Happiness
Il
saggio,
il
gigante e l’asino
‹‹Sei un
tipo
strano››
L’aveva adocchiato
parecchi giorni prima, ma aveva aspettato solo quel pomeriggio per
renderlo
partecipe dei suoi pensieri. L’aveva fatto senza badare
all’etichetta che
presumeva ci si presentasse prima di intavolare discorsi, o come in
quel caso,
fare affermazioni poco educate.
Ma Mike Zacharius
aveva sempre considerato l’etichetta una stravaganza per
nobili, un modo per
mascherare un vaffanculo in maniera
garbata.
Sua madre lavorava come
domestica nella casa di un ricco aristocratico, per cui, non certo per
sua
scelta, era cresciuto in quegli ambienti edulcorati di cazzate e
tappezzati di
ipocrisia.
Perciò, quando si
era
ritrovato davanti quel ragazzino ben educato e rigido come il manico di
una
scopa, aveva sentito la puzza di nobile da prima che mettesse piede
nella
camerata; e lui, che aveva naso per certe cose, avrebbe scommesso la
sua stessa
madre che quel ragazzino – la cui divisa, per una qualche
ragione a lui
sconosciuta, restava immacolata anche dopo un’intesa sessione
di lotta libera –
era sicuramente il figlio di chissà quale panciuto riccone
che l’aveva spinto ad
arruolarsi per fare carriera nella Gendarmeria.
Poi era venuto fuori
che Erwin Smith era il figlio di un professore, per giunta morto, e
Mike non se
l’era proprio sentita di ammettere il suo errore di
valutazione. Dopotutto, il
suo naso non sbagliava mai perciò era sicuro che in un
qualche ramo lontano
della sua famiglia ci fosse, per ovvie ragioni, un nobile.
‹‹Ti
ringrazio››
Erwin aveva chiuso il libro di storia che teneva sulla ginocchia e
l’aveva
guardato con quell’aria saggia che si addiceva ad un vecchio
di ottant’anni e
non ad un ragazzino di dodici. Mike aveva sollevato il sopracciglio e
dall’alto
del suo metro e settanta tre aveva pensato che fosse matto o che avesse
preso
una bella botta cadendo da cavallo.
‹‹Non
è strano… è
fatto così e basta››
l’altro, che aveva fornito una spiegazione scientifica
senza che nessuno gli avesse chiesto niente, Mike l’aveva
soprannominato l’amico scemo di
quello strano; perché
Nile Dok sembrava si fosse arruolato più per fare un favore
all’amico che per
compiacere la famiglia. Ad uno così non si sarebbe sognato
di affidare le cure
di sua sorella, figuriamoci dargli una qualsivoglia carica militare.
Mike aveva inarcato
anche l’altro sopracciglio e se ne avesse avuto un terzo,
probabilmente
avrebbe sollevato
anche quello. Ma non possedendo anomalie fisiche, né tanto
meno le discutibili
sopracciglia di Erwin, aveva sbuffato archiviando la questione con un
semplice sono circondato da matti.
Si era fatto spazio
tra i due, ignorando le proteste di Nile e l’insofferenza di
Erwin nello
scansarsi di lato; fece loro la cortesia di appoggiandosi sui gomiti
per non
farli sentire bassi anche da seduti e prese a guardarli da sotto la
frangetta
che gli copriva gli occhi.
Erwin era tornato a
leggere il libro e Nile sgranocchiava un filo d’erba meglio
di quanto avrebbe
fatto un asino.
‹‹Guarda
che il test
ce lo fanno il mese prossimo››
‹‹Lo
so›› Erwin non
si era nemmeno voltato e Mike cominciava a chiedersi il
perché non si stesse
facendo gli affari suoi da tutt’altra parte.
La verità
– quella
che non avrebbe confessato a nessuno – era che si sentiva
terribilmente solo. A
mensa, a lezione, durante gli allenamenti non c’era nessuno
che gli rivolgesse
la parola senza chiamarlo Gigante.
Se non fosse stato
che quelle creature minacciavano ogni giorno di entrare nelle mura,
Mike si sarebbe
sentito orgoglioso di quell’appellativo. Ma aveva dodici
anni, era alto quanto
un adulto e i Giganti erano mostri spaventosi che realmente vivevano
oltre le
mura. Perciò, nonostante al test di logica avesse preso il
punteggio più basso,
nella sua testa si palesava chiara il principio logico per cui
Se
giganti sono mostri e io sono un gigante, allora sono un mostro anche
io.
Tutto sommato, si
considerava un tipo tosto a cui non importava un fico secco delle
opinioni
della gente, tanto meno dei suoi coetanei il cui livello di
stupidità scivolava
al di sotto delle suole degli stivali, ma l’idea di essere
accostato ad un
gigante e di essere visto come un mostro non gli andava proprio a genio.
Parafrasando i suoi
pensieri: la cosa lo faceva decisamente incazzare.
Perciò, quando
aveva
notato che né Strano né
Stupido erano desiderosi di morire
giovani per sua mano tanto quanto gli altri, aveva esordito con quel
approccio
infelice.
‹‹Ma tu
non ridi
mai?›› Erwin aveva alzato la testa e si era
voltato a guardarlo con l’aria di
chi non era sicuro di aver sentito bene. Nile, invece, aveva avuto la
compiacenza di smetterla di ruminare.
‹‹Come
scusa?››
‹‹Non ti
scomponi
mai. Voglio dire… ma una risata non te la fai
mai?››
‹‹E per
cosa dovrei
ridere?››
‹‹Che ne
so… per una
battuta, un aneddoto, per due che si picchiano››
‹‹Tu
ridi quando la
gente si picchia?››
‹‹No…
cioè… sì…
cioè…
Oh lasciamo perdere. Ma è sempre
così?›› aveva chiesto rivolgendosi a
Nile che
nel frattempo aveva pensato che infilarsi tutto il mignolo su per il
naso fosse
una buona idea. Mike l’aveva guardato disgustato ed era
tornato ad osservare
Erwin che non aveva ripreso a leggere.
Aveva gli occhi
puntati al centro del campo di addestramento, dove due loro coetanei si
stavano
sfidando in un combattimento corpo a corpo. Il primo aveva sferrato un
gancio
destro che il secondo aveva schivato prontamente, facendogli lo
sgambetto e
rovesciandolo a terra.
Mike era scoppiato in
una fragorosa risata.
Erwin era rimasto in
silenzio.
Nile stava
costringendo una lumaca ad arrampicarsi su una foglia.
‹‹Così
è questo che
ti fa ridere?››
Mike era sicuro,
osservando lo sguardo impassibile che gli aveva rivolto, di non aver
mai visto
un ragazzino più triste di Erwin Smith. Era poi tornato a
guardare quei due
imbecilli che se le davano di santa ragione.
‹‹Quando
rido mi
ricordo che non sono ancora morto. Che i titani ci hanno sottratto la
terra, ma
non la nostra umanità. Che siamo ancora liberi di ridere, di
fare stronzate, di
andarci a bere una birra, magari un giorno capiterà di
innamorarci e chi lo sa,
avremo forse la fortuna di fare una famiglia. Rido perché un
giorno non mi sarà
più permesso perché vedrò cose
così terribili che non ne sarò più
capace. Ma
adesso siamo solo reclute… abbiamo ancora tre anni di
normalità, perciò sarebbe
stupido non approfittarne, non trovi?››
‹‹Accadono
cose
terribili anche adesso. E ne sono accadute anche prima, rendendomi
ciò che
sono. Non importa se abbiamo ancora tre anni davanti, o se
passerò il resto
della mia vita al sicuro nel Corpo di Gendarmeria; ho sempre saputo di
non
avere tempo per queste cose. Forse è come dici tu: sono un
ragazzino strano che
dice cose strane che gli altri fraintendono e non capiscono. Non
nascondo che
sono diverso perché le cose terribili di cui parli io le ho
viste prima del
tempo e forse, come dici tu, ho dimenticato come si ride. Ma non penso
sia
necessario… Il mondo non cesserà di essere
crudele solo perché mi faccio una
bella risata.››
‹‹Non ho
mai detto
che smetterà di esserlo. Quello che non deve scomparire
è la tua umanità. Se
smetti di essere, di vivere, di comportarti da essere umano, allora
cosa sei?
Per cosa combatti? Se vivi di rinunce che cosa ti
resta?››
‹‹Un
sogno…mi resta
solo un sogno e per quello rinuncio a tutto ciò che mi
impedisce di
raggiungerlo. Ho perso mio padre per quel sogno e non sono
più disposto a
perdere nient’altro, perciò faccio a meno di
circondarmi di cose che potrei
perdere››
‹‹Il mio
vecchio
diceva sempre che per raggiungere uno scopo ogni tanto fa bene voltarsi
e
guardare qualcos’altro. Non ho mai capito veramente cosa
intendesse, ma forse
il succo era che ogni tanto bisogna dimenticarsi della meta che
dobbiamo
raggiungere. E comunque, non essere così arrogante da
pensare di essere l’unico
a cui questo mondo ha strappato qualcosa, Erwin. Non sei il solo orfano
che
bazzica in caserma. Alcuni di quelli che giudichi diversi da te, forse
nemmeno
l’hanno conosciuto un padre e forse non hanno avuto nemmeno
la fortuna di
ricevere un sogno come eredità. La verità
è che troppi di noi non hanno niente.
Eppure, in un modo che non so spiegarmi trovano il modo di andare
avanti
comunque, e quel poco di buono che il mondo gli offre non se lo
lasciano
sfuggire. Nemmeno tu hai rinunciato a tutto o non ti troveresti questo
asino
come amico››
Nile Dok ronfava
rumorosamente steso sull’erba e con una coccinella sul naso.
Lo sguardo di
Erwin si era addolcito e Mike aveva pensato che forse un po’
di tristezza era
riuscito a lavargliela via.
‹‹Tuo
padre non ha
mai detto quella frase, vero?›› gli aveva chiesto
gentilmente.
‹‹Non so
nemmeno che
faccia abbia mio padre, ma mi piace pensare che fosse un tipo da frasi
del
genere››
Si erano guardati,
forse per pochi secondi, ma era bastato quello scambio di sguardi a far
scattare qualcosa. Erwin e Mike erano scoppiati in una risata
liberatoria che
aveva destato bruscamente Nile dal dolce torpore in cui era caduto. Li
aveva
guardati con la fervida intenzione di dirgliene quattro ma si era
arrestato
quando aveva visto Erwin piegato in due contro le ginocchia.
Si chiese per un
istante se non fosse morto o se non stesse sognando perché
mai avrebbe pensato
che sarebbe vissuto abbastanza da vederlo con le lacrime agli occhi.
Aveva
sbattuto più volte le palpebre, incredulo a quanto stava
accadendo e si era
anche piuttosto risentito del fatto che i due avessero fatto comunella
senza
coinvolgerlo.
Li aveva guardati e
inspiegabilmente si era messo a ridere insieme a loro. Di cosa
ridessero non lo
seppero mai con esattezza e a chi li osservava dall’altro
lato del campo veniva
spontaneo chiedersi se non fossero completamente impazziti.
|