Di microfoni e copioni

di Aching heart
(/viewuser.php?uid=214823)

Disclaimer: questo testo è proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


      
Primo anno – Lovers’ Vows


«Mannaggia la miseria! Ti vuoi muovere?»
«Aspettami! ‘Ste scarpe sono due strumenti mortali!»
Nel corridoio semibuio due ragazze – Maria, che procedeva spedita nei suoi sandali alla schiava, e Tessa, che invece arrancava in un paio di scarpe d’epoca che avevano sui suoi piedi l’effetto di due trappole per topi – correvano per non fare tardi al sound-check ed incorrere così nelle ire di Mina, regista dello spettacolo teatrale che sarebbe andato in scena di lì a un’ora. Le due amiche conoscevano Mina solo da un anno, cioè da quando avevano sentito parlare della sua neonata compagnia teatrale e avevano deciso di buttarsi insieme in quella nuova esperienza, ma avevano capito che la donna, di solito gioviale e simpatica, veniva colpita da una rara forma di aggressivite acuta con l’avvicinarsi della data dello spettacolo. Pensavano che non potesse peggiorare rispetto a quella mattina, ma non volevano sfidare la sorte, ragion per cui si stavano scapicollando nel suddetto corridoio.
Sbucarono finalmente nel cortile del Museo, messo gentilmente a disposizione dal Comune per la rappresentazione, e si affrettarono a salire sul palco, dove le stavano aspettando gli altri attori e soprattutto Mina, che si sistemava ripetutamente il ciuffo grigio ferro dietro l’orecchio in segno di impazienza. 
«Bene» disse quando le vide «ora che Maria e Tessa si sono degnate di raggiungerci, che ne pensate di muoverci un po’? Oppure vogliamo fare Natale?». 
Nessuno osò fiatare, ma i due ragazzi del service si affrettarono a prendere i microfoni e cominciarono a sistemarli addosso agli attori, prima il ricevitore e poi l’archetto. Tessa osservò attentamente, sentendosi catapultata in un altro mondo: era la sua prima esperienza recitativa seria, e cominciava a tremare dall’emozione.
Non si accorse subito del ragazzo che le stava davanti, col microfono in mano. Quando si girò e se lo ritrovò di fronte rimase un attimo spiazzata, ammirando un giovane un po’ più grande dei suoi quindici anni, dalla pelle abbronzata di chi è abituato a lavorare all’aperto e con le braccia muscolose, sicuramente dovute al trasportare casse, luci e tutta quell’attrezzatura ingombrante da un posto all’altro. Ciò che la colpì maggiormente però furono gli occhi azzurri, in contrasto con la pelle scura.
«Scusa, posso?» fece lui, notando la sua espressione vaga.
«Sìssìcertofaipure» disse troppo velocemente, mangiandosi le parole. Era sempre così in imbarazzo con gli estranei… c’era da sperare solo che quella sera riuscisse a parlare in maniera umanamente comprensibile. Ma per un attimo il pensiero si congelò, e tutto il suo corpo si irrigidì nel sentire le mani del ragazzo armeggiare coi suoi vestiti, sulla schiena, per sistemare il ricevitore del microfono, dandole dei piacevoli brividi.
Lanciò un’occhiata alla sua destra, a Maria, che nel frattempo veniva microfonata dall’altro aiutante. Come c’era da aspettarsi, l’amica non si era persa la scena di lei che contemplava un’apparizione divina con tanto di cori angelici, e infatti le fece un sorrisetto saputo. Tessa sorrise a sua volta e scosse la testa, solo per intralciare il ragazzo che intanto stava cercando di infilarle l’archetto all’orecchio. Arrossì istantaneamente. 
Perché devo fare sempre la figura della menomata?
«Oddio, scusa» esalò con un filo di voce. 
«Niente, niente». Almeno dai gesti e dal tono di voce, lui sembrava essere un tipo alla mano ed estroverso. Se era fortunata, non avrebbe fatto caso al suo essere socialmente impedita. «Potresti sollevarti i capelli, però? Non riesco a far passare il filo».
Tessa raccolse sulla nuca i suoi lunghi di capelli arricciati per l’occasione, per dar modo al ragazzo di sistemare finalmente il microfono. Quando ebbe finito con lei passò avanti, e dopo un altro paio di attori poterono cominciare il sound-check. 
«Allora, Barone Wildenhaim… microfono 1» lesse il responsabile dal copione, da dietro la consolle. 
«Prova, prova».
«Bene così. Conte Cassel, microfono 2».
«Ssssa – sssa, prova» disse Armando, un ragazzo di diciotto anni, con la sua esse sibilante. Il microfono emise un lungo fischio e il tizio si affrettò a chiuderlo, armeggiando poi con l’attrezzatura per risolvere il problema. Alla fine arrivarono anche a lei («Amelia Wildenhaim, microfono 5») e passarono oltre. Appurato che i microfoni erano tutti funzionanti, decisero di provare dei brevi pezzi, e poi la prova si poté dire conclusa, anche perché stavano incominciando ad arrivare i primi spettatori – le vecchiette che arrivavano sempre un’ora prima per accaparrarsi i posti migliori.

Come ad ogni spettacolo, l’orario stabilito per l’iniziò arrivò e passò, mentre gli attori si erano radunati nello spogliatoio e cercavano di dissimulare il loro nervosismo. Sia che fossero alle prime armi o che fossero avvezzi al teatro, erano tutti tesi: quello sarebbe stato il debutto della loro compagnia. La loro prima rappresentazione tutti insieme. 
Ad un tratto la porta si aprì e nella stanza entrò Mina, tesa come una corda di violino. Fu di poche parole.
«Ragazzi, i posti sono stati tutti occupati, e non c’è motivo di aspettare oltre. Abbiamo lavorato duramente per un anno in vista di questa serata, cerchiamo di dare il massimo. In bocca al lupo a tutti».
Salirono sul palco dal retro, senza aver modo di vedere quanta gente ci fosse; sentivano però il vociare delle persone, quel brusio che diceva “è qui, è arrivato, è il tuo momento” e faceva venire le farfalle nello stomaco. 
Mentre Mina presentava il loro lavoro al pubblico, dietro le quinte l’attività era febbrile. Giusy, la suggeritrice, si posizionava, mentre i ragazzi del service sistemavano i microfoni ai primi che avrebbero recitato, e gli altri si assicuravano di avere tutti i propri oggetti di scena a portata di mano. Ognuno sembrava avere un motivo per fare avanti e indietro e sussurrare concitato. Tessa invece stava ferma in un angolo. Non sarebbe toccato a lei fino al secondo atto, e l’attesa era snervante, ma era sicura che non avrebbe mai voluto aprire lo spettacolo. La prima sarebbe stata invece Maria, che era su di giri e per nulla preoccupata. Spigliata e disinvolta com’era, quella per lei sarebbe stata una passeggiata. 
E infatti eccola, sicura di sé, dominare la scena come se fosse stata casa sua. Tessa osservò lei e gli altri che si succedettero, finché, terminato il primo atto, non fu il suo turno di indossare l’archetto, insieme ad Antonio e ad Armando che sarebbero andati in scena con lei. Il ragazzo dagli occhi azzurri compì la stessa trafila di quel pomeriggio, poi fece un sorriso incoraggiante. Proprio in quel momento passò davanti a loro Armando, che stava ripetendo le sue battute, sibilando a più non posso.
«Buona fortuna con lui» disse Occhi Azzurri. «Mi è sembrato di capire che è il tuo pretendente», fece, riferendosi alle prove di quel pomeriggio. Poi le fece l’occhiolino, e Tessa sentì una vampata di calore incendiarle il viso, come se non fosse abbastanza il caldo di quella serata di agosto. Cercò di pensare a qualcosa di simpatico da dire, ma il ragazzo si era già allontanato, e lei rimase lì a ripensare all’ennesima figura fatta. Non più di due secondi dopo, Maria le si avvicinò tutta pimpante.
«Beh? E quell’occhiolino?» le sussurrò.
«Ma niente. Scherzava». 
«Però, figlia mia, se non ti dai una mossa mica lo acchiappi» commentò Mina, sbucando improvvisamente alle loro spalle. A Tessa venne un colpo, mentre l’amica scoppiò a ridere. «Ora muovetevi, che inizia il secondo atto. Maria, devi farti trovare sdraiata sulla panca» le ricordò.
E così lo spettacolo andò avanti.
Una scena, solo questa scena e poi…
Tessa non aveva ancora guardato il pubblico, per paura di quello che avrebbe potuto provare. Sapeva che non c’erano più di duecento posti, perciò non l’avrebbe vista nemmeno un decimo del paese. Era quasi un evento di nicchia, anzi, lo era davvero. Però duecento persone le sembravano improvvisamente una marea di gente, se dovevano guardare lei. Se dovevano ascoltare lei, su di un palco, con le luci puntate addosso, con ogni singolo movimento tenuto d’occhio da quella moltitudine, con ogni respiro amplificato… 
Il nodo che sentiva nello stomaco si fece ingestibile. 
Fra gli applausi, Maria e gli altri uscirono, mentre il sipario si chiudeva brevemente per permettere un veloce cambio di scena. Era arrivato, infine. Il suo momento.
Solo che Tessa non riusciva a respirare. Si sentiva pietrificata sul posto e con orrore sentiva il suo cuore in piena tachicardia. Maria la raggiunse sorridente («Fra poco tocca a te! Non sei emozionata?»), ma divenne improvvisamente seria quando notò che l’amica era pallida come un cencio lavato.
«Mi sto sentendo male» riuscì a dire Tessa, grave come la pietra.
«Ehi, calmati. Tessa, guardami. Va tutto bene, respira lentamente. Uno, due». Le fece alzare le braccia per aiutarla con la respirazione. Dopo circa un minuto la situazione era migliorata, e anche se Tessa sentiva ancora la tensione attanagliarle lo stomaco e la paura pervaderla, riusciva di nuovo a respirare normalmente. 
Intanto la seconda scena era iniziata.
Ok, ce la posso fare, si disse per incoraggiarsi. Riconobbe la sua battuta d’ingresso, e compì il fatidico passo, fuori dalle quinte, direttamente sulla scena.
Accadde tutto in un secondo: Tessa alzò gli occhi sul pubblico, e si accorse di non vedere niente se non il buio. Tutte le luci erano puntate sul palco, perciò gli spettatori, i tanto temuti spettatori, non erano nulla se non sagome appena distinguibili nell’oscurità. Non esistevano, esistevano solo lei e gli altri attori, quei tipi un po’ pazzi con i quali aveva fatto amicizia, aveva scherzato e si era divertita. Non era niente se non una prova generale, una serata con quella che era diventata la sua seconda famiglia. 
L’importante? Divertirsi. 

Quando tutto finì, il pubblico scoppiò in uno scrosciare di applausi e di «Bravi», «Bene». 
Tutti i membri della compagnia si riunirono sul palco per gli applausi finali e per i ringraziamenti, in cui Mina tornò ad essere la signora di mezza età simpatica e amorevole che tutti avevano conosciuto, e poi, sfiniti dalla tensione, dal caldo e dalla fame si precipitarono dietro le quinte a disfarsi di quello che potevano. Il tecnico li attendeva insieme ai suoi aiutanti, pronti a liberarli dai microfoni. Uno alla volta, gli archetti si ammassarono sul tavolino; quando fu il turno di Tessa, ad assisterla ci fu nuovamente Occhi Azzurri. 
Ancora sotto l’effetto di quella che era, a ragione, chiamata “magia del palcoscenico” ed entusiasmata dal successo ricevuto, Tessa era dimentica della sua timidezza, e sorrideva a chiunque, sprizzando gioia da tutti i pori. Quel suo buonumore influenzò anche Occhi Azzurri, perché quando le si avvicinò le fece un sorriso smagliante.
Sganciò il ricevitore da dietro il vestito, poi le ritornò di fronte. 
«Sai cosa ti devo chiedere, vero?»
Tessa scoppiò a ridere e si sollevò i capelli per il tempo che lui ci mise a sfilarle l’archetto, poi li lasciò ricadere sulle spalle. Per un momento lui la guardò, ma poi le sorrise brevemente e, ritornando a fare il suo lavoro, la salutò, e Tessa gli voltò le spalle e andò a cambiarsi, per poter ritenere quella serata ormai conclusa. 




Note: - La commedia in questione, Lovers's Vows, è di Elizabeth Inchbald. Ho lasciato il titolo originale perché l'ho letta in inglese, quindi mi parrebbe strano chiamarla in un altro modo. Se voleste leggerla, ecco il link: 
http://www.jausten.it/jarcloversvows.html.
- L'esclamazione con cui si apre la shot, Mannaggia la miseria, è tipica delle mie parti. Non so se si usi anche in altri dialetti né se sia corretta in italiano, perciò l'ho messa in corsivo.
- Non credo che "aprire" e "chiudere" il microfono sia corretto in italiano, ma in gergo teatrale usiamo questi termini.


Angolo Autrice: Questa doveva essere una storia abbastanza diversa (nella forma). Era pensata per essere un'unica One-shot o al massimo una raccolta di flashfic. Avevo pensato di cimentarmi in una di quelle simpaticissime storie in cui in poche righe si riesce a dare un'idea del personaggio, del contesto, e si riesce a creare anche una storia d'amore accattivante e frizzante. Purtroppo però non possiedo il dono della sintesi, perciò la storia sarà molto più lunga del previsto. Le pubblicazioni saranno comunque tre, oltre questa, e saranno settimanali.
Ringrazio chi ha avuto la pazienza di leggere e chi vorrà mettere la storia fra le preferite/seguite/ricordate. Mi farebbe molto piacere se lasciaste una recensione, per vedere cosa ne pensate. 
A mercoledì prossimo!

 




Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3516037