Domani
è un altro giorno
Prima
parte
Quando
Aragorn giunse dinanzi all’ingresso delle sale del
Reame Boscoso, gli Elfi Silvani di guardia incrociarono le loro lance
davanti alla porta con un clangore metallico.
L’intimazione
a non entrare era chiara, sebbene la diffidenza
delle loro espressioni fosse sfumata d’incertezza.
Era
possibile che fosse la prima volta che vedevano un uomo
così da vicino. O forse la loro perplessità non
era dovuta allo sconosciuto con capelli e barba scura, ma alla creatura
che si trascinava dietro.
Col
passare dei giorni, Gollum si era fatto più docile. Al
momento, giaceva di fianco ad Aragorn come un intrico biancastro di
arti lunghi e sgraziati.
Pareva
impossibile che una simile, rachitica creatura fosse riuscita a
fuggire da Mordor. Il Ramingo sospettava che non fosse scappato, ma che
fosse stato rimesso in libertà perché aveva un
qualche malvagio incarico da portare a termine.
Finalmente,
una delle guardie parlò. «Chi
siete?»
Siccome
aveva posto la domanda nella lingua corrente, seppur con un
accento abbastanza marcato, fu nella lingua corrente che Aragorn gli
rispose. «Potete chiederlo al vostro principe, Legolas
Verdefoglia. Lui sa bene chi sono, ed attende il mio arrivo ormai da
giorni».
Le
guardie si scambiarono uno sguardo, chiaramente incerte sul da
farsi. Non sembrava che stessero davvero considerando di lasciarlo
passare, però.
«Cosa
succede?»
Al
timbro di comando di quella nuova voce, i due Elfi sussultarono e
spostarono le lance per permettere ad una terza persona di uscire dalle
sale del Reame Boscoso.
Si
trattava di un Elfo-femmina dai capelli ramati, vestita di colori
scuri. Il suo volto aveva zigomi alti, un po’ angolosi, e lei
incontrò gli occhi di Aragorn con uno sguardo vibrante.
«Chi
sei?» lo interpellò.
L’uomo
fece per rispondere, ma in quel momento udì
un suono di zoccoli lungo il ponte alle sue spalle, ed una voce
melodica e familiare che lo chiamava.
«Aragorn!»
Si
voltò, in tempo per vedere Legolas – ormai
giunto dietro di lui – smontare agilmente da un cavallo
bianco.
Il
principe gli rivolse un sorriso luminoso, e si salutarono
stringendosi gli avambracci in un gesto cameratesco. «Ti
aspettavo da giorni, ormai, cosa ti ha trattenuto?»
Aragorn
si limitò a fare un gesto eloquente verso Gollum.
L’espressione di Legolas si fece seria, e lui si
voltò un attimo per affidare il destriero ad una delle
guardie, che lo condusse via senza una parola.
«E
così» esordì poi Legolas,
«questa è la creatura».
Aragorn
annuì. «Come ti ho scritto, mi occorre un
luogo dove rinchiuderla e poterla interrogare».
«Io
ed il re mio padre ti daremo volentieri il nostro
aiuto» asserì Legolas senza indugio.
Si
voltò verso la giovane dai capelli ramati, che aveva
seguito in silenzio il loro scambio, e lei annuì. Col mento,
fece cenno alla guardia rimasta e poi alla creatura accasciata a terra.
L’Elfo scattò subito in avanti per ricevere la
cavezza di Gollum dalle mani di Aragorn. Poi, dietro un secondo ordine,
trascinò la creatura all’interno del Reame
Boscoso, diretto alle segrete.
A
quel punto, Legolas esordì: «Tauriel, questo
è Aragorn, figlio di Arathorn. Il ranger che mi recai a
cercare anni fa».
Tauriel
guardò l’uomo, e i suoi occhi si
allargarono appena per la comprensione.
«Aragorn»
proseguì Legolas,
«permettimi di presentarti Tauriel, capitano delle guardie e
mia vecchia amica».
Aragorn
la guardò. «È un onore, mia
signora».
Le
labbra di Tauriel ebbero una breve contrazione.
«Preferisco essere chiamata capitano».
Aragorn
non abbassò gli occhi, ma inclinò appena
il capo. «Perdonate, capitano».
Dal
sorriso che Legolas si affrettò a nascondere,
l’uomo ebbe l’impressione che non fosse la prima
volta che assisteva ad una scena simile.
Entrarono
nel Reame Boscoso, e Tauriel si rivolse ad un paio di guardie
che sostavano poco lontano, impartendo qualche ordine in Sindarin, e
loro andarono immediatamente a sistemarsi davanti alle porte.
Sebbene
Aragorn non fosse certo estraneo all’architettura
elfica e Legolas gli avesse già parlato della propria casa,
non poté che rimanere impressionato dallo spettacolo che si
presentò ai suoi occhi.
In
un certo senso, varcare le soglie del Reame Boscoso fu come entrare
in un altro mondo. Un mondo selvatico ed armonioso al contempo, colmo
di alberi e arcate e ponti e ruscelli, dove era difficoltoso
distinguere tra elementi naturali ed architettonici.
Legolas
e Tauriel lo condussero sino al cospetto del sovrano. Re
Thranduil, seduto su un trono rialzato, era ammantato in abiti scuri
striati d’argento. I suoi lunghi capelli biondo platino erano
tenuti indietro dalla corona di rami e foglie autunnali che gli cingeva
la fronte.
Nel
vedere suo figlio ed il suo capitano che si avvicinavano scortando
Aragorn, ebbe un moto di sorpresa e si alzò in piedi, per
poi scendere gli scalini che portavano al suo trono.
«Re
Thranduil» disse Aragorn, con un breve inchino,
«vi sono grato per il vostro aiuto».
«Sei
il benvenuto, Aragorn, figlio di Arathorn»
replicò il sovrano, con voce cadenzata.
«È un piacere fare la tua conoscenza,
finalmente».
«Conoscere
voi è un onore, mio signore».
Thranduil
sorrise impercettibilmente. «Ti abbiamo
già fatto preparare delle stanze». Diede
un’occhiata al figlio come per leggere la sua espressione, e
concluse: «Suppongo che Legolas sarà lieto di
mostrartele».
«Vi
sono grato per la vostra ospitalità»
affermò Aragorn, «ma se non vi dispiace prima di
tutto vorrei recarmi ad interrogare Gollum».
Thranduil
gli rivolse uno sguardo indagatore. «Come
desideri» acconsentì comunque.
Legolas
si fece avanti. «Ti mostro la strada per le
segrete».
Si
congedarono dal sovrano, e mentre si allontanavano Aragorn lo
sentì rivolgersi al capitano delle guardie:
«Tauriel, ho bisogno del tuo rapporto sulla situazione lungo
i nostri confini».
«Sembri
davvero ansioso di ottenere informazioni»
commentò Legolas, quando si furono allontanati dalla sala
del trono.
Aragorn
annuì, ma non parlò dell’anello
o dei sospetti di Gandalf. «È vero»
rispose. «Gandalf verrà lui stesso ad interrogare
la creatura, ma se riuscissi ad ottenere qualche risposta prima di
allora sarebbe tempo guadagnato».
Legolas
sbatté le palpebre con una strana espressione.
«Anche Gandalf sta venendo qui?»
Aragorn
aggrottò la fronte. «Credevo vi avrebbe
avvertito». Tacque un istante. «È un
problema?»
«No»
disse Legolas, forse troppo in fretta,
«è soltanto che mio padre… non
nutre… particolare simpatia verso gli stregoni».
Il
modo in cui pronunciò quella frase, come se cercasse il
modo più gentile di dirlo, strappò ad Aragorn un
breve sorriso.
«Credi
non vorrà ospitarlo?»
domandò l’uomo, tornando serio mentre iniziavano a
scendere lungo una scalinata.
«Credo
lo tollererà» sospirò
Legolas, corrucciandosi lievemente.
Svoltarono,
camminando per un breve tratto, quindi imboccarono
un’altra scalinata – più stretta,
stavolta – e ripresero a scendere.
Le
segrete erano le viscere del Reame Boscoso, illuminate da alcune
torce. Legolas lo accompagnò sino alla cella di Gollum,
chiamando il custode delle chiavi perché la aprisse,
dopodiché se ne andò per svolgere i doveri che lo
attendevano.
Una
volta rimasto solo con la creatura, che si era rintanata in un
angolo della cella e lo fissava con occhi malevoli, Aragorn si
abbassò poggiando un ginocchio a terra e parlò
con voce calma ma inflessibile.
Gollum
non rispose alle sue domande, sibilando furioso a proposito di
ladri dalle mani grassocce.
Ad
un certo punto, si scagliò contro Aragorn, protendendo le
dita ossute come per cercare di cavargli gli occhi.
L’uomo
lo respinse con facilità, e la creatura si
appallottolò piagnucolando sul pavimento.
Aragorn
la contemplò in silenzio, e a quel punto
udì un lieve colpo sulle sbarre della prigione. Si
voltò; fuori dalla cella sostava il capitano Tauriel, che
gli fece segno di raggiungerla.
Con
un’ultima occhiata a Gollum, Aragorn si alzò
in piedi ed uscì dalla cella. «Sì,
capitano?» chiese, chiudendosi la porta alle spalle.
«Il
principe Legolas è stato trattenuto»
replicò Tauriel, «per cui mi ha chiesto di venirvi
a chiamare al suo posto. Vi vedrà più tardi a
cena».
«A
cena?» chiese Aragorn, accigliandosi.
«Può
essere rimandata di un’ora, se
avete bisogno di più tempo».
L’uomo
indugiò un istante. In ogni modo, dubitava
che quel giorno sarebbe riuscito a strappare a Gollum una qualsiasi
informazione. «Non è necessario».
«Vi
accompagno nelle vostre stanze»
asserì allora Tauriel.
Aragorn
si rese conto che lei si stava rigirando qualcosa nella mano
destra con fare distratto. Non riuscì a vedere di cosa si
trattasse, però.
In
silenzio, presero a salire i gradini. Mentre oltrepassavano una
delle celle, Aragorn fu quasi certo che Tauriel si irrigidisse, ma
quando la guardò lei teneva gli occhi puntati davanti a
sé con determinazione. Aveva smesso di rigirarsi
l’oggetto tra le dita; ora lo teneva stretto nel pugno.
«È
un talismano?» le chiese Aragorn,
rompendo il silenzio.
Tauriel
lo fissò, poi i suoi occhi guizzarono sul suo pugno
chiuso. Le sue labbra si contrassero. «È solo un
ricordo» rispose, e dal suo tono era evidente che trovava la
situazione in qualche modo ironica.
«Posso
vederlo?»
Erano
ormai fuori dalle segrete; imboccarono un corridoio, e Tauriel
sollevò la mano e schiuse le dita per mostrare brevemente
l’oggetto ad Aragorn.
Era
una pietra scura e levigata, dagli angoli accuratamente smussati, e
recava incise alcune rune.
Non
erano parole elfiche.
«È
nanico?» domandò Aragorn,
lanciando a Tauriel uno sguardo inquisitorio.
Lei
si fece scivolare la pietra in una tasca. «Sapete cosa
significa?» chiese di rimando.
L’uomo
scosse il capo. «Il riserbo dei Nani sul
loro linguaggio è davvero estremo».
Tauriel
tornò a guardare in avanti, emettendo una sorta di
«mmm». Capendo che lei preferiva lasciar cadere
l’argomento, Aragorn non insistette.
Tra
Elfi e Nani non scorreva buon sangue. C’erano delle
eccezioni, certamente, Elfi tolleranti come Elrond di Imladris, ma la
gente di Bosco Atro non pareva rientrare in quella categoria.
Aragorn
pensò a Legolas. Negli anni in cui avevano viaggiato
insieme e combattuto fianco a fianco, aveva notato che il principe del
Reame Boscoso sembrava nutrire nei riguardi dei Nani
un’ostilità particolare.
Non
se n’era stupito. In fondo, Thranduil del Reame Boscoso
era stato un tempo Thranduil del Doriath, ed il re del Doriath era
stato massacrato per mano dei Nani, così come molte delle
sue genti.
Tauriel
si fermò ad aprire con disinvoltura delle porte
intagliate. «Questi sono i vostri alloggi».
Aragorn
entrò guardandosi attorno. Stanze spaziose e ben
arieggiate, colonne che sembravano – o forse erano
– alberi dai tronchi sottili che erano cresciuti
aggrovigliandosi gli uni agli altri.
«Dovrebbero
esserci degli abiti, sul letto» lo
informò Tauriel, prima di ritirarsi per lasciargli qualche
momento in privato.
Non
sembrava proprio il genere di persona capace di parlare del
più e del meno.
Gli
abiti, scoprì Aragorn, non erano la sola cosa ad
aspettarlo in camera da letto. C’erano anche due catini, uno
pieno di acqua calda e l’altro di acqua fredda, un pezzo di
sapone particolarmente grosso ed una salvietta morbida.
Aragorn
si lavò con cura, per poi asciugarsi ed indossare
gli abiti puliti. Erano esattamente della sua misura, ma lui aveva
trascorso abbastanza tempo con gli Elfi per non stupirsene.
Quando
uscì, Tauriel era ferma davanti alle sue stanze. Lo
guardò sbattendo le palpebre, ma non offrì alcun
commento e la sua espressione rimase indecifrabile.
«Da
questa parte» si limitò a dire,
guidandolo con sicurezza lungo i passaggi del Reame Boscoso.
Stavano
salendo verso l’alto, notò Aragorn.
Dopo
qualche momento, giunsero a quella che doveva essere la sala dei
banchetti. Era delimitata da innumerevoli colonne, simili a fusti di
alberi altissimi, e ciò dava l’impressione che si
trattasse di una radura circolare.
Il
pavimento era venato di grigio e verde, ed il lungo tavolo era
riccamente imbandito.
Thranduil,
ora vestito di porpora, gli venne incontro seguito da
Legolas. Il principe indossava un paio di pantaloni azzurri finemente
ricamati ed una sovratunica bianca con decorazioni dorate.
«Confido
che le stanze che vi ho assegnato siano di vostro
gradimento» esordì Thranduil, apparendo quasi
compiaciuto dell’aspetto ora più pulito del suo
ospite.
«Non
potrei chiederne di migliori» gli
assicurò Aragorn.
Un
sorriso incurvò le labbra del sovrano. «Mi
auguro che questa cena non sarà da meno».
A
quel punto, Legolas si fece avanti, chiaramente costernato per non
essersi fatto più vedere. Mentre Aragorn gli assicurava che
non gli doveva alcuna scusa, Tauriel affiancò il sovrano del
Reame Boscoso.
Thranduil
inclinò il capo verso di lei per mormorarle
qualcosa, e Tauriel si lasciò sfuggire un sorriso. Era la
prima volta che Aragorn la vedeva sorridere.
Un
momento dopo, si mossero per andare a sedersi. Il re si
sistemò a capotavola, ovviamente, mentre ad Aragorn
spettò il posto d’onore alla sua destra. Credeva
che Legolas sarebbe stato alla sinistra del re, e invece il principe si
accomodò accanto a lui mentre l’altro posto vicino
a Thranduil veniva occupato da Tauriel.
Aragorn
si domandò se lei pranzasse e cenasse sempre con la
famiglia reale. Legolas gli aveva parlato di lei, della bambina che
aveva perso i genitori in un’imboscata di Orchi ed era stata
accolta da re Thranduil. Ad Aragorn era parso subito chiaro che il
principe la considerava parte della propria famiglia, ed ora si chiese
se anche il sovrano condividesse quel sentimento.
Alcuni
Elfi Silvani iniziarono a servire loro le prime portate. Erano
deliziose, i sapori forti e gustosi.
Thranduil
s’informò sul viaggio di Aragorn, ed
intavolò con lui una cortese conversazione, per poi
lasciarlo libero di chiacchierare con Legolas.
Tauriel
era abbastanza silenziosa, e mangiava a testa china, ma quando
Legolas la chiamava a supportare uno dei suoi aneddoti, lei offriva
dettagli o commenti senza farsi troppo pregare.
In
piedi alle spalle di Thranduil si trovava un Elfo Silvano dai
capelli castani, che riempiva di vino il bicchiere del sovrano ogni
volta che lo vedeva vuoto, e che si mise a fare lo stesso con quello di
Aragorn.
Ad
un certo punto, l’uomo coprì il calice con la
propria mano. «Sono a posto così,
grazie».
L’Elfo
scosse la testa con rammarico e disse: «Ma
questo vino è deliziosamente fruttato. Dovete
provarlo».
«L’ultimo
bicchiere» cedette Aragorn, e
l’altro parve alquanto lieto di quel compromesso.
«Galion»
sussurrò Legolas
all’uomo un momento più tardi, accennando
all’Elfo Silvano. «Non si farebbe remore nemmeno a
tentare di far ubriacare i Valar in persona».
Il
giorno successivo, Aragorn tornò ad indossare i propri
vestiti. Trascorse la mattina nelle segrete, ma Gollum rifiutava ancora
di rispondere alle sue domande.
Alla
fine, stanco e quasi frustrato, l’uomo concluse che
Gandalf avrebbe dovuto ottenere per conto proprio le informazioni che
gli interessavano.
Uscì
dalla cella e chiese ad una guardia se poteva
mostrargli dove si trovava il centro di addestramento. L’Elfo lo condusse nel luogo richiesto senza alcun commento.
Si
trattava di una sorta di arena molto ampia, e disseminati qua e
là si trovavano bersagli di varie forme e dimensioni e
fantocci di legno e paglia. C’era anche una pista ad ostacoli
– per i cavallerizzi, immaginò Aragorn.
Si
guardò attorno, soffermandosi per un istante su un gruppo
di Elfi Silvani che si stava esercitando nel tiro con l’arco,
poi notò una figura familiare che si allenava in disparte.
Dopo un momento, si diresse verso di lei.
Tauriel
si muoveva fluidamente. Armata di due pugnali, tracciava
spirali nell’aria e mimava affondi e parate.
«Buon
mattino, capitano» disse Aragorn, per
annunciare la propria presenza.
Tauriel
si bloccò e si voltò verso di lui.
«Buon mattino, mio signore» replicò.
«Potete
indicarmi dove posso trovare un arco per fare un
po’ di esercizio?»
Tauriel
non seppe nascondere il proprio scetticismo. «Non
sembrate un tipo da arco e frecce».
«Può
darsi» rispose Aragorn, chiedendosi
cosa le avesse dato quell’impressione. «Ma allenare
la propria mira non fa mai male».
«Certo…»
Lei lo scrutò per
qualche istante, poi – i pugnali ancora in mano –
gli fece cenno di seguirla.
Lo
guidò sino all’altro capo dell’arena,
dove su un muro sottile, sorvegliato da due Elfi Silvani, erano esposti
alcuni archi di varia fattura.
Aragorn
prese quello delle dimensioni che più gli si
confacevano, raccolse una delle faretre posate a terra, e
tornò indietro con Tauriel.
«Il
principe Legolas ha detto che hai talento con arco e
frecce» le disse.
Tauriel
gli rivolse un’occhiata di traverso, ma
sembrò gradire quel complimento sottinteso.
«Parla
di te con grande affetto» aggiunse Aragorn.
Tauriel
si fermò. «Non morirò del mio
dolore, se è questo che credi» gli disse, quasi
bruscamente.
L’uomo
si arrestò a propria volta, preso in
contropiede da quell’uscita. Di cosa stava parlando?
«Mi
dispiace» disse dopo qualche momento, con
franchezza. «Non intendevo essere indiscreto».
Tauriel
strinse appena gli occhi, poi spostò
l’attenzione sui propri pugnali. Li soppesò come
per valutarne l’equilibrio, li fece roteare un paio di volte,
quindi tornò a guardare Aragorn.
«Ho
vissuto a Dale, per qualche tempo»
affermò.
Lui
aggrottò la fronte. «La conosco»
rispose, cautamente.
Era
una città che sorgeva presso la Montagna
Solitaria… La patria del popolo di Durin. Se si aspettava
che Tauriel gli stesse per parlare di un Nano, però, si
sbagliava.
«Avevo
compiuto alcune… azioni… che
avevano portato re Thranduil ad esiliarmi per dodici anni. Sono stata
ospitata da un uomo. Io mettevo le mie conoscenze militari a
disposizione sua e dei suoi soldati, e lui mi ripagava con vitto e
alloggio». Fece una pausa e la sua espressione si fece
distante. «Aveva tre figli: Bain, Sigrid e Tilda. Mi
ero… affezionata a loro, e loro a me».
Un
sorriso affiorò alle labbra di Tauriel, e due fossette le
comparvero sulle guance.
«Erano
dei ragazzi intelligenti, buoni e generosi. Mi hanno
aiutata durante un periodo difficile, quando sentivo di non aver
più uno scopo».
Aragorn
non disse nulla.
«Tilda
aveva l’abitudine di sedersi nel mio grembo
quando le sembrava fossi infelice, Bain mi chiedeva delle usanze del
mio popolo per distrarmi, e Sigrid… mi raccontava della sua
giornata, e mi ha insegnato come prendermi cura di una casa».
L’uomo
annuì, passando una mano sulla curva
dell’arco.
«Ho
insegnato a combattere anche a loro»
proseguì Tauriel. «Bain conosceva già i
rudimenti della spada, Sigrid si è rivelata portata per il
tiro con l’arco, mentre Tilda… lei preferiva i
pugnali». Si fermò di nuovo, ed ogni traccia di
sorriso scomparve dal suo volto. «Alcuni anni più
tardi, c’è stata un epidemia di febbre. Sono morti
alcuni bambini. Alcuni mesi dopo, me ne sono andata».
Pronunciò
l’ultima frase con una nota definitiva
nella voce, ma Aragorn le domandò con cautela:
«Posso chiedervi come mai, mia…
capitano?»
Tauriel
incontrò il suo sguardo. «Era da tempo che
il mio cuore desiderava viaggiare, ma continuavo a rimandare.
Quell’episodio mi ha ricordato quanto sia fragile la vita
degli Uomini, ed ho compreso che se mi fossi attardata ancora me ne
sarei andata soltanto quando fossero morti. E non volevo che fosse
quella la ragione della mia partenza».
Aragorn
annuì. «Non è stata una
separazione dolorosa?»
«Certo
che la è stata» disse Tauriel,
dandogli un’occhiata quasi incredula. Poi si
irrigidì. «Ma loro avevano la loro vita, che
cambiava molto più in fretta della mia. In soli quattro
anni, erano maturati moltissimo… Bain aveva addirittura
trovato una fanciulla da corteggiare… mentre io ero sempre
uguale. Avevo l’impressione di tenerli bloccati».
«Capisco»
mormorò Aragorn, aggrottando
la fronte.
Avrebbe
voluto domandare cosa ne era stato dei tre ragazzi. Vivevano
ancora? Erano morti da tempo?
Guardando
il volto tirato di Tauriel, improvvisamente pensò
ad Arwen ed ebbe un attimo di vertigine. Non era un bene, per gli Elfi,
permettersi di amare i mortali.
Tauriel
gli aveva detto che non si sarebbe lasciata sopraffare dal
dolore… Ma non era raro che agli Elfi accadesse il
contrario, dato quanto profondamente sentivano le proprie emozioni.
Il
loro spirito era più forte del loro corpo, e se da una
parte questo impediva loro di essere contagiati da malattie e li
aiutava a guarire più in fretta, dall’altra un
dolore profondo poteva cambiarli nel fisico e nell’aspetto.
Poteva ucciderli.
Per
tentare di distrarsi da quei pensieri tumultuosi, Aragorn si volse
verso il bersaglio più vicino ed alzò
l’arco.
Tauriel
non parve prendere a male l’interruzione della loro
conversazione. Semplicemente, ritornò a concentrarsi sui
propri pugnali.
Poco
dopo, Legolas li raggiunse. Fece a Tauriel un cenno col capo,
quindi si rivolse ad Aragorn.
«Il
centro era più a destra» lo
informò, con la sua voce melodica.
L’uomo
abbassò l’arco e
guardò il principe inarcando le sopracciglia. Legolas
sorrise.
Aragorn
tornò a voltarsi verso il bersaglio, puntando la
freccia un po’ più a destra…
Lasciò andare la corda, e fece un centro perfetto.
«Sono
colpito» commentò Legolas, con un
largo sorriso, e Aragorn gli sbatté arco e faretra contro il
petto, ma non poté fare a meno di sorridere a sua volta.
«Vuoi
mostrarmi un’altra parte del tuo regno, prima
che me ne vada?»
Legolas
tornò serio, chiudendo le mani attorno
all’arco. «Devi lasciarci?»
«Temo
di sì».
«E
per quanto riguarda Gollum?» domandò
Tauriel, aggrottando la fronte.
«Dovrebbe
arrivare Gandalf a proseguire
l’interrogatorio» rispose Aragorn.
L’espressione
di lei si fece imperscrutabile.
«Mithrandir?» chiese. Spostò gli occhi
su Legolas. «Il re ne è al corrente?»
Il
principe indugiò. «Non ancora».
Tauriel
arricciò il naso – ad Aragorn
ricordò molto l’espressione di Legolas davanti a
qualcosa di disgustoso. «Non dirmi che intendi fargli una
sorpresa».
«Certo
che no» rispose Legolas, e parve un
po’ offeso da quell’ipotesi. «Ho
intenzione di dirglielo subito dopo la partenza di Aragorn».
Tauriel
scoccò un’occhiata all’uomo.
«Capisco».
«Vuoi
unirti a noi, adesso?» le propose il principe.
Lei
scosse il capo. «Ho altri impegni».
Così
la salutarono, dopodiché riportarono arco e
faretra al loro posto e si incamminarono. Conversarono tra loro,
passeggiando nelle meravigliose sale del Reame Boscoso.
Talvolta,
Legolas accompagnava il loro itinerario con qualche aneddoto,
accennando ad una colonna su cui si era arrampicato da bambino, o
parlando di quando aveva fatto da palo mentre Tauriel sgraffignava dei
dolci in cucina, o indicando ad Aragorn il luogo in cui riceveva le
lezioni in caso di maltempo. Gli parlò anche del proprio padre, con un affetto e un orgoglio quasi palpabili.
Alla
fine, giunse il momento della partenza dell’uomo.
Aragorn
passò a porgere i suoi ringraziamenti a re
Thranduil, dopodiché Legolas lo accompagnò fuori
dal Reame Boscoso.
«Buon
viaggio» gli augurò, «e
buona fortuna».
«Alla
prossima avventura» replicò
Aragorn, senza sapere quanto presto sarebbe cominciata.
Note:
Non lo so. Davvero, non lo so.
Probabilmente avrei fatto meglio a lasciare questa storia nella mia
cartella per sempre. Ma uhm, okay. Ho deciso di darle una chance.
Un grazie ENORME ad Echadwen
per la sua fiducia che non mi meritooo D:
La seconda parte (saranno tre in tutto) arriverà
venerdì 19 febbraio.
(Comunque posso sempre cancellarla dalla faccia della Terra. Si può fare. Niente è irrimediabile.)
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