Storia di come Haymitch si è ritrovato con la sagoma di cinque dita stampata in faccia

di _Gia
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Storia di come Haymitch si è ritrovato con la sagoma di cinque dita stampate in faccia


Sotto lo sguardo attento, indagatore, forse anche un po' divertito del giovane fornaio, il mentore si sentiva quasi a disagio. Gli occhi del neo Vincitore brillavano di sentimenti contrastanti: una vaga ombra di soddisfazione personale a velargli le iridi chiare, mista alla dolce preoccupazione che solo un figlio può serbare per un padre. 
Il treno correva lungo le rotaie e, con il bruciore al volto ad accompagnare l'ormai consueto bruciore allo stomaco, mai come allora il Distretto Dodici sembrava irraggiungibile. Fuori dalle grandi vetrate, il sole si preparava al congedo, lasciando che un'appena visibile luna prendesse il suo posto in quella notte di viaggio che li attendeva. 
Con movenze incerte, Peeta si fece più avanti sulla poltrona, sedendosi appena sul bordo in modo da riuscire a studiare meglio quei segni arrossati ed in rilievo sul volto stanco del mentore, mentre le sue labbra proferirono quel sospiro delicato, il cui soffio leggero bastò a metterlo in totale difficoltà:
« Si può sapere, Haymitch, come diavolo hai fatto a ritrovarti con cinque dita stampate in faccia? »

La luce aranciata del tramonto filtrava attraverso i larghi vetri del treno, inondandone l'interno e donando una tonalità arancione all'ambiente, così forte da risultare quasi disturbante per le sue iridi glaciali. Ad attenderlo trovò gambe lunghe, affusolate, sdraiate lungo il tavolino nella perfetta riproduzione di ciò che per anni gli era stato vietato; il pomposo vestito rosso a coprirle disordinatamente metà coscia, la sigaretta accesa e fumante tenuta tra il dito indice e medio. 
I raggi del sole pomeridiano si posavano sulla sua figura, donando nuove ed irresistibili ombre a quel corpo, messo in risalto dal vestito che sembrava esserle stato cucito, modellato addosso. Fece un tiro dalla sigaretta, alzando appena gli occhi verso di lui in ciò che gli parve un contentino, un magro premio di consolazione per l'indifferenza che la sua presenza all'interno del vagone le suscitava. Aspirò il fumo, lasciando che le penetrasse nei polmoni, lasciando che lo sgradevole aroma del tabacco le stordisse le papille gustative; dopo quell'attimo, gli occhi tornarono a posarsi silenziosamente sullo smartphone che teneva nell'altra mano, mentre con l'anulare della mano impegnata con la sigaretta compiva un continuo e delicato movimento verticale - dal basso verso l'alto - sullo schermo illuminato. In quell'immagine che gli si era materializzata avanti agli occhi, tutto il disprezzo per il lusso capitolino si palesò nuovamente nel suo cuore, in un odio che non si sforzò minimamente a nascondere.
Era un concentrato di tutto ciò che più odiava al mondo, eppure non poteva che definirla assolutamente ed inevitabilmente bella.
« Dio, Trinket, quanto mi stai sul cazzo » le confessò, sedendosi sul divanetto in velluto rosso di fronte al suo, mentre sul viso un’espressione di divertita amarezza faceva capolino. Gli occhi fissi sul volto di lei, incrociando i suoi – azzurri come il mare limpido – nel momento in cui la sua attenzione abbandonò definitivamente lo smartphone tenuto tra le mani, andando a focalizzarsi finalmente su di lui. Un sorriso divertito ad aleggiarle sul volto, in totale contrasto con l’espressione ferita che il mentore era sicuro di trovarvi.
« In senso figurato o metaforico? » un guizzo di malizia fece brillare le sue iridi chiare, nel ricordo vivido che erano gli attimi di peccaminosa tregua che più volte si erano concessi, nel corso dei loro viaggi, mentre con un delicato movimento dell’indice spense lo schermo del telefono, poggiandolo delicatamente sul tavolino in vetro, assumendo una posizione che più si addiceva alla persona che da anni si ostinava a fingere di essere. Un ulteriore tiro di sigaretta venne esalato, prima che la voce del mentore tornasse a riempire il vagone, in quella risposta apparentemente seria che Effie non si aspettava di ricevere.
  « Assolutamente metaforico » affermò con decisione, guardandola accavallare le lunghe gambe con una sensualità che quasi lo fece rimanere interdetto, incapace di proseguire, inebriato da quella ventata di profumo pungente che lo travolse, nel momento in cui la donna si mosse, per niente alterato dall’odore del fumo. « Confesso di trovarti particolarmente interessante, nel senso figurato » concluse; un sorrisetto arrogante stampato sul volto, gli occhi ancora maliziosi impegnati in quella continua corsa lungo tutto il corpo di lei, adesso più coperto rispetto a prima ma che comunque, per lui, non aveva alcun segreto. Si posarono finalmente sul viso di lei, i suoi occhi, trovando tutt’altro rispetto a ciò che si era aspettato di vedere, o semplicemente ciò che aveva sperato di vedere.
Uno sguardo ferito, interdetto, che nulla aveva a che fare con la precedente sfacciataggine scorta nei suoi occhi, lo sorprese. La sigaretta spenta, le sottili labbra tinte di viola aperte in una perfetta figura tondeggiante, gli occhi ridotti a delle fessure brucianti – come le tenebre in cui, se avesse potuto, era sicuro, lo avrebbe fatto marcire -, il brusco ed inevitabile ritorno alla normalità.
Un movimento leggiadro, seguito da un sonoro schiocco, in quel tocco che poco si confaceva al desiderio di contatto ardentemente covato fino a quel momento. Le dita di lei premute contro la sua guancia già visibilmente arrossata, il forte bruciore propagato in tutto il volto. Ed in quella che fu una frazione di secondo, il corpo della donna – prima così vicino e desiderabile, poi lontano ed irraggiungibile – si distanziò da lui con la stessa velocità con cui si evitava uno scarafaggio, lasciando che una nuova ventata di profumo lo sorprendesse, mentre l’irritante accento capitolino faceva il suo grande ritorno in quelle maledizioni che la donna gli rivolse.

Ma questo a Peeta non poteva dirlo, e tutto ciò che le sue labbra improvvisamente asciutte, aride di alcool, riuscirono a proferire, fu un secco ed evasivo: « Vorrei bere il mio brandy non diluito in pace, Mellark, e se non ne vuoi una simile anche tu, ti conviene farti gli affaracci tuoi ».

 




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