopo pochi secondi, la sua carnagione era tornata del normale colorito candido e lei si sentì calma abbastanza da prendere da uno scaffale un grosso volume rilegato, nero, con la copertina che sembrava quasi pulsare, come se quello che conteneva volesse uscire. Lo aprì e lo posò con delicatezza su un vecchio tavolino che le faceva da scrivania, i gesti lenti e misurati, consapevole d'essere arrivata al punto di non ritorno: quella notte avrebbe progettato ogni singolo atto che le avrebbe spianato la via per il trono. Era molto incerta su chi far morire per primo.
Avrebbe dovuto eliminare prima i genitori e poi, progressivamente, tutti gli eredi? O forse era meglio liberarsi prima della concorrenza?
Sì, era più opportuno occuparsi innanzitutto dei suoi fratelli. Le prime a morire sarebbero state le sue sorelle: avrebbe scritto una lettera a Neneusine, fingendo di essere un innamorato segreto. Il barone l'avrebbe trovata infilata nella tasca del mantello della moglie, grazie a un angolo strategicamente esposto; Malien si immaginò il cipiglio severo dell'uomo mentre leggeva dolci effusioni, rimpianti di separazione e dichiarazioni di amore eterno. Vide le mani che gli tremavano, le pupille dilatarglisi e il viso impallidire: la sorella sarebbe entrata, forse avrebbe raccolto la lettera caduta a terra dalle dita inerti del marito. Confusa, avrebbe tentato di difendersi, mentre la paura si sarebbe diffusa nei suoi lineamenti, in quanto consapevole del carattere di Von Furstenberg; le sue preghiere sarebbero state indirizzate a orecchie sorde, avrebbe pianto, tentato di farlo ragionare, ma invano.
Forse, sarebbe stato più prudente non affidarsi del tutto al destino: l'amore era un sentimento potente, non poteva essere assolutamente certa che il barone non avrebbe deciso di ascoltare le ragioni della moglie, magari indagare su quei misteriosi appuntamenti menzionati nella lettera...
Una pozione che avrebbe acuito la sua rabbia sarebbe stata ideale.
Il problema era Laenira. Non avvicinava nessuno, non aveva segreti o colpe particolarmente gravi da sfruttare, le piaceva molto stare all'aperto ed era la più socievole tra loro, sempre pronta a correre dietro a nuove avventure... sarebbe stata un'eccezionale principessa guerriera, con l'improbabile consenso dei genitori. Eppure, a tirare con l'arco era migliore di tanti soldati e lei stessa era molto invidiosa della sua mira. 
"Lae, smettila di cercare imprese più grandi di te!"
La madre gliel'aveva ripetuto tante volte, mettendosi le mani nei capelli alla vista dei bei vestiti sporchi di fango e dei riccioli spettinati, ma non era riuscita a farne una perfetta dama di corte come le sorelle. Malien sbatté la mano sul libro, gli occhi scintillanti: avrebbe dato a Laenira esattamente quello che voleva, la possibilità d'essere un'eroina.
Riaprì il volume, sfogliandolo velocemente. Doveva essere qualcosa di non eccessivamente pericoloso all'apparenza, qualcosa da considerarsi facile da eliminare, ma in realtà letale. Evocare draghi o grifoni era troppo teatrale per i suoi gusti e preferiva evitare che qualcuno cogliesse dei legami con la magia: nessuno sapeva che la praticava, ovviamente, ma la sua libertà nei mesi successivi sarebbe stata altrimenti troppo limitata ed era abituata da tempo a una prudenza solo strettamente necessaria.
Aveva avuto solo dieci anni quando aveva scoperto quel corridoio segreto; era una bambina dagli occhi umidi di frustrazione che voleva nascondersi dai fratelli che la prendevano in giro per la sua bella bambola nuova. Si ricordava benissimo di Primrose, nonostante non ci pensasse da molto: era un capolavoro di porcellana, con boccoli corvini come i suoi, ossidiana verde al posto degli occhi e un vestito di pizzo bianco con nastri di raso verde. 
"La bambola è più bella di te!"
"Non è vero!"
"Perché pensi che l'abbiano fatta fare? Mamma e papà non erano contenti di te e volevano una sostituta, non è chiaro?"
Quelle parole l'avevano ferita e fatta scappare via, per non far vedere l'effetto che avevano avuto su di lei; non si era nemmeno accorta di non percorrere la solita strada che portava alla sua camera, trovandosi alla fine persa in un'ala del castello dove non si era mai recata prima. Le pareti di pietra erano tutte uguali e non c'erano divani o poltroncine riconoscibili da usare come punti di riferimento: solo dopo aver corso in preda al panico per un quarto d'ora si era ritrovata davanti a un grande specchio dalla montatura dorata, antica. 
"Non avere paura, Prim, ci verranno a cercare.."
Pensando giudiziosamente che non l'avrebbero raggiunta se continuava a muoversi, si era fermata e, per passare il tempo, si era messa a ispezionare i rilievi della cornice del mobile, tastandoli con le dita piccole e svelte. Dopo pochi minuti, si era accorta di una placca impolverata nel lato più basso e ci aveva soffiato sopra, portando alla luce un'iscrizione dalla calligrafia stretta ed elaborata: 
"Come in un ponte
tu puoi avanzare,
le giuste parole devi desiderare,
ma prima di raggiungere l'orizzonte,
per passare devi versare un pedaggio,
se sei un vivente saggio."
Si era messa a ridere per le rime e gli aveva voltato le spalle, sedendosi appoggiata alla parete; aveva pensato che avrebbe voluto che fosse l'accesso per una sorta di portale, ma dopo un po' l'indovinello aveva perso ogni interesse e si era dedicata a parlare con Prim, a sistemarle le treccine e il vestito, l'orecchio teso a percepire rumore di passi frettolosi che si avvicinavano per venirla a prendere.  Trattenendo a stento le lacrime, spaventata, si era sforzata di sorridere e si era girata, premendo involontariamente la bambola contro la superficie vitrea dello specchio: con un rumore simile a quello che faceva la prozia Hildegarde quando mangiava la minestra, Prim era scomparsa, risucchiata dentro l'oggetto, lasciandola a mani vuote. Con un urlo angosciato, Malien si era gettata in avanti senza riflettere, passando anche lei attraverso a una sostanza trasparente e vischiosa, densa; in meno di un battito di ciglia, si era trovata in una vecchia stanza polverosa e buia. L'unica cosa strana era Prim, comodamente adagiata su un tavolino pieno di ragnatele: la bambola aveva ora le sue esatte fattezze, persino il vestito era una miniatura di quello che indossava lei.
Terrorizzata, si era girata di scatto verso lo specchio e lo aveva sfiorato con la manina tremante, scoprendolo del medesimo materiale fluido... quindi poteva tornare indietro; sollevata, si era lasciata cadere in ginocchio per scacciare l'improvvisa debolezza delle gambe e si era trovata davanti agli occhi un'altra iscrizione. Questa volta, era un singolo verso:
"Il tributo è stato pagato."
In quei cinque anni, aveva esplorato accuratamente la stanza e aveva scoperto, da una vecchia lettera conservata in un cassetto, che si trattava dello studio segreto di un'antica antenata, Shiread, condannata a morte dal coniuge con l'accusa di praticare magia nera. Dentro l'unico armadio integro erano conservati volumi su incantesimi, pozioni, stregoneria teorica e pratica, bianca e nera, senza contare le decine di piccole sacche con dentro erbe dall'odore pungente; aveva scoperto, grazie ad un suo capello e una polvere violacea, che anche lei aveva un certo talento per l'occulto. Da un giorno all'altro, Malien non si era più sentita la ruota inutile del carro e, se all'inizio aveva solamente pensato di poter essere utile alla sua famiglia, imparando le arti oscure si era resa conto che non aveva bisogno di loro, si era ricordata di ogni parola sgarbata, di tutte le volte che l'avevano indotta a credere di troppo la sua stessa esistenza. Il contratto matrimoniale, stipulato quando aveva quattordici anni, era stato la goccia che aveva fatto traboccare il vaso e aveva deciso che si sarebbe presa quello che voleva, visto che i mezzi li possedeva. Il trono sarebbe stato suo e chi l'aveva disprezzata e trascurata se ne sarebbe pentito, non avrebbe più dovuto dividere nulla con nessuno e avrebbe dimostrato di essere superiore a tutti loro.
Finalmente, trovò quello di cui aveva bisogno: un Ymath, un guerriero fatto di pasta, sale e radici di quercia, che avrebbe attaccato chiunque fosse fatto di carne, ossa e sangue.


"Lasciatemi andare!"
Le urla di Sthenalin si sentivano dalla cima delle scale: doveva prevederlo, che la sua non sarebbe stata un'uscita di scena facile. Fece segno alle guardie di andarsene e si avvicinò alle sbarre, inginocchiandosi sul suolo impolverato: il fratello era ridotto in uno stato pessimo, con la camicia a brandelli, i capelli scuri spettinati, il volto tumefatto e gli occhi sporgenti, folli. Le mani continuavano ad aprirsi e a serrarsi, mentre borbottava imprecazioni e bestemmie, che s'interruppero quando si accorse della sua presenza.
"Malien! Perfida vipera..."
"Taci. Ascolta prima quello che ho da dire."
"Strega maledetta! Sei stata tu..."
"Puoi continuare a lanciarmi improperi dopo che mi avrai dato retta, fratello."
"Perché non uccidi anche me, come hai fatto con tutti gli altri?"
"Tu non sei una minaccia per il trono."
"Oh, non saprei. Potrei tornare, ucciderti e vendicare la mia famiglia."
"E cosa direbbe Yulia?"
Dovette arretrare di diversi passi per la furia con cui Sthenalin si avventò contro le sbarre, le labbra arricciate sui denti come una fiera; dentro di sé, però, sorrise. Aveva centrato in pieno il suo punto debole.
"Falle del male, Malien. Provaci e non basterà questa prigione a trattenermi."
"Non ho intenzione di nuocerle, mi hai fraintesa. Volevo servirtela su un piatto d'argento."
"Cosa?"
"Che triste fiaba. Un principe innamorato di una serva, che però lo rifugge a causa del suo temperamento troppo acceso e sanguinario. Fortunatamente, posso rimediare a questo mancato lieto fine."
Tirò fuori dalla tasca del mantello una piccola fiala, piena di un liquido purpureo; la tenne ben sollevata, per fargliela vedere.
"Questa pozione contiene un capello tuo e uno suo. L'ho fatta con essenze di rosa e rhodiola e, se la beve, sarà tua per sempre. Sarò chiara, fratello mio... gliela darò solo se tu giurerai di non tornare più nel mio regno. Se infrangerai l'accordo, farò presto a fare un antidoto, per così dire."
Incurante del suo stato di rabbia, passò una mano attraverso le sbarre e gli asciugò il sudore dalla fronte bollente con un fazzoletto, togliendogli le ciocche bagnate da davanti agli occhi e rassicurandolo a bassa voce.
"Allora? Abbiamo un accordo? Yulia, con i suoi grandi occhi blu e quei riccioli vivaci, è degna della rinuncia al regno?"
Quando sentì il suo capo appoggiarlesi sul palmo, sorrise e si alzò, sbattendosi la gonna per togliere la polvere dal tessuto.

 

"Signore e signori della corte, è con il cuore pesante che io, Malien di Lor, accetto questa corona sul mio capo."
Solo grazie alla sua abitudine d'indossare una maschera d'indifferenza in pubblico riuscì a mantenere grave il tono della voce e a frenare l'eccitazione che le faceva scorrere il sangue più veloce di un torrente durante una tempesta.
"Non dovrei esserci io, qui. La tragedia, una maledizione, ha colpito la mia famiglia. Ricorderò tutti i miei cari, affinché possiamo onorarli come meritano; piangiamo per l'ingiusta morte di mia sorella Neneusine, uccisa da un marito di cui nessuno si era reso conto quanto fosse avanzata la follia."
"Madre? Madre, cosa sta succedendo?"
La regina Lillian sembrava essere invecchiata di decenni nel giro di pochi minuti: gli occhi gonfi di pianto, pallida in viso, tremante e rannicchiata su se stessa."Oh, Malien.... L'ha uccisa. Von Furstenberg ha ucciso tua sorella."
Lei aveva emesso un appropriato grido di dolore e l'aveva abbracciata, nascondendo il capo sui capelli bianchi della madre per nascondere l'assenza di lacrime.
"Com'è potuto succedere? Sapevamo che non aveva un buon carattere, ma..."
"Non lo so, bambina mia. Ha strangolato in un raptus d'ira la povera Neneusine, poi si è tolto la vita con il suo stesso pugnale."
Quale fortuna inaspettata!
"Ma la cosa peggiore, era che lei era incinta! Quale mostro poteva fare una cosa simile? Se penso che l'ho affidata io a quelle mani macchiate di sangue..."
"E la coraggiosa Laenira! Popolo di Lor, la vostra principessa ha sacrificato la sua stessa vita per salvarci tutti da quel guerriero che si diceva invincibile e che continuava a mietere innocenti vittime che si addentravano nel bosco. L'ha sconfitto, come una vera eroina, ma è purtroppo perita a sua volta nel duello. Io vi impongo di ricordarla sempre nei vostri cuori, con gratitudine e con amore."
"Non andare!"
"Malien, non capisci! Non posso starmene seduta a guardare la nostra gente morire, senza fare nulla!"
"Nostro padre ha inviato i suoi migliori soldati a uccidere quel pazzo. Lae, per favore, dopo quello che è successo a Neneusine, ho paura..."
"Non avrai più paura, quando conficcherò la mia spada nel petto di quell'assassino. Di' alla mamma che mi dispiace per averle disobbedito."
"Lo farò."
L'aveva guardata allontanarsi a cavallo, i capelli che le rimbalzavano sulla schiena, la spada allacciata alla sella. 
"La morte non aveva forse colpito abbastanza la mia famiglia? Doveva per forza prendersi anche il vostro re e il suo figlio primogenito, l'anima più buona e giusta che camminasse su questa terra? Avrebbero meritato almeno una fine gloriosa, con la spada in mano contro un nemico invasore, invece di essere dilaniati con il loro seguito dagli artigli dei lupi."
I membri della corte emisero un lungo lamento funebre e lei stessa abbassò la testa, in segno di lutto.
"Venite, figli della notte. Venite da me."
Faceva freddo, nella foresta. La neve aveva iniziato a cadere già da qualche giorno, i lupi macilenti che la accerchiavano ringhiavano rabbiosi, pronti a saziarsi della sua giovane carne; li aveva guardati negli occhi, uno per uno, facendo intuire alle loro deboli menti che si trovavano davanti a qualcosa di molto più oscuro di una preda da cacciare. Loro si erano inchinati ai suoi piedi, guaendo come cagnolini appena nati. 
"Domani avrete tanto da mangiare da toccare con i vostri ventri il terreno, ve lo prometto."
Aveva evocato nella sua testa l'immagine del padre e del principe Poythen, facendo in modo che potessero vederla anche quelle fiere.
"Buona caccia, miei diletti."
"Come biasimare la mia povera madre per essersi tolta la vita dopo aver perso l'amatissimo marito e metà dei suoi figli?"
Il corpo della madre era quasi irriconoscibile: le rocce aguzze della scogliera le avevano piegato le membra in angoli quasi ridicoli, metà del viso era frantumata, lacerata, rossa per il sangue e bianca per le ossa che s'intravedevano. I capelli erano stati completamente tagliati, probabilmente per impedire che s'impigliassero in qualche fortuito ramo e frenassero così la caduta; Malien si era sentita strana, vuota. Era morta senza sapere la verità, defraudandola di una confessione amara, del diritto di vederle impallidire il volto per le sue azioni. Era morta senza che potesse rinfacciarle le sue colpe. 
"La mente di Sthenalin non è stata in grado di reggere queste sciagure. Si è ritirato in una proprietà oltre i confini del regno, rinunciando al trono, al suo titolo per sposare una serva; ho dato loro il permesso, perché mio fratello non sarebbe stato un sovrano giusto ed equilibrato. E il Consiglio ha rifiutato nominare re mio cugino Ilan, che tuttavia ha accettato di continuare a servire il regno con la sua competenza militare. Io ho ricevuto la corona dopo tutte queste tragedie, che tuttavia mi hanno fatta crescere rispetto alla quindicenne di pochi mesi fa, rendendomi un poco più degna delle responsabilità che mi attendono."
In fondo alla parete di fronte a lei aveva fatto mettere un grande specchio, che rifletteva finalmente la persona che aveva sempre voluto essere: passato il periodo ufficiale di lutto, aveva indossato per l'incoronazione un abito color oro chiaro, con le maniche impreziosite da perle e rubini, una corona di platino adornata di papaveri essiccati e rose di granati, che catturavano la luce della sua chioma corvina, acconciata in morbidi boccoli sciolti sulla schiena, una collana a girocollo con una rarissima perla scarlatta e orecchini pendenti che la facevano sembrare più adulta. Si chiese quanti si fossero lasciati ingannare dai suoi innocenti e luminosi occhi verdi, quanti sospettassero, quanti sapessero la verità, quanti bramassero la sua testa.
"Farò di Lor una potenza, signore e signori. Ci espanderemo prima a nord, dove ci sono immense distese coltivabili e popolazioni nomadi che ogni anno vengono a razziare i nostri confini. Quando saremo abbastanza forti, dichiareremo guerra ai Karthaniani, che ci hanno deriso per troppo tempo con i loro compensi ridicolmente inferiori rispetto alle merci che vendiamo loro; creeremo una flotta di dieci navi da guerra per difendere il nostro unico sbocco portuale, lasciato sinora indifeso sulla base della fiducia che mio padre nutriva verso il prossimo. Verrà istituito anche un corpo specializzato di esploratori, che viaggeranno con navi leggere costruite con lo scopo di non attirare troppo l'attenzione, in modo tale da riferirmi dall'estero discorsi di eventuali attacchi e da indicare lidi disabitati da colonizzare. Le tasse saranno diminuite, ma verranno pagate ogni mese, invece che ogni tre; anche le pene dei reati saranno presto... modificate."
Il suo sguardo incontrò quello basito e impaurito dei cortigiani, i cui sentimenti vi si leggevano all'unisono: sorrise e si sedette finalmente sul trono, la testa alta.

 

 

Nome EFP/forum: Nimel17
Titolo della storia: That's my lullaby
Genere: Fantasy
Rating: Arancione
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Note: titolo preso dalla canzone di Zira ne "Il re leone 2"





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