Speak to me
Speak to me in
loneliness
Speak to me in
bitterness
Speak to me in
faithlessness with love.
You want to hide when
you’re alone
Where do you run to
when you’re on your own
You’re looking to find
some peace of mind
But nothing’s in sight
at the end of the line.
(“Speak to me” –
Roxette)
Steve era soddisfattissimo e
provava una profonda gioia nel cuore quella sera mentre, in bagno, si lavava i
denti e si preparava per la notte. Finalmente era andato allo Smithsonian con
Bucky, proprio quel giorno, e aveva raccontato a tutti che cosa era successo
allo sfortunato sergente Barnes. Il direttore aveva promesso che avrebbe
modificato il pannello che lo riguardava e così, d’ora in poi, chiunque avesse
visitato le sale del Museo avrebbe conosciuto la vera storia di Bucky Barnes e
avrebbe saputo che il coraggioso sergente era ancora vivo. Inoltre, i legami
con gli Avengers si stavano facendo sempre più stretti e Steve poteva
facilmente supporre che, ben presto, anche Bucky sarebbe entrato a far parte di
quel gruppo di supereroi.
Per il Capitano non poteva
esserci conclusione più perfetta: era come se il passato di Bucky da Soldato
d’Inverno fosse stato cancellato e loro due avessero ripreso la loro vita di un
tempo, combattendo fianco a fianco come durante la Seconda Guerra Mondiale.
Sorridendo per questi pensieri
felici, uscì dal bagno e raggiunse Bucky in camera. Il giovane era già disteso
sul letto, con le mani intrecciate sotto la testa e fissava il soffitto,
perduto nelle sue riflessioni. L’atteggiamento di Bucky allarmò Rogers.
A che cosa sta pensando? Forse… forse è rimasto male per l’accoglienza
ricevuta allo Smithsonian, oppure è preoccupato perché l’Hydra ora potrebbe
rintracciarlo con più facilità…Che cos’hai, Bucky? Possibile che non riesca mai
a vederti finalmente sereno?
Steve si distese accanto al
compagno e gli scostò una ciocca di capelli dal viso.
“Che cosa c’è, Buck? Qualcosa non
va?” gli chiese.
Il giovane parve riscuotersi da
uno stato di trance. Si voltò a guardare Steve, ma il suo sguardo non era
malinconico o rabbuiato, piuttosto nei suoi occhi pareva essersi accesa una
luce di consapevolezza.
“Sto bene, Steve, Stavo solo
pensando a una cosa… è un po’ strano, ma è come se me ne fossi reso conto solo
oggi, allo Smithsonian” rispose Bucky con un lieve sorriso.
“A che cosa ti riferisci?”
Il Soldato trasse un profondo
respiro, riflettendo per trovare le parole più appropriate.
“Prima di tutto voglio
ringraziarti per il modo in cui mi hai difeso davanti a tutti al Museo” iniziò
a dire. “E’ stato un gesto molto bello da parte tua, ma soprattutto mi ha fatto
sentire… sicuro, protetto. Ho avuto la certezza che niente e nessuno potrà mai
più farmi del male adesso che siamo insieme.”
Steve arrossì, commosso,
prendendo Bucky tra le braccia.
“Certo che è così, Bucky, io sarò
con te fino alla fine, lo sai” replicò. “Ma, in fondo, non è diverso da ciò che
tu hai fatto per me per tanti anni a Brooklyn. Sei sempre stato tu a
incoraggiarmi, a darmi forza e sicurezza; adesso sei tu ad averne bisogno e… e io
ci sono, semplicemente.”
“Lo so, però sentivo il bisogno
di dirtelo. Comunque non è tutto qui” proseguì Bucky. “Sai, ho pensato spesso
che tu ed io… che in un certo senso fossimo stati derubati della nostra vera
vita: entrambi saremmo dovuti tornare a casa, a Brooklyn, alla fine della
guerra e riprendere le nostre esistenze da dove le avevamo interrotte per
andare a combattere.”
“Bucky, per me ciò che conta è
che ci siamo ritrovati e che staremo insieme per sempre!” dichiarò con
convinzione Rogers.
“Certo, ma a me è capitato spesso
di pensare che questo non sia il nostro mondo, che siamo stati proiettati in
una realtà a cui non apparteniamo e che non capiamo, un’epoca di ostilità e
freddezza… o forse sembra a me perché idealizzo gli anni della nostra adolescenza.
Comunque…”
Il giovane s’interruppe di nuovo,
concentrandosi per cercare le parole giuste.
“Invece, pensandoci bene, ho
compreso questo: se fossimo tornati nel nostro tempo, non avremmo potuto stare
insieme come facciamo ora. Non era pensabile che due ragazzi… e forse, chissà,
io neanche l’avrei voluto, ero immerso e condizionato dalla mentalità della
nostra epoca e non avrei mai osato pensare a te se non come al mio migliore
amico. Ancora adesso non saprei dirti che cosa provavo realmente per il mio piccoletto di Brooklyn! Sicuramente è
sempre stato un affetto molto più profondo di una normale amicizia, ma non sono
in grado neanche ora di dirti se, forse, già allora…”
Steve s’illuminò in viso. Bucky
non parlava spesso dei propri sentimenti per lui, ma adesso gli stava aprendo
il proprio cuore come mai prima di allora.
“Quindi sei… sei felice così,
Bucky?” mormorò, incredulo.
Imbarazzato, il giovane si limitò
ad annuire, guardando Steve con timida dolcezza.
Steve lo strinse tra le braccia e
cominciarono a baciarsi, accarezzarsi, perdersi e inebriarsi dell’odore e del
sapore l’uno dell’altro, di quel contatto dolce e appassionato allo stesso
tempo, dei loro corpi che si fondevano diventando uno. Fu Steve il primo a
insinuarsi delicatamente in Bucky e a farlo suo, muovendosi ritmicamente con
lui fino a raggiungere insieme l’apice del piacere. Più tardi, Steve accolse
Bucky dentro di sé, incoraggiandolo a non temere di fargli male, vivendo con
totale abbandono la lentezza con la quale il Soldato si faceva largo in lui,
con una pazienza che non faceva parte della sua indole ma che usava tutta per
rendere l’atto d’amore il più dolce e il meno traumatico possibile per Rogers.
Troppo forte era in lui il rimorso per il male che gli aveva fatto sull’Helicarrier
e non avrebbe mai accettato di fargli provare ancora dolore, nemmeno se questo
finiva poi per fondersi con la voluttà. La gioia e l’estasi di appartenersi in
ogni senso lasciarono dolcemente spossati i due innamorati, che alla fine
dell’amplesso rimasero abbracciati, attendendo che il sonno li vincesse.
Entrambi sapevano bene che non
era tutto risolto: presto avrebbero dovuto affrontare di nuovo l’Hydra e chissà
quali e quanti altri nemici; persino il loro rapporto avrebbe conosciuto ancora
momenti di difficoltà, considerando i traumi irrisolti di tutti e due. Quello
di cui erano certi, però, era che uniti sarebbero stati sempre più forti e che
questa loro unione li avrebbe aiutati a superare qualunque ostacolo avessero
incontrato nel cammino della vita insieme.
Se Steve e Bucky erano usciti più
forti e legati dalla visita allo Smithsonian, Banner si era invece arrovellato
per tutto il viaggio di ritorno ripensando allo scontro avuto con Pietro
Maximoff prima della partenza e chiedendosi come risolvere la questione. Non
era stata sua intenzione offendere il ragazzo, era lui a sentirsi inadeguato e
indegno di stargli vicino e di imporgli la presenza di ciò che credeva di
essere… un mostro, una persona da allontanare.
Pietro, però, si era sentito
rifiutato e si era infuriato.
Che cosa doveva fare con lui?
Giunti al Quartier Generale degli
Avengers, Banner fu trattenuto da Clint e Natasha che volevano sapere tutto
della spedizione a Washington e di come fossero andate le cose per Steve e
Bucky allo Smithsonian.
Stark si defilò per andare a fare
un discorsetto a quattr’occhi con il giovane Maximoff prima di rientrare al suo
appartamento di Manhattan.
Più tardi, Bruce andò a cercare
Pietro per spiegarsi. Nelle stanze dei gemelli, però, trovò solamente Wanda.
“Ciao. Io ero venuto perché… beh,
insomma, dov’è Pietro? Non è con te?” chiese alla ragazza, arrossendo
imbarazzato.
“Pietro è stato in collera con te
per tutto il giorno, ne ha dette di tutti i colori… però stasera ha parlato con
Stark e dopo si è calmato” rispose Wanda, divertita dall’evidente turbamento
del dottore.
“Stark, eh? Posso immaginare che
cosa gli avrà detto” mormorò Banner tra sé, poi si rivolse di nuovo a Wanda. “E
adesso dov’è andato Pietro?”
“In giro” fece vaga lei. “Ma tu
non potresti parlare chiaro con mio fratello una volta per tutte? Non c’è
bisogno di entrarti nella testa per capire quanto ti piace!”
Bruce trasecolò e divenne ancora
più rosso.
“Guarda che… ti sbagli, hai
frainteso e… beh, ora torno nella mia stanza, cercherò di spiegarmi con Pietro
domattina.”
Il dottore si allontanò in
fretta, ma non poté evitare di sentire le ultime parole pronunciate dalla
ragazza.
“Frainteso? Non credo proprio, ma
posso sempre leggerti nella mente per essere più sicura...”
Imbarazzato e confuso, Banner si
diresse verso la sua stanza e per poco non gli venne un colpo quando trovò
proprio Pietro che lo aspettava davanti alla porta.
“Ah… ciao” mormorò, colto alla
sprovvista.
Pietro gli lanciò un sorrisetto e
non rispose.
“Ero venuto a cercarti perché…
volevo scusarmi con te per stamattina” proseguì Bruce, impegnatissimo a
guardarsi la punta delle scarpe.
Pietro non voleva certo rendergliela
facile, per cui si limitò ad annuire rimanendo in silenzio.
“Io non volevo che tu pensassi
che…” riprese faticosamente il dottore, ma a questo punto il ragazzo lo
interruppe.
“Mi sembra che la chiacchierata
vada per le lunghe, quindi che ne diresti di entrare nella tua stanza?”
propose.
“Sì, penso che sia una buona
idea” rispose Banner, aprendo la porta e lasciando entrare prima Maximoff.
Richiuse la porta, sospirò e si preparò a riprendere il discorso interrotto.
Era peggio di qualunque esame
avesse mai sostenuto al college! Nel frattempo Pietro, del tutto a suo agio, si
era sistemato su una sedia e aspettava con il solito sorrisetto impertinente.
“Mi dispiace di averti offeso, ti
assicuro che non volevo farti la predica o mostrarmi superiore a te” continuò
Bruce, restando in piedi per l’agitazione e guardando dappertutto meno che
dov’era il giovane. “So quante esperienze tremende hai dovuto affrontare ed era
proprio per questo che… che volevo evitarti altri problemi.”
“Tu saresti un mio problema?”
ribatté Maximoff. “Ti sbagli di grosso se lo pensi. Tu sei semplicemente la
persona che voglio accanto a me.”
Banner sbarrò gli occhi,
costernato: non era così che aveva previsto l’andamento del colloquio.
Rompendo gli indugi, Pietro si
alzò e si diresse deciso verso di lui, gli si piazzò davanti e gli prese il
viso tra le mani.
“Sono io che devo scusarmi con te
per come me la sono presa, Doc, ho esagerato, lo ammetto. Però non voglio più
sentire questi discorsi, mi esasperano” affermò con convinzione. “Tu mi piaci,
mi sto innamorando di te, ti voglio, ti desidero, prendila come ti pare… e non
me ne frega nulla della differenza di età, di quell’altro verde o di qualsiasi
altra obiezione.”
“Non ti rendi conto di che razza
di mostro sono?” tentò di ribattere Bruce, ormai in confusione totale.
“Doc, io lo so cosa puoi
diventare e cosa puoi fare quando lo diventi” disse Pietro con un sorriso
affettuoso. “Non dimenticare che la prima volta che ti ho visto Wanda ti ha
manipolato e ti ha scatenato come mai prima: ho avuto una discreta panoramica
sul peggio che puoi dare… però poi ho anche sperimentato di persona quanto sai
essere dolce, buono e gentile e anche di come sai controllarti quando ci tieni
davvero. E, correggimi se sbaglio, a me ci tieni davvero. No?”
“Sì che ci tengo…” dovette
ammettere Banner.
“E allora dov’è il problema?”
tagliò corto il ragazzo, stringendo poi Bruce tra le braccia e baciandolo come
non aveva mai fatto prima. In un lampo, prima di potersene rendere conto
pienamente, il dottore si ritrovò disteso sul letto con Pietro sopra di lui che
continuava a baciarlo e che aveva tutte le intenzioni di spingersi ben oltre.
“Aspetta… tu… io… non so come
potrei reagire… e se mi trasformassi?” mormorò, completamente sconvolto.
“In quel caso, ricordati che sono
più veloce di quanto potrà mai essere Hulk” minimizzò il giovane Maximoff.
“Comunque, sono sicuro che non ci sarà nessun pericolo.”
Non c’era altro da obiettare.
La resa di Banner fu totale e
incondizionata.
E non diventò mai verde in tutta la notte, nonostante
la gestione dello stress fosse diventata
alquanto problematica nei momenti più appassionati; in
realtà, però, il dottore dovette ben presto rendersi conto del fatto che,
nonostante tutto, avere Pietro accanto lo calmava e lo rasserenava.
A quanto pareva, aveva trovato
l’antidoto perfetto al suo problema verde!
FINE