Eccomi
tornata tra di voi con la mia nuova storia :) Non è un caso che la
pubblichi proprio in questo giorno... Vabbè, poche storie, in quanto
neodottoressa posso fare tutto quello che voglio oggi [yep]
e visto che
mi sento poco bene [la tensione lascia spazio al mal di gola e alla
tosse], che ho sonno e che sono in ferie per molti giorni... Beh,
eccovi questa nuovissima storia.
E'
un po' che la scrivo, c'è che la conosce già e che mi ha dato una mano
ad concluderla. E' una Alternative Universe dall'inizio alla fine,
quindi è stata molto strano per me trattare questi conosciutissimi
personaggi per chi non erano veramente, nonostante avessi già tentato
di tramutarli in qualcun altro, ma per la durata pochissimi capitoli.
Ecco, la versatilità delle AU è alquanto sconvolgente xD Dà molta
ispirazione, ma finisce per essere piuttosto pericolosa.
Il
preambolo non è servito nient'altro che a riempire questa piccola
introduzione che voglio farvi. Una piccola immagine della controparte
femminile, Alicia,
mentre non ne inserisco alcuna del protagonista maschile [perchè in
fondo questa storia è incentrata su di lui, anche se non può non
sembrare]. Ripeto, in quanto AU, vi troverete davanti ad un Danny Jones
piuttosto diverso... Sia fisicamente che caratterialmente xD
Non posso fare altro che ringraziare tutti quelli che la leggeranno e/o
che la commenteranno, senza dimenticare chi ha commentato "Somwhere in
the same hotel" :) grazie ragazzeeeeeeeee!!!!
Aggiungo
che la storia è di mia invenzione, non ci sono riferimenti a fatti né a
cose accadute e i McFly non mi appartengono. Tutte le citazioni ad
opere altrui [canzoni, libri, film e così via] non verranno riportate
con scopi di lucro, così come questa storia.
Falling
From Wonderland
What
happens when Alice and the White Rabbit fall for each other?
PROLOGO
I’m
RATLEG scrive:
Suppongo
che dovresti dirlo a tuo padre (come ti ho già detto migliaia di
volte…)
BecauseTheNight
scrive:
Mio
padre non mi crede (come ti ho già detto migliaia di volte…).
Pensa che sia una bugiarda gelosa…
I’m
RATLEG scrive:
Ma
alla fine lo convincerai
BecauseTheNight
scrive:
Sì,
certamente…
I’m
RATLEG scrive:
Vedrai
che ho ragione
BecauseTheNight
scrive:
Ratleg,
caro mio, mi duole dirtelo, ma la vita è molto più dura di quanto
pensi…
I’m
RATLEG scrive:
Anche
più di un sistema di disequazioni di terzo grado?
BecauseTheNight
scrive:
Decisamente
sì! XD Adesso vado a letto, sono piuttosto stanca… Domani la prof
mi interrogherà sicuramente… Altra insufficienza in matematica,
che pacco…
I’m
RATLEG scrive:
Fossi
nella mia stessa classe, ti aiuterei molto volentieri!
BecauseTheNight
scrive:
Il
classico secchione sfigato con gli occhialoni e l’apparecchio per i
denti… XD
I’m
RATLEG scrive:
Offendi
pure :P Buona insufficienza e buonanotte ci sentiamo domani?
BecauseTheNight
scrive:
Solo
se il tuo augurio non si avvererà! Notte notte!
Sorrise.
Chiuse
la finestra di conversazione e, come tutte le altre sere, spense il
suo portatile. Si stiracchiò, sbadigliò e si tolse gli occhiali da
vista, appoggiandoli sul comodino accanto al letto.
Un
altro giorno se n’era andato, finito come tutti gli altri, immerso
nella solita routine. Scuola, studio, computer e letto, poi di nuovo
scuola, studio, computer e letto. Indossò il suo pigiama grigio a
righe blu, sua sorella gli diceva sempre che un carcerato era molto
più alla moda di lui. Passò dal bagno, doveva lavarsi ed indossare
l’apparecchio notturno per la dentatura inferiore, per quella
superiore ci pensava quello fisso. Fortunatamente aveva avuto la
possibilità di nasconderlo all’interno della bocca, cosicché il
suo sorriso non si mostrava di ferro come quello di alcuni suoi
compagni.
Si
infilò sotto le coperte e chiuse gli occhi.
La
routine avrebbe avuto un nuovo inizio, con tutti i pro ed i contro
che la sua vita gli riservava.
.*.*.*.
Entrò
nella classe di matematica, si sedette al suo solito posto ed
appoggiò lo zaino alla gamba sinistra del banco. Il silenzio
eccessivo non gli dette alcun fastidio, era abituato ad arrivare
prima di tutti gli altri, e in quel tempo passato da solo dava sempre
una lettura veloce alla lezione del giorno precedente per non
farsi cogliere impreparato. Non gli piaceva dare il peggio di sé con
una scena muta.
“Giorno!”,
una voce squillante fece alzare la sua fronte dal libro su cui era
chinata.
Una
musichetta elettronica sottolineò l’entrata nella classe del suo
amico e compagno di corso di matematica, e proveniva sicuramente dal
videogioco elettronico tascabile che si portava immancabilmente
appresso al culo.
“Buongiorno
Dougie.”, rispose Danny, “A che livello stai?”
“Penultimo.”,
disse l’altro, sedendosi sul banco alle sue spalle e lasciando che
lo zaino cadesse con un tonfo sul pavimento.
“Ma
lo hai comprato tre giorni fa…”, gli fece notare Danny, che scosse
la testa rassegnato.
“Non
ci dormo la notte!”, si giustificò Dougie, “Questo livello mi dà
dei veri grattacapi. Non riesco proprio a distruggere il nemico
finale, ho provato tutte le combinazioni di tasti ma è praticamente
impossibile. Ho cercato soluzioni on line, ma niente…”
“Ci
riuscirai…”, lo consolò con fare pacifico e tornò sul suo
quaderno per gli appunti.
Si
isolò e non lasciò che la musichetta del videogioco di Dougie gli
trapanasse le orecchie. Comunque, tra poco sarebbe arrivato anche
Tom, quindi i secondi rimasti per il ripasso stavano lentamente
finendo. Infatti, dei passi pesanti e veloci lo interruppero subito.
La
faccia trafelata di Tom apparve sulla soglia della classe: era sudato
e stava ansimando.
“Ma
che cazzo!”, esclamò, entrando con calma, “Dove cazzo sono tutti
gli altri!”
“Rapiti
dagli alieni.”, rispose Dougie con tono monotono, troppo impegnato
sul suo livello.
“Tom,
mancano venti minuti all’inizio della lezione…”, disse Danny,
sollevando le sopracciglia.
L’altro
controllò subito l’orologio.
“Cazzo!”,
esplose, “Si è fermato ancora! Ma porca puttana!”
“Compratene
un nuovo…”, gli consigliò Dougie.
Mossa
sbagliata, si disse Danny. L’orologio di Star Wars di Tom non si
criticava mai.
Lo aveva comprato che aveva solo sette anni e stava ancora lì al suo
polso, sempre attivo e pronto ad essere soccorso dal suo amato -e
ossessionato- padrone.
“Fatti
i cazzi tuoi, Poynter!”, sbuffò subito Tom, quella mattina in vena
di numerose e ripetitive parolacce, “Se cambio la pila, vedrai che
torna come nuovo!”
Il
giocatore alle sue spalle prese a borbottare.
“Se
cambi il cervello, Tom Fletcher rimarrà sempre il solito sfigato…”
“Se
gli togli i videogames, Dougie Poynter si ammazzerà dalle seghe!”,
si vendicò Tom.
“Basta!”,
li fermò Danny, “Ogni mattina avete da becchettarvi come le nonne
al supermercato!”
I
due contendenti si scambiarono un’occhiata di ulteriore sfida, poi
Tom sistemò il suo gigantesco blocco per disegni nel ripiano sotto
al banco e si sedette davanti a lui. Come ogni mattina il terzetto si
completò ed occupò le ultime tre postazioni della seconda fila di
banchi, a partire dalle finestre laterali dell’aula di matematica.
Attendevano l’arrivo di tutti gli altri compagni che, uno dopo
l’altro, occuparono i posti rimanenti.
“Sai
una cosa, Dad?”, gli si rivolse Tom.
Sentì
una punta di fastidio pungergli il collo.
“Lo
sai che odio quel soprannome.”, gli disse, senza distogliere
l’attenzione dai sistemi di disequazioni di terzo grado.
Era
l’acronimo del suo nome, Daniel Alan David, Dad.
C’era anche chi lo chiamava Daddy Jones, solitamente erano i
bastardi che popolavano tutte le scuole del mondo, nessuna esclusa,
ma se erano i suoi migliori amici ad appellarlo così, allora era
tutta un’altra cosa. Non gli piaceva, ma andava bene.
“Ti
dicevo…”, lo ignorò Tom, “Ho notato che ogni sera protrai ad
oltranza la tua permanenza on line anche dopo la dipartita mia e di
quel coglione seduto dietro a te.”
“Già,
è vero.”, si accodò subito Dougie, che aveva intercettato la
conversazione.
“E’
vero cosa?”, si preparò Tom, “Che sei un coglione o che lui
rimane troppo tempo davanti allo schermo del suo pc?”
Non
lo vide, ma Danny si immaginò il suo amico alzare il dito a
Fletcher, con tanto di sguardo inviperito.
“E’
perché leggo degli articoli e dimentico di disconnettermi.”, si
giustificò Danny.
“Quali
articoli?”, si incuriosì Tom.
“Beh…
Scienza, cose così…”
“Su
quale sito?”
“National
Geografic.”, sparò al primo colpo.
“Scienza
dell’accoppiamento animale?”, domandò anche Dougie.
Danny
si spazientì, sospirò infastidito e non rispose. I due parvero
accontentarsi, ma molto presto sarebbero tornati in argomento e
avrebbe dovuto inventarsi qualche altra scusa. Non gli andava di
parlare delle lunghe chiacchierate a cui loro non partecipavano. Un
fracasso li distrasse in gruppo, un rumore di risate grasse e
forzatamente sguaiate entrò nella classe insieme ai corpi a cui
appartenevano.
“Cristo
santo!”, esclamò Jake O’Connor, “Gliel’hai fatta proprio
grossa!”
“Puoi
dirlo forte!”, rispose il ragazzo che era con lui, il biondo e
tanto affascinante Chris Sandman.
Danny
nascose la faccia nelle disequazioni di terzo grado che stava
ripassando, era meglio non farsi vedere.
Ecco
Harold Mark Christopher Judd, o meglio, Harry-Grande-Pezzo-di-Merda, come lo chiamava personalmente.
Era il tipico ragazzo che faceva pentire di aver posato gli occhi su
di lui, di averlo guardato, di avergli detto ‘buona giornata’…
Ed infine di essere nato. I tipi come Danny, quelli con la divisa
scolastica sempre perfettamente a posto, gli occhiali da vista e la
media dei voti troppo alta, attiravano la sua antipatia come le
caldarroste richiamavano il languorino delle persone che amavano
mangiarle d’inverno. Un paragone ancora più semplice? Danny Jones
stava a Harry Judd come il miele stava alle api… E cambiando i
fattori della proporzione il risultato era sempre quello, era
destinato a rimanere perfettamente invariato.
Nei
secoli dei secoli, amen.
Fortunatamente,
quella mattina Harry sembrava avercela con qualcun altro che non era
lui, il suo bersaglio preferito dell’ora di matematica, e Danny
sospirò di sollievo. Fu però una cosa temporanea.
“Daddy
Jones!”, esclamò Harry mentre si sedeva, guardandolo con occhi
felici e bocca spalancata, “Ma come siamo belli oggi! E anche tu,
Fletcher… E Poynter, che massa di fotomodelli!”
La
classe scoppiò in un boato di risate, cosa più tipica della neve
d’inverno, e i tre fecero finta di non aver sentito. La loro vita
era in quel modo da quando i loro genitori li avevano messi al mondo,
c’erano più che abituati. Danny era il parafulmine, quello a cui
venivano scoccate le prime frecce; dopo di lui, veniva
direttamente Tom, detto anche FletChin,
per via della prominenza del suo mento, ed infine Dougie, più
propriamente definito Handjob Station.
Tutti quei soprannomi avevano il copyright Made in Judd, ovviamente, era stato lui ad averli inventati. Quello stronzo se lo erano portati dietro dal
primo anno di scuola elementare, non potevano liberarsene fino al
termine di quell’ultimo anno scolastico di liceo.
Eppure,
in fin dei conti Danny lo invidiava un po’. Aveva una vita
facile, piaceva alle ragazze ed aveva tutto quello che voleva. Se ne
fregava dei voti, del suo futuro, aveva il papà che lo
aspettava a braccia aperte.
Sentì
qualcosa bussare alle sue spalle e si voltò verso Dougie. Con un
gesto veloce del dito indice il suo amico gli indicò la porta.
Oh
no… Ci risiamo.
Palpitazioni,
sudore freddo, balbuzie incessante. Erano quelli i sintomi della sua
degenerazione fisica e mentale…. E sentimentale. Tutta colpa di
quel maledetto giorno, il primo di quell’anno scolastico, in cui
era entrata candidamente in classe accompagnata dal preside. Era
nuova e si era persa, non era stata capace di interpretare la cartina
del liceo e di trovare la classe di matematica.
Alicia
Kristen Eva Lewis.
Capelli
scuri, occhi scuri, pelle chiara. Libri sotto braccio, zaino sulle
spalle, sguardo basso ed indifferente. La osservò segretamente
sedersi vicino alla finestra in silenzio, alla sua sinistra, davanti
al banco parallelo al suo. Sistemò i capelli dietro alle orecchie,
allacciò le stringhe sfilacciate dell’anfibio destro, prese un
libro dalla piccola pila appoggiata sul suo banco e si mise a
leggere.
Uno
scappellotto atterrò sulla nuca di Danny.
“E
piantala!”, esclamò Dougie.
“Fatti
i cazzi tuoi!”, lo rimbeccò prontamente, massaggiandosi la testa.
Provò
a concentrarsi sulle regole per la soluzione di un sistema di
equazioni di terzo grado ma, sebbene le conoscesse a memoria, non
riusciva più a rammentarle.
“Signorina
Lewis! Vorrebbe essere invitata a cena???”
Un’altra
bomba di risate, ma stavolta furono prevalentemente di provenienza
femminile.
“Fotti
tua sorella, Judd.”, gli rispose subito Alicia, senza neanche
voltarsi a guardarlo.
“No,
è te che si fotte!”, incalzò Chris Sand, l’amico più fidato di
Harry, il suo cane da combattimento ed emulatore professionista.
Altre
risate, altre palpitazioni.
Li
odiava, li odiava tutti. Perché
non la lasciano in pace?,
si chiese Danny, come ogni volta. Non c’era alcun divertimento
nell’offenderla, lo trovava piuttosto disgustoso e senza senso.
Eppure lei sembrava non farci caso, li lasciava perdere e continuava
tranquillamente la sua vita.
Alicia
lo aveva colpito come un fulmine spezzava in due la querce più alta
e più vecchia. Era entrata nella classe di matematica e, bum!,
aveva ucciso il cuore del re degli sfigati e dei secchioni. Non
poteva farci niente, era innamorato di lei. Completamente,
stupidamente, incondizionatamente innamorato di lei, e se ne fregava
di quello che le persone raccontavano sul suo conto. Non dava peso a
quanto potesse sembrare stronza, altezzosa, presuntuosa… E facile.
Dicevano che era una facile, una che ci stava, ma non poteva essere,
no, ne era pienamente convinto.
Era
stato Harry a mettere quella voce in giro, era sicuro anche di
quello.
.*.*.*.
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