Nuova
fanfiction, che spezzi in
due perché è bella lunga. Per quanto riguarda
Arendelle e Il re leone, i lavori
sono in corso. Per leggere questa fanfiction, conviene aver letto la
precedente: l’emozione di un’emozione.
Ringrazio Padme83 per avermi ispirato.
Il
suo nome era Riley e all'età
di 34 anni, a seguito di un bruttissimo fallo, aveva subito la rottura
del
crociato destro, chiudendo così la sua quindicennale
carriera nell'hockey
professionistico.
Gli
avevano detto che era troppo
vecchia per continuare a giocare e le avevano consiglio il ritiro,
offrendole
anche un ruolo importante nella gestione della società, ma
testarda, come era,
aveva continuato, concludendo così la sua carriera in
barella. (Per la cronaca,
quella partita fu poi persa dalla sua squadra per un sudden death)
Essendo
stata però una delle
migliori giocatrici della sua squadra, con un palmares da record, la
presero,
prima come preparatrice atletica e poi come allenatrice.
Anche
come allenatrice riuscì a
farsi valere, portando la sua squadra a vincere per ben sei volte il
campionato
e tre la coppa nazionale.
Si
era nel frattempo sposata con
il compagno di una vita, un avvocato dell’upper east side, e
aveva avuto tre
figli.
Ma
questa non è la sua storia, è
la storia delle sue emozioni, che nel momento più difficile
di Riley,
affrontarono una terribile minaccia.
Tutto
incominciò una mattina di
un autunno piuttosto rigido, all'epoca in cui Riley aveva 37 anni e la
vecchia
ferita faceva ancora troppo male.
Come
ogni mattina, appoggiata
alla sua stampella, si dirigeva nel vecchio centro sportivo per
preparare le
nuove giocatrici e selezionare quali suggerire per il passaggio in
prima
squadra, di cui, due anni dopo, sarebbe diventata l'allenatrice.
Quella mattina, per uno
strano scherzo del
destino, la strada, che normalmente percorreva, era chiusa per lavori
di
manutenzione e fu quindi costretta a deviare per un'altra via.
Camminando
per quella via
alternativa, fini per passare di fronte alla vetrina di un negozio, che
esponeva in saldo una sensuale camicia da notte in pizzo e seta.
Subito
Eros, che ormai si era
integrata con le altre emozioni, si avvicinò alla consolle
per inviare il
messaggio di acquistare il prodotto.
Ma la consolle non rispose
ai suoi comandi,
rimase inerte ed Eros vide Riley passare indifferente davanti alla
vetrina.
Eros sapeva bene che Riley
era un maschiaccio,
ma non per questo si era fatta mancare, nel tempo, alcuni acquisti
osé; ora era
diverso, qualcosa era cambiato.
A
quel punto Eros si ritirò
sconfortata nel suo angolo, cercando consolazione fra le braccia del
suo
compagno.
"Che c'è,
giuggiola?" Chiese lui,
baciandola delicatamente sulla fronte.
"Niente." Rispose lei:
“Va tutto bene,
mattoncino mio"
Aveva
detto così a Rabbia, più
per convincere sé stessa della cosa, che non il compagno.
Intervenne a quel punto
Gioia, che si era
accorta di come l'atmosfera si era fatta pesante, dicendo:" Forza
ragazzi,
animo! Lo so che da quando Riley ha avuto l'incidente il nostro lavoro
è
calato..." "Tragicamente." Intervenne Tristezza, che se ne stava
appollaiata su di una poltrona della sala controllo, come un uccello
del
malaugurio; salvo poi piombare in cupo silenzio.
Gioia
ignorò la lamentazione e
continuò: “Notevolmente, ma il nostro compito
è essere qui per Riley e
garantirle un set completo di emozioni. Forza ragazzi."
Poi
si ritirò nel suo angolo in
cerca di Disgusto, che, fra le emozioni, era quella che più
soffriva per
quell'inedia.
Gioia
si avvicinò e le fece il
solletico, ma Disgusto si scostò sgarbata, borbottando:"
Gioia, smettila.
Non mi fa voglia."
Gioia
smise di farle il
solletico, ma cominciò a riempirle di piccoli baci il collo,
al punto che
Disgusto si arrese.
"Hai vinto. Hai vinto."
Disse
l'emozione verde, per poi afferrare Gioia e baciarla con trasporto.
Erano
bei momenti quelli, in cui
le due emozioni trovavano, nella loro passione, una via di fuga
dall'inedia.
Anche
Tristezza era peggiorata,
interveniva sempre più di rado o si chiudeva in un tetro
silenzio, che solo
Paura riusciva a rompere.
E
così fece anche quel giorno.
"Che
c'è?" Chiese Paura
alla sua dolce metà: “Hai qualche
problema?”
"Nessuno."
Rispose con
un mugugno Tristezza.
"Sicuro?" Chiese Paura, che
conosceva le emozioni della sua emozione.
"Ho paura" Rispose, con una
lacrima
che, furtiva, scivolava lungo il viso:" Ho paura, perché non
so che cosa
ne sarà di noi."
Paura la attirò a
sé, la bacio e le asciugò le
lacrime dicendo:" Stai aspettando un treno, un treno che ti
porterà
lontano. Sai dove speri questo treno ti porti, ma non puoi averne la
certezza. Però
non ha importanza, perché?"
Tristezza sorrise e rispose:
“Perché staremo
insieme."
Era così sempre,
dall'incidente l'emozioni
passavano i momenti morti consolandosi a vicenda ed ora che i tempi
morti
aumentavano, diventava sempre più difficile.
Solo due anni dopo, quando
Riley divenne
allenatrice, le cose migliorarono, ma non per tutti.
Come si era detto, in quel
mattino del
trentasettesimo anno di vita di Riley, le emozioni subirono una svolta
che
cambiò un po' tutto.
Infatti, mentre l'emozioni
si stavano
coccolando a vicenda, cercando di passare quel momento di magra, la
consolle
avvertì che l'indomani sarebbero arrivati gli operatori
della mente.
Cosa poteva dire
quell'avviso, perché solo in
momenti di profondo cambiamento, era ammessa agli operatori della mente
di
entrare nella consolle.
Una nuova emozione era da
escludere, ormai
Riley era troppo vecchia, ma allora cos'era?
Forse era il cambio di
consolle, in fondo ce
ne erano state altre prima e ce ne sarebbero state altre in futuro. Ma
non era
quello, era qualcosa che avrebbe portato un forte cambiamento.
Intanto, anche quella
giornata stava volgendo
al termine e Riley, dopo una lunga faticosa giornata dietro a delle
ragazzine,
era tornata a casa stanca, dove non c’era nessuno ad
attenderla, anche i figli
sarebbero venuti un anno dopo con l’adozione.
Suo
marito arrivò due ore dopo di
lei e, nonostante fosse anche lui stanco per le lunghe ore in
tribunale, si
avvicinò a Riley, che dormiva sul divano, e le dette un
bacio.
Nonostante
i morbidi ricci
avessero ceduto il passo a una incipiente stempiatura,
l’avvocato rimaneva lo
stesso ragazzino dal carattere schietto e gioviale, di cui Riley si era
innamorata e questo Eros lo sapeva.
L’emozione
fu felice quando vide
la scena della coppietta che si scambiava le coccole e decise, mentre
le altre
dormivano, di fare un ultimo tentativo: si avvicinò alla
consolle e prese a
premere dei tasti per alzare il livello della passione.
Fatica
sprecata, premi e ripremi,
ma niente, la consolle non aveva alcuna intenzione di funzionare, ma
poi
accadde, si, per la gioia di Eros, la consolle rispose ai suoi comandi.
Fu
un attimo, però, perché
improvvisamente la consolle iniziò a scintillare, per poi
spegnersi
definitivamente: che cosa era successo?
Era
successo che nell’alzarsi dal
divano, Riley aveva appoggiato la gamba destra e il dolore si era
esteso fino
ad arrivare al cervello, mandando in corto la consolle e riportando
Riley alla
sua realtà, ovvero alla realtà che la sua
depressione aveva costruito.
Riley
l’inutile, la testarda
Riley, Riley la storpia, quella che fa solo pena, che la si tiene in
squadra
solo perché fa pietà, che la si ama
perché è una povera disperata.
Cosi
Riley, chiusa in sé stessa,
allontanò il marito e si avviò in cucina a
prendere degli antidolorifici.
Nella
testa del marito, Eros
stava bestemmiando.” Ma che c…o fanno di
là.” “Quanto vorrei entrare in quella
testaccia e dare una bella lezione a quegli incompetenti.”
Fece eco Rabbia.
A
quel punto, però, intervenne
Paura:” Temo che non sia un problema di emozioni.”
“E
cosa allora?” Gridò Ansia:”
Cosa?”
“Calmati.
Dobbiamo ponderare.
Dobbiamo comprendere la cagione di questo malessere.”
Intervenne Eloquenza:” Si
deve attentamente valutare ogni possibilità, ogni possibile
variazione per
giungere, infine, ad un giudizio completo. Si
deve…”
Ma
non finì di parlare che Rabbia
gli era saltato contro per malmenarlo.
“BASTA.”
Urlò allora Paura:”
ORDINE. ORDINE. TUTTI AI LORO POSTI.”
Tutte
l’emozioni si mossero come
un sol uomo e si prepararono a studiare la prossima mossa per
riconquistare uno
spazio di vita con Riley; ma ciò che videro li fece
arrendere: Riley stava
seduta, giocherellando con la sua stampella, con lo sguardo spento e
fisso nel
vuoto.
“Buonanotte.”
Disse allora il
marito, ritirandosi sconfortato a dormire.
“Notte.”
Rispose Riley in maniera
automatica, per ritornare sul divano, non aveva voluto il saliscendi,
né che la
camera da letto fosse spostata al piano di sotto: era inutile rendersi
ancora
più ingombrante, di quanto non si sentisse già.
Dormì
male, come sempre, un sonno
pesante e senza sogni, un sonno per nulla ristoratore e quando si
sveglio, si
calò altre due pasticche di antidolorifici: stava diventando
una dipendenza.
Intanto,
nella sua testa, si
stava consumando la tragedia: gli operatori erano arrivati e ed erano
venuti
per portarsi via Eros.
“In
base alla direttiva 9-0-4,
sezione 15, paragrafo…” Disse il primo, quello
basso con gli occhiali.
“6”
Continuò il secondo, quello
alto e magro.
“Si,6.”
Riprese il corto:”
L’emozione che non sia più necessaria deve essere
riportata nel Subconscio e di
lì, sradicata”
“Cosa?”
Gridarono in coro le
altre emozioni.
“Aiutami.
Rabbia, aiutami.” Gridò
in lacrime Eros, mentre la portavano via.
Pronto
e fiammante, Rabbia si
scagliò contro i due operatori, ma il più alto
dei due estrasse un bastone
stordente e lo folgorò, stramazzandolo al suolo.
“Stia
fermo lì.” Disse quello più
corto:” Che è meglio!”
Quando
si riprese, Eros non c’era
più e lui si ritirò in un angolo, ma prima
disse:” Me l’hanno portata via. E
voi, voi non avete fatto niente.”
“Ha
ragione.” Disse Disgusto:”
Gioia, perché hai permesso che la portassero via.”
Gioia
non sapeva che rispondere e
se ne uscì con una risposta completamente
sbagliata:” Bisogna rispettare le
regole”, ma sembra più un borbottio sommesso.
“Le
regole.” Sbottò Disgusto:” Mi
fai schifo, schifo. Non dovevamo pensare a Riley, al suo benessere. E
guarda
ora: ci ritroviamo una depressa farmaco-dipendente e su Rabbia, ci
possiamo
metterci una pietra sopra.”
Poi
fece il gesto di mollarle uno
schiaffo, ma invece se ne andò, in lacrime, nel suo angolo.
“Che
amarezza.” Disse Tristezza
Intanto,
nel mondo esterno, anche
Riley e suo marito stavano litigando per via della dipendenza di Riley
dagli
antidolorifici.
“Perché
me li hai buttati?” Stava
gridando:” Ho bisogno di quei farmaci.”
“No,
non ne hai bisogno, Riley.”
Rispose suo marito:” Smettila. Lo so che fa male, ma sono tre
anni che ti
imbottisci di antidolorifici e, non mentirmi che lo so, sono due mesi
che non
fai più fisioterapia riabilitativa.”
“Questo
che c’entra.” Reclamò
imbronciata Riley:” Non mi serve, mi servono i miei
farmaci.”
“E
a me, serve
la mia Riley.” Controbatté:”
Dov’è andata?”
“Su
un campo
da hockey, tre anni fa.” Mugugnò Riley.
Ma
suo marito
non si lasciò scoraggiare e la abbraccio, riempendole il
collo di baci.
“Ti
amo,
giuggiola.”
“Anche
io.”
Rispose lei, rispondendo ai baci.
Le
emozioni,
tranne Rabbia e Disgusto, guardavano la coppia ricomporsi di nuovo, ma
anche
questa volta la cosa durò poco, perché di nuovo
Riley si staccò, prese la
stampella e disse al marito:” Esco, ho voglia di riflettere e
stare un po' da
sola.”
“Promettimi
che tornerai a fare fisioterapia.” Le disse il marito, ma non
ricevette
risposta.
“Se
solo ci
fosse stata Eros.” Mormorò Gioia.
E
come sempre
fu Tristezza che ebbe la soluzione al problema e si avvicinò
quindi a Gioia.
“Sai,
a volte,
rompere le regole non è sbagliato.”
Disse:” Purché ci sia una giusta causa e in
questo caso…”
“Che
vuoi
dire?” Chiese Gioia fra il sorpreso e il curioso.
“Semplicemente
che tu, dico tu, potresti andare a fare pace con Disgusto e io
trasgredisco le
regole.” Rispose, con un sorriso complice:”
D’altronde tu sei una brava e ligia
emozione, quindi…può accadere che, mentre tu ti
distragga, altre emozioni
rompano le “regole”
Gioia
capì al
volo e si diresse nell’angolo suo e di Disgusto, per cercare
di parlare con la
sua amata emozione.
“Che
fai?”
Chiese con tono allegrò.
“Me
ne torno
al mio angolo.” Rispose Disgusto:” E non pensare di
fermarmi.” E, detto ciò,
afferrò le sue cose e le mise in un borsone.
“Io.”
Disse
Gioia:” Non so che dire.”
“Strano.”
Rispose sarcastica Disgusto:” Eppure, non sei tu quella che
ha sempre la
risposta pronta.”
Gioia:”
Non
c’è motivo di ragionare allora.
Vattene.” Rispose:” E VATTENE, veloce.”
Disgusto
le
lanciò uno sguardo in tralice e poi rispose:” Ho
sbagliato a fidarmi di te, ti
credo migliore.”
“Cosa
volevi.”
Gridò Gioia, concludendo:” Non poteva
funzionare.”
“Che
scusa di
merda.” Disse Disgusto, infilando le ultime cose e
avviandosi, poi, verso l’ingresso.
Gioia
non
sapeva più che cosa dire, ma poi lasciò perdere
la ragione e fece parlare il
cuore:” È vero, non poteva funzionare, ma ci
abbiamo provato, almeno.”
“Non
è servito
a molto.” Disse a mezza bocca Disgusto:” Comunque
è finita, no?”
Poi
ci fu un
silenzio imbarazzante in cui le due emozioni si guardarono di nuovo
negli
occhi.
“Fai
qualcosa,
ti prego trattienimi. Non mandarmi via, non voglio.” Pensava
Disgusto,
trattenendo a stento le lacrime.
“Fai
qualcosa,
ti prego trattieniti. Non andare via, non voglio.” Pensava
Gioia, trattenendo a
stento le lacrime.
Ma
nessuna
delle due, sembra voler fare niente, era l’altra che aveva
torto e che quindi
dove darsi una mossa.
Fu
Gioia, che
ingoiando l’orgoglio, gridò:” LASCIA
ANDARE QUEL BORSONE” Poi l’attirò a
sé e
la baciò.
Ma
Disgusto si
staccò e le dette uno schiaffo:” Ti odio, ti odio.
Come fai a farti amare”
Gioia
capì
quello che l’emozione voleva dire e disse:” Cosa
posso fare per farmi
perdonare?”
“Indovina?”
Disse lei, spingendo Gioia su letto, che sorrise: aveva fatto pace con
la sua
Disgusto e aveva guadagnato tempo per il piano di Tristezza.
“Non
litighiamo più:” Disse Disgusto.
Gioia
rispose
fra un bacio e l’altro: “Perché no?
È così divertente poi fare pace.”
“Purché
non
sia una cosa seria.” Concluse Disgusto.
Nel
frattempo
Tristezza aveva raggiunto Paura.
“Nervetto,
caro.” Disse, dandogli un bacio
“Ho
paura che
ci sia una richiesta:” Mormorò Paura.
"Stai
aspettando un treno, un treno che ti porterà lontano. Sai
dove speri questo
treno ti porti, ma non puoi averne la certezza. Però non ha
importanza,
perché?" Continuò Tristezza.
“Perché
staremo insieme.” Rispose Paura.
“Vedi,
noi si
e Rabbia?” Chiese Tristezza.
“Ho
capito.”
Disse Paura:” Fado a farmi malmenare.”
“Ho
un’idea
migliore.”
“E
quale?”
“Andate
a
riprenderla”
“Io
e Rabbia.”
---“Ma che razza di idea.”
Poi
vide
l’espressione di Tristezza arrabbiata e concluse:”
Ma che razza di idea geniale
che hai avuto.”
Quindi
si
diresse verso l’angolo di Rabbia, pronto a tutto, ma non
successe nulla.
Rabbia
era
come inebetito e non reagiva.
Paura
allora, senza
mezzi termini, arrivò al punto:” Dobbiamo andare a
riprenderci Eros.”
Fu
come una
scintilla gettata sulla cenere e Rabbia scattò come una
molla, tutto
infiammato.
“E
allora
facciamolo.” Ruggì come un leone.
All’ingresso
del accesso per gli operatori, c’era Tristezza ad aspettarli;
lei si tolse gli
occhiali e svitò la stanga sinistra, tirando fuori, poi, una
piccola stecca di
ferro, con cui cominciò a manomettere la serratura, ma,
stranamente, la
serratura era già stata manomessa.
“Non
devo
averla chiusa l’ultima volta.” Disse Tristezza
“Comunque, ricordatevi, partite
in due e dove tornare in tre.” Disse Tristezza, dando poi un
bacio al suo
amore.
E
giù verso
l’avventura, anche se l’atterraggio non fu dei
più morbidi
“Dove
siamo?”
Chiese Rabbia.
“Nella
Memoria
a Lungo Termine.” Rispose Paura, tirando fuori la mappa che
aveva avuto da
Tristezza.
“Terzo
settore
a sinistra, quarto a destra, venti passi e poi settimo
settore.” Concluse, ma
Rabbia era sparito, diretto verso alcuni operatori della mente.
“Panico.”
Strillò e si lanciò verso Rabbia, incurante se
poi lo avesse picchiato.
“Non
si
picchiano gli operatori.” Disse buttandolo in un angolo
cieco: “Picchia me, ma
non loro. Siamo in incognito per recuperare Eros e non per
vendetta.”
E
mentre
Rabbia meditava se picchiarlo o abbracciarlo per l’enorme
coraggio, dal nulla
uscì una palla di pelo rosa che chiese con due occhioni
azzurri spalancati:”
Anche voi siete emozioni fuggiasche. Signori.”
FINE PRIMO TEMPO
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