So bene di essere mancata per
tantissimo tempo da queste pagine e da questi lidi. me ne scuso
immensamente con tutti coloro che seguono e seguivano la mia storia.
Credetemi quando vi dico che ci sono state motivazioni davvero gravi
alla base della mia dipartita, e davvero al di là della mia volontà.
Perciò ora che posso riprendere, mi riprometto di ritornare ad
aggiornare regolarmente come ho sempre fatto e a rispondere ai singoli
che vorranno lasciarmi un commento (lo sapete quanto ci tengo).
Scusate l'assenza,
spero che il nuovo capitolo un po' ripaghi dei mesi di silenzio.
Un bacione a tutti
Vedere il cielo attraverso le
sbarre, vedere il mondo contorniato da piccoli ramoscelli di vetro che
intaccano la sua ampiezza… Tutto questo non può essere ammesso.
Il vecchio a volte passa e lo
guarda, stringe a sé i due cerchi in ferro che l’hanno reso schiavo, li
fa tintinnare per assicurarsi di possederne tutta la forza, poi se ne
va.
La stanza nella quale l’ha chiuso è
troppo piccola, le ali sono indolenzite tanto devono essere attaccate
al corpo. Giura vendetta. Terribile. Non perdonerà mai nessuno
dell’Accademia. Il veccho e i suoi discepoli, tutti, verranno uccisi.
Appoggia il muso sulle zampe, sospira e dalle sue narici
esce fumo nero.
E’ lì dentro da troppo tempo.
La porta della sua cella si apre e
il vecchio entra. Ha i cerchi legati alla cintura e la tunica che
fruscia li nasconde.
“Stai bene oggi?”
Lui non risponde
“E’ da qualche giorno che sei
troppo quieto e mi preoccupi. Non ti starai mica arrendendo?” poi
sorride, sa che nessun drago mai si arrende, nel senso inteso dagli
umani.
“Non dici niente? Ti lascio andare
sai, se parli con me…” Stupido umano, vecchio e maledettamente stupido
“Io ti ucciderò” gli ripete, ma al
vecchio questo pare non interessare
“Siamo tutti destinati a morire” ma
il drago sorride perché sa che queste parole, per lui, non sono vere.
Non importa quanto tempo passerà lì dentro. Lui può solo essere ucciso,
non può morire. E questa è una grande differenza, anche se gli umani
spesso faticano a vederla.
Il vecchio gli poggia le mani
addosso, gli accarezza le scaglie cremisi e quella leggera peluria sul
collo. Per arrivare a toccarlo lì, deve arrampicarsi sulle sue zampe,
aggrappandosi al corpo del drago che rimane immobile. Il drago non può
fare niente.
Si sistema sulle zampe, quelle
anteriori vorrebbero distendersi, quelle posteriori allungarsi, ma
nella sua cella c’è appena lo spazio per stare accovacciati.
“Parlami, insegnami la Lingua
Antica. Parlami!” il vecchio quasi supplica “Perché ti tengo qui se
l’unica cosa che fai è rimanere immobile?”
Il vecchio, così saggio fra gli
uomini, sembra uno sciocco agli occhi del drago. Lui è debole, troppo
debole per ribellasi. Ma era solo questione di tempo, sta ricercando le
forze per schiacciare quegli stupidi che camminano fra le stanze di
quell’Accademia così cara al Regno, e che neanche si accorgono che un
drago dorme nelle segrete.
“Non possono sentirti” il vecchio
pare leggergli nel pensiero “I Cerchi celano la tua presenza a tutti.
L’altro giorno” il vecchio sorride al ricordo “L’altro giorno uno dei
miei alunni, uno dei più acuti, si è accorto di qualcosa. A vederlo,
sembra innoquo: ha i capelli bianchi come neve, gli occhi profondi e
silenziosi. Ha le braccia di un ragazzo, non è ancora un uomo. A
vederlo adesso, sembra più un poeta che un guerriero. Ma sarà un gran
guerriero. Ha i sensi più fini di un Lapnidare e ha l’intelligenzadei
Gufi. L’altro giorno si è accorto che qua sotto c’è un gran segreto.
L’ho dovuto allontanare per un po’, facedogli credere che fosse solo
magia quella che sentiva. Del resto” sorride di nuovo “ Non potrebbe
mai immmaginare che cosa nascondo qui…” Il vecchio accarezza la spina
del drago e continua a parlare, il drago sembra non ascoltarlo ma è
attento a qualunque parola. Un solo errore del vecchio e lui lo
potrebbe sbranare.
Una campana suona, in lontananza.
“Devo andare, si celebrano i Venti
e l’inizio della Seconda Età oggi” scende dalla schiena del drago
“tornerò. E sai che avrò metodi ben più persuasivi di quelli adottati
oggi. Posso fare di te quel che voglio”
Aspetta che il vecchio esca. Poi il
drago di nuovo guarda fuori. Sente il legame che lo lega all’Accademia
fortissimo sulle sue zampe e sulle sue scaglie. Vorrebbe bruciare
tutto. I draghi non possono essere confinati dentro mura artificiali.
Si rigira verso la finestra e i che
li vede: due occhi verdi, così intenso da ricordargli il mare su cui
spesso vola. Lo guardano attraverso le sbarre, in un misto di sgomento
e terrore. Lo fissano, affascinati. Quando notano che anche il drago li
ha visti, si chiudono e il loro proprietario scappa via. Non una mossa
per liberarlo, non una parola. Anche loro, anche quegli occhi verdi
così rari per gli umani, appartenevano ad un nemico da uccidere.
I suoi occhi, color del fuoco,
bruciano giurando vendetta. Il fuoco che deve trattenere dentro di sé
per ordine del vecchio freme per esplodere. Il vecchio, ma anche questo
ragazzo dagli occhi verdi e curiosi, anche lui sarebbe morto per mano
sua.
I dettagli erano nitidi nella sua
testa, quegli occhi, quell’odio e quella curiosità. L’aveva visto per
la prima volta lì.
Si svegliò di soprassalto. Non si
era accorto di essersi addormentato. Era di nuovo notte, il Solstizio
era di un giorno più vicino.
Capitolo 31
Hago si sedette, appoggiando la schiena alle zampe posteriori
di Gyonnareth.
Diede un morso al pane rappreso che aveva con sé, ma non
iniziò a masticare subito. Lasciò che si ammorbidisse con la saliva,
poi deglutì. Il vento dei Territori soffiava, annaspando fra le cime
degli alberi del Bosco Nuovo. Non era intenso, ma il suo rumore
rimbombava nelle orecchie.
Le orecchie dell’alchimista erano lievemente asimmetriche: la
sinistra, che avrebbe dovuto portare l’orecchino che definiva
l’appartenenza alla sua classe, era per metà mozzata. L’orecchino gli
era stato legato alla restante parte del padiglione, ma da quando aveva
perso il suo orecchio Hago non aveva mai mostrato i monili del suo
potere. La sua vanità glielo impediva. Ora che anche sul viso portava i
segni del suo operato, ora che Gyonnareth gli aveva lasciato una
cicatrice indelebile, l’Alchimista era stato obbligato a scendere a
compromessi con sé stesso.
“Dovrei fartela pagare, questa cicatrice” disse l’uomo al
drago, toccandosi la faccia. Il drago non rispose, né aprì gli occhi
continuando apparentemente a dormire. Hago sapeva che nessun drago
dorme.
Aveva male quando masticava, la guancia era ancora dolente. Ma
l’aveva avuta vinta lui, contro il drago. Ora lui possedeva i due
cerchi di ferro che legavano Gyonnareth al suo volere.
Di nuovo il vento soffiò, di nuovo sembrò ululare, riempiendo
il cielo del suo alito.
“Il Sole sta tramontando”. Il sole era alto in cielo, era poco
dopo mezzogiorno. Ma non era questo che Gyonnareth intendeva.
Fu Hago questa volta a non rispondere. Non subito.
“Alem avrebbe dato qualunque cosa per vedere questi ultimi
raggi di Sole” sospirò “ma la legge per gli umani è impietosa. La legge
della natura: nessuno può vedere il Sorgere di due Soli. Così come
nessuno può vederne il Tramonto. Alem aveva visto il tramonto della
Prima Età. Il Sole sta tramontando una seconda volta.”
Il pensiero del maestro non lo lasciava in pace,
ultimamemente. Il vecchio continuava a ritornare nella
sua testa. Più si avvicinava ad Irìyas, più la figura del vecchio
maestro lo tormentava.
Mise in bocca un altro pezzo di pane. Questa volta iniziò a
masticarlo.
Probabilmente lo odiava. Così come probabilmente odiava
Irìyas. D’istinto avrebbe voluto che sia il suo vecchio maestro sia il
suo vecchio amico scomparissero dalla sua mente. Ma Alem era morto,
eppure non era scomparso dalla sua testa. Si chiese se la stessa cosa
sarebbe successa per Irìyas.
“Non riesco nemmeno ad odiarli”
“Mhm?” il drago non capì.
“Li detesto. Sono loro la causa di ciò che sta succedendo,
eppure non riesco ad odiare né l’uno, né l’altro” non era necessario
che Hago specificasse i loro nomi.
Gyonnareth scosse il collo e scrollò la zampa su cui era
apporggiato l’alchimista. Questi scostò la schiena, ma poi la
riappoggiò.
“Voi umani siete buffi. Vi divertite ad addossare la colpa agli
altri quando in realtà la colpa è vostra”
Hago non rispose, scosse la testa per esprimere il suo
disaccordo.
“Quando sono arrivato all’Accademia, Irìyas era già lì e Alem
già l’aveva eletto come il miglior allievo della Seconda Età” sorrise
“Era lì da pochi mesi, eppure aveva già scalzato chiunque. “ Si girò
verso il drago, anticipando quello che penso il drago avrebbe detto
“Non ne fui geloso, la gelosia la lascio alle donne. Solo non capivo
che cosa potesse aver visto Alem in Irìyas che non aveva mai trovato
prima” si fermò ed aspettò la domanda di Gyonnareth.
“E hai scoperto che cosa fosse?”
Annuì. “Un’insieme di cose. Irìyas era forte. Incredibilmente
abile nelle arti magiche, ma allo stesso tempo era anche ambizioso”
“Non mi sembra che forza ed ambizione siano eventi così rari
per voi umani…”
“Ma Irìyas aveva un profondo senso storico che ormai gli umani
hanno perso”
Gyonnareth aprì gli occhi, sanguigni: “Spiegati meglio!” disse
irritato. Odiava il parlar per enigmi
dell’umano.
“Irìyas vive secondo un codice antico di lealtà. Lui non si
ritiene abitante del Regno, non si è mai ritenuto suddito del Re, lui
s’è sempre e solo sentito figlio di questo mondo. Dà importanza agli
eventi e a cosa ha solcato la storia, un’importanza che ormai nessuno
dà…”
Il drago iniziava a capire.
L’Alchimista continuò: “Alem era convinto di aver trovato in
Irìyas il suo discepolo. Con il suo senso storico, Irìyas avrebbe dato
qualunque cosa per conoscere la Lingua Antica. Con la sua abilità nelle
arti magiche, avrebbe fatto qualunque cosa per conoscere la Lingua che
permette ad ogni incantesimo di essere molto più potente. Alem era
convinto che tutto quello per cui lui aveva lavorato nella vita,
sarebbe stato portato avanti da Irìyas. Come si sbagliava!” rise “Aveva
frainteso Irìyas così tanto, da ritrovarsi – dopo poco tempo – con
qualcuno che non ere più in grado di controllare”.
Hago non proseguì. Prese un altro pezzetto di pane e se lo
mise in bocca , masticando lentamente.
Li odiava. Sì, probabilmente li odiava davvero.
Alem, si era rivelato un maestro poco lungimirante. Un uomo
ambizioso, falso col suo stesso pupillo. Incapace di portare avanti il
suo progetto e così sciocco da lasciarsi uccidere dal drago da lui
stesso catturato.
E Irìyas… Irìyas non aveva
ingannato nessuno. No, non era per questo che lui odiava il mago. Lo
odiava perché lui aveva sempre pensato di aver capito il mago, di
averlo capito così bene da poterlo precedere. Invece l’evidenza
dimostrava il contrario: Hago si era sbagliato su tutto. Si era
sbagliato a tal punto che ora lui e Irìyas si trovavano su fronte
opposto.
Aveva così tanto frainteso il mago da aver – in fine – tradito
il suo più caro amico.
Gyonnareth si mosse e Hago si alzò, come scosso da un sonno
profondo.
“Com’è possibile che Irìyas non si sia mai accorto della vera
natura di Alem? “ la voce del drago risuonò cupa, nel mettersi in
piedi, parve provenire dal suo stomaco. “Com’è possibile che un mago
come lui non abbia capito con chi aveva a che fare?”
“Alem è sempre stato molto bravo ad ingannare le persone. Più
bravo che a fare altro. Ha ingannato Irìyas, ma ha anche ingannato
Giqiath prima e Briel dopo. Nascondeva
la sua vera natura…”
“Io l’ho solo scoperta per caso. Non avrei mai dovuto sapere
che cosa tramava il nostro vecchio maestro” non trattenne un sorriso,”
ma l’Alchimia m’ha aiutato.” Prese fiato.
“Irìyas non c’era. Non ricordo dove fosse, ma non c’era.
Sideas era con lui. In quegli anni all’Accademia eravamo, praticamente,
inseparabili. Ma sarò onesto, eravamo inseparabili per via di Irìyas.
Sideas non ha arti magiche dalle quali attingere, io nemmeno. Il
fascino che il mago esercitava su noi sbarbati era incredibile. Alla
fine… alla fine penso di odiarlo anche per questo.” Rise e per un po’
smise di raccontare
“Scesi nelle segrete profonde del palazzo degli Accademici, la
costruzione principale dell’Accademia, perché sapevo che lì Alem
conservava le Lacrime del Vento, ovvero la pioggia che cadde durante la
fine della Prima Età. Avevo in mente di fare meraviglie con
quell’acqua!” di nuovo si fermò, ripensando a quei momenti.
Le scale che scendevano verso quegli scantinati erano buie e
umide. C’era un forte odore di muffa.
“Chiocciola dopo chiocciola – ricordo bene – scesi. C’erano
dei bracieri alle parenti che erano spenti e apparivano in frantumi.
Ero quasi arrivato nella sua stanza, quando lo vidi. Il calore lì sotto
era così alto che ero convinto, all’inizio, che qualcosa bruciasse. Poi
però, per caso o per errore, arrivai alla sua porta. Alla porta di
Gyobriel. C’era una piccola finestrella, con diverse sbarre, io mi
affacciai per vedere che cosa c’era all’interno di quella stanza e
perché faceva così caldo.
Aveva gli occhi rossi. Non avevo mai visto un drago, mi parve
enorme. Le sue scaglie erano color cremisi, le sue iridi color sangue e
tutto mi parve per un istante di un rosso così intenso da accecarmi”
“Briel è diretto figlio di Fuoco, il nostro capo branco”
“Gyobriel mi guardò con degli occhi che giurarono vendetta”
Hago sorrise, ripensando a quel giorno: “Temetti per un istante che il
cuore mi si fermasse. Poi suonò la campana, di nuovo. Era il periodo
della Celebrazione dei Venti. All’Accademia c’erano le celebranti del
Mattino, del Vespro, c’era una delegazione reale… C’erano tantissimi
personaggi importanti, ma io sapevo che c’era anche un drago, rosso
cremisi, rinchiuso nelle segrete dell’Accademia. L’unica cosa che
ancora mi chiedo…” rivolse lo sguardo verso Gyonnareth “L’unica cosa
che ancora mi chiedo è com’è possibile che io sia arrivato lì.
Possibile che Alem non avesse messo qualche protezione per il suo mago?
Perché nessuno si è mai accorto di lui e, ad un certo punto, io sono
potuto scendere nelle segrete dell’accademia e raggiungerlo? Questo, in
realtà, non ha senso”
Gyonnareth non rispose, ma d’improvviso spiccò il volo per
allontanarsi dal suo padrone. Non voleva più ascoltarlo.
In lontananza poteva scorgere qualche abitazione umana degli
Erranti, i nomadi che vivevano ai confini del regno. Ormai pochi
battiti d’ali e avrebbe raggiunto Gyofinnan. Avrebbe – se non altro –
capito esattamente quello che sarebbe successo. Perché Hago, sebbene
come tutti gli umani parlasse troppo, non gli aveva raccontato tutto.
Lo sapeva. D’altronde, era ben consapevole che Irìyas non li aspettava
senza far nulla. Nessuno dei due umani avrebbe mai lasciato prevalere
l’altro. Ormai sapevano da troppo tempo che si sarebbero incontrati
quel solstizio.
Volse lo sguardo verso le terre del Regno, planando sull’acqua
del mare e sfiorandola con le zampe. Si appoggiò su uno scoglio, non
distogliendo gli occhi dalla direzione dev’era Finnan.
Ormai lo sentiva: era prepotente e forte, ma le sue mani non
tremavano più.
“Irìyas qualcosa è cambiato”. Nyven si guardò il tatuaggio
della maledizione fin sopra il braccio. Fin dove poteva arrivare a
vederlo. “Brucia” disse indicandolo col mento.
Il mago gli si avvicinò: “I draghi stanno arrivando e tu
reagisci al loro fuoco” gli mise una mano sulla spalla e il bruciore
scomparve immediatamente.
Nyven lo guardò, fissandolo a lungo.
Irìyas guardò quel viso ormai noto nei minimi dettagli: “Se
vuoi puoi andare” disse d’improvviso. Nyven non capì.
“Vattene. Sei libero di andare via e non girarti indietro”
“Andare? Andare dove?”
“Dove vuoi. Non ha senso che tu rimanga qui”
“Mi stai mandando via di qui?”
“Ma mi hai…” stava per dire comprato, ma
si accorse che era un termine che non aveva più senso, ormai.
“Ti libero. Devi andare via. Non puoi rimanere qui ora che
Gyonnareth sta arrivando”
Irìyas aggrottò le sopracciglia.
“Come puoi chiedermi di andarmene proprio ora?” Nyven strinse
i pugni e le sue iridi parvero illuminarsi.
“Niente di più e niente di meno di quanto abbia detto.” Irìyas
dice semplicemente “Devi solo andare via di qui. Con la stessa facilità
con cui ti ho preso al crocevia, così ti mando via dalla mia casa.”
Nyven rabbrividì per la freddezza delle parole.
“Non hai più bisogno di me?”
“Non ho più bisogno di te, no. Ma non solo. E’ troppo
pericoloso per te rimanere qui. Pericoloso ed insensato, in quanto
metteresti a repenaglio la tua vita e non aiuteresti la mia”
Nyven fece per replicare ma non trovò nulla da dire.
Andare via? Andare dove? Irìyas sarebbe andato ad Est, ma non
aveva mai pensato a cosa ne sarebbe stato di lui. Ingenuamente, aveva
sempre posticipato il problema e ora non aveva parole per controbattere.
La luce era rossa, il Sole caldo e carico di fuoco. Nyven
guardò Irìyas a lungo ma poi un brivido lo percorse lungo tutta la
schiena e fu costretto a voltarsi verso la finestra.
“I draghi…” disse a fil di voce “I draghi sono qui e se
lasciati liberi, faranno una strage”
Irìyas annuì. Lo sapeva. Ed era per questo che Sideas era
venuto da lui.
Gyonnareth era ormai al limitare del Regno, Gyofinnan lo
aspettava.
E il fuoco che governava i suoi giorni ardeva così
intensamente sui suoi sensi che ormai era certo che avrebbe presto
scoperto l’origine di Nyven.
Ma in quel momento era più importante allontanarlo.
Il ragazzo, altrimenti, sarebbe bruciato nel fuoco eterno di
un drago prigioniero.
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