PROLOGO
C’era
una volta…
C’era una volta, in un’era che scorreva a
rallentatore dando il tempo di godere di ogni singolo attimo e di credere alle
fiabe, un piccolo reame incantato in cui il cielo limpido, i boschi rigogliosi, la serenità
della vita quotidiana e la perfetta armonia della gente sembravano frutto di un
mirabile incantesimo. Artefice però dell’idilliaca atmosfera che si respirava lì era
quasi del tutto la natura, benché a quel tempo ci fossero anche sette fate che
svolazzavano in giro benevolmente per compiere opere che addolcivano sempre più
l’esistenza di quel luogo, regalando ogni tanto una primula in autunno o una
stella cadente inaspettata.
Questo
è il dove e il
quando si svolge la nostra vicenda, ma siccome mi vorrei ben guardare dal
riserbarmi le vostre antipatie mostrandomi sin da subito un narratore poco
attento ai dettagli, specificherò che ci troviamo proprio nel X secolo e
proprio in un piccolo feudo situato nella zona meridionale dell’Impero. A
guardarlo dall’alto della rocca su cui era collocato il castello, c’era la
nobile famiglia che lì risiedeva e che governava con saggezza e giudizio. Quella posizione
riusciva ad offrire loro tutto ciò che potevano desiderare e anche più, meno che
una cosa, quella che da anni bramavano ardentemente più di ogni altra: un
erede. Né ricchezze né magia poterono aiutarli nell’ottenerlo, ma quando ogni speranza si
era ridotta tanto da essere tutte quasi svanite, la fortuna volle donare loro
una splendida bimba. Ad ella fu dato il nome di Aurora poiché venne alla luce
assieme al sole, ma sembrava splendere molto più di questo.
Il
giorno dopo, il primo giorno di un nuovo anno e anche quello di una nuova vita,
fu organizzata una grande festa per celebrare il battesimo della bimba, a cui
furono invitati tutti i nobiluomini e le loro signore del regno ed anche di
quelli vicini. Eccezionalmente, alle fate Candida, Fleur,
Mietta, Chantal, Violante e
Lilac fu chiesto di fare da madrine alla piccola
Aurora. I festeggiamenti furono magnifici, con musiche ed un sontuoso banchetto.
C’è chi ricorda, persino, che alle fate furono messi a disposizione per
mangiare una forchetta, un coltello, un cucchiaio e un piatto d’oro ciascuna. E
queste, per contraccambiare, porsero ognuna un dono speciale alla bambina.
Candida volle donarle la bellezza, e con un incantesimo fece sì che sarebbe
cresciuta con un viso etereo incorniciato da lunghi e fluenti capelli dorati e
illuminato da profondi e limpidi occhi turchesi. Quando fu la volta di Fleur, questa recitò delle parole che le avrebbero invece
donato la capacità di ballare perfettamente e così i suoi movimenti sarebbero
sempre stati pervasi da grazia e agilità. Mietta le
diede abilità manuali ed in particolare quella di suonare ogni tipo di
strumento. Chantal le offrì una voce armoniosa e
dolce che l’avrebbe resa piacevole da ascoltare e le avrebbe permesso di
cantare divinamente. Violante desiderò che la bimba, crescendo, sviluppasse
singolari doti intellettive: intuito
e logica. Lilac si avvicinò alla bimba piuttosto
indecisa sul da farsi, ma non appena prese fiato per annunciare il suo volere,
un’inattesa comparsa le negò la possibilità di rendere la fanciulla
semplicemente felice. La visita indesiderata in questione, che provocò un
notevole scompiglio nella folla spaurita soltanto dalla sua inquietante figura,
era da parte della fata Carabosse. Ormai tutti
avevano preso a chiamarla strega, poiché stava da sola su di una rocca remota a
far cose demoniache. E se il raccolto era scarso, o si diffondeva una malattia,
o persistevano bufere, era per colpa dell’insano piacere di quella donna per le
sventure altrui. Avvolta nel suo mantello nero, sporgeva soltanto il viso
esangue composto in un’espressione superba ma al tempo stesso offesa. Spiegò ai
presenti con voce tonante dell’oltraggio subito con quel mancato invito ad un
così importante avvenimento, e di conseguenza la sua legittima volontà di una vendetta. Anch’ella
avrebbe fatto un dono alla piccola, ma precisamente questo sarebbe stato la
morte al suo sedicesimo compleanno a causa della puntura con il fuso di un
arcolaio. Espresso ciò, sparì, lasciando sgomento e terrorizzato il pubblico e
abbandonando la neonata ignara ad un futuro tragicamente segnato. I genitori
non poterono rassegnarsi al dover guardare come spettatori questa tragedia e
pregarono Lilac, la quale ancora doveva porgere il
suo dono alla piccola, di risolverla. La fata, però, non era purtroppo in grado
di annullare un sortilegio di tale potenza, ma guardando gli occhi azzurri e
limpidi e innocenti della bimba, decise comunque di provare a fare qualcosa. Le
si avvicinò e, concentrata, proferì le seguenti parole: “Al suo sedicesimo compleanno, la fanciulla si pungerà, ma non sarà la morte ad accoglierla. Ella cadrà in un sonno profondo per cento anni, ma il bacio del vero amore di un principe senza macchia e senza paura la sveglierà per sempre”.