Anche se in ritardo, rieccomi!
Come promesso riposto una
vecchia storia mai completata, seguito di un’altra.
L’altra in questione è
“Presenze” che troverete nel nickname di Adelhait, bloccato per un
errore (mio). Per comprendere questa dovete leggere appunto la prima
parte che, troverete qui:
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=334995
Che dire? Ah! Buona Lettura.
The
awakening of the soul lost
1°
Presentiment
“Trecento.
Trecentouno. Trecentodue”.
Contavo, mentre cercavo di
assopirmi, ma non ci riuscivo. Vana illusione.
Erano giorni che andava
così. Chiudevo gli occhi, ma dopo qualche secondo li riaprivo. Forse
ancora ripensavo al passato?
Suppongo di sì. Eppure erano
trascorsi tre anni d’allora, quando abbandonai quel luogo.
Il duplex di Kagura.
“No,
basta! Non devo più pensare a lei…e al mio vecchio appartamento. Basta
ricordare il passato!”.
Già, dovevo smetterla…ma
ahimè, il passato torna sempre sull’uscio della tua vita e prima o poi
devi di nuovo affrontare i tuoi vecchi nemici.
Socchiusi gli occhi e
sospirai, cercando di addormentarmi. Una piccola brezza che spirava dal
balcone, dischiuso, mi cullava. Sorrisi, mentre il venticello mi
accarezzava il viso e le braccia scoperte. Riaprii gli occhi e guardai
verso il balcone. La candida tenda ballava dolcemente. La stanza
lentamente si illuminava…era l’alba.
Voltai il capo verso il
comodino e guardai la sveglia.
“Sono le
sei e dieci minuti, è ancora presto…ma non posso più stare coricata”.
Feci leva con i gomiti e mi
misi seduta. Feci piano non volevo svegliarlo, non ancora.
Poggiai le punta dei piedi
sul soffice tappeto, intanto delle ciocche di capelli caddero davanti
al mio viso. Con la mano destra le feci scivolare indietro.
“Sveglia”.
Sobbalzai lievemente, piegai
il capo verso destra e sbuffai.
“Diciamo
di sì”.
Sentii un fruscio di
lenzuola che si muovevano, il letto traballò un po’.
“Non hai
dormito”.
La sua voce calda soffiò al
mio orecchio sinistro. Sentii una scossa salire lungo la schiena, mi
faceva sempre questo effetto ogni volta che mi parlava così. Beh,
ancora tutt’ora mi succede.
Annuii, sorridendo
lievemente.
D’un tratto sentii il letto
traballare di più. Voltai il capo e lo vidi in piedi di spalle, i suoi
lunghi capelli d’argento scivolarono sulla nuda schiena. Arrossii
lievemente, mentre l’osservavo. Quella visione mi fece battere veloce
il cuore. Quante volte l’avevo vista? Tante, ma ancora mi faceva
quell’effetto.
“Scusa,
ma non riesco…”.
“Ancora
pensi al passato?”.
Una domanda netta. Fredda,
ma infondo veritiera. Sì, inconsciamente pensavo a quei giorni bui.
Sospirai.
“No”.
Mentii. Lui lo capii, ma non
disse nulla si limitò ad entrare in bagno. Scesi dal letto e mi diressi
verso lo specchio lungo, posto accanto al balcone. Mi specchiai.
Ero cambiata. I lunghi
capelli d’ebano erano molto più corti, il mio corpo era mutato. Feci
scivolare la mano destra sul ventre e sorrisi.
“Ancora
tre mesi e ti vedrò”.
Mi dissi, mentre le dita
picchiettavano sulla pancia gonfia. Fissavo il dolce frutto, quando
scostai lo sguardo su un’altra immagine. Su di lui che mi fissava
sull’uscio del bagno. Ridacchiai, mentre dicevo.
“Tuo
fratello dice che sembro una mongolfiera”.
Storsi un po’ il naso,
mentre pensavo alle parole di Inu Yasha, dette con dolce scherno. Poi
ripensai ai pugni in testa di sua moglie, Kagome, mentre lo riprendeva.
Due bambini. Questi momenti
felici illuminavano la mia vita e mi facevano dimenticare, quel triste
periodo.
Però di quel periodo era
rimasto qualcosa d’indelebile.
Spostai di nuovo lo sguardo
e fissai la fronte. Scostai con le dita alcune ciocche e svelai una
vecchia cicatrice.
Feci scorre il dito indice
sulla striscia rosa scuro. Un lampo. Uno squarcio nell’anima.
Una donna nera.
Occhi rubino.
Dolore antico.
Mi morsi le labbra, mentre
un brivido freddo mi percorse lungo la schiena.
“No, il passato non si dimentica mai”.
Mi dissi mentalmente. D’un
tratto sobbalzai. Sentii delle mani sulle spalle. Aprii gli occhi di
scatto, e vidi lui.
Sesshoumaru, dietro di me.
Mi fissava, aveva capivo ciò che pensavo. Infatti, mi guardava severo.
“Non
temere, sto bene...è stato un attimo…uno stupido attimo, ti prometto
che non penserò più a lei”.
Sospirai, mentre mi giravo e
lo abbracciavo. Lui si limitò ad accarezzarmi il capo.
Un gesto che mi rassicurava.
Si staccò da me, era tempo di prepararsi per il lavoro. Io uscii dalla
stanza e mi diressi verso la cucina.
“Un buon
caffè aiuta sempre”.
Mi dissi, mentre versavo il
liquido nero fumante nella candida tazzina. Poggiai le labbra e lo feci
scivolare in gola.
“Dovresti
evitare di bere il caffè, sai a cosa mi riferisco”.
Sesshoumaru mi riprese. Sì,
non era buono per me e la piccola…ma senza quel liquido nero non
riuscivo a vivere.
“Lo so,
cercherò di limitarlo solo al mattino e al dopo pranzo”.
“Speriamo”.
Disse, mentre osservava
alcune carte nella ventiquattrore. Mi poggiai alla mensola e restai a
fissarlo, quando gli chiesi.
“C’è tanto lavoro in ufficio?”.
Lui non disse nulla, ma
capii che il lavoro in quel periodo era tanto. Mi voltai e poggiai la
tazzina sulla mensola e con sfrontatezza dissi.
“Oggi
vengo e riprendo il mio posto in ufficio”.
Mi voltai sorridendo. Volevo
ritornare in ufficio, erano mesi che stavo a casa…da quando avevo
scoperto di essere incinta.
Già, la mia non era di certo
una gravidanza facile, ma rimanere chiusa in quattro mura non era
bello. Mi annoiavo.
“Allora
che ne pensi?”.
Lui assottigliò lo sguardo.
Quella frase non gli piacque.
“No,
discorso chiuso”.
Soffiò. Si voltò e uscì
dalla cucina. Io gli andai dietro, come una bimba capricciosa.
“Dai che
ti costa, non darò fastidio. Faccio qualche ora e poi ritorno a casa…ti
prometto che non mi strapazzerò, lo giuro”.
Lui si fermò sull’uscio, si
voltò verso di me.
“No, e sai bene che non adoro ripetermi.
Quindi il discorso è chiuso”.
Ed uscì, lasciandomi
insoddisfatta. Sbuffai e tornai in camera da letto. Mi vestii e mi
preparai ad uscire.
No, non volevo rimanere a
casa. Mi truccai, ma la cicatrice non voleva nascondersi quel giorno
sotto il fondotinta.
Era forse un presagio?
Sbuffai, e aggiustai ben,
bene la frangia affinché la nascondesse…ma niente.
Sbuffai ancora più irritata.
“Va bene! Ti lascio così!”.
Afferrai la borsa, le chiavi
della macchina e uscii di casa, ma mai avrei creduto che quel giorno le
ombre del passato sarebbero riapparse.
Che tutto sarebbe
precipitato…
Continua…
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