Sotto l'albero bianco

di theuncommonreader
(/viewuser.php?uid=875471)

Disclaimer: questo testo è proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.





sotto l'albero bianco










nomi dei personaggi:


Kore/Persefone è Cora.
Ade è Adelio (diminutivo: Ade).
Leuce è Bianca (Significato in italiano del nome greco).
Atena è Ana (Il nome originale della dea secondo alcuni studiosi).
Artemide è Diana (Nome romano della dea).
Ciane è Celeste (Il "ciano" è una delle sfumature del celeste).
Zeus è Divo (Dal genitivo greco "Dios").
Poseidone è Filippo (Dall'attributo Hippios, signore dei cavalli).
Era è Eva (Per assonanza e per ruolo).
Menezio è Ezio.


Titolo: Terremoti e narcisi gialli

Prompt: Non c'è nessun posto come la propria casa.

 

Il giorno in cui la Sicilia le trema sotto i piedi è anche il giorno in cui Ade la rapisce.

Un giorno di fine estate, iniziato con la solita asfissiante calura di agosto, che secca anche il cervello nel cranio. Cora si rigira sul materasso, le lenzuola aggrovigliate alle caviglie, con un braccio di Diana a pesarle sulla pancia e i capelli di Ana che le sfiorano le guance.

L'ombra di un sogno le prude dietro le palpebre incollate ma lo stropiccia via, decidendosi a districarsi dal groviglio di arti per mettersi a sedere sul bordo del letto. La prima scossa la coglie distratta a osservare il viso scomposto di Diana, la bocca ridicolmente spalancata nel sonno; non è abbastanza forte da spaverntarla, ma sua madre arriva di corsa dalla cucina, la camicia abbottonata per metà e un sottile velo di panico negli occhi.

Le ore scorrono tranquille, tuttavia, in quella pacata piattezza di cui la rassegnazione ha tinto le sue giornate. Si alzano, allegre tutto sommato, pronte a lanciarsi fuori dalla porta di casa e per godersi gli ultimi giorni di libertà prima della sessione autunnale.

Il sole è già alto di primo mattino, a picco su di loro come penzolasse da un precipizio. L'aria è tanto secca da accendere piccoli fuochi sulla pelle umida, e la terra freme sotto di loro come il corpo di un gatto mentre fa le fusa. Il vulcano è irrequieto e Cora con lui.

Sorride alle sorelle, però, imboccando il sentiero che le porta al piccolo campo vicino casa, dove la vecchia altalena e lo scivolo mutilato e coperto di graffiti le attendono come vecchi amici. L'erba sotto le suole delle scarpe ha la consistenza della paglia e scricchiola a ogni passo.

Sulla terra morta, il mazzo di narcisi spicca come un livido ingiallito su una pelle cerea. Abbandonato alla base di un ulivo contorto, Cora è la sola a notarlo – sono quattro, cinque fiori legati assieme con un un nastro bianco. Si volta per chiamare le altre, ma le trova distratte dall'arrivo di Celeste, i capelli neri una nuvola accaldata sul viso olivastro.

Si volta per raggiungerle ma le gambe, la curiosità, la guidano verso un'altra direzione – verso le corolle abbandonate. Si china, i calzoncini che tirano sulle cosce, indugiando ad allungare una mano, la testa che già galoppa verso oziosi scenari che giustifichino la loro presenza in quel parco dimenticato da Dio – quando un sibilo attira la sua attenzione, come un soffio di serpente.

Si sporge per dare un'occhiata dietro al tronco e il suo sguardo incontra una calzatura di cuoio impolverato, completamente fuori posto sull'erba appassita. Dopo un attimo di stasi, solleva la testa, così veloce da farsi scrocchiare il collo.

Si alza, leccandosi le labbra.

“Non ho portato il casco,” le riesce di dire, la fronte corrugata e la gola contratta, bloccata da un macigno invisibile.

“Ne ho uno di scorta,” replica Ade, che si stringe il proprio sottobraccio, e solo adesso Cora ricorda che l'altro non glielo ha mai rispedito.

 

Il latrare festoso di Cerbero è un benvenuto più accogliente di qualunque coro angelico.

Il mastino si lancia contro di lei, facendola vacillare e battere il sedere a terra, la lingua che corre subito al suo viso. Sulla guancia, la carne bagnata e granulosa ha il tocco di casa. Fa caso appena ai rimproveri di Ade, che costringe la bestia a lasciarla respirare; si sdraia sul pavimento, fissando il soffitto a cassettoni, e deve sembrargli pazza, allungata sulle sue mattonelle nel bel mezzo del suo ingresso, ma non le interessa.

Ade non commenta, ma le è accanto in un attimo sul cotto immacolato, a una certa distanza, come se ancora si potesse tornare indietro. Cora allunga un braccio per colmare quello spazio. Chiude gli occhi mentre le loro dita si intrecciano.

Non c'è nessun posto come la propria casa.

 





Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3455822