Il compleanno di Jennifer

di martaparrilla
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Ora che anche Ginnifer, Joshua e il piccolo Oliver erano arrivati, poteva affermare che la sua famiglia era al completo, sia quella vera che sul set. Rose e Meghan continuavano a far foto a destra e a manca e Jennifer le osservava divertita e malinconica allo stesso tempo. Aveva voluto famiglia e amici accanto per una sera, solo per sentirsi un po' meno sola.

Dentro jeans, maglietta e scarpe da ginnastica, pensava che comunque non era il compleanno che si era aspettata. Ma dopotutto, quando la persona che ami decide di sposarsi con un altro, succede che semplicemente smetti di aspettare.

Smetti di aspettare i suoi messaggi, i suoi occhi, le sue mani.

Smetti di aspettarti quel gesto eclatante che pensi possa finalmente cambiarti la vita... che possa cambiarla a entrambi.

In alternativa a queste aspettative però, ne nascono di nuove: si aspetta il momento in cui incrociare altri occhi ti sconvolga come quando incrociavi i suoi; si aspetta il momento in cui incrociare di nuovo quegli occhi smetta di tormentarti; si aspetta la pace nel cuore, nel cervello e nello stomaco; si aspetta che quel vuoto venga riempito.

Jennifer aspettava da molti anni ormai che quel vuoto venisse colmato, anche se solo nell'ultimo anno aveva veramente mollato la presa. Ma c'era sempre qualcosa, un battito di ciglia, un messaggio, una piccola attenzione che, anche inaspettata, arrivava sempre.

«La smetti di avere quello sguardo perso nel vuoto?» disse d'un tratto Rose sedendosi accanto a lei. Non ottenne risposta. Jen teneva ancora lo sguardo fisso sul cellulare, cercando tra i numerosi social network una piccola e insignificante traccia del suo passaggio che ovviamente non ci fu. Rose sapeva che quando Jennifer fissava il suo telefono in quel modo, nulla poteva distoglierla da certi pensieri, anche se erano dolorosi. Così rimase accanto a lei per un po', con lo sguardo fisso sul telefono, fingendo di essere particolarmente interessata a un video di cui si sentivano le parole in sottofondo.

Poco lontana, Meghan scattava loro una foto e immediatamente la inviava a Rose.

Pubblicala dovunque e scrivi una dedica strappalacrime e piena di tutto l'amore che puoi dimostrare alla tua amica. Visto che in giro ci sono delle voci che tu e Jen state insieme, forse quella decorticata, vedendola, si degnerà di presentarsi qui”.

Lo sguardo di Rose si alzò per un istante e quando gli occhi di Meghan furono nei suoi, capì al volo il suo, probabilmente vano, tentativo.

«Jen, Oliver ti cerca, continua a ripetere la parola Torta con una enfasi che nemmeno quando dice mamma gli ho mai visto!»

Una Ginnifer molto incinta si avvicinò alla festeggiata e in quel momento Jen si destò dai suoi pensieri. Allungò la propria mano fino al pancione della sua amica e la solita scarica di benessere e dolcezza invase il suo corpo. Poi stampò un piccolo bacio su di essa e si alzò in piedi.

«Dov'è il mio piccolo "fratellino" teppista?»

Imitò le virgolette mentre pronunciò la parola fratellino. Ginni la abbracciò e la strinse a sé. Per un secondo, solo per un secondo, Jen sentì un fastidiosissimo bruciore alla gola, segno che la voglia di piangere stava arrivando al galoppo, ma lo cacciò via con una sola e rapida deglutizione, dando così la sensazione che quegli occhi lucidi fossero per la gratitudine che aveva verso i suoi amici che erano lì per lei.

«Mi dispiace che non sia venuta.»

Ginni le sistemò una ciocca di capelli dietro l'orecchio.

«Già, anche a me. Ma forse è meglio così, la sua presenza mi avrebbe destabilizzata e non poco.» Ginni annuì prima che Oliver si buttasse tra le braccia della bionda che lo afferrò al volo e lo fece roteare per la stanza come se fosse sopra un aeroplano. Di fronte alle 37 candeline, Jennifer chiuse gli occhi e desiderò Lei. Come sempre negli ultimi cinque anni. Come per ogni stella cometa, ciglio caduto, margherita raccolta. Chiuse gli occhi prima di prendere un grosso respiro e spegnerle tutte, con gli amici intorno che applaudivano e si apprestavano a intonare "Happy Birthday to you".

 

Solo quando anche Rose abbandonò il suo appartamento, Jennifer si rese conto del violento acquazzone che imperversava là fuori. Andò nella sua camera, sprofondò nel divano sotto l'enorme finestra e strinse tra le mani la tisana rilassante che era solita bere prima di mettersi a letto.

Le sarebbe bastato un saluto di persona, non chiedeva tanto. Ma forse non meritava le sue attenzioni nemmeno come amica o conoscente. Qualche mese prima probabilmente la cosa l'avrebbe fatta piangere, ora le provocava solo un profondissimo senso di abbandono.

Si rilassò per qualche istante, poggiando la testa sulla superficie morbida dietro di lei. Poi chiuse gli occhi.

Il campanello la fece sussultare. Afferrò il suo telefono prima di alzarsi a controllare, magari Rose non voleva guidare con quella tempesta, ma non aveva ricevuto alcun messaggio. A passo lento, con i soli calzini ai piedi, si trascinò fino all'ingresso e sbirciò dallo spioncino.

Niente. Non c'era nessuno là fuori.

«Chi è?» chiese all'interfono del citofono.

Nessuna risposta.

Era sicuramente uno scherzo di pessimo gusto.

Poco dopo ricevette un sms.

Era Lei.

Il cuore di Jennifer sussultò. Si portò la mano al petto, quasi dolorante e una stretta allo stomaco si impossessò di lei. Erano le 23:10, che diavolo voleva da lei a quell'ora?

Non aveva il coraggio di aprire quel messaggio. Fissava le quattro dannate lettere che componevano il suo nome e cercò invano di deglutire prima di imporsi che non avrebbe risposto, qualunque fosse stato il contenuto del messaggio.

Mi prenderò una polmonite se non apri il portone di casa tua. Posso salire?”

Alzò la cornetta del citofono e, titubante, premette il tasto per l'apertura automatica.

Non può essere fuori da casa mia, pensò intanto Jennifer.

Senza volerlo, si guardò allo specchio. Nonostante la stanchezza e l'agitazione era ancora ben truccata e i capelli le ricadevano morbidi sulle spalle. Ma il suo cuore non ne voleva sapere di calmarsi.

Perché Lana era lì? Perché non riusciva a darsi una spiegazione logica alla presenza di quella donna? L'aveva corteggiata, amata, bramata per anni e Lana aveva ceduto una sola volta con un bacio, il suo precedente compleanno, esattamente un anno prima. Non aveva spiegazioni ma sapeva che, anche se il timore raggiungeva ogni cunicolo più nascosto del suo essere, la speranza, alla fine, vinceva sempre. Perché quando si trattava di Lana che le regalava tre secondi della sua giornata, Jennifer era felice.

Si accorse di essere senza scarpe, così tornò in camera e si infilò le stesse che aveva indossato durante tutta la sera. Mentre si allacciava la seconda, bussarono alla porta.

Scattò in piedi talmente in fretta che ebbe una vertigine. Si massaggiò piano le tempie mentre si dirigeva alla porta.

La aprì.

Di fronte a lei Lana, che sembrava essere appena sfuggita alla peggiore delle tempeste.

Jennifer la fissò, come faceva sempre. Indossava un soprabito beige con la cinta e oltre quello, collant e décolleté nere, non poté scorgere altro. Ma la sua immaginazione avrebbe potuto scrivere un libro intero solo ipotizzando cosa nascondesse sotto quel trench.

«Ciao Jennifer» disse col fiatone. Le sorrise e Jennifer si dimenticò di respirare.

«Ti chiedo solo un asciugamano per viso e capelli, non ho intenzione di entrare e sporcarti tutta la casa.»

Come un automa, la bionda si voltò per accontentare la richiesta della mora che comunque entrò dentro casa e chiuse la porta.

I tuoni facevano vibrare i vetri dell'appartamento di Jennifer e Lana ebbe un brivido di freddo. Non aveva previsto la presenza dell'acqua per quella serata, dovevano esserci le stelle, doveva avere sopra la sua testa tante piccole luci luminose, come gli occhi della sua collega quando la guardavano. Voleva farle provare la stessa cosa, voleva farla sentire finalmente speciale come si meritava, come era sempre stata per lei.

Jennifer fece capolino dal corridoio di fronte alla porta, con in mano un asciugamano bianco quanto la sua pelle. Lana tamponò piano i capelli e il viso, avendo cura di non sporcarlo di trucco. Jen la fissava senza dire una parola. Aveva talmente tante domanda da farle che non sapeva da dove iniziare quindi, per evitare figuracce, stette zitta.

«Uhhh, finalmente! Oddio non sono proprio asciuttissima ma va molto meglio di prima» disse, allungando le braccia per dare l'asciugamano a Jennifer. Quest'ultima accennò un lievissimo sorriso confuso prima di afferrarlo e posarlo sulla sedia poco lontana.

Si scrutarono per qualche minuto, osservando qualunque cosa che avrebbe potuto smascherare i loro pensieri. Poi Lana interruppe il silenzio.

«Ho bisogno che tu venga con me, Jennifer.»

Infilò le dita della mano destra tra i capelli e li tirò indietro. A Jennifer arrivò prepotente l'odore del suo shampoo e le si accartocciò lo stomaco. Voleva dirle di sì in modo disperato, ma non voleva continuare a soffrire inutilmente in questo modo.

Lana aveva paura di sentire un secco e giustificato “no” alla sua richiesta. Aveva rischiato che Jen andasse via dallo show per non vederla più, aveva rischiato che diventasse una sconosciuta e aveva avuto una paura tale da renderle assolutamente impossibile continuare a vivere in quel modo.

«Io... dove? Perché? Non credo che sia una buona idea, dovresti tornare da tuo marito, sarà preoccupato per te.»

Incrociò le braccia al petto in segno di difesa. Cosa voleva ancora da lei? La amava e la odiava e non riusciva a fare a meno di fissarle le labbra che ora rimanevano mezze aperte, stupite, dispiaciute per la sua risposta. La mora sorrise amaramente e cercò di scorgere, tra i lineamenti di Jennifer, qualcosa che la tradisse: Jen voleva dire di sì disperatamente, così, cercò di sdrammatizzare.

«La solita curiosa, lo vedrai quando arriveremo, sempre che voglia seguirmi.»

«A dire il vero no, Lana, non ho molto voglia di seguirti. È stata una serata piacevole e ti avevo invitata, perché non sei venuta visto che volevi vedermi?»

Ultimamente per Jennifer era difficile filtrare i propri pensieri. Qualunque cosa le passasse per la testa, la esprimeva. Era senza controllo e Lana sapeva di essere la causa di tutto questo. Quello che Jen invece non sapeva era che per la sua collega le cose non andavano meglio: con un marito e tre figli, aveva delle enormi responsabilità e tutto quello che aveva costruito si era frantumato letteralmente quando aveva ceduto al bacio di Jen, un anno prima. Sapeva che quel bacio l'avrebbe cambiata, sapeva che non sarebbe stato più come prima, né col marito, né con Jennifer, ma aveva rischiato spinta dall'esigenza che portava il nome della donna dagli occhi verdazzurri di fronte a lei. Si portava dietro tutto questo da troppi anni ormai e si era illusa che metterlo in pratica avrebbe spento quel fuoco che le continue attenzioni della bionda avevano acceso.

Una mera illusione.

«Perché sono consapevole di dovermi far perdonare. Non potevo venire qui come se niente fosse. Non sono una stupida.»

L'acqua che l'aveva bagnata aveva ormai superato tutti gli strati e si ritrovava a tremare per il freddo.

«Già, sei solo menefreghista.»

Lana si strinse le mani sulle braccia, cercando di scaldarsi un pochino.

«Ti prego, Jen...»

«Cosa dovrei fare?»

La proprietaria della casa sbatté rumorosamente le braccia sui suoi fianchi, davvero infastidita.

«Seguirmi e basta, puoi fidarti di me per quest'ultima volta? Se ti deludo possiamo continuare a ignorarci come quest'ultimo anno.»

Guardò i suoi occhi per avere la certezza che non avesse in mente qualche stupido scherzo: gli occhi di Lana non mentivano mai. Fece un piccolo cenno affermativo del capo e la mora, sorridente, tirò fuori dalla sua borsa un foulard colorato.

«Devo bendarti, spero che non sia un problema.»

Jennifer alzò entrambe le sopracciglia prima di rispondere.

«In effetti sì, ma immagino che non possa rifiutarmi, giusto?»

«In effetti no.»

Come al solito. Lana spariva, tornava, la baciava, se ne andava, non le rivolgeva la parola, eppure riusciva sempre a ottenere quello che voleva. Del resto, con quel sorriso, avrebbe potuto far scatenare una guerra e il presidente USA non se ne sarebbe nemmeno accorto.

«Bene, allora andiamo.»

Con due passi la raggiunse e il rumore dei tacchi rimbombò nella stanza. Si posizionò dietro Jennifer che, temendo di rimanere senza aria, portò le sue mani al collo, iniziando a massaggiarlo.

«Rilassati, non ti mangio...» le disse annodando il foulard attorno alla sua testa, avendo cura di non stringere troppo. Jennifer portò poi le sue mani di fronte ai suoi occhi ora coperti.

Lana le prese la mano e la trascinò con sé. Poco prima di chiudersi la porta alle spalle però, Jennifer ricordò un particolare indispensabile.

«Le chiavi di casa!» fece per spostare la benda e tornare indietro ma Lana, quasi terrorizzata, le bloccò il polso.

«Non ti azzardare. Dove trovo le chiavi?» chiese sistemando di nuovo il foulard sugli occhi della donna di fronte a lei e facendo delle boccacce come per assicurarsi che fosse davvero momentaneamente cieca. Sorrise tra sé e sé.

Jen, spaventata, disse che le avrebbe trovate sopra il mobile di fianco alla porta d'ingresso, sulla destra.

Lana sparì per qualche secondo per poi comparire di nuovo facendo tintinnare le chiavi e chiudendo la porta.

«Ti pregherei di non commentare il mio portachiavi, ti ringrazio.»

Qualche mese prima una fan durante le riprese si era avvicinata a Jennifer e dopo averle rubato una foto e un autografo le aveva regalato quel portachiavi: una mela rosso fuoco e un piccolo cigno dorato. Era leggero e molto carino e Jennifer, al contrario di molte altre volte, aveva ringraziato davvero molto quella ragazza per il carinissimo regalo, ma era stata ben attenta a non mostrarlo in giro durante le riprese. Lana, osservando quel piccolo oggetto di metallo di cui ignorava la provenienza, si limitò a sorridere.

«Dopo, se vuoi, posso raccontarti la storia del mio, credimi, è molto più imbarazzante di questo.»

Cinse col braccio destro il fianco di Jen, che come un automa si lasciava guidare dalla sua collega.

Lana preannunciava ogni possibile ostacolo al cammino della bionda tanto che quest'ultima non ebbe poi grosse difficoltà a raggiungere la macchina dell'altra, illesa.

«Non piove più?» chiese una volta seduta in macchina.

«No, non piove più, per fortuna si sta schiarendo, se siamo fortunate vedremo qualche stella. Cintura, dear» sussurrò sopra le sue labbra dopo essersi sporta per tirare la cintura e legare per bene la donna di fianco a lei.

Jennifer smise di respirare per cinque lunghissimi secondi. Aveva chiaramente sentito il fiato di Lana sopra le sue labbra e quel gesto non era una cosa che era abituata ad avere, quindi non era cosciente delle conseguenze che ciò poteva avere sulla sua testa e sul suo corpo. Avvampò pensando all'espressione che aveva sicuramente assunto la sua collega successivamente a quel gesto e col dorso delle mani tastò la temperatura delle sue gote, divenute improvvisamente calde e sicuramente arrossate.

«Potresti per favore aprire il finestrino? Non fare commenti nemmeno su questo, grazie.»

Lana ruotò la chiave precedentemente inserita nella toppa e accese il motore. Abbassò entrambi i finestrini, nonostante lei fosse tremante e infreddolita. Jennifer, evidentemente, stava molto peggio di lei, con le mani che si muovevano verso il suo viso come se fosse un ventaglio.

«Tra poco saremo al freddo e non hai portato nemmeno una giacca, fortuna che ho una piccola coperta sui sedili posteriori.»

Jennifer si voltò verso di lei o almeno verso il punto in cui pensava di poter vedere il viso di Lana, che intanto aveva fatto manovra e si era immessa nella strada che, per l'acqua, rifletteva in modo fastidioso i fari della macchina.

«Forse non è il caso che utilizzi con me qualcosa che appartiene a te e tuo marito, non mi sembra opportuno.»

Come sempre, riusciva a trovare minimi, insignificanti dettagli che ferivano Lana. Ma dopotutto, dopo cinque anni di conoscenza, tra le due, la più ferita era sicuramente Jennifer e quest'ultima non perdeva l'opportunità di ricordarlo all'altra donna.

«Non farei mai una cosa simile, l'ho comprata appositamente per oggi, va bene? Stavo cercando qualcosa per te quando mi sono ritrovata a cercare foto della tua festa tra i tuoi profili...»

«Sei stata invitata a questa festa, se fossi venuta non sarebbe stato necessario sbirciare da nessuna parte» aggiunse secca Jennifer. A volte davvero non la capiva. Si era allontanata per farle un favore, evitava di parlarle, scriverle, guardarla, respirare il profumo che lasciava inevitabilmente tra i corridoi. Quel profumo che conosceva alla perfezione che era entrato in lei e non riusciva a scacciare nemmeno se avesse voluto.

Lana continuava a muovere il capo in segno di diniego, consapevole che il comportamento di Jen era colpa sua. Aveva ignorato le sue avances per tre anni ma le era sempre piaciuta, anche se era fidanzata, anche se si era sposata, anche se aveva una dannata famiglia che amava, certo che la amava. Ma negli ultimi anni non aveva fatto altro che pensare che forse sarebbe stata felice anche in un altro modo, con un'altra persona, con Lei. Questo pensiero era diventato martellante nell'ultimo anno, da quando aveva regalato a Jennifer il suo bacio di compleanno che non aveva ancora dimenticato. Era stato così improvviso e inaspettato che nemmeno lei si era resa conto di quello che aveva fatto, Jennifer era così felice che fosse insieme a lei, le brillavano gli occhi e la guardava nel suo modo, quel modo con cui guardava solo lei. Quindi, Jen, molto ingenuamente, l'aveva ringraziata con un abbraccio e Lana si era ritrovata a voler desiderare qualcos'altro, tipo la bocca sulla sua. E l'aveva fatto. Subito dopo si era chiesta per quale dannato motivo non avesse mai toccato quelle labbra prima, come avesse fatto fino a quel momento a non volerla attirare a sé schiacciandola contro il proprio petto, ascoltando così, il battito accelerato del suo cuore. Era stato così naturale e bello e puro che nemmeno quando si erano rese conto dell'accaduto aveva pensato che fosse sbagliato. Lei no, Jennifer sì, ma in quel momento si era goduta quella sorpresa davvero inaspettata.

Nei mesi successivi era stata Lana alla fine quella a soffrirne di più. Sapeva di aver tradito suo marito e i suoi figli, sapeva di aver messo a repentaglio un'amicizia che riteneva ormai fondamentale nella sua vita, sapeva di essere una persona assolutamente inaffidabile... eppure, da quel momento in poi, Jen era diventata il suo pensiero fisso, la sua ossessione, la sua stella, il motivo per cui andava a lavoro e il motivo per cui non si staccava dal cellulare nemmeno per mezzo secondo. Era diventata dipendente dai social network e in particolare controllava in modo assillante i suoi profili, pronta a scovare qualunque notizia di Jennifer e Rose che poteva destare in lei anche il minimo sospetto. Girava infatti voce, da qualche mese, che tra le due donne ci fosse del tenero, complici anche le numerose foto fuori dal set che le due donne pubblicavano molto spesso. E quella sera era successo esattamente quello: aveva passato il pomeriggio alla ricerca di un regalo per Jennifer perché voleva vederla e voleva parlarle ma non sapeva se quel giorno avrebbe avuto il coraggio. E il coraggio le era improvvisamente arrivato vedendo la foto che Rose aveva pubblicato assieme a Jennifer, a casa sua.

I film che Lana aveva iniziato a girare nella sua testa erano davvero, davvero impropri oltre che improbabili, ma quella foto le aveva dato il coraggio di presentarsi, poche ore dopo, a casa della sua collega.

Con un piano ben preciso.

Finalmente, dopo venti minuti di percorso trascorso tra una frecciatina e l'altra, arrivarono a destinazione.

Lana scese veloce dalla macchina, intimando la donna di fianco a lei di aspettare immobile.

Aprì la portiera del passeggero, afferrò delicatamente la mano di Jennifer e l'aiutò a scendere.

«Ora arriva il cecchino a uccidermi o pensi che risparmierai la mia vita? No perché da quando sei arrivata ho rischiato di morire diverse volte.»

Jen era così, combatteva l'ansia e la tensione continuando a sparare fesserie.

«Pensi di riuscire a stare zitta altri due minuti o devo tapparti anche la bocca?»

«Farò finta di non aver pensato a molteplici scenari a luci rosse dopo la tua ultima frase. Forza, andiamo» rispose. Poi, si senti letteralmente tirare per il braccio.

Jennifer si accorse di camminare sull'erba e sentiva attorno a lei un intenso odore di terra bagnata.

Improvvisamente si fermarono.

«Ora ti faccio sedere, non in terra, giuro, e giuro anche che non ti sporcherai, ok?»

«Ahhh, ora ho capito! Fucilazione! Ho indovinato?»

Lana stavolta rise di gusto, portando la testa indietro e posizionando una mano di fronte alla bocca.

«Lieta di farti divertire» aggiunse una Jennifer poco convinta ma orgogliosa per aver fatto ridere la donna di fianco a lei. L'umidità del recente acquazzone iniziava a farsi sentire ed ebbe un brivido, ma Lana non se ne accorse visto che tornò verso la macchina per prendere il thermos e due bicchieri di cartone su cui avrebbe versato la bevanda calda che aveva portato con sé. A dire il vero non sapeva se era ancora sufficientemente calda, ma il plaid avrebbe fatto il resto.

Si sentiva profondamente agitata.

La sua collega soffriva ormai da anni per quella situazione e odiava essere lei la causa di tutto questo. Non era mai stata oggetto di desiderio non corrisposto per tutti quegli anni e questa situazione la faceva sentire a disagio sotto ogni punto di vista. A lavoro, senza suo marito nei paraggi, riusciva a dare il meglio di lei, soprattutto con Jennifer accanto ed era fermamente convinta che Regina amasse Emma, nel profondo del suo cuore. Quella Emma che aveva rinunciato alla sua felicità per salvarla dall'oscurità e che con difficoltà e quasi come se fosse solo un'alternativa, aveva accettato l'amore di Hook, amore che, a suo modesto parere, non la rendeva davvero felice.

«Arrivo!» urlò poco dopo, saltellando leggera sull'erbetta umida.

Jennifer sentiva l'altra donna trafficare di fianco a lei, allontanarsi, tornare indietro e lasciare dietro di sé quella scia di efferatezza data dall'averla avuta così tante volte vicina, tanto, tanto vicina. Ma non era mai riuscita a toccarla davvero. Sperava ardentemente che tutta quella farsa del vero amore di Emma e Hook terminasse al più presto, così che lei potesse disintossicarsi da quell'amore malato e non corrisposto che portava il nome di Lana Maria Parrilla.

Parrilla.

Pronunciò il suo cognome a fior di labbra e sentì una leggerà scossa sulla schiena. Pronunciare il suo nome a voce alta era come sfiorare le sue labbra. Quelle labbra che lei muoveva come se non si rendesse davvero conto dell'effetto che faceva a lei e a tutti quelli che le stavano intorno. Tutto il programma ruotava intorno al fascino indiscusso di Regina Mills e dell'attrice che la interpretava. Era come un sole al centro di un universo alternativo: loro erano solo dei piccoli pianeti che le ruotavano intorno senza mai riuscire a raggiungerla. Potevano solo godere della bellezza e del calore che essa emanava, da lontano, svuotati da quella consapevolezza che non avrebbero mai potuto bruciare in lei e con lei, ma solo a causa sua.

«Eccomi, allora...» Lana prese le mani di Jennifer e la fece accomodare su una sedia lì accanto.

Lei fece lo stesso prima di aprire il piccolo thermos e versare in uno dei bicchieri la cioccolata calda che aveva preparato qualche ora prima.

Lo porse a Jen e versò il liquido denso rimanente nel suo bicchiere.

Poi si sedette accanto a lei e sistemò il plaid sulle spalle di entrambe.

«Ora puoi toglierti il foulard» disse all'improvviso.

Jennifer tentennò per qualche secondo. Aveva sinceramente paura di guardarla in un posto quasi sicuramente isolato e a pochi centimetri di distanza da lei. Portò la sua mano destra al viso e, afferrato il bordo inferiore della maschera improvvisata, la fece scivolare sul capo e sui capelli, prima di trovarsela tra le mani. Lana afferrò il sottile accessorio colorato poco prima che cadesse per terra.

Jennifer, dopo quel tempo quasi infinito di cecità, strizzò gli occhi per mettere a fuoco l'ambiente attorno a lei: non le era totalmente estraneo. Un unico faro, che sembrava improvvisato, era posizionato sopra le loro teste, sul bordo della piccola tettoia grigia. Oltre l'aiuola che aveva attraversato poco prima, era parcheggiata l'auto di Regina Mills... insomma erano sul set, ma c'era qualcosa che non quadrava. Ruotò leggermente il busto, alla sua destra, dando così le spalle a Lana per qualche secondo e solo in quel momento si illuminò: un enorme cartello con su scritto “WELCOME IN STORYBROKE” e i loro visi nella zona inferiore, di Lana e Jennifer, era posizionato nello stesso identico punto della prima volta che si incontrarono. Tornò in modo repentino a guardare la donna di fianco a lei, facendo scivolare la coperta dalle sue spalle.

Il viso di Lana era l'incarnazione della felicità, quello di Jennifer lo era per lo stupore.

Poi abbassò anche il proprio sguardo sul bicchiere che conteneva una cioccolata ormai molto poco fumante.

«15 Luglio 2011. Non sapevo nemmeno che fosse il tuo compleanno.»

Tornò sugli occhi di Lana, lucidi e commossi... dopotutto non aveva dimenticato il loro primo incontro.

«Certo, se mi avessi offerto una cioccolata calda il 15 di Luglio, non ti avrei rivolto nemmeno la parola, quell'estate è stata terribile nonostante fosse Vancouver.»

«Sono felice che ti ricordi tutto alla perfezione» aggiunse Lana con voce roca.

Jen rimase incantata dal suo sorriso.

«Difficile dimenticare il modo in cui mi hai sorriso e la ventata di allegria che aleggiava attorno a te. Non è cambiato nulla da allora in te.»

Sorseggiò la cioccolata, mentre fissava la macchina parcheggiata oltre l'aiuola.

«Ma, hai usato la macchina di Regina?» strabuzzò gli occhi verso di lei.

Lana fece spallucce a cui seguì un sorrisetto molesto e assolutamente adorabile. Improvvisamente, il faro sopra di loro si spense, lasciando come unica fonte di luce le stelle, decisamente insufficienti ma estremamente visibili dopo il violento acquazzone.

Tacquero per un po', incantate dallo spettacolo che si erigeva sopra di loro. La mano di Lana si insinuò dietro le spalle di Jen, riportando la coperta al suo posto. Poi poggiò il viso sulla sua spalla.

I loro pensieri erano molto più simili di quanto loro potessero immaginare. Jennifer era ormai convinta di doversi solo disintossicare dalla donna di fianco a lei. Probabilmente si sentiva sola, probabilmente aveva litigato con Fred e lei era sempre l'unica e la sola da cui lei si rifugiasse, anche solo per guardare un film, in silenzio. Ma nell'ultimo anno non era successo niente di tutto ciò. Ogni tanto aveva ricevuto qualche messaggio: un complimento, una domanda sul meteo, un consiglio su un vestito... ma non si era più presentata a casa sua, per nessun motivo.

Lana doveva e voleva dimostrarle come questo lungo anno era servito solo a farle capire quanto le mancasse la sua amica, la sua confidente, la sua... baciatrice preferita. Perché quel maledetto bacio non l'aveva mai scordato, se lo sentiva ancora lì, sulle labbra. Caldo, morbido, delicato. Jennifer era una persona assolutamente solitaria e tendenzialmente malinconica e Lana sapeva di aver accentuato questo lato del suo carattere così come sapeva che non sarebbe mai riuscita a farla tornare da lei per far finalmente incrociare quei binari su cui viaggiavano parallele da molti, troppi anni.

«E in te Morrison? Cosa è cambiato in questi cinque anni?»

La domanda della mora la colse di sorpresa. Il profumo dei suoi capelli la agitava, aveva bisogno di alzarsi e passeggiare. Così con delicatezza, poggiò la sua mano sulla testa di Lana e lei la sollevò all'istante, lo stesso istante in cui la bionda si alzò in piedi e dopo aver fatto un lungo e profondo respiro, si voltò, pronta ad affrontarla.

«Che ci facciamo qui?».

«Davvero non lo capisci, Jen?»

Lana diede un'occhiata al suo orologio, aveva ancora cinque minuti di tempo per augurarle buon compleanno. Così prese coraggio, lasciando la sua copertina sullo schienale della sedia e il bicchiere in terra. Avvicinatasi a Jennifer, afferrò il bicchiere che teneva tra le mani e lo posò accanto al suo.

Umettò le labbra con la lingua, non in modo volgare, non in modo provocatorio e nemmeno con fare sicuro. Aveva le labbra e la bocca secche e doveva dire delle cose, doveva dirle talmente tante cose... ma i suoi occhi la fissavano con quell'espressione da bambina che lei quasi venerava, che cercava ogni volta che qualcuno la faceva ridere. Si voltava sempre a guardare se lei fosse lì, a sentire la stessa battuta per poter ridere insieme perché la sua risata, la sua complicità, era quanto di più bello le fosse mai capitato nella vita. Così, tutte le parole che doveva mettere insieme sparirono dentro quegli occhi verdazzurri e affondarono, si persero, insieme alla sua ragione. Ma doveva recuperarle in qualche modo così si sollevò sulle punte dei piedi e la baciò. Tentò di imitare il bacio che c'era stato un anno prima. Voleva mettere la stessa dolcezza, calma, affetto, paura. Ma non rimase calma perché lei aveva bisogno di recuperare quelle maledette parole che erano finite negli occhi di Jennifer e una delle due mani afferrò la nuca della bionda per far aderire meglio le sue labbra con le proprie, schiudendole quel poco che bastava per sentire le due lingue incontrarsi.

Quando Jennifer vide il volto di Lana avvicinarsi così pericolosamente al suo, nella penombra di quella sera senza luna, pensò di indietreggiare. Era fermamente convinta che quella fosse la cosa giusta da fare per entrambe, ma soprattutto per se stessa. Non poteva di certo ripartire da zero, era arrivata a buon punto nella via di disintossicazione dalla latina più sexy dell'universo. Mentre questi pensieri prendevano forma, le mani, ignare della volontà della bionda, avevano già slacciato il trench della donna di fronte a lei per sentirla addosso, prendendole con forza i fianchi fasciati da una stoffa eccessivamente aderente.

Con entrambe le bocche ancora aperte, presero un profondo respiro prima di guardarsi negli occhi.

La mano di Lana accarezzava le gote di Jennifer che aveva lo stomaco in subbuglio ma di certo non riusciva a sorridere.

«Buon compleanno, Jennifer» disse con un timido sorriso. La bionda tacque.

«Dovevo dirti tante cose, Jen. Ma non riesco a dirle quando mi guardi, per cui te le dirò con gli occhi chiusi» respirò a lungo, lasciando che il loro fiato affannato si mischiasse, come i fumi colorati di un veleno potente sotto la fiamma.

«Ci ho provato Jen, davvero. Ho provato a far finta di niente, ho provato a non pensare al primo giorno in cui ti ho vista, alle risate, ai tuoi fiori, alle cioccolate e ai caffè, agli abbracci, ai massaggi, alle chiacchierate notturne, alle maratone di telefilm i giorni prima del mio matrimonio perché ero davvero, davvero troppo agitata. Alle convention in cui tu fuggivi da me per paura di creare disappunto tra i fan, alle sfide a base di shottini...»

La bionda ascoltava in silenzio, godendosi quell'abbraccio, quelle parole, quella vicinanza e quella sicurezza che sentiva solo quando stava tra le sue braccia. Ed era strano che non avesse voglia di scappare lontano da lei perché nell'ultimo anno, quando Lana raggiungeva e superava il suo spazio personale, si attivava una sottile e impenetrabile barriera che permetteva a Jen di non soffrire ulteriormente. E anche in quel momento era totalmente protetta dalla consapevolezza di non poterla avere per cui ogni parola che usciva dalla sua bocca diventava inutile, per quanto emozionante, per quanto sentisse la necessità fisica di crederle, lei non ci credeva, non ci credeva più.

«...e alla sensazione di famiglia che mi avvolgeva quando accompagnavamo insieme Jared dalla sua mamma... non sono riuscita a fare a meno di pensarci Jen e io volevo sapere se anche tu ci pensi ancora... a me.»

La paura che attanagliava lo stomaco della mora aveva assunto dimensioni spropositate. Jennifer la abbracciava, la accarezzava ma non era lì con lei, lo sentiva. Era lontana mille miglia, era nel posto sicuro che si era costruita per sopravviverle. Aprì gli occhi e tornò su quelli di Jen, che la fissavano con tenerezza.

«Grazie per gli auguri e per la sorpresa, Lana. Ma io credo sia meglio che ora mi riporti a casa, è molto tardi e hai un marito e una famiglia che ti aspetta, non deluderli.»

Non era ferita, non era arrabbiata, era solo cresciuta. Non voleva più vivere di sogni, speranze e fantasie. Lei non era come Emma Swan che credeva nella magia e nel lieto fine, lei credeva nei gesti delle persone, nelle dimostrazioni e se queste non si verificavano, allora non aveva senso sperare. Le labbra sfiorarono la fronte della mora, poi si staccò da lei e afferrò la coperta che Lana aveva abbandonato sulle sedie, prima di tenderle la mano e chiederle di andare a casa.

Lana tremava.

Di freddo, paura, stanchezza.

Aveva perso troppo tempo, ci aveva pensato troppo e ora l'aveva persa, per sempre.

Allungò comunque la sua mano verso quella dell'altra donna, stringendola e intrecciando le dita con le sue.

Fu Jen stavolta a guidare.

C'era silenzio dentro l'abitacolo, ma i pensieri delle due donne facevano a pugni sopra le loro teste. Jennifer era quasi sollevata per quella confessione, ma era arrivata tardi. Lana si sarebbe volentieri presa a pugni per aver aspettato così tanto tempo, per aver tolto la fede e averla messa dentro il cassetto della sua macchina. Ma nemmeno questo era servito a renderla credibile, si era resa ridicola e aveva fatto soffrire due persone splendide. Si meritava solo la solitudine.

Di fronte al palazzo in cui era situato l'appartamento di Jennifer, la mora le chiese di poterla accompagnare. I tuoni erano tornati a far rumore sopra le loro teste.

Mentre salivano la rampa di scale, sempre in assoluto silenzio, Jen giocherellava con le chiavi e quasi non fece caso al piccolo cestino di legno bianco con, al suo interno, un fascio di rose rosse e una bottiglia di champagne. Aveva quasi rischiato di inciampare su di esso.

Lo scrutò in silenzio, scorrendo nella sua testa tutte le possibili persone che avrebbero potuto lasciare questo pensiero di fronte alla porta di casa sua. Quando scorse il biglietto poggiato sulle rose e il suo nome sopra, si pietrificò e voltò lo sguardo verso la donna di fianco a lei che, imbarazzata, cercava di giustificarsi in ogni modo, sistemandosi i capelli dietro le orecchie e tentando di nascondere il rossore sulle sue guance.

«Scusami, questa l'ho portata prima, per questo ti ho bendata prima di uscire di casa, volevo farti una sorpresa e...» si abbassò per afferrare il biglietto poggiato al suo interno ma Jennifer fu più rapida di lei e glielo strappò letteralmente dalle mani.

Lo sguardo contrariato della bionda fece sorridere Lana che comunque tentò di riprendersi quel biglietto, così da evitare ulteriori brutte figure. Allungò la mano sinistra verso quella della bionda, che subito l'allontanò portandola dietro la sua schiena. Con l'altra mano, poi, trafficò con le chiavi per aprire la porta.

«Se è qui significa che era per me, e i regali non si riprendono mai, è maleducazione» afferrò la cassettina bianca con le rose per portarla in casa. Accese la luce e la poggiò sul tavolo in salotto. Annusò il meraviglioso profumo dei fiori, poi afferrò la bottiglia e tornò dalla sua collega che era rimasta in piedi di fronte alla porta.

«Vuoi entrare ad assaggiare lo champagne? Ho ancora un pezzo di torta in frigo. Poi ti lascio tornare a casa, ma la lettera non te la... restituirò... mai.»

Jennifer si era letteralmente bloccata. I suoi occhi puntavano qualcosa sul collo della mora e quest'ultima era terrorizzata dal suo sguardo. Il cuore sembrava impazzito e per quanto provasse a immaginare il motivo di quel cambio di espressione, non le veniva in mente assolutamente nulla che lo giustificasse.

Jen allungò la sua mano sinistra e afferrò quella di Lana, che si stava massaggiando il collo, come a voler dare più spazio all'aria che non ne voleva sapere di arrivare ai polmoni. Le dita finirono direttamente sul suo anulare sinistro, spoglio di quel cerchietto di metallo dorato chiamato fede, che Lana non toglieva mai e che ora era sparito.

Con la bocca leggermente spalancata, la bionda giocherellava con quelle dita, prima di tornare sul viso di Lana che le regalò uno dei suoi più belli e disarmanti sorrisi.

«Non sono venuta da te senza una certezza Jen, ho fatto le cose per bene...»

Jen fu su di lei, sbattendo violentemente i due corpi contro la porta, che si chiuse rumorosamente.

 

Aprì gli occhi, scossa da un tuono.

La pioggia cadeva ancora incessantemente e l'orologio sulla parete della sua camera segnava l'una del mattino. Si era addormentata... ma le sensazioni che quel sogno le aveva lasciato erano assolutamente reali.

Le emozioni, il bacio, la sorpresa. Sentiva ancora il profumo di quella donna attorno a lei. La tazza che teneva tra le mani fortunatamente non si era rovesciata, ma il suono improvviso del campanello aveva quasi rovinato la fortuna che aveva avuto fino a quel momento. A quanto pare le sorprese non erano ancora terminate.

Si alzò rapida, andando verso la porta, che non era di certo intenzionata ad aprire a quell'ora di notte, con quella pioggia, senza prima controllare dallo spioncino.

Si stropicciò gli occhi assonnati prima di sbirciare.

Lana.

Con lo stesso identico abbigliamento che aveva nel sogno che aveva appena fatto, stesso rossetto, stessi orecchini, stesso soprabito.

No, non di nuovo.

Si diede un pizzico violento per valutare il suo stato di coscienza e no, a quanto pare stavolta era desta. Rimase a fissare la porta per alcuni secondi, indecisa se aprirla o meno. Poi, da sotto la porta, comparve un biglietto.

«Leggilo, poi ti prometto che me ne andrò» disse Lana dall'altra parte della porta.

Titubante, afferrò il biglietto con la mano. Era un foglio di cartoncino giallo invecchiato, piegato in due. Al suo interno, una frase scritta a mano, la Sua mano.

Forse noi due ci cercavamo molto più di quanto noi stesse pensassimo. E così abbiamo finito per prendere la strada più lunga e più contorta. Forse io non avrei dovuto fare quello che ho fatto. Ma non ho potuto farne a meno. E volevo dirti che la sensazione di intimità e tenerezza che ho provato per te, è stata un’emozione che non avevo mai sentito prima nella mia vita”.

Lo rilesse per ben tre volte prima di spalancare la porta con gli occhi allagati di lacrime.

Lana le sorrise e per Jennifer fu tutto chiaro: quella col suo sorriso era una guerra che non sarebbe mai riuscita a vincere.

Poi puntò diretto il suo sguardo all'anulare della mano sinistra della mora: non c'era nessun anello.

 

 

Note dell'autrice: era il 12 Aprile quando ho iniziato a scrivere questa OS. Avevo ovviamente fatto un sogno bellissimo nel pomeriggio, sogno che mi aveva portata a iniziare a scrivere, convinta dall'ispirazione del momento. Poi l'ispirazione è morta, seppellita dall'ansia per lo studio per un esame importante. Ma sono comunque riuscita a finirla, anche se con un po' di ritardo, anche per colpa del CC di San Diego che mi ha lasciato l'amaro in bocca, poverissimo di scatti Morrilla.

Vi auguro un piacevole agosto e spero di pubblicare di nuovo molto presto, buone vacanze!

M.

 





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