Paris

di Stella cadente
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XL.
Di odio e d’amore
 
 
 
Eymeric
 
 
 
 
L’aria fresca della notte mi sembrò impossibile quando la assaporai di nuovo. Guardai la luna piena che splendeva in quel cielo nero e mi sembrò di sentire la sua luce sulla pelle. Eppure non riuscivo a godermi del tutto quelle sensazioni bellissime.
Erano successe troppe cose.
C’erano stati troppi morti, troppe battaglie. E troppi sentimenti che non avrebbero mai dovuto esserci.
«Andiamo» mi sussurrò Olympe, affiancandomi.
Avevamo seguito Frollo fuori dalle segrete, mentre la donna avanzava molto più velocemente, facendo frusciare lugubre il mantello nero che ricopriva la sua figura magra. Ora eravamo all’aria aperta.
All’aria aperta.
Non mi ricordavo neanche come fosse. Eravamo stati in prigione soltanto due giorni, ma erano sembrati un’eternità.
Poco distante, vidi il carro di cui aveva parlato il Giudice, guidato da un uomo incappucciato.
Allora è vero. Ha veramente deciso di farci fuggire.
Assottigliai gli occhi.
Ma perché?
Mi voltai verso il Ministro, che mi guardava con quei suoi occhi austeri e freddi. Olympe mi fissò, perplessa, poi si allontanò e salì subito sul carro.
«Perché avete preso questa scelta?» chiesi al Giudice, senza paura.
In quei pezzi di ghiaccio gelido passò qualcosa di strano, qualcosa di addolorato e tormentato. Quello sguardo mi ricordò quando mi aveva catturato nei sotterranei di Notre-Dame, mentre mi fissava come a volermi uccidere e abbracciare al tempo stesso.
«Per la stessa ragione per cui non ti ho ucciso quando potevo farlo, gitano» si limitò a rispondere, con un filo di voce. Capii subito che c’era anche altro, ma che, ancora una volta, mai me lo avrebbe rivelato. E quegli occhi mi suggerivano che forse non lo avrebbe rivelato neanche a se stessa.
Quell’atteggiamento mi confondeva. Perché, fino a cinque minuti prima, mi era sembrata il mostro che uccideva la mia gente – che aveva ucciso mia sorella – e adesso era tornata di nuovo quella donna stranamente passionale che era stata alla Corte dei Miracoli?
L’odio mi ribolliva nelle vene, ma anche qualcos’altro – la stessa cosa che non avevo mai saputo definire fino a quel momento.
E d’un tratto, capii, lo capii per davvero.
Ma non poteva essere.
Sentii i miei occhi accendersi, ora che si stava facendo tutto più chiaro. Lei sembrò notarlo, ma non si scompose.
«Volete davvero la mia distruzione? Tutto aveva questo scopo, tutto quanto? Mi odiate davvero, dunque?» perché glielo avevo chiesto?
Sul suo viso bianco come il marmo comparve d’un tratto un’espressione stupita e in qualche modo fragile, terribilmente umana.
«No» sussurrò dolorosamente, come se dirlo fosse una sofferenza quasi fisica. «Ora vai» mi liquidò poi, impedendomi di aggiungere altro.
Le rivolsi un ultimo sguardo – uno sguardo che sembrò durare anni – poi, sotto gli occhi interrogativi di Olympe, salii sul carro e l’uomo incappucciato fece partire i cavalli.
Mentre me ne andavo nella notte, diretto a Colmar, fissai la sagoma di Claudie Frollo finché non divenne solo un puntino lontano, desiderando che tutto l’odio, tutte le rivolte, tutti morti svanissero nel nulla.

 
 

Ho assaporato questo capitolo, mentre lo scrivevo. Ho sentito tutte le emozioni, ho provato quello che provava Eymeric. Ed è stato assurdo. Non ho altro da dire, è stato brevissimo, ma mi ha catturata. Spero che su di voi abbia avuto lo stesso effetto.
Questo, mi duole ammetterlo, è l’ultimo capitolo ragazzi.  Mi riserverò il poema strappalacrime all’epilogo, ma sappiate che non mi sembra vero di aver quasi concluso questa storia. Non so come farò senza Paris, non ho ancora realizzato, davvero.
Comunque sia, come sempre vi ringrazio tutti. Vi ringrazio di avermi accompagnata in questa avventura fino a qui. Siete meravigliosi, ed io non posso fare a meno di ricordarvelo sempre.
Ci vediamo all’epilogo,
Stella cadente





 
“Mentre me ne andavo nella notte, diretto a Colmar, fissai la sagoma di Claudie Frollo finché non divenne solo un puntino lontano, desiderando che tutto l’odio, tutte le rivolte, tutti morti svanissero nel nulla.”
 




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