Questa
storia è nata come OS grazie a un prompt di Relie Diadamat
nella
pagina facebook Il Giardino di
Efp.
I
primi tre capitoli sono da considerarsi come uno solo.
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Trailer
Vieni con Me
a porta di casa
sembra l’unica cosa
che ha davanti.
Sansa corre fuori, fuggendo dalle
grida di Joffrey, dalle sue mani che, con violenza, si sono strette
intorno
alla sua gola. Non riesce più a pensare a lui, non riesce a
capire come possa
essersene innamorata.
Quelle labbra che tanto aveva
desiderato le ricordano tanto i vermi, adesso.
Corre lungo le
scale, corre per
arrivare fuori, sotto il cielo plumbeo, coprendosi il viso con le mani,
mentre lacrime salate le rigano il volto. Percorre il
marciapiede nel viale
alberato,
chiedendosi cosa le farà Joffrey quando riuscirà
a raggiungerla… Quando lo
incontrerà ancora.
Sansa sta
tremando.
È
primavera, eppure lei trema come
una foglia d’autunno, ormai pronta a cadere. Anche Sansa si
sente così… Sa di
essere perduta. Se Joffrey la mandasse via non saprebbe dove andare,
non
avrebbe più un posto, una casa…
Non ha più nessuno nella sua vita.
È
mentre si stringe i fianchi che
l’auto si ferma.
Sansa la
riconosce subito: è la
vecchia ford di un amico di
sua madre.
Sono anni che non lo vede, ne è sicura. I pugni
chiusi corrono ad
asciugare le lacrime; lei spera che Petyr non si accorga del suo stato.
Dipinge un falso sorriso sul volto
prima di cercare il suo viso: è esattamente come lo
ricordava, i lineamenti
taglienti, il sorriso beffardo, quello sguardo che sembra spogliarle
l’anima.
«Sansa»
è il suo esordio dopo aver
abbassato il finestrino, mentre la fissa negli occhi. «Hai
bisogno di un
passaggio?»
Lei abbassa il
mento, come a
rispondere di sì, ma non osa pronunciare
quell’unica sillaba. Sa che salire
comporterà dei problemi con Joffrey, problemi che non ha
nessuna voglia di
affrontare.
«Vieni
con me» dice Petyr, facendole
segno di salire in macchina.
Sansa non sa
perché, ma obbedisce. È
ciò che ha fatto per tutta la vita: obbedire. Sempre e
comunque.
Si sistema sul sedile del passeggero
e tiene la testa china.
Vede la mano di Petyr abbassare il freno a
mano, sente
il motore rombare mentre l’auto comincia a muoversi, ma i
suoi occhi rimangono
inchiodati sui pantaloni di tela bianchi. Li stringe con le dita,
sembra
graffiarli mentre una lacrima torna a solcarle la guancia.
Percorrono poca
strada, una strada
oscurata dalle nubi e dagli alberi folti, quando Petyr si ferma per
accostare.
Sansa sente il cuore a mille in quel
momento.
Cosa succede? Perché si è fermato?
Non sa cosa pensare, non sa cosa aspettarsi da lui. Ma è
Petyr e, anche se lei
sa che è sbagliato, sente nascere un barlume di fiducia.
Volta appena il
capo, cercando i suoi
occhi.
Occhi magnetici,
occhi che la scrutano dietro un velo di desiderio. Sansa riesce a
sentirlo.
Resta immobile a guardarlo, mentre la mano di lui vola verso il suo
viso,
afferrandole il mento.
Sansa pensa che
presto la bacerà,
pensa di non riuscire a divincolarsi.
Finché l’espressione di Petyr non
cambia…
Sente le dita
percorrere la guancia e
socchiude gli occhi: è dove Joffrey l’ha colpita,
poco prima che fuggisse di
casa. Fa male.
E fa ancora più male che Petyr l’abbia
notato.
«Perché?»
chiede soltanto,
percorrendo quel tratto di pelle ricoperto di lividi.
È un
tocco caldo, proprio come il
calore di cui Sansa sente la mancanza. È lieve, delicato,
come una musica
suadente.
Sansa frena un singhiozzo, non vuole
piangere davanti a lui, ma sente che sta per accadere. Scuote la testa,
come a
dire che il motivo non c’è, che Joffrey lo fa per
puro gusto di picchiarla.
Lo vede avvicinarsi tanto da
sfiorarla. Sente le sue labbra sulla guancia, mentre soffia quelle
ultime,
intriganti, parole.
«Non
tornerai più in quella casa.»
È
sulle sue labbra che termina.
«Penserò
io a te…»
E Sansa resta immobile, pensando che
forse, ormai, Joffrey è solo un lontano ricordo.