Ciao! Intanto vorrei
ringraziare quelli che hanno voluto visualizzare e leggere. So che la storia può sembrare finora piuttosto lenta, ma questo si spiega con
il fatto che è piuttosto lunga e ci vuole il tempo per
introdurre con calma gli eventi. Vi prometto che la svolta è
alle porte e dopo di essa entreremo nella vicenda vera e propria. Spero
che qualcuno trovi il tempo di continuare a leggere e di lasciare un
commento. Mi farebbe davvero un enorme favore. A presto!
Come la siccità e il
calore assorbono l’acqua delle nevi, così fanno
gli inferi con il
peccatore.
Giobbe,
24,19.
5.
Era
chino su un tavolo da biliardo, la schiena arcuata e i muscoli in
tensione sotto una maglietta nera aderente. Gli occhi, di un colore
che da quella distanza mi era difficile scorgere, erano fissi e
concentrati sulla pallina, e il braccio teso dalla pelle chiara era
pronto a scattare in avanti fino a far cozzare
l’estremità della
stecca contro la sfera. Una sigaretta spenta gli pendeva dalle
labbra, pericolosamente in equilibrio mentre lui scrutava ogni
dettaglio davanti a sé per valutare la situazione.
Si prese
ancora qualche
istante per calcolare il tiro, vidi la sua schiena tendersi in un
respiro profondo e la fronte aggrottarsi lievemente. Poi, proprio
come avevo immaginato, la stecca venne spinta in avanti e mi parve
quasi di udire l’impatto tra le sfere. Le immaginai mentre
entravano in buca una ad una.
«Accidenti…».
Il
commento mi sfuggì involontariamente dalle labbra come se la
mia
mente avesse perso ogni filtro ogni mio pensiero scivolasse fuori
dalla bocca senza argini. Fui grata di non aver espresso altri
giudizi.
«Niente
male!» si
intromise Jennifer, attratta dalla mia esclamazione e seguendo la
direzione del mio sguardo. Louis fece lo stesso, ma si
divertì a
farmi notare che il suo uomo era più bello. Certo, non
potevo negare
che il cameriere fosse molto attraente, ma sapevo a chi dei due avrei
dato la palma d’oro.
Il ragazzo
attese il suo
turno, poi sferrò un altro tiro vincente, sorrise stringendo
la
stecca tra le mani come un bastone al quale appoggiarsi e il suo
sguardo vagò nel locale fino a sfiorarmi.
Non potei
essere certa che
mi stesse davvero guardando, perché d’istinto
abbassai lo sguardo
sul bancone. Il grigio della pietra era tutto ciò che la mia
vista
avrebbe potuto sopportare, mentre le guance mi andavano in fiamme e
il cuore faceva le capriole.
Un brivido
freddo mi
percorse la spina dorsale, diffondendosi lungo le braccia e facendomi
venire la pelle d’oca mentre immaginavo i suoi occhi su di
me,
tanto intensi da potermi frugare la mente.
Solo quando
il coraggio
sembrò tornare dal luogo sicuro nel quale si era rintanato,
osai
alzare lo sguardo per controllare la situazione.
Gettò
la stecca ad un
compagno che la prese al volo, salutò gli amici e poi si
avvicinò a
noi, a me, con un incedere elegante e accattivante, che come un
magnete mi impedì di distogliere ancora lo sguardo.
«Ehi,
sta venendo qui!»
notò il mio amico. «Ci avrei giurato che facevi
colpo anche
stasera».
«Oh,
piantala!» lo
rimproverai, sentendo lo stomaco contratto. «Non ti ci
mettere pure
tu, per favore, sono già abbastanza in imbarazzo».
«La
mia era solo una
considerazione, e tu faresti bene a trovare qualcosa di interessante
da dire».
Qualcosa da
dire? E cosa?
Ciao, sei uno schianto, ti spiace se ti salto addosso? A
proposito, mi chiamo Amber.
«Ok,
un respiro profondo»
mormorai, rivolta solo a me stessa. Mi imposi di guardare solamente
davanti a me, tentando di concentrarmi sul via vai dei camerieri
oltre il bancone, ma riuscii a resistere solo pochi secondi senza
guardare il ragazzo, poi la mia forza di volontà si infranse
come il
cristallo più delicato.
Mi sarebbe
piaciuto
conoscere sua madre per farle sapere che aveva davvero fatto un
ottimo lavoro con le proporzioni. I fianchi stretti si muovevano con
lui, mentre diminuiva sempre più la distanza tra noi. Quando
fu a
qualche metro distolse lo sguardo da me e prese posto
all’altro
lato del bancone, a qualche metro da noi.
Ad un suo
cenno della mano
una cameriera lo raggiunse con un menù.
Una vampata
di imbarazzo mi
tinse le guance, mentre la mia mente ormai in tilt ripeteva insulti
alla mia intelligenza.
Una stupida,
non sapevo
come altro definirmi. Abbassai lo sguardo sul bancone mentre la
vergogna bruciava amaramente.
«Che
figuraccia» dissi,
mentre il viso di Louis si piegava in una smorfia di disappunto.
«Avrei
giurato che stesse
venendo qui da te».
«Mi
sta guardando?»
Jennifer scosse la testa infrangendo ogni speranza, ma allo stesso
tempo dandomi una buona notizia. L’umiliazione avrebbe
raggiunto
picchi inimmaginabili se lui mi avesse fissato con aria di scherno.
Un’ottima
distrazione mi
fu offerta dall’arrivo delle nostre ordinazioni. Strinsi la
mano
attorno al vetro gelido del bicchiere. La condensa mi bagnò
le dita
e io fui quasi tentata di posarmelo sulle guance per alleviare il
bruciore della vergogna. Mi sentivo tanto accalorata che
probabilmente la cola sarebbe evaporata.
Ne
sorseggiai un po’,
mentre Jennifer armeggiava con la cannuccia, immersa in un liquido
rosa che ben esprimeva il nome assegnatogli. Louis invece stringeva
una bevanda di un verde acceso, molto simile alla sua maglietta.
Sembrava fosse stata prelevata direttamente da un pianeta alieno.
«Ti
sei persa lo
spettacolo del cameriere con lo shaker. Mi sa che mi sono preso un
mezzo infarto, non ho mai visto nulla di altrettanto sexy»
disse
quando l’oggetto della conversazione fu a debita distanza.
Ascoltai
le sue parole distrattamente perché la mia attenzione era
ancora
quasi del tutto rivolta al ragazzo misterioso seduto a poca distanza
da noi.
Jennifer
ridacchiò. «A
quando le nozze?»
«Direi
che mi servono un
paio di notti per conoscerlo bene, poi potrei anche iniziare a
pensare a qualcosa di ufficiale». Louis bevve una lunga
sorsata del
suo drink e sorrise come un bambino davanti ai doni natalizi.
«Sei
amorevolmente
sfacciato» gli dissi. «Almeno a te sta andando
bene. Vorrei
sprofondare».
«Dovresti
andare da lui»
mormorò Jennifer, pragmatica. «Forse crede di aver
già fatto la
prima mossa e aspetta solo che tu continui. È un
po’ come il gioco
degli scacchi, si muove a turno e ora tocca a te». Era una
frase più
lunga di ciò che mi aspettassi da lei, perciò
ritrovai un briciolo
di coraggio e tornai a guardare il giovane. Teneva lo sguardo basso e
giocherellava con la sigaretta in attesa della sua ordinazione. Era
probabile che la cameriera avesse fatto la civetta con lui,
protendendosi e mettendo in mostra le sue forme. E lui come si era
comportato? Era assurdo essere gelosa di un ragazzo che ancora non
conoscevo, ma speravo che non avesse apprezzato la merce. Avevo come
l’impressione che non fosse come gli altri, che ci fosse
qualcosa
di particolare in lui, nella serietà che leggevo nei suoi
occhi e
nel suo viso. Stringendo il bicchiere in una mano e picchiettando le
unghie sul bancone, valutai il da farsi.
Restare al
mio posto o
andare? Mi sembrava una decisione ardua quando il dubbio amletico.
Essere o non essere? Morire, dormire…forse
era la mia
occasione di cogliere i consigli di Louis e approfittare di
ciò che
la vita mi offriva. Cogliere la palla al balzo e vivere la serata
senza troppi pensieri, senza timidezza. Se fossi rimasta me ne sarei
di certo pentita, ma cosa avrei detto appena arrivata da lui?
Deglutendo mi parve di avere un enorme rospo in gola.
«Non
so che fare!»
esclamai, appoggiando il capo sui palmi delle mani. Uno dei due era
piacevolmente fresco e umido per aver stretto il bicchiere bagnato di
condensa.
Louis mi
rivolse uno
sguardo comprensivo e si sporse verso di me. Il profumo del suo
dopobarba era familiare e confortante.
«Amber,
fossi in te non mi
lascerei scappare per nulla al mondo una preda del genere»
fece,
convinto.
«Lo
so, ho notato il tuo
modo delicato e discreto di approcciarti».
«Ricorda
la nostra
conversazione al telefono di questo pomeriggio. Non puoi ignorare
questa occasione e non credo che lui rifiuterà uno schianto
come
te».
«Certo,
come no». Pensai
alla mia bocca troppo grande. Non è che andando
lì e sorridendogli
avrebbe pensato che volessi divorarlo? Uno sguardo severo da parte di
entrambi i miei amici mi convinse ad abbandonare ogni reticenza.
«D’accordo»
feci, dopo
aver incamerato aria e aver tirato il più lungo sospiro
della mia
vita. «Vado».
Bevvi una
generosa sorsata
di cola, per impedire alla mia lingua di attorcigliarsi come un
serpente appena iniziato a parlare, poi scesi dallo sgabello,
pregando perché tutto andasse bene e non cadessi lunga
distesa a
terra. Non ero mai stata particolarmente timida, ma in
quell’istante
iniziai a temere cose assurde, mentre mi avvicinavo a passi lenti
verso quel bel ragazzo. Avevo una paura terribile di non gestire i
tacchi alti, di cadere di fronte a lui e mettere così fine
alla mia
dignità, di avere qualcosa incastrato tra i denti pur
sapendo che
non poteva essere perché avevo passato quasi tutto il
pomeriggio a
fissarmi allo specchio.
Per tutto il
tragitto dal
mio posto al suo, che mi parve durare un’eternità,
fui sul punto
di lasciar perdere, voltarmi e ritornare sui miei passi. Ormai
però
la decisione era stata presa e nonostante i palmi sudati, il cuore a
mille e la sensazione di dover svenire da un momento
all’altro, mi
trovai in pochi secondi accanto a lui.
Troppo tardi
mi resi conto
di non aver pensato a come iniziare l’eventuale
conversazione.
Rimasi a fissarlo per qualche istante, ammutolita come se in un
attimo il mio cervello si fosse resettato e nell’hard disk
della
mia scatola cranica fosse rimasto solo il gioco del Pinball, attivo e
con le palline impazzite che rimbalzavano senza sosta sulle pareti
del teschio.
Anche
pronunciare qualche
parola di circostanza mi parve una cosa impensabile.
«Ehi…»
mormorai,
pensando subito dopo che non era stata l’entrata giusta, che
forse
avrei dovuto correggermi, oppure tornare indietro nel tempo e
ricominciare daccapo. Valutai persino la possibilità di
correggere
la parola con un colpo di tosse e andarmene. O perché no,
magari
sorridere in maniera amichevole e dire Ops,
scusa, ti ho scambiato per un vecchio amico. Addio.
Dall’alto
del suo posto
lui si riscosse dai suoi pensieri. La mia scarsa altezza non lo aveva
di certo aiutato a notarmi, mi sentivo una formica al suo cospetto.
Troneggiava su di me facendomi sentire intimidita.
Reggeva la
sigaretta tra le
dita della mano sinistra, mentre la destra era appoggiata sulla
coscia e non appena mi fissò, il mio cuore già
abbastanza
imbizzarrito fece qualche balzo. Il suo viso era ancora serio e
sperai che dicesse in fretta qualcosa. L’imbarazzo e
l’attesa
stavano per uccidermi.
Le mie
richieste furono
presto ascoltate, perché lui mi regalò un sorriso
ampio e
bambinesco, ma non per questo meno affascinante, e un’ondata
di
sollievo mi colpi lasciandomi spiazzata per qualche istante.
«Ehi a
te, ciao».
Ero troppo
bassa per poter
tentare qualsiasi approccio, perciò gli indicai lo sgabello
accanto
al suo e senza esitazione mi diede subito una mano a salire. Non ce
ne sarebbe stato bisogno, ma desideravo sfiorarlo e quella fu
l’occasione buona. Le sue dita erano calde, asciutte e la sua
presa
era forte mentre mi issavo grazie a lui sulla sedia. La sensazione
della sua pelle a contatto con la mia fu quasi bruciante, elettrica,
e mi fece desiderare di non allontanarmi mai.
Finalmente
vicina potei di
persona appurare che i suoi occhi erano di uno splendido, magnetico
verde acqua. Sul mento e sul labbro superiore intravidi
l’ombra di
una barba di qualche giorno che creava un piacevole contrasto con
ciò
che di infantile c’era in lui. Il suo sguardo, per esempio:
attento, sincero, incuriosito dalla mia presenza.
Come dargli
torto? Una
ragazza che si avvicinava a lui senza motivo, con niente di
intelligente da dire se non Ehi!
«Io…beh…»
biascicai.
Davvero un ottimo inizio. Dirgli il motivo per cui ero lì o
aggirare
il problema? Buona la seconda.
«Mi
chiamo Amber». Tesi
la mano verso di lui, che la strinse con un entusiasmo che mi
rassicurò. Il mio cuore fece qualche piroetta, esultante.
Ancora
quella sensazione di calore mi formicolò sulla pelle, le mie
budella
si contorsero quando il suo sorriso si fece più ampio. Avrei
voluto
tenergli stretta la mano in eterno.
«Io
sono Simon, è un
piacere conoscerti. Che cosa ti porta qui Amber?»
Eccola, la
domanda fatale.
Sentii il calore salire alle guance, distolsi lo sguardo e inspirai
profondamente per prendere tempo. Ma la mia mente parve non volerlo
sfruttare a dovere, completamente in balia delle onde
dell’emozione
e dell’imbarazzo e un ronzio di sottofondo, quasi
più forte della
musica, mi suggerì che il mio cervello era in tilt.
«Oh…veramente…»
Mi
schiarii la gola e lottai contro l’impulso infantile di
indicare
qualcosa alle sue spalle e approfittare della sua distrazione per
fuggire via. Mi resi conto che la mia mano era ancora stretta nella
sua, piacevolmente morbida. Con il pollice mi accarezzò la
pelle e
un brivido caldo annullò del tutto l’operato della
mente.
«D’accordo
sono qui
perché volevo attaccare bottone con te, lo ammetto. Non
sapevo che
fare, ti ho visto al biliardo…a proposito, bel
tiro…poi sei
arrivato e mi sono decisa. E allora…eccomi qui».
Più che parlare
sbrodolai una frase dietro l’altra come se nessuno da piccola
mi
avesse insegnato ad articolare bene.
Lui
scoppiò in una risata
fragorosa che gli illuminò gli occhi verdi e mi fece
sciogliere come
il burro al sole, non sapevo se per la vergogna o per
l’effetto che
riusciva ad avere su di me. Da quanto non mi sentivo così?
Come una
ragazzina in balia della prima cotta.
«Mi
piace la tua sincerità
e ti ringrazio. Ad ogni modo…» si sporse
lievemente verso di me,
facendomi annegare nel verde dei suoi occhi. Da così vicino
riuscii
a percepire il profumo del suo respiro. «Io parlavo del
locale. Vedo
tanta gente che è venuta qui semplicemente per divertirsi,
fare
qualche salto in pista, godersi un paio di drink, flirtare un
po’.
Tu sei qui solo per questo o eri incuriosita
dall’ambiente?»
Era troppo
vicino perché
riuscissi a pensare lucidamente. Mi scostai appena e sorrisi,
abbandonando il viso contro il palmo della mano. La mia fronte era
fresca ma mi sentivo il viso in fiamme.
«Bene,
ho fatto una
figuraccia».
«Ma
no, figurati».
«Direi
che sono qui perché
io e i miei amici eravamo curiosi, ci capita di andare in locali
carini ma molto banali quindi non potevamo farci scappare il famoso
Mephisto.
Abbiamo visto volantini praticamente in ogni angolo della
città».
Con il pollice indicai dietro le mie spalle Louis e Jennifer, che
ovviamente non si stavano perdendo un solo secondo della nostra
conversazione, sebbene il fragore coprisse le nostre voci. Non appena
accennai a loro salutarono entrambi con la mano alzata e un
sorrisino. Simon rispose con un cenno e un’espressione
divertita.
«Simpatici…ti
piace il
biliardo?»
«Sono
una frana. Tu sei
bravo con la tua stecca» mormorai, pentendomi subito dopo
della
frase non appena mi sentii avvampare. Il suo sguardo assunse una
scintilla di malizia che non mi sfuggii.
«Oddio,
qualcuno mi fermi,
sto facendo una gaffe dietro l’altra! Credimi, di solito non
succede…per lo meno non a così breve distanza una
dall’altra».
Non sapevo se ridere o andare a nascondermi in qualche angolo buio,
ma Simon scosse la testa con un’aria tranquilla che mi mise a
mio
agio.
«Non
ti preoccupare,
Amber. Lasciamo perdere il biliardo. Quindi il Mephisto
è all’altezza delle tue aspettative?»
Gli fui
grata per la
disinvoltura con cui cambiò discorso per correre in mio
aiuto.
«Molto
di più. Tutto è
perfetto, curato nei minimi dettagli, una meraviglia».
«Il
sottofondo letterario
e artistico affascina tanto anche me. Il Faust è una delle
mie opere
preferite».
«Goethe,
giusto? Credo di
averla trattata a scuola, ma temo di non saper dire altro».
Esattamente come qualche istante prima la sua espressione mi
rassicurò.
«Goethe
è stato uno dei
tanti a farsi affascinare dalla figura dell’enigmatico dottor
Faust. Ne hanno trattato anche Lessing, Marlowe, Mann e Valery e
tutt’ora è un personaggio vivo e attuale.
L’essere umano
insaziabile, bramoso di conoscenza, sempre teso a un ideale di
sapienza irraggiungibile se non attraverso un patto con il diavolo:
Mefistofele». Pendevo dalle sue labbra, ascoltando in
silenzio la
sua voce lievemente roca e molto attraente.
«Mefistofele
si offre di
servirlo per ventiquattro anni in tutto per farlo giungere alla
conoscenza assoluta tanto agognata. Ma il prezzo è
alto».
«La
sua anima?» mormorai,
sperando di averci azzeccato e di essermi guadagnata qualche punto.
Il suo sorriso fu una conferma.
«Esattamente.
Ho
i gusti dei gatti coi topi».
Lo fissai in
silenzio.
Avevo capito bene o era parso solo a me che parlasse di topi? Forse
la musica assordante aveva coperto parte delle sue parole impedendomi
di comprenderle correttamente.
«Come
scusa?» mormorai, e
la mia perplessità lo fece divertire ancora di
più.
«Perdonami,
sto facendo il
sapientone, ma è più forte di me con questi
argomenti. In un
dialogo tra Mefistofele e Dio, quest’ultimo dice Finché
colui vivrà nel mondo, fino allora non ti sia vietato nulla.
In
pratica lo lascia libero di attrarre Faust nelle sue grinfie dato che
Dio non ha il pieno controllo su un essere umano ancora in vita.
Mefistofele sembra esserne felice perché ribatte
così:
Mai di morti m’è piaciuto occuparmi. Preferisco le
guance piene e
fresche. Non ci sto, per cadaveri. Ho i gusti dei gatti coi topi».
«Una
frase bizzarra». Un
ragazzo bizzarro semmai. Era così che conquistava le
ragazze?
Snocciolando frasi colte tratte dalle opere letterarie? Accidenti,
con me stava funzionando alla grande.
«Sta
semplicemente a
significare che il diavolo ama tormentare gli esseri umani, giocarci
mentre sono ancora vivi come fanno i gatti con le loro prede.
È
un’immagine che rende perfettamente l’idea della
lotta impari tra
mortali e forze del male. Gli uomini cascano sempre nella rete degli
adulatori e scelgono volontariamente la loro sorte. Secondo le
rappresentazioni ormai molto diffuse, Mefistofele è dotato
di un
libro rosso sul quale gli esseri umani che decidono di fare un patto
con lui firmano e così vendono la loro anima».
Automaticamente
ricordai il
grosso tomo alla fine del corridoio e l’entusiasmo con il
quale io
e i miei amici avevamo firmato. Simon parve leggermi nel pensiero
perché annuì.
«Esatto,
è proprio il
libro a cui stai pensando. Ogni ospite di questo locale ha ceduto
senza esserne costretto una parte della sua anima quando è
entrato
qui, semplicemente attratto da una serata di divertimenti, da un
piacere mondano. In fondo siamo nella bocca
dell’Inferno!» Il suo
entusiasmo era contagioso. Indicò le sporgenze di pietra che
già
avevo notato agli angoli del bancone, simili a grosse stalagmiti e
stalattiti, poi capii che non erano niente del genere. Erano zanne!
«Moltissime
rappresentazioni artistiche a partire dal Medioevo raffigurano
l’Inferno all’interno delle fauci spalancate di
Lucifero, una
gola dove i dannati bruciano per l’eternità. Dante
ne è un
esempio, il suo Lucifero ha tre bocche, ognuna intenta a masticare un
peccatore, ma non peccatori qualsiasi. Uomini che si sono macchiati
del crimine del tradimento, l’affronto più grave
che un uomo possa
fare nei confronti dei suoi simili, ma soprattutto di Dio. E
cos’è
la vendita della propria anima a Mefistofele se non un tremendo
tradimento della propria fede?» spiegò, con quella
voce bassa,
virile e magnetica. Era un piacere sentirlo parlare e non scollai un
secondo gli occhi dal suo viso, mentre mi parlava dei tre peccatori
che Dante aveva posto tra le zanne del diavolo: Cassio, Bruto e
Giuda.
Così
ogni elemento di quel
locale assunse un nuovo significato per me, che prima di quel momento
non ne avevo saputo quasi niente. Simon chiarì il senso
della frase
alla fine del corridoio: In
girum imus noctem e consumimur igni,
frase attribuibile ai demoni, eternamente consumati dal fuoco
metaforico del peccato e quello fisico, tremendamente bruciante della
loro condanna. Il significato era intensificato dal fatto che la
frase fosse palindroma.
«Insomma,
mi pare di
capire che sei un vero appassionato di questi argomenti»
dissi dopo
un po’.
«Spero
di non averti
annoiata».
«Al
contrario, è
affascinante sentirtene parlare».
«Mi
piace notare come la
letteratura nella sua finzione possa comunque rispecchiare fedelmente
la realtà. Gli umani sono estremamente deboli, avvezzi al
peccato,
pronti a rinnegare qualsiasi loro valore per avere di più.
Il potere
e il mistero affascinano chiunque, sono così facili da
portare sulla
cattiva strada. Si dice che Faust sia esistito veramente, ma credo
che non sia importante, perché incarna alla perfezione la
natura dei
mortali, la brama di conoscenza e dell’ignoto,
l’estrema e
pericolosa curiosità».
Mi
guardò quasi con aria
di rimprovero, come se si riferisse al fatto che avessi ammesso di
essere lì proprio per curiosità. Sì,
ero colpevole.
La cameriera
prosperosa nel
frattempo era tornata e gli posò di fronte un grande
bicchiere colmo
quasi fino all’orlo di un liquido rosso. Con un cenno, Simon
attirò
la sua attenzione.
«Scusami,
potresti
portarne un altro per la signorina?»
«Oh,
no, non posso» Mi
affrettai a dire. «Devo guidare».
«Non
ti farà male, te lo
assicuro. Andiamo». Lo sguardo del ragazzo era convincente,
il
sorriso tutto rivolto a me, come se la cameriera di colpo fosse
scomparsa in una nube di polvere magica. Rispettò il mio
silenzio
per qualche secondo, poi si sporse ancora verso di me e posò
la mano
sulla mia.
«Fidati
di me, è solo un
drink. Non ti toglierà la lucidità, inoltre da
qui alla fine della
serata farai in tempo a smaltirlo.»
Non accennai
al fatto che
non potevo restare a lungo perché la mia madre megera e
dispotica
non doveva sapere che avevo trasgredito i suoi ordini.
«Veramente
io…» Tentai
di replicare, ma le sue dita in un tocco leggero e delicato si
mossero verso il polso, dandomi i brividi ad ogni millimetro di pelle
che sfioravano. Mi sembrava quasi di avere le vertigini e se non si
fosse allontanato almeno un po’ sarei di certo crollata dalla
sedia
gambe all’aria. Allo stesso tempo tuttavia non volevo che
smettesse, come se allontanare quella mano significasse anche
togliere all’aria ogni traccia di ossigeno.
«D’accordo.»
Mi arresi.
«Ma solo uno, non potrei bene nemmeno questo».
Quando la
cameriera tornò
con la mia ordinazione strinsi le dita attorno al bicchiere e lo
alzai per un brindisi, ma Simon fissava con un sogghigno un punto
oltre alle mie spalle.
«Ehi,
tutto a posto? Che
stai guardando?»
Si riscosse,
mentre io mi
voltavo per indagare. Osservai i divanetti, ma non vidi altro che un
mucchio di persone intente a chiacchierare, sorridere e bere. Altre
erano in piedi a ballare sul posto, ma non scorsi nulla che potesse
essere l’oggetto dell’attenzione di Simon.
«Niente
di particolare, ho
solo visto un amico. Tutto qui» spiegò lui.
Alzò il bicchiere,
lasciando una traccia di condensa sul bancone.
«Alla
conoscenza, al
peccato e alla curiosità» dichiarò. I
bicchieri tintinnarono al
momento del brindisi, durante il quale il contatto visivo tra di noi
non si infranse nemmeno per un secondo. Il mio stomaco restò
stretto
nella morsa dell’euforia e a stento mi opposi
all’impulso di
mostrare ai miei amici i pollici alzati in segno di trionfo.
Ero seduta
al bancone di un
posto fantastico, brindando assieme a uno sconosciuto bellissimo, con
uno sguardo che avrebbe potuto fermarmi il cuore da un momento
all’altro e il fisico asciutto da modello. Non poteva andare
meglio
di così.
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