ReggaeFamily
Inverno
nel cuore
Io
ci provavo, la ignoravo, ma lei ogni volta ricompariva.
Era
venuta a vedere alcuni dei miei spettacoli e qualche volta la
incontravo per strada, dato che aveva iniziato un corso di disegno
nella mia cittadina. Ogni volta mi mostrava i suoi progressi, mi
parlava delle sue speranze e si preoccupava di come stavo.
Ma
del resto era normale: io mi comportavo come se le volessi un bene
immenso, la incitavo a parlare e mi mostravo sempre molto
interessato; non potevo fare altrimenti, ormai le avevo dimostrato
affetto, l'avevo illusa e non potevo tirarmi indietro, avrei perso
una fan e probabilmente molte altre.
Tra
noi c'era una specie di amicizia e non potevo che domandarmi come era
potuto accadere, dato che io la sopportavo a malapena e quando
camminavo per strada mi guardavo attorno, con il timore di vederla
arrivare.
Un
pomeriggio di fine novembre, dopo le prove, io e alcuni della
comitiva chiacchieravamo all'esterno dalla struttura. Mi intrattenevo
spesso con loro, dovevo mantenere un buon rapporto con i miei
colleghi.
Stavamo
giusto commentando l'ultimo pettegolezzo sul fruttivendolo poco
distante, che a quanto pare era stato visto con una donna che non era
sua moglie, quando sentii qualcuno che mi posava una mano sulla
spalla. Mi voltai e mi trovai faccia a faccia con lei, l'ultima
persona che avrei voluto vedere: Annabeth.
Al
contrario degli altri giorni, esibiva un lieve sorriso incerto e
sembrava essere un po' a disagio.
“Ciao
Dan, scusa se ti disturbo, me ne vado subito. Volevo solo consegnarti
questo... ovviamente non sei obbligato” mormorò, mentre
estraeva da una tasca un bigliettino bianco. Le sue guance, già
naturalmente colorite, si imporporarono ulteriormente.
Non
l'avevo mai vista così insicura e imbarazzata e devo ammettere
che, forse, in quel momento mi fece un pizzico di tenerezza.
Le
sorrisi. “Cos'è? Ho capito, lo devo aprire dopo. Grazie,
sei troppo carina e gentile!”
La
strinsi in un abbraccio e le chiesi dove fosse diretta.
“A
una lezione di disegno, ma inizia tra più di mezz'ora. Il mio
insegnante mi ha detto che sto migliorando a vista d'occhio e che,
alla mostra d'arte di Natale, se mi impegno molto potrebbe esporre
una delle mie opere!”
Mentre
parlava, i suoi grandi occhi blu tornarono a brillare della sua
solita allegria.
“Davvero?
Che bello, sono contentissimo per te! Ma io che ti avevo detto?
Sapevo che i tuoi disegni ti avrebbero dato tanta soddisfazione!”
Lei
sorrise e mi fece una domanda che mi poneva ogni volta: “Per
caso ti sto disturbando? Se hai qualche impegno me ne vado!”
Quanto
avrei voluto dirle la verità!
Intanto
i colleghi con cui stavo chiacchierando ci lanciavano occhiate
interrogative, così decisi di presentare loro Annabeth. In
questo modo l'avrei resa ulteriormente felice, avrebbe conosciuto
altri attori.
Dopo
una decina di minuti di conversazione, la ragazzina si ricordò
della sua imminente lezione, così salutò tutti
calorosamente e corse via.
“Che
dolce quella ragazzina” commentò Julia, una ragazza
piccola ed esile, con un sorriso.
Tutti
i presenti furono d'accordo con quell'affermazione, ma loro non
potevano capire cosa si provava a mandare avanti un'amicizia fittizia
con una bambina fin troppo estroversa.
Se
fossero stati al mio posto, di certo non avrebbero parlato così.
Ero
molto curioso di sapere cosa contenesse quel biglietto.
Inconsciamente speravo fosse un altro disegno, perché ogni
volta che vedevo un'opera di Annabeth non potevo che rimanere a bocca
aperta.
Ovviamente
ero troppo orgoglioso per ammetterlo, ma la prima cosa che feci
quando misi piede in casa fu prendere il bigliettino.
Era
un semplice foglio piegato in due.
All'esterno
vi era uno schizzo tracciato con una matita blu, i cui bordi erano
poi stati marcati in alcuni punti per dare un effetto
tridimensionale: rappresentava una stella di Natale in ogni minimo
dettaglio, ogni singola venatura del fiore era stata tracciata con la
massima precisione.
Sotto
di essa, il nome era stato scritto con una grafia fine e accurata,
dello stesso colore del disegno.
Rimasi
senza fiato a osservare quell'immagine, così semplice eppure
spettacolare. Quel blu era della stessa tonalità degli occhi
di Annabeth: pulito, deciso e intenso.
Mi
riscossi e aprii di fretta il biglietto.
Dan,
mi
sembra quasi incredibile: abbiamo quindici anni di differenza e, a
parte la passione per il teatro, nulla in comune... e invece abbiamo
stretto una specie di amicizia. Te lo saresti mai immaginato? Io no!
Ormai
io ti voglio bene per quello che sei, una persona divertente e dolce,
e quando parlo con te mi dimentico chi sei e ciò che fai sul
palco. Per me sei solo Dan!
Questo
bigliettino è un invito: il 15 dicembre compirò
quattordici anni e darò una piccola festa. Sarebbe bellissimo
se ci fossi anche tu!
Ovviamente
non ti devi sentire in obbligo, so che hai tanti impegni e potresti
anche non averne voglia, quindi se non ti va fammelo sapere e capirò!
Ti
voglio bene,
Tua
Beth ♥
Sotto
era riportato l'indirizzo, il giorno e l'orario della festa.
Sbuffai.
Ma in che situazione mi ero cacciato?
Che
altro avrei potuto dirle? Mi guardava con gli occhi pieni di
speranza!
Sì,
mi ero cacciato in una situazione di merda totalmente da solo, ma una
parte di me continuava a ripetere che era tutto sotto controllo, che
potevo ancora controllare il corso degli eventi.
Se
così fosse stato, il 15 dicembre non mi sarei ritrovato di
fronte al cancello della casa di Annabeth. Non le avevo preso nessun
regalo, era già tanto presentarsi alla festa!
Ero
là, fermo di fronte al cancelletto, e sentivo risate e
chiacchiericcio dall'interno della casa. Dovevo suonare, ma l'idea
della serata che avrei passato mi bloccava; inoltre, se fossi entrato
in casa sua, sarebbe stata la conferma della nostra amicizia,
a quel punto non sarei più potuto tornare indietro, ed era
proprio quello che non volevo.
Mentre
stavo per premere il tasto, mi fermai a riflettere: era questo quello
che volevo? Io, Daniel, volevo passare una serata infernale con una
peste di appena quattordici anni, quando avrei potuto benissimo
chiamare Ada o qualsiasi altra donna e andarci a letto?
Mi
accorsi che a questo punto non si trattava più solo di
recitare, stavo dando troppo ad Annabeth e mi stavo perfino facendo
abbindolare da lei. Non andava bene, dovevo riprendere in mano la
situazione, pensare a me, a ciò che mi piaceva veramente fare
e alla fama, che presto sarebbe arrivata. Non avevo tempo da perdere
con una fan esaltata.
Mi
si dipinse sul volto un sorriso di ghiaccio; lanciai un'occhiata
sprezzante, mi voltai e mi diressi alla macchina.
Non
lo sapevo, ma mi ero lasciato alle spalle le lacrime che Annabeth
avrebbe versato quella sera per me, soltanto per me.
“Ciao
Dan.”
Era
alla fermata del bus, stavolta da sola.
Ma
perché la trovavo ovunque? Dovevo ricordarmi di non
parcheggiare la macchina vicino alle fermate dei mezzi pubblici.
Erano
passati quattro giorni dalla sua festa, il Natale era alle porte e
intorno a noi brillava ogni tipo di lucetta e decorazione colorata.
Annabeth
non sembrava particolarmente entusiasta quando mi vide. Era la prima
volta che le accadeva, e io provai un senso di oppressione e di
liberazione allo stesso tempo.
“Beth,
ti stavo giusto cercando! Devo scusarmi con te per non essere potuto
venire alla festa, non sai quanto mi è dispiaciuto! La
compagnia ha fissato le prove generali di uno spettacolo proprio
quella sera, speravo di potermi liberare in tempo e invece siamo
rimasti rinchiusi là fino a notte fonde!” mi scusai,
esageratamente mortificato, andandole incontro.
Lei
sollevò lo sguardo dal bordo del marciapiede e lo posò
su di me, incerta. “Davvero? Non ti preoccupare, non fa niente,
tutti possono avere un imprevisto.”
“Sicura
che non te la sei presa? Io ho pensato molto a te in questi giorni
e... a proposito, non ti ho fatto ancora gli auguri!”
La
strinsi in un abbraccio.
“Adesso
mi devi raccontare com'è andata la festa!”
Lei
parve rassicurata dal mio interesse nei suoi confronti e ricominciò
a lanciarmi occhiate allegre e spensierate. Probabilmente ci era
rimasta male per la mia assenza, ma io ero riuscito anche stavolta a
salvare la situazione.
Mentre
mi raccontava della torta, degli invitati e dei regali, promisi a me
stesso che non avrei mai più permesso a nessuno di avanzare
pretese nei miei confronti: una chiacchierata ogni tanto andava bene,
per il resto ero io che dettavo le regole.
Febbraio
era arrivato e molte compagnie famose a livello nazionale mi avevano
promesso piccole parti nei loro spettacoli per la stagione estiva.
Sarebbe stato un buon trampolino di lancio, qualcuno mi avrebbe
sicuramente notato e sarei finito sugli schermi cinematografici, me
lo sentivo. Già pregustavo il sapore del successo.
Con
Annabeth continuai a fingere, mostrandomi però leggermente più
distaccato; tra noi si sarebbe risolto tutto quando sarei partito per
la stagione estiva, semplicemente non ci saremmo più visti e
io mi sarei liberato di lei.
Ci
incontravamo abbastanza di rado ultimamente e io finalmente avevo il
tempo di respirare, ma nonostante ciò avevo notato in lei un
cambiamento quasi impercettibile: era sempre estroversa – e a
volte pedante – come prima, però aveva qualcosa di più
serio e sospetto nello sguardo. Quando parlavamo non staccava i suoi
occhi dai miei, mi osservava molto di più e, prima di
rispondermi, a volte aspettava qualche secondo, come se stesse
riflettendo. Era come se mi stesse studiando, tanto che osservava le
mie reazioni e le mie espressioni anche quando interloquivo con
qualcun altro.
La
cosa mi irritava e mi preoccupava allo stesso tempo, non sapevo che
le passasse per la testa e temevo che mi mettesse di fronte a qualche
altro intricato problema.
Ma
ancora non sapevo cosa mi attendeva, quel pomeriggio di metà
febbraio.
Non
vedevo Annabeth da circa una settimana e avevo il presentimento che
presto si sarebbe palesata, così non mi sorpresi quando la
vidi con la schiena contro un palo all'angolo della strada in cui si
fermava sempre a prendere il pullman. Aveva dipinta in viso
un'espressione talmente seria che il blu dei suoi occhi pareva
spento, terribilmente minaccioso.
Deglutii.
“Daniel,
hai un po' di tempo? Ti devo parlare” esordì.
“Ciao
Beth, come va? Ma certo, a me fa sempre piacere scambiare due
parole!” ribattei gentilmente, cercando di riscaldare
quell'atmosfera gelida.
Lei,
senza aggiungere altro, mi afferrò per un polso e mi condusse
lungo la strada semi deserta, nella direzione opposta della fermata.
Arrivammo
a una panchina in mezzo all'ampio marciapiede innevato e Annabeth mi
fece cenno di sedermi.
Non
lo potevo accettare, era come se un'insulsa quattordicenne mi stesse
mettendo all'angolo, in punizione.
“Che
succede?” domandai fermamente, senza eseguire il suo ordine.
“Ora
basta Daniel, voglio sapere tutta la verità.”
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