A casa per S. Valentino
Titolo: A casa per S.
valentino
Fandom: Original
Coppia: Het
Rating: Verde
Set In Time: S. Valentino
2016
Nota: Questa fiction fa parte dello stesso
universo della mia fiction Frammenti di una notte d'inverno. Ne è
praticamente la continuazione, quindi va letta per
seconda.
Disclaimer: Sono sempre MIEI! Ma ancora niente
cash. Strano, eh...
A casa per S. Valentino (parte
2)
Non
che fosse mai stato un grande ammiratore di S.Valentino, anzi. Tutta
quell'atmosfera piena di cuori, zucchero e buoni sentimenti gli dava quasi il
voltastomaco (più o meno come Natale, insomma, al punto che lei lo aveva
soprannominato Grinch). Non riusciva a capire perché il mondo degli innamorati
dovesse mettersi in mostra in quel giorno specifico e festeggiare qualcosa che,
in tutta onestà, si sarebbe dovuto festeggiare tutto
l'anno.
Ai suoi occhi cinici, era tutto un "Oh
tipolino, oggi ti amo tantissimo. Festeggiamo il nostro amore! Da domani
riprendiamo a vivere da separati in casa".
Lei rideva. Di lui, ovviamente. Lo
guardava con i suoi occhi color ambra e scuoteva la testa. Perché, in apparenza,
lei riusciva a vedere qualcosa sotto la sua voce burbera ed il suo atteggiamento
scostante. Qualcosa che lui non vedeva. Abbastanza banalmente, a lei S.
Valentino piaceva. Oh no, non ne andava matta, non organizzava la sua esistenza
annuale intorno a quella data, non riempiva la casa di cuori, non disseminava
cioccolatini nelle stanze (cioè, il primo anno di convivenza l'aveva fatto. Le
era sembrato un gesto carino, e romantico, fino a quando lui non si era sdraiato
sul cioccolatino che lei aveva messo sul letto, semi-nascosto dalle pieghe del
piumone, e lo aveva sciolto, macchiando le coperte e - orrore - il maglione di
cachemire regalo della mamma) e non faceva nulla di particolarmente sdolcinato.
Lui apprezzava questo suo aggiustamento e la ringraziava portandola fuori a
cena. Avevano scoperto un ristorante discreto e non troppo alla moda; dopo tutti
quegli anni i proprietari li conoscevano e riservavano per loro il solito tavolo
d'angolo. Una serata fuori per cementare, anno dopo anno, la loro relazione. Era
una cosa carina.
Quell'anno la cosa carina (carina?
Favolosa!) era che lei finalmente era stata dimessa. Era ancora debole, e
zoppicava sulla gamba sinistra, quella dove la lama del coltello l'aveva
raggiunta. Era pallida, ed il suo sorriso risultava appannato e stanco. Ma era a
casa. Era di nuovo lì a riportare vita ad una casa che era sembrata vuota senza
di lei, era lì a rimettere in (dis)ordine come solo lei sapeva fare. E
chissenefrega se per quel S.Valentino non potevano
uscire.
Lui la guardava, si curava di lei, la
aiutava a camminare, controllava che prendesse le medicine e si subiva i
programmi televisi che lei amava, ma che lui non sopportava. Tutto per starle
accanto. Tutto per scacciare il ricordo di quelle notti che avevano passato
separati, notti in cui lui aveva praticamente consumato il biglietto ("che
biglietto?" Gli aveva chiesto lei, sorniona come sempre, dal suo letto
d'ospedale. Ma era arrossita, e lui si era sentito bene) che lei aveva pensato
per lui, e per lui soltanto.
La sera prima della festa degli
innamorati, lui era andato a teatro. Un po' da egoisti, raccontato così, ma,
anche qui, c'è una storia dietro. Lei si era intenerita oltre misura dalla dolce
sollecitudine con cui lui le era vicino e voleva premiarlo. Da anni avevano
l'abbonamento per la stagione di prosa, ed erano sempre andati insieme. Lui
avrebbe rinunciato, si sa, ma lei aveva invitato a cena una cara vecchia amica
ed aveva contattato il suocero. Alla fine, lui si era trovato a ridere a teatro
accanto a suo padre, certo che lei, accudita da quella matta dell'amica, avrebbe
fatto altrettando.
Solo
che...
Solo che, alla fine del primo atto, a
sipario chiuso, lui aveva sentito la nostalgia attanagliarlo ed un pensiero
cristallino - voglio mia moglie qui - gli aveva mozzato il
respiro. La voleva davvero accanto a lui, e non riusciva a credere di essere
andato a teatro senza di lei, e di non poter commentare con lei lo spettacolo.
Aveva deglutito, un po' spaventato dall'intensità del sentimento che provava per
lei, ma aveva deciso di non dire nulla a suo padre. D'altronde insieme si
stavano divertendo, e l'uomo si meritava una serata fuori. La mamma ormai non
c'era più da un paio d'anni, ma lui sapeva che il padre ne sentiva ancora la
mancanza. E poteva capirlo. Ormai poteva capirlo
davvero.
Durante il secondo atto, un piano aveva preso forma nella sua
mente, un piano da nulla, un pensiero, niente di epico come il bigliettino di
lei ("Io ti ho scritto cosa? Ti sembro nelle condizioni di scrivere?" L'aveva
ripreso bonaria, sempre con quella luce furba negli occhi), ma qualcosa di
tenero. Oddio, persino di romantico. Qualcosa che a lei sarebbe piaciuto.
Così, quel S. Valentino cercava di attuare il suo piano senza farsi
scoprire. Impresa ardua, perché, ovviamente, lei era sempre stata dotata di un
istinto formidabile, e capica - capiva, vi dico - quando qualcuno stava
progettando qualcosa. Lei lo sapeva se nascondevi qualcosa. Per dire, non
giocavano nemmeno più a Cluedo, insieme, perché lui, contro di lei, non
aveva mai vinto una partita. Mai. Un intuito pazzesco. Persino gli amici si
rifiutavano di giocare con lei, perché, insomma, non è che c'era stato un
omicidio davvero, non c'era bisogno di trasformarsi in Sherlock Holmes ogni
singola volta. Ma lei era così.
Comunque. Quel giorno, lo guardava aggirarsi per la casa, un occhio
sulle pagine del libro che stava divorando, l'altro su di lui, a cercare di
entrargli nella testa e capire cosa mai stesse facendo. Lui sapeva che lei
sapeva. Lei, però, non gli chiese nulla. Lui la amò per questo: non era mai
stato capace di mentirle, e sapeva che sarebbe crollato di fronte ad un suo
eventuale interrogatorio. Lo stava lasciando giocare, ed era bello.
Verso le sei del pomeriggio, suonò al campanello la sua amica
estetista. Non era una visita casuale, ma tutti gli attori della vicenda finsero
di crederci. Lentamente, con tutte le attenzioni del caso, la trascinò in bagno,
dove le fece una maschera rilassante e nutriente ("Ci vuole! Dopo l'aria malsana
dell'ospedale!"), le lavò i capelli e massaggiò il cuoio capelluto ("Sono un po'
spenti... antibiotici ed anestetici sono tra le cose più deleterie. Credimi"),
la truccò con cura ("È un crimine non mettere in risalto questi occhi, te lo
dico sempre") e l'aiutò ad infilarsi il vestito lungo e leggero, un velo
impalbabile colo cipria, che lei aveva comprato una volta, spinta da un impulso
irrefrenabile.
Poi l'aveva accompagnata fino al salotto e lei, lì, si era
bloccata. Al centro della stanza c'era lui, con un mazzo di rose rosse, quelle
scure che lei aveva messo anche nel bouquet il giorno delle nozze, nel vestito
buono e con un sorriso meraviglioso. Il suo sorriso, quello con cui le aveva
detto che l'amava, quello con cui la svegliava ogni singola giornata della loro
vita. Il sorriso pensato e creato per lei. L'amica si era dileguata, e lui le
aveva preso una mano e l'aveva fatta entrare in salotto. Sul pavimento, dove
qualche giorno prima c'era un tappeto, me che erano stati costretti a buttare
per via del sangue, lui aveva steso una coperta di lana. Al centro, c'erano
piatti e posate. Lui la fece accomodare con delicatezza, senza smettere mai di
sorriderle.
Sul suo piatto c'era una busta rossa. Lei l'aprì. Si preparò,
respirando a fondo: non era mai stato un grande scrittore, ma quando ci si
metteva era in grado di fare concorrenza ai poeti più celebri di sempre. Aveva
solo bisogno di una spintarella.
"Amore,
ti ho vista guardare questo salotto con occhi tristi, come se ti
sentissi tradita dai mobili che abbiamo scelto insieme. Non è giusto, tu ami
stare qui. Ed io amo stare qui con te. Come mi hai fatto notare una volta questa
è la nostra casa e la dobbiamo rivendicare.
Ecco, io adesso rivendico questa stanza. Questo non sarà più il
posto in cui sei stata aggredita. Da oggi questo pavimento sarà dove quel pazzo
di tuo marito, tra l'altro uno di quelli che non è nemeno troppo a favore di
S.Valentino, ha organizzato per te una cenetta romantica. Ma tu lo
sapevi che avevo anche quest'anima dolce, vero? L'hai sempre
saputo.
Da stasera, ogni volta che entreremo qui, penseremo a questa
serata.
E ti autorizzo a ridere di me, perché no, non ho cucinato io, ma ho
chiamato il ristorante per farmi portare il cibo.
Se sei d'accordo, per favore, comincia a ridere adesso, che persino
i muri hanno bisogno del suono della tua risata.
Con amore. Sempre"
Arrivata alla fine, si asciugò le lacrime di commozione dalle
guance ed alzò gli occhi: lui la stava guardando reggendo a fatica i vassoi con
le pietanze. Dell'intigolo stava già colando lungo il polsino della
camicia.
Lei scoppiò a ridere, piena d'amore e di vita per la prima volta
dopo molti giorni.
La casa, e lui, risero con lei. E, finalmente, ogni traccia
dolorosa di quanto accaduto abbandonò la casa e la loro
vita.
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