A cosa pensano i prigionieri?

di _Gia
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Cercavo di identificare, in ogni passo pesante che sentivo da dietro le sbarre di metallo, la sua andatura elegante e sicura. Cercavo di individuare, nelle loro mani violente, il suo modo dolce che aveva nell’accarezzarmi, quasi mi sfiorasse per paura di rompermi. Cercavo di trovare, in quel totale abisso che era la mia mente, lo spiraglio di luce, di salvezza, che, nei giorni miei, il suo sorriso aveva sempre costituito.
Erano le parole, le parole a colpire più duro di un pugno, più repentinamente di uno schiaffo. Le loro labbra eseguivano le torture peggiori che un cuore innamorato avrebbe potuto subire.
Ma a me non importava, sapevo che il loro era solo uno sporco gioco.
Ed io, di sporchi giochi, ne avevo affrontati molti più di loro.
Presto, molto presto, sarei riuscita a trovare in quei passi, in quelle mani, la dolcezza e l’amore con le quali Finnick mi aveva sempre viziata.
Qualunque cosa dicessero, qualsiasi cosa facessero, non mi importava.
Avrebbero potuto torturarmi nei modi più disumani, ma mi sarei sempre rialzata.
Distrutta, ma in piedi. Sempre.
Perché lui sarebbe venuto a prendermi, a salvarmi.
E questa, era una consapevolezza che neanche la più deviata delle menti avrebbe mai potuto eliminare. 




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