Epilogo: Don't you know
this tale
30 anni dopo
Era stata lontana quasi un anno, cavalcando come se fosse
inseguita, tentando inutilmente di colmare il vuoto che le si era spalancato
dentro.
Aeglos aveva fatto tutto ciò che
aveva potuto, ma lui stesso soffriva quella perdita atrocemente e le loro liti
minacciavano spesso di sfociare in vere e proprie risse.
Quando era andata via, suo marito portava ancora i segni sei
suoi graffi sulla guancia e lei aveva uno zigomo scorticato.
Ricordava quando tra loro era stato così, violenza e
rancore, intervallati da momenti di abbandono e passione, fino a che la
situazione diveniva insostenibile, fino a che la lontananza non era più un suo
capriccio, ma l’inevitabile conclusione. Era stato anni e anni prima, quando il
Silmaril sembrava ancora una promessa che poteva
essere mantenuta, quando Silevril non era ancora
giunto a portare la pace nelle loro vite.
Ma poi ogni cosa era andata in frantumi e ciò che erano riusciti
a raggiungere si era dissolto tra le pieghe della perdita.
Non aveva più visto suo figlio, non aveva più sentito nulla
su di lui, non lo percepiva più come era stato tra loro fin dal suo
concepimento.
Non sapeva perché avesse deciso di fermarsi a Dol Amroth, forzandosi di
ignorare la mancanza acuta di Aeglos, a solo un
giorno di cammino dalla città dei cigni, ma era stato come un richiamo a cui le
era impossibile resistere.
La porta della città era di marmo bianco come la ricordava,
affollata di gente che andava e veniva, con due guardie in cotta di maglia
scintillante ai due lati. C’era una piccola stazione, nient’altro che una
stalla e una locanda, dove lasciò il suo cavallo prima di entrare.
Le vie di Dol Amroth
le erano sempre sembrate incredibilmente simili a quelle di Alqualonde
nella sua giovinezza, quando le attraversava altera, con la spilla della casa
di Fёanor
sul petto.
Ma quelle volte c’era Aeglos ad
attenderla al porto.
Quando finalmente arrivò al portone che stava cercando,
esitò. Era una casa imponente, di solida pietra, con uno stemma raffigurante
una stella marina e un gabbiano in lontananza, con sfondo azzurro.
Bussò e un ragazzo le aprì, scrutandola con aria stupita.
Quando gli disse chi stava cercando, la fece entrare e
l’accompagnò in una biblioteca non molto grande, ma straripante di libri,
lasciandola poi sola.
Quella casa era quanto di più diverso si potesse aspettare,
ma in un certo senso era anche accogliente e diceva moltissimo della sua
proprietaria.
Quando infine la donna entrò dalla porta, Alatariel pensò che quella casa, quella libreria, persino
il domestico dall’aria gentile che l’aveva accompagnata, fossero
incredibilmente appropriati a lei.
Era molto invecchiata, rispetto alla ragazzina di cui aveva
memoria, ma i lunghi capelli intrecciati erano ancora rossicci e brillanti, le
lentiggini ancora presenti sotto i vivaci occhi castani e la sua figura
risultava snella, pur se non tonica come un tempo.
Alatariel era sempre attonita,
quasi intimorita dalla vecchiaia mortale, ma Laer
sembrava ancora una ragazzina sotto l’aspetto di donna matura.
Portava un abito semplice, di lino leggero, bianco e
azzurro, ma ai piedi, notò con un moto di orgoglio inspiegabile, calzava degli
stivali di cuoio usurati.
Quando la vide, Laer si bloccò,
come folgorata, sorpresa di vederla lì, mentre i ricordi la investivano come
una mareggiata.
< Ciao, Laer, > le disse,
con un leggero sorriso. La donna non rispose, rimanendo immobile dove si
trovava, ancora incapace di riprendersi dallo shock.
< So perfettamente che sono l’ultima persona sulla Terra
di Mezzo che ti aspetteresti di vedere, > continuò, < ma non ho potuto
fare a meno di venire. Non so nemmeno se ti ricordi di me. >
< Voi - > la voce le uscì gracchiante, si interruppe e
la schiarì prima di ripetere, < Voi siete la madre di Silevril.
>
Ebbe un fremito, nel pronunciare quel nome.
Alatariel espirò di sollievo.
< Non ero sicura che ti ricordasti di lui.>
Lo sguardo di Laer si animò
improvvisamente, scuotendola dal suo stato di meravigliato stupore.
< Silevril è stato il mio primo
amore, > disse, < e mi ha spezzato il cuore. Ho sofferto fino a credere
che sarei morta, per colpa sua. Dimenticarlo? Come potrei? >
La guardò, d’un tratto dura.
< Perché siete qui, mia signora? >
Alatariel non rispose, limitandosi
a guardare quella che un tempo era stata una ragazza innamorata. Aveva creduto
di poter significare qualcosa nella vita di suo figlio, ma il cuore di Silevril era duro e freddo, ferito da un desiderio troppo
profondo da domare.
Anche lei aveva bruciato di quello stesso fuoco, ma poi era
arrivato Aeglos e in qualche modo era riuscito a
domarlo, a smettere che bruciasse insopportabilmente.
Sperare che Laer potesse essere la
stessa cosa, per suo figlio, si era rivelato solo deludente.
< Non so perché sono venuta, esattamente. Laer, > la ragazza – la donna- sussultò nel sentirsi
chiamare così apertamente per nome, < so che non ho più sentito una
connessione con mio figlio e tu lo hai richiamato dalla tenebra in cui era
sprofondato. Hai toccato qualcosa in lui e voglio parlarti. >
Sospirò.
< Credevo di essere riuscita a penetrare attraverso un
muro di sarcasmo, attraverso il suo viso di pietra, ma la verità è che se anche
l’ho fatto, sotto non ho trovato niente. Senti la sua mancanza, ma non
l’allevierai parlando con me, io non conosco più Silevril,
se mai l’ho conosciuto. >
< No, non lo conosci, perché altrimenti sapresti che ciò
che ti disse non è reale, che era me che voleva ferire. >
< Forse, ma non cambia le cose. Sono stata arrabbiata con
lui per molto tempo, nonostante Galmoth mi dicesse
che era inutile, che era meglio così, che non avevo bisogno di un maledetto elfo con problemi caratteriali,
come lo definiva lui. Galmoth ne aveva paura, ma
continuava ad amarlo e sentiva la sua mancanza… come me. >
Laer distolse lo sguardo e camminò
verso la finestra, scostando appena la tenda per guardare fuori.
< Sarò sempre innamorata di Silevril,
anche se non vorrei. È la mia maledizione. >
Richiuse la tenda e tornò a guardarla, con un leggero
sorriso sul volto su cui si stagliavano rughe sottili.
< Ma alla fine Galmoth aveva
ragione e Silevril non è diventato altro che un
ricordo. Mio marito non sa nemmeno che è esistito, non sa che un tempo l’ho
amato e che se venisse, qui e ora, la tentazione di lasciare lui, i miei figli,
tutto ciò che ho conquistato in questi anni, sarebbe fortissima. >
< Davvero lasceresti tutto per Silevril?
Farei qualsiasi cosa per impedirtelo, Laer, perché
getteresti via la tua vita. >
< Non mi conoscete, signora, come potete parlarmi così
sulla base di un incontro di trent’anni fa in cui non ci scambiammo una parola?
Di voi so soltanto ciò che Silevril mi disse. >
< Che sono meschina, terribile, che abbandonavo lui e suo
padre per mesi? >
< Che il vostro amore è veleno, che lo tenevate
intrappolato e legato a voi. Pensavo che fosse colpa vostra, se lui mi aveva
respinta. >
Alatariel serrò le labbra.
Perché era andata lì? Quella donna non aveva alcuna notizia
di Silevril, non riusciva a sentirlo più di quanto ci
riuscisse lei, ma a differenza sua era riuscita ad andare avanti.
D’altronde, non aveva che pochi anni, una vita fugace, prima
di sparire per sempre dal Mondo.
Laer rise.
< Siete così simile a lui che mi sembra quasi di
rivedermelo davanti. Ma i suoi occhi erano più espressivi, azzurri come il mare
d’estate. >
< Perdonami, Laer, > disse,
spegnendo le sue risa, < non sarei mai dovuta venire qui. Mi piaci, credimi
quando ti dico che non è una cosa che accade sovente, ma qualcosa in te mi fa
rimpiangere che tra noi non possa esserci altro che questo incontro tardivo.
>
< Addio, Alatariel, > la
donna la chiamò per la prima volta per nome e, detto da lei, sembrava dolce,
< mi ha fatto piacere vederti e parlarti. >
Mentre il ragazzo di prima la riaccompagnava alla porta, Laer la rincorse brevemente, prendendole una mano per farla
voltare e le posò un leggero bacio sulla guancia.
< Quando rivedrai Silevril,
> le disse all’orecchio, < digli che sono felice e che anche Galmoth lo è stato fino all’ultimo istante della sua vita.
Nessuno di noi crede che lui non può amare, di questo siamo sempre stati tutti
sicuri. >
La lasciò e quando si ritrovò nelle affollate strade di Alqualonde, in qualche modo il suo cuore era più leggero.
Aveva pensato a quella ragazzina così spesso da cristallizzarla nella sua forma
fanciullesca, ma ora che l’aveva vista era come se fosse diventata tutto a un
tratto reale. Silevril poteva essere stato crudele,
ma almeno non aveva rovinato quella giovane vita.
Montò sulla sua cavalcatura e accarezzò il pelo dell’animale
sotto di sé, morbido come seta, poi gli ordinò di correre, beandosi del vento
sulla faccia.
Sapeva di salsedine e sabbia. Sapeva di Aeglos.
Poteva tornare a casa più leggera, nonostante il vuoto. E in
ogni caso, c’erano le braccia di Aeglos ad
accoglierla, a colmare almeno un poco la mancanza che sentiva dentro… fino al
prossimo litigio, almeno… non aveva importanza, non l’aveva avuta mai.
Sperò che prima o poi Silevril
potesse capirlo.
Fine
***
E con questo epilogo
si chiude anche “Il Tesoro di Ulmo”. Non è stato
facile portare avanti questa storia, credo ve ne siate accorti tutti dalla
frequenza schifosamente bassa con cui ho aggiornato, ma in compenso spero di
avervi regalato un qualcosa di piacevole da leggere e che abbiate amato questi
personaggi almeno la metà di quanto li ho amati io. Silevril naturalmente
tornerà, la sua storia è appena cominciata, quanto a Laer
e Galmoth potrebbero tornare come flashback o missing moment, ma nulla è sicuro. Certo è che tornerò
sicuramente dopo l’estate con una raccolta di missing
moments quindi aspettatemi.
Voglio ringraziare la
mia cara Hareth, sempre puntualissima nel recensire
accompagnata come sempre dai ‘suoi’ (Alatariel, tuo
figlio forse dovresticercarlo a casa di Cristereb, te lo dico). Grazie infinite anche a Elfa, Calhin, Feanoriel, Morwen_Eledhwen, Elanor Eliniel e Saralasse per aver
recensito, spero che vogliate tornare a dirmi la vostra.
Grazie anche a
Floffy_95, Amarie, Hayley_Chan,
ildragodoro, lithnim222000 e Tsukie
per aver inserito questa storia tra le seguite.
E infine grazie a
tutti quei lettori silenziosi, piccoli numerini sul
mio conta visite, mi raccomando fatemi sentire la vostra voce che male non fa.
Vi saluto come al
solito dicendovi che il titolo dell’epilogo è presa da “Beauty and the beast” dei Nightwish, mi piace
pensare che qualcuno di voi abbia potuto scoprire un brano o un artista che
prima non conosceva.
Buone vacanze, miei
cari, lunga vita e prosperità.
Thiliol