Note:
Scritta per il Cow-T di Mari di challenge, prova seconda. I prompt
erano: femme fatale (Nami, ciaone) e relazione proibita (che
è molto accennato, ma la cosa bella dei prompt è
che posiamo sempre usarli come ci pare XD).
Questa è un'ennesima visione di come potrebbe essere andata
una reiunion tra Zoro e Nami dopo i due anni che non si sono visti e
niente. NCLPF. È tipo la terza che scrivo, abbiate
pietà di me. Also, la Zoro/Perona è implied
perché mi rifiuto di credere che degli adolescenti in
crescita non abbiano delle pulsioni sessuali.
Crescere lontano da te e
scoprire di non saper più respirare
Zoro è cambiato. Due anni sono passati veloci, come una
folata di vento hanno distrutto le loro certezze e le hanno ricostruite
pietra dopo pietra. I nemici si sono trasformati in amici, in amanti,
in mentori. Vecchi rivali sono diventati compagni ed emeriti
sconosciuti amici fedeli. Ci sono paesi che in due anni hanno cambiato
regime, portato avanti rivoluzioni; in due anni nasce un bambino, in
due anni una storia finisce, in due anni sono sorte città e
sono caduti governi.
Ogni tanto vedendolo appoggiato alla paratia Nami coglie il suo sguardo
intento a scrutare un orizzonte che non vede, sa che sta guardando
lontano, isole sperdute che lei non ha conosciuto, persone che lo hanno
accompagnato in quei due anni in cui è stato così
lontano da loro. Zoro lo sa, si sente fissato, quasi indagato
dall’occhio scrutatore di Nami, ma non se la sente di
biasimarla. Non ha detto a nessuno che cosa gli sia successo o dove sia
stato, l’ha tenuto per sé, dopo tutto cosa sarebbe
cambiato? Probabilmente niente, forse sarebbe solo riuscito ad attirare
su di sé gli occhi curiosi dei suoi compagni (e
probabilmente quelli irritati del cuoco).
Nami non osa fare domande, non subito, ha tenuto i suoi segreti ed
è giusto che Zoro si tenga i suoi; non è forse
così che accade quando si cresce? Diventare adulti significa
anche questo, mettere da parte quell'ingenua sincerità che
fin troppo spesso li aveva accompagnati in precedenza, per lasciare
spazio a silenzi carichi di parole non dette.
Lo osserva in silenzio, persa nei suoi pensieri, segue la linea del suo
viso e si perde a guardare il movimento ritmico dei suoi allenamenti; a
volte non se ne accorge nemmeno e quando si riscuote arrossisce
leggermente, distogliendo lo sguardo.
Se Zoro se ne accorge non glielo fa pesare, non dice niente, cerca di
comportarsi con la solita naturalezza, il che significa la solita dose
di insulti – e Dio, quanto le era mancato quel continuo
prendersi a parole, quel perenne ribattere volendo sempre avere
l'ultima parola.
Non è che Zoro non abbia domande, non è che non
sia curioso, ma in quegli anni ha sviluppato una dote che non sapeva di
avere: la pazienza. Riesce a respingere con maggiore calma e decisione
le provocazione di Nami, non se la prende come avrebbe potuto
prendersela prima e non sente la necessità impellente di
farsi una doccia fredda ogni volta che finisce di litigare con qualcuno.
Certo il cuoco gli dà ancora del filo da torcere,
divertendosi a prenderlo in giro per qualsiasi cosa, pronto ad
attaccare briga, ma se così non fosse non sarebbe spassoso
per nessuno dei due. Alla fine sulla nave non è che ci sia
molto da fare e dopo qualche ora la demenza dilagante di Usopp e Rufy
inizia a stancare; senza contare che nemmeno Franky aiuta molto, sempre
impegnato con le sue invenzioni, anche quando ha bisogno di una mano
l'unica da cui si lascia aiutare è Robin.
Robin che non riesce a non trovare la situazione esilarante. Forse
è l'unica sulla nave che si è accorta di cosa
stia succedendo tra i suoi compagni e, chiaramente, non ha la minima
intenzione di fare niente per venire loro incontro. Non sarebbe
così divertente se lo facesse.
Ogni tanto, quando si annoia particolarmente si accomoda sulla sdraio e
si mette a guardarli da dietro il giornale, tra lei e Franky
è partito un giro di scommesse per vedere quanto tempo ci
impiegheranno quei due a capire che cosa stia succedendo tra loro. E sa
che non è facile, che lei li vede con il senno di un'adulta,
ma non ha importanza, si diverte lo stesso.
Quando finalmente Nami trova il coraggio di parlargli, o meglio dire,
decide che è arrivato il momento di piantarla con i
giochetti e le battute, in giro non c'è nessuno.
È tardi ed entrambi sono di turno, o meglio, Zoro sarebbe di
turno, Nami non si fida a lasciarlo da solo con la nave, temendo che li
conduca dalla parte opposta rispetto a dove dovrebbero andare.
È seduta sul parapetto di legno e lascia che il vento fresco
della notte le accarezzi il viso, tra le mani stringe un bicchiere di
birra fresca; Zoro è in piedi alla sua sinistra, fissa
l'orizzonte, ma in realtà è attento che Nami non
si sbilanci cadendo in acqua.
Anche se lo sa bene anche lui: è troppo agile e accorta per
scivolare così.
«Sei cambiato, sai?» mormora con voce delicata,
accavallando le gambe.
Zoro sorride appena, agitando il contenuto del suo bicchiere con un
movimento circolare.
«Tutti cambiano Nami, anche io» non la fissa,
continua a guardare un punto indeterminato in mezzo all'oceano, mentre
si porta lentamente la birra alla bocca.
Nami sorride, scuotendo appena il capo, i suoi capelli oramai lunghi si
agitano assieme a lei, le solleticano la schiena e sfiorano il braccio
del ragazzo al suo fianco.
«Sì, ma il tuo cambiamento è diverso,
sei più aperto, sei più maturo, non è
un cammino che si compie da soli».
Si volta appena verso di lei, fissandola con l'occhio buono.
«Chi ha detto che ero solo?»
Nami non risponde, si gira verso di lui e si sposta una ciocca di
capelli dietro l'orecchio, sorridendo incuriosita.
«Nessuno. Eri solo?»
«No, non lo ero, non sono stato solo nemmeno per un
attimo».
Per la prima volta sente la necessità, la voglia di
raccontarle ogni cosa, di raccontare a qualcuno quello che ha visto,
che ha passato; e sì, lo sente perché
è Nami, perché assieme a Rufy è con
lei è cominciato tutto, perché è
quella che ha sempre ascoltato senza mai giudicare, la sua compagna di
sbronze, di battibecchi, ma soprattutto la sua migliore amica.
Nemmeno Zoro avrebbe saputo definire il loro rapporto, ora che sono
passati due anni ne capisce meno di prima, ma dopo tutto non ha
importanza, perché a lui non serve capire quel genere di
cose, non è il suo compito. E poi Nami è
abbastanza sveglia per tutti e due, è sempre stata lei
quella furba, quella che prendeva le decisioni tattiche.
Se Zoro è sempre stato la spada del Re, Nami era lo Scudo, e
lo è ancora.
La ragazza si appoggia con le braccia sul suo capo e strofina una
guancia contro i suoi capelli, prendendolo in giro con fare
cantilenante.
«Che c'è Roronoa, hai intenzione di raccontarmi
qualcosa o vuoi solo tenermi col fiato sospeso?»
Zoro le passa le mani lungo la vita, la solleva e con gentilezza la
deposita a terra, sussurrandole piano, all'orecchio:
«Strega».
Nami ridacchia, bevendo un sorso della sua birra e si lascia scivolare
contro il parapetto, facendogli segno di sedersi accanto a lei.
«Sai essere davvero insistente» borbotta l'uomo,
senza essere però realmente infastidito.
«Mi adorate perché sono così».
«Dillo al cuoco» freccia Roronoa, bloccandosi un
attimo per sorseggiare il suo sakè.
Osserva il liquido chiaro ondeggiare nel bicchiere, il movimento
è così regolare che pare ipnotizzarlo, e quando
riprende a parlare Nami non fatica a rendersi conto di quanto sia
diventato improvvisamente distante.
«L'isola su cui sono precipitato era vecchia e in
rovina» le vestigia di un regno distrutto, potrebbe dirle, se
solo non faticasse a trovare le parole per descrivere quello che ha
visto «Gli edifici distrutti ricoprivano il paesaggio,
perdendosi a vista d'occhio e il cielo era cupo e nuvoloso, sempre in
tempesta. Non ricordo di avere visto il sole più di cinque
volte in due anni».
«Suona come un posto piuttosto tetro» celia la
ragazza, ripensando intimamente alla bellezza del cielo in cima alle
nuvole su cui era precipitata, all'arcobaleno circolare che aveva
colorato le sue giornate e all'allegria che pareva regnare ovunque.
«Lo era, era lugubre come la morte e… Beh, non
indovinerai mai chi ci ho trovato?»
«Satana?»
«Non ricordo di averti vista» scherza il ragazzo,
ricevendo una gomitata nel costato.
«Chi?»
Zoro si china verso il suo orecchio, sussurrando piano, come se avesse
timore che orecchie indiscrete potessero sentirli.
«Drakul Mihawk».
La navigatrice si strozza con la birra, strabuzza gli occhi e si gira
verso di lui, perdendo per un secondo il suo fare elegante da donna di
mondo e, soprattutto, la sua calma.
«Stai scherzando?» la voce però le muore
in gola nel momento in cui si gira a guardare Zoro negli occhi e
realizza che lo sguardo che riceve in cambio è completamente
diverso da quello a cui si era abituata due anni prima.
Allunga le dita sottili e con delicatezza gli accarezza la cicatrice
che gli percorre il viso.
«Questa volta è andata meglio» mormora
piano, alludendo al taglio molto più esteso che Zoro porta
ancora sul torace.
«Se vogliamo dire così. Avresti dovuto vedere
quante ne ho prese durante gli allenamenti» scherza,
strappandole un sorriso.
«Gli allenamenti? Mi stai dicendo che sei andati da lui e gli
hai chiesto di allenarti? E lui ha accettato? Sei incredibile, Roronoa.
La tua faccia tosta non cessa mai di stupirmi».
«E da chi ho imparato secondo te?»
«Non dirlo, non pensarlo proprio. Mi chiedo come abbia fatto
a trattenersi dal farti a fettine».
Zoro scoppia in una risata sincera, stiracchiando le braccia e
appoggiandole dietro la testa.
«Lo ha fatto, e ti assicuro che non è stato
piacevole. Non hai idea di quante volte Perona mi abbia dovuto medicare
e -»
«Perona?» domanda Nami, si stacca dal parapetto e
dopo essersi girata verso di lui allunga le gambe, passandole oltre
quelle incrociate di Zoro.
«Ti ricordi a Thriller Bark? La ragazzina di Moria?»
«Mi ricordo» sorride sorniona, allungando la mano a
giocherellare con i suoi orecchini e sussurra piano «Vedo che
quello con Mihawk non è stato l'unico allenamento che hai
fatto».
Zoro arrossisce leggermente, ma non la scaraventa nella sua cabina come
avrebbe fatto in passato, né la minaccia di morti dolorose
in modi originali. Annuisce, piano, senza fissare Nami negli occhi, ma
continuando a guardare il suo bicchiere.
«Perona, beh lei è stata una novità. Mi
ha aperto gli occhi, tutto qui».
«Era ora, Roronoa» ridacchia Nami
«Cominciavo a chiedermi se avessi intenzione di farti monaco
prima dei trent'anni».
«Sei veramente un'arpia!»
«Non dirlo come se fosse un difetto!» si schernisce
la navigatrice, bevendo un sorso di birra e ammiccandogli «E
quindi? Mi introduci una presenza femminile e non me ne
parli?»
«Nami…»
«So come mi chiamo, non serve che me lo ricordi»
gli fa notare «Dai, sono curiosa! Com'era? Passionale?
Gentile? È stato intenso? Roronoa, abbiamo tutta la notte,
intrattienimi che qui la birra sta per finire».
«No, tutt’altro. Era possessiva e autoritaria a
tratti violenta, non eravamo fatti per stare assieme».
«Zoro ti arrendi troppo in fretta, mi sa che Sanji ha ragione
quando dice che non capisci niente di donne».
Lo spadaccino sbuffa, leggermente risentito.
«No. Sono convinto di quello che dico, anzi, lo so con
certezza, non c'era assolutamente futuro per noi e non solo
perché è avvenuto per caso, non solo
perché oltre lei e Mihawk non c'era un cane su
quell'isola».
«Perché allora?» domanda Nami sollevando
un sopracciglio, incuriosita.
«Perché, una volta che mi ha aperto gli occhi, mi
sono reso conto di sapere cosa volevo. E non era lei».
La navigatrice non sa bene come ribattere, non sa cosa dire e quindi
tace, in attesa che magari Zoro vada avanti per i fatti suoi, che
continui a raccontarle qualcosa, qualsiasi cosa. Perché ora
è davvero curiosa, vuole davvero sapere cosa quella testa
d'alghe senza raziocinio abbia capito, ma non dice nulla e aspetta.
«Perona aveva un modo di fare spesso irritante, era sempre
presente, sempre pronta ad arrotolarmi nelle sue bende bianche e
prendermi in giro ogni volta che finivo a terra con Mihawk che mi
guardava dall'alto scuotendo il capo. Era buffa a suo modo, e ricordo
soprattutto il modo in cui rideva, credo sia stato quello a convincermi
a lasciarmi andare – e tu sai quanto sia difficile per me
lasciarmi andare con la gente».
Si interrompe per prendere fiato, ma riprende quasi subito.
«C'è un'altra cosa che ricordo bene, meno
piacevole. Il suo sguardo spento quando pensava che non la vedessi, il
suo osservarmi da lontano con la consapevolezza che seppur fossi
lì con lei in quel momento, la mia testa e il cuore erano
altrove».
«Qui» mormora piano Nami e la sua non è
una domanda quanto più una tacita affermazione.
Zoro le accarezza il capo e la sua mano scende a sfiorare il suo viso,
fermandosi un po' troppo a lungo sulla guancia.
«Quando poi ho realizzato che la vedevo quasi come una
sorella ha iniziato a diventare strano, era veramente come se stessi
facendo qualcosa che non avrei dovuto, qualcosa di proibito,
così, sentendomi a disagio, ho smesso».
Nami annuisce e sorride appena, appoggiando il suo viso sulla sua
spalla dello spadaccino.
«Grazie, Zoro».
«Per cosa?» domanda l'uomo, senza capire, beandosi
del profumo di shampoo che emanano i capelli dell'amica.
«Per essere tornato».
«Sapevi che sarei tornato» le fa notare, sorridendo
appena e passandole una mano lungo la vita. Lui e Nami erano sempre
stati così, pronti a dirsene di ogni colore di giorno e a
coprirsi le spalle fino alla morte, disposti ad ascoltarsi a vicenda
finché ce ne fosse stato bisogno.
«Lo so, hai fatto una promessa a Rufy» mormora la
giovane «Lo ricordo».
«Sì, ma non sono tornato solo per quello, avevo
già tra le mie mani l’uomo che stavo cercando,
è stato con me tutto il tempo».
Nami non è sicura di capire o forse ha solo paura di
illudersi che quella risposta le stia dicendo ciò che
desidera sentirsi dire da qualche tempo e solleva il viso, fissandolo
perplessa.
«E perché allora?»
«Forse Nami» mormora Zoro nel suo orecchio
«Mi mancavano i tuoi mandarini».
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