PROLOGO
[11 anni prima]
-E’
la cosa più giusta da fare. E’ questo
ciò che voglio.-
-Ne sei sicuro?
Dovresti, anzi dovremmo prendercene cura nonostante…-
La frase viene
interrotta bruscamente ed è solo un cenno
d’assenso, alla debole luce del focolare.
“Ma
la mamma dov’è?”, me lo chiedo per
l’ennesima volta.
Papà
mi è passato vicino frettolosamente e quando ho tentato di
allungare le braccia verso di lui, come potesse fermarsi solo per
questo gesto, ho visto la sua schiena sparire dietro
l’angolo. Mio zio mi ha posto una mano sulla testa e mi ha
sorriso, pacato.
-Non devi
preoccuparti Hinata-chan ma soltanto rimanere nella tua cameretta,
d’accordo?-.
E seppure
soltanto una bambina di cinque anni ho annuito, sommessa
perché così sono stata abituata a fare. E i miei
piedi nudi hanno incontrato subito le cigolanti scale per raggiungere
il piano superiore, e le dita hanno stretto forte il corrimano per
evitare di cadere: perché la mia mamma mi ha sempre
raccomandato di stare attenta e di aiutarmi ove fosse possibile.
Odo un
pianto provenire da una delle stanze e mi chiedo cosa
succeda… non è bello piangere. Io mi rannicchio
sempre contro il petto di mamma quando ho bisogno di nascondermi e non
farmi vedere mentre lo faccio. Eppure questo è quasi uno
squittio, come quello del topolino che c’era in giardino
qualche giorno fa. Non è forte ma solo prolungato.
Apro la
porta perché forse è solo la mamma e con lei
posso permettermelo, magari si è nascosta e sta ridendo.
Perché lei non ha mai pianto come me ma sempre e solo
sorriso, con quel modo di fare gentile.
Eppure mi
trovo di fronte agli occhi delle spalle che non sono affatto le sue, e
il volto di una donna che non conosco voltato verso di me, appena.
-Non
dovrebbe essere qui.- asserisce, garbata ma anche tesa.
Non
l’ascolto nemmeno perché a catturare la mia
attenzione non è lei ma il fagotto che tiene tra le braccia
Da cui proviene il suono, QUEL pianto.
Ma certo,
è la mia sorellina! Va tutto bene, sicuramente anche la
mamma sta tornando perché in ospedale io non ci sono potuta
andare e ho dovuto aspettare tutto il tempo con zio Hizashi. Mi
avvicino incuriosita e con una nuova speranza; peccato non abbia gli
occhi aperti, mi piacerebbe tanto vederla meglio e sto per
chiederlo…
-HINATA!-
Sobbalzo
impaurita e anche la piccola creaturina scoppia in un pianto, non
più solo prolungato ma anche acuto e la vedo a malapena
agitarsi tra le braccia di quella donna sconosciuta perché
mi giro di scatto verso mio padre.
-N-non stavo
facendo…- tento invano, allarmata come stessi combinando
chissà quale guaio.
Il suo
sguardo è furente, come non l’ho mai visto.
Nonostante il suo modo brusco nei miei riguardi tutto
quell’orribile risentimento non l’ho mai davvero
intravisto nei suoi occhi, troppo simili ai miei. E’ una
sensazione talmente orribile che fragile come sono, sento le lacrime
appannarmi subito la vista e le manine tremare.
“Ma
la mamma dov’è?!”, il mio
unico desiderio è vederla comparire a circondarmi nei suoi
abbracci protettivi e caldi.
-Papà!
Papà! Non lasciarmi qui, ti prego!-
-V-voglio solo la
mia mamma…”
Non
è più solo un pianto che emerge da un fagotto
rimboccato tra le coperte. Ma è il mio, a volte silenzioso,
a volte stridulo ma pieno, pieno di amarezza.
***
-Papà!
Paaapààà!-
Emette un
lamento, tra il rassegnato e il confuso. Vorrebbe la sua mente non
avesse avuto la prontezza di essere rassegnata, prima di qualunque
altra sensazione. Ma sa a chi appartiene la voce, chi gli sta
schiacciando le costole, premendoci sopra le ginocchia ossute e dunque
perforanti, tirando i capelli come non avessero la capacità
di indolenzirsi.
“Solo
cinque minuti, vi prego. VIPREGO.” lo vorrebbe davvero
chiedere. Davvero. Ma il suo caro figlioletto, il suo uragano personale
di appena cinque anni gli sta docilmente mordendo il naso e questo lo
fa scattare su, come una molla.
-Naruto…-
il suo di timbro, è orribilmente nasale mentre quel piccolo
essere figlio del diavolo sta ancora ben saldato alla punta del suo
povero naso quindi addio ai propositi di voler essere minaccioso. Ma
cosa pretendere da Minato Namikaze, uomo docile e che già
difficilmente si scompone?
Per tutta
risposta il piccoletto dai grandi occhioni azzurri ride, ride in quel
modo tanto spensierato e felice come qualsiasi bambino dovrebbe fare. E
per la gioia del malcapitato padre, lascia anche la presa con
quei dentini da latte tanto aguzzi.
-Lo avete
promesso!- quasi glielo urla nelle orecchie e Minato fa una grossa
fatica a placare il battito del cuore e accordarlo con lo stato
comatoso in cui ancora verte il cervello; come è capace di
sconvolgere le sognanti mattinate di totale ozio, quelle che si
attendono per cinque giorni, dopo ore di estenuante lavoro.
Non apre
bocca ed è una lotta di sguardi mentre allunga il braccio
verso il lato destro del letto: perché Kushina non
è ancora intervenuta? Si starà godendo lo
spettacolo con quegli occhi da cerbiatta e lo sguardo più
che divertito, come suo solito? O starà soltanto trattenendo
l’impulso di stendere loro figlio, la voglia di dormire a
prevalere sul suo senso materno?
Tasta ma il
lenzuolo è freddo, nessun corpo caldo o quantomeno il tepore
rimasto di chi si è alzato solo da qualche minuto.
Non vuole
distogliere gli occhi da quelli del figlio solo perché
desidera averla vinta e se non fosse che un lampo improvviso gli
attraversa il cervello, si imporrebbe di doverlo fare per cercare la
moglie.
Ma
è quel giorno, quel triste giorno che ha sconvolto la vita
di lei, soprattutto e non dovrebbe sorprendersi se la porta del bagno
è chiusa e la sua consorte si è probabilmente
svegliata da molto, molto tempo.
Naruto
riattacca e Minato lo capisce solo perché osserva la sua
bocca muoversi ma non ode nulla della soave voce infantile; gli sembra,
invece, di poter sentire distintamente ogni singhiozzo scuotere le
spalle di Kushina e il rumore delle lacrime che bagnano il tappetino,
cadendo senza sosta.
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