Epilogo
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-Capisci, Uno?! Era lui! Ed io…
io… ah, come ho potuto dimenticarlo?!-
Nel piano segreto della Ducklair Tower del presente
Paperino stava facendo il resoconto di una missione più strambo scoordinato e
confusionario che Uno avesse mai registrato nella scheda audio.
-Hem…
ti spiace cominciare dall’inizio? Non sto capendo nulla-
-Ora te lo faccio vedere. Cerca
“Capitan Quacklock” in tutti i database delle reti
televisive che riesci a raggiungere-
Uno ci mise un po' a trovare i files giusti, ma quando li trovò invece di chiarire le cose
ci fu un’altra scenata semi isterica da parte di un eroe che aveva perso tutto
il suo contegno.
-Bwaaa!!!
Era lui! Ed io non l’ho riconosciuto! Sob! Avrei
potuto avere un suo autografo!-
E intanto si aggrappava alla
boccia verde in cui galleggiava l’ologramma di Uno, che se avesse avuto dei
polmoni avrebbe fatto scoppiare la torre con i suoi sospiri.
La sigla del cartone animato che
riempiva il piano segreto della Ducklair Tower non lo aiutava a capire, se invece di risvegliare i
ricordi di Paperino gli procurava quegli scoppi di frustrazione in cui dava
testate in giro alternando tutti gli squack del mondo
a momenti di avvilimento totale.
E quindi dovette mettersi a
scandagliare da solo quei files per scoprire qual era
la vera storia del pirata dello spazio. Guardarono tutte le puntate,
accompagnato dai frequenti “Questo me lo ricordo!” e “come
ho potuto dimenticare?!” di Paperino.
Alla fine, dopo un paio di giorni
in cui avevano finito di guardare insieme gli episodi, Uno riusciva a capire
perché il suo amico fosse tanto affascinato da quel personaggio.
Aveva grinta, carisma, e quanto a
testardaggine e insofferenza ai regolamenti se la batteva alla pari con
Paperino ed il suo alter ego mascherato.
Solo che non riusciva a capire
come mai un cartone animato di anni prima potesse esistere davvero nel futuro.
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Più tardi, molto più tardi,
centinaia di anni più tardi per la precisione, Odin Eidolon era in piedi nel suo rifugio segreto all’ultimo
piano della ex Ducklair Tower.
Era come al solito a piedi scalzi
sull’erba, con i lunghi capelli neri che ondeggiavano al vento; i suoi occhi
erano fissi in cielo alla ricerca di una scia luminosa particolare.
Capì che invece di scrutare il
cielo avrebbe fatto meglio a guardarsi le spalle quando sentì un fruscio dietro
di sé.
Non ebbe bisogno di voltarsi per
capire chi c’era con lui.
-E così alla fine era lui, non è
vero? L’eroe del passato che avrei dovuto replicare-
Non si era aspettato una domanda
così diretta, ma in fondo era meglio dare una risposta sincera una volta per
tutte.
-Sì, era lui-
-Perché? Io gli somiglio ma sento
che è diverso da me. Cosa è successo? Perché io sono così?-
“Questa è la parte brutta del
software di autocoscienza: quando cominci a farti certe domande”
Pensò Odin.
Lui era l’unico che potesse dare una risposta a quelle domande, e siccome
sapeva gran parte di quello che era successo era colpa sua, si sentiva in
dovere di essere sincero.
-Una volta, tanto tempo fa, un
amico mi ha mostrato qualcosa che amava moltissimo. In sua memoria, io ho
creduto di poter portare una parte di quella personalità che lui amava tanto in
un vero essere vivente-
Alle sue spalle l’androide di
serie SSX rimaneva in silenzio.
Non doveva essere piacevole
scoprire che la propria personalità, una cosa che credeva unica ed
irripetibile, era in realtà il risultato di un incrocio di caratteri deciso ancora
prima che lui prendesse coscienza di sé.
Odin sapeva che era arrabbiato con
lui, e in effetti si rendeva conto che ne aveva ragione.
In quel momento si sentì davvero
in colpa per aver giocato con un’intelligenza.
-Ti chiedo scusa-
Disse d’impulso, anche se ormai
non sarebbe servito a niente.
-Per cosa?-
-Per averti creato pensando di
poterti programmare, senza tenere conto che tu avresti avuto una vita tua. Per
averti fatto sentire solo una copia. Per non aver apprezzato quello che eri. E
ti chiedo scusa per aver mandato Paperinik contro di
te. Volevo che tu lo vedessi e ti rendessi conto di come avresti dovuto essere-
Non ottenne ancora nessuna
risposta.
-Mi dispiace- disse ancora.
Stavolta si girò a guardarlo
perché voleva rivedere i suoi occhi, così simili a quelli che lui avrebbe
voluto ricreare.
Lo vede diverso. L’iride aveva
una sfumatura castana che lui non ricordava di aver creato, ma forse era solo
il riflesso delle luci rossastre della terrazza.
Era diverso da come lo ricordava
lui e diverso da come aveva immaginato che sarebbe stato. Era davvero una
creatura autonoma che aveva sviluppato una sua personalità, dopotutto.
Aveva anche un’espressione del
viso diversa da quelle che aveva visto nelle foto dei rapporti di polizia;
sembrava più consapevole in un certo senso.
-Hai creato me perché ti mancava
lui, non è vero? Come padron Ducklair aveva fatto con
te-
-Tu… tu lo sai? Sai che sono un
droide anche io?!-
-Non temere, non andrò a dirlo in
giro. Una vendetta così meschina non sarebbe nel mio stile-
Stavolta fu lui a rimanere in
silenzio. Davvero non sapeva cosa dire, se non un “grazie” appena accennato.
-Non ringraziarmi. Lo faccio
perché so che è un tuo amico e lui non vorrebbe-
Silenzio. Odin
sapeva benissimo a chi si riferiva e mai avrebbe immaginato che Paperinik gli avrebbe salvato la vita in quel modo così
contorto.
-In fondo non mi dispiace
assomigliargli-
-Paperinik
ha detto solo a me cosa è successo in realtà. Hai intenzione di mantenere la
tua promessa di lasciare la Terra?-
-Ho dato la mia parola. E
oltretutto lui è riuscito a convincermi-
-Ci rivedremo?-
gli chiese ancora Odin. In fondo era affezionato a
quella sua creatura così problematica e l’idea di perderlo lo rattristava.
-Non lo so. Forse un giorno mi
verrà voglia di tornare qui, di trovare te e farti delle domande, ma non sarà
tanto presto. Prima voglio costruirmi una vita-
Odin non rispose. In realtà non c’era
nulla che avrebbe potuto dire.
Tempo di chiudere un attimo gli
occhi e l’androide era sparito solo con un fruscio, esattamente come era
arrivato, e lui poteva solo immaginare lo svolazzo del mantello che lo
contraddistingueva.
Il miliardario, genio della
tecnica ed androide in incognito nella società biologica, Odin
Eidolon rimase da solo e tornò a scrutare il cielo, che
adesso custodiva nella sua immensità un segreto in più.
-Allora arrivederci. E buona fortuna… Capitano-
Il mare dello
spazio è il mio mare
Il vento dello
spazio è il mio vento
L’oscurità dello
spazio è la mia oscurità
La bandiera con il
teschio e le ossa incrociate è la mia bandiera (*)
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*sono i capoversi della sigla
originale giapponese di Capitan Harlock
Cantuccio
dell’Autore
Orbene, siamo giunti alla fine di
questa storia tanto nostalgica.
Sono riuscita anche a creare un
paradosso temporale ma non so se regge, fatemi sapere se vi convince (se ne
avete voglia).
Io intanto saluto tutte le
persone che hanno letto questa storia, le presenze silenziose che hanno fatto
girare il contatore delle visite.
Grazie a tutti per aver letto
anche questo capitolo.
Makoto