Preludio

di Ladyriddle
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Disclaimer: i personaggi di Harry Potter non mi appartengono.
Personaggi: Evan Loki Rosier; Lukas Schneider (OC)
                     Accenno: Lara e Laurent, fratelli di Loki; Scorpius Malfoy, suo cugino.
Parole: 2.585 circa | One shot
N.d.A.: La Os è da considerarsi un MM di Vaiolo di Drago e ha come protagonisti Lukas (mai apparso nella storia madre) e Loki. Non è leggibile singolarmente, credo. 
La prima parte è ambientata durante il primo anno di Loki a Durmstrang (le caratteristiche della scuola sono una mia ricostruzione immaginaria); l'ultima parte, per i lettori di Vaiolo, è facilmente ricollegabile per un accenno (Vedi note finali).

Il pov di Loki si alterna a una serie di lettere scritte da Lukas, nella seconda parte abbiamo uno scambio di missive tra Loki e Lukas. 
Spero che questo pezzo mancante vi chiarirà il personaggio di Loki e la dinamica che ha portato alla nascita dell'amicizia con Lukas. 

A Torni che apprezza l'angst, Loki,
e le coppie destinate a naufragare prima ancora di nascere

 
Preludio 


 
 
Come sottofondo consiglio Qui 
 
 
 
 
Quando ti alzi il mattino,
pensa quale prezioso privilegio è essere vivi:
respirare, pensare, provare gioia e amare.
(Marco Aurelio)


 
[…] A Durmstrang è prassi che uno studente più giovane venga affidato a uno più anziano. È una tradizione che disciplina il primo, responsabilizza il secondo. I miei compagni ed io non vedevamo l’ora di avere tra le mani una matricola da vessare, ma a me, ovviamente, è capitato il soggetto peggiore della cucciolata! 
Che io sia dannato, ma scoprirò come quel moccioso è riuscito a corrodere un calderone nuovo di zecca. Se quello è stato un incidente sono una fata dei boschi…[…]
 

“Spero che tu abbia finito i tuoi compiti, Rosier.”
    Loki stirò un sorriso sornione e vagamente beffardo. A volte provava pena per quel poveretto: era evidente che Schneider non avesse attitudine al comando e che badasse a lui controvoglia. Lo faceva per dovere e perché era quello che ci si aspettava, ma se avesse potuto l’avrebbe di certo mollato a qualcun altro. 
    “Sì, certo.” 
    “Potrei vederli?” 
    Allungò una gamba e diede un piccolo calcio alla borsa dei libri. Sentì Schneider sbuffare, alcuni passi e il rumore metallico delle cinghie, poi silenzio. 
    “Rosier, questa grafia è illeggibile. Devi riscriverlo.”
    Un sorriso gli tese le labbra. 'Devo?' “Va benissimo così.” Non aveva impiegato molto tempo né eccessivi sforzi, ma era certo che nessun altro avrebbe presentato di meglio. Che la forma non fosse piacevole, non gli importava affatto. 
    “Non puoi presentare un lavoro del genere” gli disse con voce vagamente logorata. In quelle settimane l’aveva fatto impazzire, ci aveva quasi perso gusto – quasi. Sarebbe stato più semplice se avesse desistito e mollato. Invece, continuava, approcciandosi a lui con la consapevolezza dello sconfitto, eppure le sue spalle restavano dritte, il tono fermo. Non riusciva a non pensare che fosse stato Durmstrang a temprarlo. 
    ‘Per forza: questo posto fortifica o distrugge.’
    “Sì, invece. Posso” replicò divertito.
    Lo vide fremere per la rabbia. “Senti…” cominciò, un sospiro stanco s’infranse tra i denti mentre cercava le parole. 
    “Stai forse dicendo che la forma è più importante del contenuto?”
    “Sì. No! Dico che contano entrambe.” Si morse il labbro, poi si prese la radice del naso tra le dita. 
Irritazione, pensò soddisfatto, la sentiva bene. Ancora gli capitava di confondere le sfumature, specie se si mischiavano ad altre. Non erano uguali per tutti: mutavano per gradazione e intensità.
    “Rosier, qui funziona così. Se ti viene assegnato un compito, lo svolgi al meglio delle tue possibilità, con ordine, disciplina ed efficienza.” Lo disse in torno rigido, la linea delle sopracciglia contratta in una piega inflessibile, così come le labbra.  
    'Sì, Durmstrang l'ha temprato,' confermò. 'Qui pensano e agiscono tutti allo stesso modo; anche lui si è omologato alla massa, nonostante ciò, conserva ancora una certa ingenuità,' pensò, sollevando lo sguardo, incrociando gli occhi dell’altro. Un verde scuro, come acqua stagnata, eppure limpido. 
    Era fermo e testardo nelle sue intenzioni, ma consapevole che non avrebbe cavato alcunché. Una sconfitta subita con le spalle dritte, una fragilità che si scorgeva negli occhi verdi stretti in due fessure. Un ossimoro incomprensibile. 
    Inclinò il capo, appena incuriosito. “Perché ti preme tanto?” chiese, le labbra piegate in un sorriso sornione. 
    Lui sbuffò, palesemente irritato. “Perché sei sotto la mia responsabilità, Rosier. Rispondo di ogni tua mancanza.”
Ah, sì, probabilmente avrebbe ricevuto una lavata di testa. Era quella la scusa dietro cui gli studenti più grandi nascondevano le angherie nei riguardi dei più giovani. Tutti sapevano, ex studenti e professori, ma nessuno cambiava nulla. Era una delle regole: Durmstrang rende forti. 
    “Presumo, quindi, anche di ogni mio successo.”
    Una linea gli increspò la fronte pallida. “Sì.”
    Rise. “Perfetto. Di cosa ti lamenti?” Sollevò il mento. “Sono il più bravo del mio anno.” 'Forse di tutta la scuola,' pensò senza vanto. Era vero e basta: era nato per essere speciale, il che era quasi svilente, noioso. Aveva sperato che quel luogo fosse pieno di stimoli, ma gli mancava un mentore, qualcuno da ingraziarsi o per cui provare ammirazione; e i suoi compagni erano così ordinari. 
    “Non sto dicendo questo!” No, stava perdendo la pazienza, lo vedeva, sentiva, ma non trovava più divertente stuzzicarlo, non dopo che aveva passato giorni a farlo.
    “Infatti, se ti preme tanto, perché non lo ricopi tu?” Lo disse senza scherzare. Forse dovette sembrargli minaccioso perché vide l’espressione dell’altro farsi dubbiosa.
    Lo vide schiudere le labbra, ma fu più veloce e disse: “Immagino che non ti aspettassi…” Me. “Questo” gli scoccò uno sguardo accondiscendente prima di alzarsi in piedi. Quasi lo raggiungeva, era sempre stato piuttosto alto. 
    “Ma anche io mi aspettavo qualcuno di diverso.” Qualcuno più interessante, per esempio. “Ma come te, anche io ho dovuto rivedere le mie aspettative. Cerca di fare altrettanto.” Si sistemò la tracolla sulla spalla e lo lasciò lì, senza dargli la possibilità di replicare. 

 
    […] Mi fa gelare la fronte dalla rabbia. Dovresti vederlo, mamma, è impossibile non provare una rancorosa ammirazione per la sua capacità di risultare brillante in tutto ciò che fa. Probabilmente potrebbe svolgere anche i miei compiti senza problemi, eppure la cosa non sembra inorgoglirlo benché, vedendolo, tutto si può dire tranne che sia umile o modesto. 
Credo sia annoiato, disinteressato da tutto e da tutti, nonostante ciò ha… non so come spiegarlo… Un’aura che lo circonda come un campo magnetico, qualcosa che lo rende irresistibile agli occhi degli altri. Credevo che fosse antipatico, scorbutico e irritabile, invece sa essere affascinante, simpatico e ride, ride continuamente, anche senza ragione ed è talmente coinvolgente che non riesci a fare a meno d'incantarti. 
È diventato popolare persino tra quelli del mio anno e non solo. Nowak gli ha proposto di fare il battitore, ha la stazza giusta, ma secondo me è perché lo vede come un bolide impazzito, ma non sembra interessato. Non è interessato a nulla.
Lo invidio per la sua capacità di calamitare l’attenzione: è al centro della scena, eppure ne risulta distaccato, così com’è indifferente ai bei voti, ai complimenti.  
A volte si incanta e fissa qualcosa per un’eternità, poi magari neanche ti ascolta due minuti.
Vorrei capire cosa gli passa per la testa, magari vedere il mondo come lo vede lui anche solo per un attimo.
Comunque hai ragione: deve sentirsi davvero molto solo. […]

 
 
Era nella stanza della musica e Loki non riusciva a non fissare affascinato le dita di Schneider: non erano eleganti né affusolate e si muovevano sui tasti con lentezza, senza seguire il ritmo, sbagliando persino qualche nota – almeno per quello che gli sembrava di ricordare. Ma ne era rimasto incantato. 
    Passava di lì per caso, le mani in tasca e lo sguardo fisso sul pavimento in pietra mentre le luci delle torce disegnavano ombre sinistre sui muri, ed era stato richiamato come una falena da quella melodia dolce – Preludio N.1 di Bach. Era stato sorpreso nel sentire qualcosa di così palesemente Babbano tra quei corridoi. 
Poi aveva visto Schneider seduto sulla seggiola, la schiena curva sulla tastiera – era un Mezzosangue, cresciuto a contatto coi Babbani, ma non era stato questo a sorprenderlo. 
    Non erano state le note né la musica dolce che strideva in quel luogo cupo e freddo; erano state le emozioni, tante – troppe –  che accompagnavano quella melodia, che si fondevano con essa per poi sovrastarla, annullando tutto il resto.
    Una musica che portava silenzio, e un silenzio che portava rumore.  
    Le aveva sentite, una a una, chiare come il rintocco di una campana di cristallo, onde impalpabili che gli avevano toccato la pelle, provocandogli brividi tanto intensi che quasi aveva creduto di provarli. Di solito non provava nulla; di solito, neanche riusciva a distinguerle bene. 
Era stato curioso, poi, sorpreso. 
    Schneider così anonimo, piatto, noioso, ordinario… eppure la sua musica, piena di sbavature e imprecisioni, sembrava accompagnare un ricordo lontano, qualcosa che doveva aver dimenticato, forse mai vissuto, gli accarezzò il cuore. Era suo. 
'Una lacrima sul viso perfetto di una donna bionda, la pelle nivea, la mano che stringeva quella più piccola di una bambina. Lara gli andava incontro e gli baciava una guancia, non era abituato, ai baci né agli abbracci.' 
    'Durmstrang fortifica.' La voce di suo padre gli arrivava fredda, scavava e rodeva, eppure non lo toccava da un pezzo. Non l’aveva mai toccato. E da quando non lo guardava più – teme il mostro che ha generato– lo toccava ancora meno. Eppure, in quel momento, risalì a galla il rancore, l'insoddisfazione...
E la musica cambiò, si fece più lenta. Sentiva la tristezza di Schneider, quel pezzo doveva essere legato alla sua infanzia. Era dolce e malinconica, eppure in lui montava altro. Rabbia, nostalgia, rimorso. Emozioni umane, che aveva sentito centinaia di volte, che non aveva mai provato davvero. 
     'È come sentirsi liberati,' pensò, 'dall’inerzia, dall’insoddisfazione, dalla monotonia.'
      La musica si arrestò e sentì freddo, vuoto. 
      Schneider lo guardava da sopra la spalla, gli occhi verdi assottigliati e l’espressione in attesa, come se fosse pronto a difendersi e attaccare. 
      “Perché hai smesso?” La delusione donava alla sua voce una strana sfumatura. 
     “Dovresti terminare il compito sulle salamandre.”
      Studiare? “Voglio ascoltarti ancora.” Lui esitò, scocciato e Loki sorrise, sorprendendolo. “Per favore, solo un po’… poi vado a studiare” promise. 
      Lukas Schneider lo guardò stupito.
 
***

Sei patetico. Scommetto che stai facendo tutte queste storie perché ti cachi sotto all’idea di frequentare l’ultimo anno. Stai crescendo e invecchiando, amico mio. Vedi di rimetterti per settembre e dì’ a quella piaga della tua ragazza di smetterla di tormentarmi di gufi, non sopporto le sue lettere: è lagnosa e isterica, solo tu potevi trovarti un simile esemplare di donna.
    
  
Dovresti migliorare la tua calligrafia, Rosier, coi tuoi modi da barbaro neanche ci provo più. Comunque sto meglio, grazie per (non) avermelo chiesto.
P.S. Guarda che me l’hai trovata tu.

    
 Se riesci a tenere una penna in mano, è evidente che stai meglio. 
P.S ti ho fatto un favore, coi tuoi tempi si sarebbe sposata. Con un altro. 
     
 
 
Sei uno stronzo, Rosier. Scrivere qualcosa di carino a un tuo amico infermo, il tuo unico amico, sia chiaro, non ti rende una femminuccia, sai?
Stronzo, hai dei problemi con le emozioni. 
Comunque, tornerò sicuramente per Settembre, tranquillo, qualcuno deve tenerti d’occhio e poi ti ho fatto una promessa… 

P.S No, mi sarei deciso e avrei evitato la colossale figura di merda che mi hai fatto fare. Non mi riprenderò mai.
P.P.S spero che tuo cugino stia meglio. 
A presto
        
*
 
Loki si rigirò la lettera di Lukas tra le mani. La sua calligrafia, solitamente ordinata e precisa, era incerta, il tratto della piuma sembrava meno spesso in alcuni punti, piccole macchie sporcavano la pergamena ingiallita. 
Gli sarebbe piaciuto andare a trovarlo, ma il reparto di malattie magiche del San Norbert era chiuso a chiunque non fosse uno stretto familiare – fottute regole. 
    Allungò le lunghe gambe davanti a sé e posò lo sguardo sulla parete bianca. Odiava il bianco, gli sarebbe piaciuto quel candore se fosse stata una tela, ma il bianco era troppo… bianco. Preferiva il nero. 
    'Assorbe tutti i colori e non riflette la luce.' 
    “Loki?” La voce di Lara lo scosse dai suoi pensieri. Erano a casa dei nonni materni, non capiva perché dovesse essere lì – quella veglia era inutile, non sarebbe servita a nulla, eppure suo padre pensava che fosse necessario che si facesse trovare lì. Avrebbe voluto dirgli che era improbabile che gli zii si staccassero da Scorpius, ma aveva preferito tacere: meno tempo passavano insieme, meglio era. 
    “Ciao, tappa.” 
    Lara prendeva ogni insulto come il più gentile dei complimenti; di solito gli sorrideva smagliante per poi dargli del vichingo bifolco, poi provava a pizzicargli i fianchi, ma finiva sempre per subire il suo solletico. 
Quel giorno non sembrava in vena di giocare né di mostrarsi frivola come al solito. La stanchezza e la preoccupazione rendevano il suo viso cereo, i capelli le ricadevano in onde flosce sulle spalle sottili. 
    “La mamma ha mandato un gufo. Lei e Laurent torneranno tra circa mezz’ora” lo informò, sedendosi accanto a lui. 
    Sentiva tutta la sua angoscia, la sua preoccupazione. Era bravo a distaccarsi dalle emozioni altrui; se le avesse assorbite, sarebbe stato semplicemente troppo. Per poter restare lucido e sopravvivere, doveva estraniarsi – a lungo andare, però, questo lo aveva portato a essere freddo e distaccato verso tutti. 
    I tormenti di Lara, e di Lukas, ancora gli toccavano il cuore. 
    Annuì e le sorrise, mostrandosi calmo in modo da non agitarla di più. 
    “Non capisco perché abbia portato con sé Laurent” mormorò lei, portandosi un’unghia alle labbra. 
    Loki si schiarì la gola. Aveva dei sospetti, ma come tali se li tenne per sé. Specie in quel momento. 
    “Non so. Forse Laurent ha lo stesso gruppo sanguigno di Scorpius, probabilmente vorranno vedere se c’è qualche possibilità di ricavare qualcosa di buono” inventò. Che altro avrebbe potuto dirle? 
    Lara si rabbuiò, ma annuì. “Credi, sì, insomma…” la domanda, troppo difficile da formulare, restò sospesa, ma Loki la intuì dal suo sguardo, negli occhi che sapevano celare emozioni e che in quel momento erano senza veli, e da quell’angoscia che le squarciava il petto, tormentando il proprio. 
    “Ce la farà.”
    “Lo credi davvero?”
    'No.' Non sapeva mentire né gli piaceva: era per la verità a tutti i costi e la verità era che Scorpius aveva una rara malattia magica, che era in coma da tre giorni e che i guaritori avevano dato poche speranze di sopravvivenza. Era un dato di fatto e, benché gli facesse davvero male – era spocchioso e arrogante ma, quando sorrideva, una fossetta gli segnava una guancia, proprio come quella di Laurent –  nulla avrebbe cambiato le cose. Bisognava cominciare ad accettarlo. 
Era stronzo, ma non così stronzo. Non con sua sorella. In più, dirlo ad alta voce, l’avrebbe reso reale. 
    “Certo. Si rimetterà: è forte.” 
    Lara sorrise. Non era stupida, non era ingenua, ma gli credette. Aveva bisogno di credergli. “E il tuo amico? Come sta?”
    Loki si strinse nelle spalle e sospirò. “Così, così.” Poi, osservando l’espressione tesa di Lara – non conosceva Lukas, ma sapeva che era importante per lui: era il suo amico, l’unico, e quindi, per estensione, era importante anche per lei – le sorrise più ampio.     
    “Tranquilla, starà bene, davvero. Mi ha appena scritto, guarda.” Le mostrò la lettera. “Sta solo facendo qualche lagna.”
    Lara lisciò le pieghe della pergamena. “Cosa ti ha promesso?” domandò curiosa. 
    Al ricordo di quella conversazione, per poco non scoppiò a ridere. 

    ‘Saliremo sulla Grande Muraglia e pisceremo da lì…’
    ‘Loki, dannazione!’
    ‘Ho sempre desiderato farlo.’ 
    ‘È il mio viaggio, per il mio diploma. Tu farai quello che vuoi quando toccherà a te.’
    ‘Quando toccherà a me non andrò in Cina, perché tanto ci verrò con te.’
    ‘Va bene, come vuoi.’
    ‘E ci faremo quella pisciata.’

 
“Ah, niente di che, un giro in moto…” biascicò. C’era quel viaggio in Cina e da lì, l’Australia e poi, chissà… Lukas aveva promesso di portarlo con sé.
     “Tu puoi fare quello che vuoi, Evan, quando vuoi. Non sprecare il tuo talento, la tua vita. Promettimelo, e io ti porterò con me in Cina.” 
Un viaggio di tre mesi e poi sarebbe tornato a Durmstrang, si sarebbe diplomato e avrebbe fatto cose grandi. Non sarebbe stato difficile mantenere quella promessa: era stato destinato alla grandezza. 

 
*
 
Non so neanche perché ti scrivo. 
La tua ultima lettera è nel fondo del mio cassetto.
Ancora non l’ho aperta e probabilmente non avrò mai il coraggio. 
Sei un fottuto stronzo. E debole. 
Avresti dovuto lottare, crederci di più e non l’hai fatto. Potessi, ti prenderei a pugni, è questa la verità!  
Questa, e il fatto che  non riuscirò più ad ascoltare il suono di un piano senza pensare a te. 
 
     *
     *
     *
 

San Norbert: ospedale di mia fantastia, in Germania

Ho postato un link dove l'esecuzione musicale è 'scolastica', il piano è leggermente scordato, questo perché nel mio immaginario, Lukas non è molto bravo, quindi volevo che accopagnasse così la narrazione, in modo impreciso. Ok, lo so, sono psicopatica con questi dettagli ^^''

 
Note finali. 
Come avete capito, la parte finale è sempre antecedente all'inizio di Vaiolo, e avviene durante l'estate tra il terzo e il quarto anno di scuola di Scorpius (quindi quarto/quinto per Loki; ultimo per Lukas). 
Grazie a Nuel, sempre preziosa. 


 
 
 




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