sotto
l'albero bianco
nomi dei
personaggi:
Kore/Persefone
è Cora.
Ade è Adelio (diminutivo: Ade).
Leuce è Bianca (Significato
in italiano del nome greco).
Atena è Ana (Il nome
originale della dea secondo alcuni studiosi).
Artemide
è Diana (Nome
romano della dea).
Ciane è Celeste (Il "ciano"
è una delle sfumature del celeste).
Zeus è Divo (Dal genitivo
greco "Dios").
Poseidone
è Filippo
(Dall'attributo Hippios, signore dei cavalli).
Era è Eva
(Per assonanza e per ruolo).
Menezio è
Ezio.
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Titolo: Terremoti e
narcisi gialli
Prompt: Non c'è
nessun posto come la propria casa.
Il giorno in cui
la Sicilia le trema sotto i piedi è anche il giorno in cui
Ade la rapisce.
Un giorno di fine
estate, iniziato con la solita asfissiante calura di agosto, che secca
anche il
cervello nel cranio. Cora si rigira sul materasso, le lenzuola
aggrovigliate
alle caviglie, con un braccio di Diana a pesarle sulla pancia e i
capelli di
Ana che le sfiorano le guance.
L'ombra di un
sogno le prude dietro le palpebre incollate ma lo stropiccia via,
decidendosi a
districarsi dal groviglio di arti per mettersi a sedere sul bordo del
letto. La
prima scossa la coglie distratta a osservare il viso scomposto di
Diana, la
bocca ridicolmente spalancata nel sonno; non è abbastanza
forte da
spaverntarla, ma sua madre arriva di corsa dalla cucina, la camicia
abbottonata
per metà e un sottile velo di panico negli occhi.
Le ore scorrono
tranquille, tuttavia, in quella pacata piattezza di cui la
rassegnazione ha
tinto le sue giornate. Si alzano, allegre tutto sommato, pronte a
lanciarsi
fuori dalla porta di casa e per godersi gli ultimi giorni di
libertà prima
della sessione autunnale.
Il sole è
già alto
di primo mattino, a picco su di loro come penzolasse da un precipizio.
L'aria è
tanto secca da accendere piccoli fuochi sulla pelle umida, e la terra
freme
sotto di loro come il corpo di un gatto mentre fa le fusa. Il vulcano
è
irrequieto e Cora con lui.
Sorride alle
sorelle, però, imboccando il sentiero che le porta al
piccolo campo vicino casa,
dove la vecchia altalena e lo scivolo mutilato e coperto di graffiti le
attendono come vecchi amici. L'erba sotto le suole delle scarpe ha la
consistenza della paglia e scricchiola a ogni passo.
Sulla terra morta,
il mazzo di narcisi spicca come un livido ingiallito su una pelle
cerea.
Abbandonato alla base di un ulivo contorto, Cora è la sola a
notarlo – sono
quattro, cinque fiori legati assieme con un un nastro bianco. Si volta
per
chiamare le altre, ma le trova distratte dall'arrivo di Celeste, i
capelli neri
una nuvola accaldata sul viso olivastro.
Si volta per
raggiungerle ma le gambe, la curiosità, la guidano verso
un'altra direzione –
verso le corolle abbandonate. Si china, i calzoncini che tirano sulle
cosce,
indugiando ad allungare una mano, la testa che già galoppa
verso oziosi scenari
che giustifichino la loro presenza in quel parco dimenticato da Dio
– quando un
sibilo attira la sua attenzione, come un soffio di serpente.
Si sporge per dare
un'occhiata dietro al tronco e il suo sguardo incontra una calzatura di
cuoio
impolverato, completamente fuori posto sull'erba appassita. Dopo un
attimo di
stasi, solleva la testa, così veloce da farsi scrocchiare il
collo.
Si alza,
leccandosi le labbra.
“Non ho
portato il
casco,” le riesce di dire, la fronte corrugata e la gola
contratta, bloccata da
un macigno invisibile.
“Ne ho uno
di
scorta,” replica Ade, che si stringe il proprio sottobraccio,
e solo adesso
Cora ricorda che l'altro non glielo ha mai rispedito.
Il latrare festoso
di Cerbero è un benvenuto più accogliente di
qualunque coro angelico.
Il mastino si
lancia contro di lei, facendola vacillare e battere il sedere a terra,
la
lingua che corre subito al suo viso. Sulla guancia, la carne bagnata e
granulosa ha il tocco di casa. Fa caso appena ai
rimproveri di Ade, che
costringe la bestia a lasciarla respirare; si sdraia sul pavimento,
fissando il
soffitto a cassettoni, e deve sembrargli pazza, allungata sulle sue
mattonelle
nel bel mezzo del suo ingresso, ma non le interessa.
Ade non commenta,
ma le è accanto in un attimo sul cotto immacolato, a una
certa distanza, come
se ancora si potesse tornare indietro. Cora allunga un braccio per
colmare
quello spazio. Chiude gli occhi mentre le loro dita si intrecciano.
Non c'è
nessun
posto come la propria casa.
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