Per
istinto e pensiero
di ellephedre
21/30 dicembre 1997
- Per istinto e pensiero
Boston, Aeroporto internazionale.
Dopo quindici ore di volo, Ami aveva appena passato il
controllo
dell'immigrazione. Era estatica ed esausta - dormire accanto ad
estranei, in uno spazio angusto, si era rivelato più
complicato
del previsto. Era quasi pentita di non aver speso altri soldi per un
sedile più comodo, ma il denaro le serviva per la vacanza.
Voleva fare tante cose - tantissime - insieme ad Alexander.
Cercò un bagno. Si era già data una
sistemata in
aereo, ma lo specchio dei servizi dell'aeroporto confermò i
suoi
timori: aveva i capelli scompigliati, la pelle secca e gli
occhi
stanchi. Si passò dell'acqua sulla faccia, cercando di
ravvivarsi. Mise del burrocacao sulle labbra screpolate e
pettinò i capelli con la spazzola che aveva infilato
nell'unico
beauty case che si era portata in America.
Era pronta e non lo sarebbe stata più di
così.
Afferrò le valigie dal nastro trasportatore e
si diresse
verso l'uscita, dove attendevano i visitatori dell'area arrivi. Con ogni passo nella giusta direzione, il battito del suo
cuore aumentava di ritmo.
Finalmente era finita. Non doveva più dirsi di
aspettare un
altro mese, un'altra settimana, un altro giorno. Alexander era dietro
le
porte che stava per attraversare.
Appena le ante della sala si aprirono,
cercò il viso di lui nella folla.
Vide prima di vedere,
sentì prima di sapere. Cominciò a correre, le
rotelle
delle valigie che stridevano contro il pavimento nello sforzo di starle
dietro.
Si sentì afferrare e venne avvolta in un abbraccio.
Mio
Dio. Era necessario invocare il
divino per la sensazione del corpo di lui contro le mani, per il suo
odore sul naso, per le sue braccia
che la stringevano.
Si arrampicò sulle sue spalle, affondando il viso
nel suo collo.
«Ami.»
Si scostò per un bacio, ma ebbe gli occhi di Alexander a
due
centimetri di distanza e singhiozzò di
felicità. «Alex.»
Cercarono di fondersi l'uno con l'altra, per non potersi
più separare.
Le valigie giacevano ai loro piedi, dimenticate.
Lui non riusciva a staccare il viso dalla sua tempia.
«Ti ho sentita solo ieri, ma è passato così tanto tempo.»
Lei sapeva esattamente cosa intendeva dire.
Si allontanò per prendergli il volto tra le mani. Non le
importò di trovarsi tra la gente: lo baciò,
aprendo la
giacca perché ci fosse meno stoffa tra loro.
Si perse e continuò per un tempo interminabile,
troppo breve. Lui si
allontanò di un passo.
Le venne da ridere
pensando che solo in quel momento lo stava vedendo per davvero.
Alexander indossava un cappotto nero e un maglione azzurro, del colore
dei
suoi occhi. Era sano e in forma - uguale all'ultima volta che lo aveva
visto in Giappone e al contempo diverso, ma soprattutto reale. Le stava
sorridendo, riempiendosi di lei. «Non ti
ho nemmeno lasciato parlare.»
Lei tornò a baciarlo su una guancia. «Non
serviva.»
«Come stai? Sei stanca?»
Ami annuì. Era esausta soprattutto per
l'enormità di
quello che stava provando. Era come se fosse appena finita una lunga e
sottile agonia. «Andiamo via, non stiamo qui. Prima
arriviamo, prima
staremo da soli.»
A lui spuntò un sorriso disteso. «La
nostra destinazione è più vicina di quello che
pensi.»
«Prenderemo un taxi?» Sarebbe costato
tantissimo.
«Ho avuto un'altra idea. Me l'ha suggerita Shun,
è la tua sorpresa.»
Oh, quella di cui le aveva parlato. Fece per prendere le
valigie,
ma Alexander le recuperò tutte e due al posto suo. «Ho
prenotato una
stanza» le disse.
«Dove?»
«Dall'altra parte della strada, nell'aeroporto
dell'hotel.»
Le uscì un sospiro di sollievo così
grande, così immenso che...
Lui condivise il suo senso di liberazione.
«Solo qualche
altro passo.» Si chinò per strofinare il naso
contro la
sua tempia.
Avrebbero potuto passare l'eternità a sfiorarsi,
mai
sazi.
«Com'è andato il
viaggio?»
«È stato lungo. Non ho dormito molto. Non
importa.»
«Abbiamo tutto il tempo che vogliamo. Potrai
riposare.»
Ci avrebbe pensato una volta che fossero stati in camera, ma
al solo pensiero non
aveva più voglia di dormire. «È
così strano
rivederti di persona.»
«Vero? God, sei più carina che
mai.»
Lei arrossì. «Mi sono vista allo
specchio. Non è vero.»
«Non discutere, non vedi quello che vedo
io.» Alexander
si frappose tra lei e le porte di uscita dell'aeroporto.
«Copriti. Fa un freddo cane.»
Ami seguì il consiglio: non si ammalava
più, ma non
teneva a testare la teoria. Seguì Alexander nel gelo della
città. «C'è un odore diverso
qui.»
Inalò il profumo dell'aria - sapeva di bruciato, di vento.
«Mi manca Tokyo» disse lui.
Ci sarebbero tornati presto. Attraversarono la strada sulle
strisce
pedonali ed entrarono nell'edificio di fronte a loro, in una
hall.
«Era proprio vicino» commentò
Ami.
«Il miglior consiglio che abbia mai
seguito.» Alexander la condusse verso l'ascensore, senza fermarsi alla
reception.
Nella cabina, appena vide che lui aveva premuto il
pulsante per il quarto piano, Ami si prese del tempo per abbracciarlo.
Alexander affondò di nuovo col viso nei suoi capelli.
«La lontananza è stata una tortura.»
Lo era ancora, per quell'impossibilità di annullare
tutto ciò che li circondava, per l'attesa che li costringeva
a esistere ancora come due
esseri distinti. Abbracciarlo non bastava, per quanto fosse meraviglia
per
ogni suo senso.
Le porte dell'ascensore si aprirono troppo presto,
troppo tardi. Cercando di contenersi, entrambi percorsero rapidi il
corridoio.
Alexander tirò fuori dalla tasca una chiave magnetica e
la
inserì nella quinta porta sul loro cammino. Scostando
l'anta, fece attenzione a far entrare prima le valigie. Ami
sfilò la sciarpa, oltrepassando la soglia per ultima. Nella
fretta di sorpassare gli ostacoli che la separavano da lui,
urtò
il trolley, facendolo cadere.
Non importò a nessuno
dei due
mentre la porta si chiudeva alle loro spalle.
Si scontrarono in un abbraccio, trovandosi.
Faticarono a decidere se tenere gli
occhi chiusi o aperti mentre si spogliavano freneticamente dei
soprabiti.
Alexander le prese la testa tra le mani. «Look at
you. So beautiful...»
Era molto più bello sentire la sua voce dal vivo, col
calore del suo fiato sulla pelle.
Lo privò del
cappotto. Lui aveva fatto cadere a terra la sua giacca e la
sollevò di peso tra le braccia, per la vita. Mentre si
muovevano, lei cercò
invano di aiutarsi con le gambe a restare sollevata: la presa era
disordinata ma salda. Si sentì cadere di lato, su un
letto, e si sollevò sulle ginocchia, per racchiudergli le
guance tra le
mani. Lui era il suo miracolo. «Mi sei
mancato.» Si sciolse in un bacio. «Non
riesco a dire quanto. Non ci sono parole...» Nella gola le
scoppiò un singhiozzo.
«No, no...» Alexander tolse aria alle sue
lacrime
premendo la bocca sulla sua. «Hai pianto abbastanza. Sono
qui,
sei qui...»
Era vero. E potevano essere passati mesi, settimane, ma furono
più bravi e capaci che mai a levarsi i vestiti di dosso,
indumento dopo indumento, staccandosi a stento, cercando piuttosto di
salirsi sopra, o schiacciarsi. Ami voleva consistenza, peso,
realtà.
Sollevò i fianchi, facendo scivolare giù
la gonna
mentre lui riempiva di baci aperti il suo stomaco, le mani
impegnate ad aprirsi i pantaloni. Lei si tirò indietro solo
per
avere maggior libertà di movimento. Riuscì a sfilare le
gambe dalle
calzamaglia in cotone.
Come risvegliandosi, Alexander arretrò sul letto e
barcollò per la stanza. «Aspetta.»
Raccolse da
terra i vestiti, cercando qualcosa. «La giacca,
dove...?»
La trovò e non disse più nulla.
Armeggiò tra le varie
tasche, aprendo finalmente una cerniera e tirando fuori qualcosa.
Nell'aria della stanza, nuda, Ami rabbrividiva per il freddo e
voleva solo tornare ad abbracciarlo. Rise
quando lo vide sbattere il ginocchio contro un angolo del letto.
Alexander saltellò per il dolore e si liberò dei pantaloni dimenando le gambe. In
ginocchio sul materasso, cominciò a trafficare con la
confezione
del preservativo.
«Niente abbracci prima?»
Lui si immobilizzò.
Ami soffiò via una risata, alzandosi per
raggiungerlo. «Scherzavo. Voglio
tutto.» Gli levò dalle mani il
preservativo già aperto e si
sentì estranea a se stessa - e
incredibilmente proprio se stessa - quando prese la sua
erezione tra le mani e vi fece scivolare
sopra la protezione di lattice, senza neppure guardare. Privi di
ostacoli, si avvolsero con tutta la forza che possedevano.
«My God.»
«Adoro la tua voce.»
«Missed you so much. With all my heart.»
Ami strinse il suo viso al petto. «Lo so.»
«Couldn't exist withou you.»
Lei aveva provato la stessa cosa. Lo stava ancora baciando quando
sentì la prima risata. Lui aveva un odore così
buono...
«Che c'è?»
«Non parli più inglese, Ami
love?»
Nella piccola pausa si guardarono negli occhi, smettendo di
respirare. Le si fermò il cuore.
«Penso di aver dimenticato tutte le lingue che
conosco.»
Per un poco si strinsero col solo fine di bearsi del calore
che si trasmettevano a vicenda. Lentamente, inesorabilmente, tornarono a percepire la propria
nudità con le mani. L'affetto degenerò in
passione.
«Apri.»
Ami eseguì: si stava già
sedendo sopra di lui, da sola, tenendosi alle
sue
spalle. Terminò di separare le cosce e lo sentì
posizionarsi all'entrata del suo corpo. L'incastro riscrisse il suo
mondo. «Oh.»
Iniziò ad ansimare contro il suo viso. Qualunque
altra esperienza, qualunque sensazione mai provata,
impallidì, scomparve.
Come era riuscita a sopravvivere con le sole immagini, con le
sole
parole, per tutto quel tempo?
Lui premeva con le mani sui suoi fianchi.
«Ami.»
Lei gli levò i capelli dalla fronte - come gli
aveva promesso
che avrebbe fatto, al telefono, quando lo avesse rivisto. Mise le dita
nella sua chioma e imparò di nuovo la forma della sua nuca.
Tornò a ricordare lo strofinio del seno contro
il suo petto, la sensazione bollente dei loro ventri uniti
che
cominciavano a
sudare, le loro gambe intrecciate. In quella posizione purtroppo non
sentiva
bene quelle
di lui. «Fammi sdraiare.»
Alexander riuscì a farlo senza che si staccassero.
Così,
così! Ecco
cosa le era mancato: la
sensazione di abbandono assoluto e unione. Ora poteva baciare,
abbracciare con ogni arto, subire e dare. «Make it
last.» L'inglese le tornò per quella richiesta. Fallo durare.
A due centimetri da lei, Alexander scuoteva la testa, soverchiato.
«Non so se...»
Schiacciata, Ami aprì la bocca sulla sua e
ondeggiò contro il suo corpo. Baciami, amami, stringimi. Non
lasciarmi andare - mai, mai più. Affondò lievemente i denti nelle sue labbra e venne scossa
da un orgasmo. Vi si aggrappò con disperazione, come se non
fosse
sicura di poterne provare un altro in vita sua.
Qualcosa si diradò nella sua mente - paura, ansia.
Si
arrese al sollievo.
Sentendo un bacio sulla tempia, si girò tra
le braccia di lui e lasciò uscire un singhiozzo.
Scoppiò a piangere con violenza, travolta.
Si
sentì
avvolgere in un bozzolo.
«Mai più.»
La sofferenza era prepotente, non solo sua.
Sì, mai più, perché era stata
lei a volere quella separazione. Lei! Che stupida, che idiota...!
Esaurì le lacrime e scivolò verso l'alto
nell'abbraccio, stringendogli la testa contro i seni.
«Sto provando troppe cose.»
«Provale tutte. Non vado da nessuna parte. E tu non
ti muovi da qui.»
Accolse il sorriso. Si diede il tempo di pensare.
«Ritrovarmi con te è come... svegliarmi.»
«È questa la realtà. Non
pensarci troppo. Non avere paura.»
«Con te mai più.»
L'ultimo ricordo fu il suono di un sorriso.
Quando aprì gli occhi, di nuovo, per un momento
si
allarmò. Poi il braccio che la teneva per la schiena
aumentò la forza della presa.
Quanto aveva dormito?
«Sono passate due ore» offrì
Alexander, leggendole nella mente.
Lei sollevò la testa. «Scusa.»
Lui iniziò a ridere.
«Cosa c'è?»
«Mi mancavano le tue scuse!»
Per un momento il suo divertimento la irritò.
«Scusa se-»
La travolse un'altra risata.
Ami gli batté una mano sul petto, abbracciandolo
risentita.
«Queste continue richieste di perdono sono
così te,
Ami love. Non vedevo l'ora di risentirle dal vivo.»
Lei si dimenticò di tutto. «Mi sono
addormentata, lasciandoti solo.»
«Hai dormito contro di me. È stato
paradisiaco.»
Il desiderio di vicinanza più violento era stato
ormai
sedato, ma era ancora vivo. Solo
per un istante lei riuscì a guardare la persona che aveva
davanti con gli occhi di qualche
mese prima. «Pensi che continueremo così per
sempre?»
«Hm?»
«Ci ricopriremo di parole di amore e passione in
ogni singolo momento?»
«Io non mi lamenterei.»
Valutando la situazione, Ami ebbe la propria risposta.
«Neanche
io.» Si adagiò su di lui, riposando nella loro
pace.
«Non voglio più alzarmi da qui.»
«Posso aiutarti con questo.»
Quando lui parlava le faceva venire voglia di... di fare
qualcosa, tutto. Non sapendo da dove cominciare,
sollevò una sua mano e la studiò,
meravigliandosi di poterla di nuovo sfiorare, toccare. Percorse la
lunghezza dell'indice di lui, memorizzando daccapo la lieve curva delle
giunture. Studiò la sensibilità della pelle del
palmo,
costringendolo a incavarsi sotto la pressione del suo pollice.
Era una mano che le rispondeva, che la cercava.
Alexander parlò. «Mi è servito che dormissi,
sai?»
«Perché?»
«Questa esplorazione che stai mettendo in atto... Ho
un
vantaggio di due ore su di te. Ho studiato ogni centimetro di
epidermide sulle tue mani, sulle braccia... Ho provato a non
focalizzarmi troppo sul tuo corpo perché dormivi
e potevo fare poco se mi eccitavo. Mi sono beato del tuo viso per
un'ora intera.»
Il relax di Ami fu totale. «Abbiamo fusi orari
diversi.
Quando dormirai io sarò sveglia e potrò studiarti
a mio piacimento.»
«Mi sembra giusto.»
Lei sollevò la testa. Nel rivedere gli occhi di
lui ebbe la tentazione di salutarlo, come se lo stesse appena
rivedendo.
«Oggi ti avrò reincontrato dieci
volte» commentò Alexander in un'involontaria
risposta.
«È la novità del
rivedersi.»
Lui afferrò in coppia le sue mani e
portò le nocche
alla bocca. «Quando stavamo insieme tutti i giorni avevo la
soddisfazione di conoscerti da sempre, ed era una cosa immensa. Non so cosa sia
migliore.»
Lei non voleva più esistere fuori da quella stanza.
In quei pochi
metri quadrati aveva tutta la felicità di cui aveva bisogno.
«Hai fame?»
Hm... «No.» Aveva mangiato sull'aereo.
Sentì un gorgoglìo che proveniva dalla
pancia di lui.
«Io ho fame» lo sentì ammettere.
«Ero
così in ansia al pensiero di rivederti che ho mangiato
poco.»
Ami si sollevò, impietosita. «Andiamo a
prendere qualcosa.»
Alexander si rifiutò. «Servizio in
camera. Non voglio uscire
da qui finché non mi sarò saziato di
te.»
Lei si riempì di piacere. «Quanto ci
metterai?»
«Un paio di mesi.» Sorridendo,
lui si mise in
piedi. Le sembrò più
stabile rispetto all'ultima volta che lo aveva visto alzato,
più
calmo e sollevato mentre andava a prendere il menù
dell'albergo dal tavolino
vicino. Insieme avevano provato una smania
meravigliosa, che non si era ancora spenta.
«Speriamo che facciano del buon cibo.»
Sdraiata, Ami lo squadrò da capo a piedi, studiando
la forma definita
della sue gambe, la compattezza del suo torso, la solidità
delle
sue braccia.
Oh.
Non se n'era mai accorta.
Lui notò la sua ispezione.
«Cosa c'è?»
Aveva da riferirgli una considerazione prettamente visiva. «Hai un
corpo... eccitante.»
Alexander sgranò gli occhi. Sollevò un
braccio
nella sua direzione, disegnando una croce in aria. «Lussuria,
esci da questa Ami.»
Lei si vergognò. «Sei tu che hai
insistito per farmi diventare così.»
«Ti preferivo modesta.»
«... davvero?»
Lui spalancò la bocca. «No! Voglio che dici
tutto quello che ti passa per la testa.»
Le uscì un sospiro.
Alexander la osservò in volto.
«È troppo presto per le prese in giro,
hm?»
«Devo solo imparare a scioccarti più di
quanto tu sciocchi me.»
«Potrei restarci secco.»
«Te la saresti andata a cercare.»
«È vero» le confermò divertito. Salì sul
letto, dimenticandosi del menù e del cibo. La percorse con
gli occhi, indugiando a piacere. «Non
hai perso peso.»
Se lo era ricordato? «Ho recuperato dopo i primi
mesi. Da quando ci siamo risentiti, la
felicità mi ha portata a mangiare come prima. E col
freddo che si
avvicinava... Penso di essere un po' più in carne rispetto
ad agosto.»
Lui allungò una mano verso un suo seno.
«Mi piace.»
Lei inarcò lievemente la schiena, godendosi la
carezza del
dito sul capezzolo turgido. «Sarà appena un
chilo in
più.»
«Mi andrebbe bene anche se fossero dieci.»
Oh, lei non sarebbe mai ingrassata tanto. A meno
che...
Be', sarebbe successo solo quando...
Si
costrinse ad allontanare le mani di lui, per pensare.
«Chiama la reception. Se
non ordini qualcosa subito, dovrai aspettare troppo per
mangiare.»
Alexander si era scordato di avere fame.
«Resisterò.»
Il suo stomaco fu di un altro parere: gorgogliò di
nuovo.
Lui rise. «Stupido. Ho
qualcosa di pronto, me l'ero dimenticato.» Si
diresse al mini-bar.
L'anima risparmiatrice di Ami soffrì
nel vederlo prendere un succo di frutta. Alexander recuperò
anche dei biscotti. Glieli offrì. «Non fare quella faccia, love. Li ho comprati
io, in un supermercato. Ho preso anche del latte e dei crackers.
Li ho
portati qui prima di venire a prenderti.»
Ami amò la sua previdenza. Accettò un
singolo
biscotto, scoprendo nonostante tutto di avere appetito.
Mentre
Alexander masticava avidamente i crackers, lei ritrovò il
filo del ragionamento che aveva interrotto.
C'era una ragione se stava rivedendo il suo ragazzo per la
prima volta dopo ben
tre mesi e mezzo, nonostante fosse in grado di teletrasportarsi da un
continente all'altro.
Aveva fatto
una gran tragedia della loro situazione per più motivi
validi,
seri, che l'avevano costretta a mettere in discussione se stessa e la
loro relazione. Ma soprattutto un elemento - un progetto, una speranza,
un impegno - l'aveva spinta a essere così ferma nella sua
determinazione a cercare una distanza tra loro, affinché
fossero entrambi
sicuri di quello che stavano facendo nel legarsi l'uno
all'altra.
... lei voleva quel progetto. Voleva lui e il loro avvenire.
Ora
erano insieme, si erano finalmente ritrovati. Sarebbero andati a
convivere e non avevano più alcuna incertezza sul fatto che,
qualunque percorso di vita avessero intrapreso, avrebbero avanzato
insieme. Perciò... Erano stati tutti e due
d'accordo sul
fatto che ci fosse poco tempo per dare una chance alla
possibilità che più li aveva messi in dubbio,
giovani
com'erano.
Su entrambi incombevano troppi doveri e cambiamenti: avevano
meno di due anni di tempo da vivere normalmente. Aspettare
era stato giusto, ma adesso che erano del tutto sicuri...
Alexander si era messo a bere da una cannuccia.
Ami diede fiato a ciò che le passava per la mente. «E se provassimo ad avere un
bambino?»
Lui schizzò succo d'arancia dal naso. Si
piegò in
avanti, tossendo e soffocandosi mentre lei lo raggiungeva di corsa,
battendogli forte sulla schiena. «Stai
bene?»
Alexander provò inutilmente a parlare.
Tossì altre due volte prima di riuscire a schiarirsi la
gola. «Come?»
Ami si sentì rozza. «Era
un'idea» balbettò.
«Sì, ma... Cosa-? Quando...?» Deglutì. «Eh?»
Lei si sentì ridicola. «Cancella l'ultimo
minuto. Facciamo finta che non abbia parlato.»
«Aspetta.» Si sentì afferrare
un braccio.
«So che io e te...» La costernazione di lui si
trasformò in semplice incredulità.
«Spiegami
perché ti è venuto in mente adesso.»
Lei volle una fossa in cui sotterrarsi.
«Hai parlato di
vedermi grassa. Dato che non succederà fino a che io non resterò...» Non riuscì a dire la parola. «Poi
ho
pensato
che ci stiamo rivedendo solo oggi perché non potevo
teletrasportarmi da te per tutto questo tempo per questa ragione, per il
bambino intendo, e
allora... dato che sappiamo di avere poco tempo, ho
creduto che...»
Udì un suono, una via di mezzo tra un sospiro e una
risata.
Si azzardò ad alzare gli occhi. «Cosa
stai pensando?»
«Che non era il modo in cui immaginavo di
parlarne.»
Giusto. Aveva ragione lui.
«Ripensiamoci quando torneremo in Giappone.»
Alexander considerò quell'opzione. La
scrutò in viso, infine spostò lo
sguardo sulla giacca che aveva buttato a terra. Si mosse per
raccoglierla. «Sai... Quando ho comprato questi preservativi,
mi sono
chiesto per quanto tempo ne avremmo avuto bisogno.»
Ami sentì il cuore in gola.
«Davvero?»
Lui prese la confezione tra le mani. «Ricordavo che
cosa
avevamo progettato. So che c'è poco tempo.» Si
diresse al
cestino. Allungando il braccio, vi buttò dentro l'intera
scatola
di profilattici.
Lei non riuscì nemmeno a sbattere gli occhi.
Alexander aveva qualcosa da dirle. «Vorrei davvero -
davvero tanto - avere più tempo per
stare solo con te. Ma se avremo un bambino non arriverà
domani e... te l'avevo
promesso, l'anno scorso.»
Oh, non poteva essere una questione di promesse.
Lui stava scuotendo la testa. «Intendo dire che
è da un anno che mi sto preparando all'idea. Se non me ne
avessi
parlato tu, te ne avrei parlato io, presto. Con più
tatto.»
L'aggiunta dissipò la sua ansia.
«Allora...»
Anche lui era nervoso. «Allora non useremo
più
protezioni. E sento che non sto dicendo una sola cosa come vorrei,
ma...»
Ami lo raggiunse, stritolandolo in un abbraccio.
Alexander respirò meglio. «Dovevi permettermi
di prepararmi,
love. Quello che cerco di dire è che era qualcosa che anche
io
volevo fare con
te.» Prese fiato. «Perché so di voler
passare il
resto della
mia vita con te.»
Per non tornare a singhiozzare, Ami premette la faccia
nell'incavo
del suo collo. Raccolse aria. «Allora non sarà un
peso? Il bambino, intendo.»
«No, ma... Sai che non è una certezza,
vero?»
Sicuro. Perciò era ansiosa di iniziare a tentare.
«Magari non ne avremo mai uno.» Era consapevole che
poteva
essere già troppo tardi per loro, nonostante
le precauzioni
che aveva preso per limitare l'avanzata del suo potere.
Però...
«Mi basteresti tu. Avere un bambino ha senso in una vita con
te.
Se non lo avremo mai, io sarò completa comunque.»
Ora lo
sentiva. Ora sapeva che non aveva davvero bisogno di null'altro che lui
per esistere. «Anche se
rimanessimo solo noi due per sempre, sarà la vita
migliore
che io
possa desiderare.»
Nello sguardo di Alexander vide qualcosa che la rese umile: la
forza
della
felicità che era in grado di donargli, e che non aveva mai
espresso a sufficienza.
Chinandosi, lui appoggiò la fronte contro la
sua, gli occhi chiusi. Ebbero a stento fisicità in
quel momento: furono anime che si sfioravano col respiro, terminando di
intrecciarsi.
Lei pose fine all'attimo sollevandosi per un bacio necessario,
indispensabile. Lui doveva aver pensato la stessa cosa,
perché
la incontrò a metà strada. Tornarono a essere
corpi, con
un disperato bisogno di ritrovarsi. A tentoni raggiunsero il letto e
non si diedero più tregua.
Sedato dalla loro nuova sessione d'amore, Alexander aveva una sola
recriminazione: non era progettato in modo da proseguire senza
sosta. Era un peccato. Ami ancora tremava se lui la sfiorava, come se fosse pronta a
ricominciare in qualunque momento. Lasciò la mano sul fianco
di lei, ogni tanto
stringendo la presa per ricordarle che non aveva finito quella sera.
Ami sollevò le palpebre, stordendolo daccapo con la
profondità delle sue iridi blu. «Mi
è mancato.»
«Cosa?»
«Fare l'amore senza il... Cioè, unirci senza
barriere.»
Lei era così deliziosamente tecnica in quelle sue
considerazioni. «È mancato anche a me.»
La vide perdersi in un pensiero e non la interruppe.
«Cercherò di non essere
ansiosa.»
«Con riguardo a cosa?»
«Al bambino, se mai ce ne sarà uno dentro
di me. Ho
letto che l'impazienza e l'ansia destabilizzano l'equilibrio ormonale,
contribuendo a diminuire le possibilità di
concepimento.» Ami guardò serena il soffitto.
«Sarà un
regalo, se
verrà. Preferisco non aspettarmelo, né
programmarlo. La cosa migliore che posso
fare è starmene tranquilla e completamente
rilassata.»
Al fine di raggiungere lo scopo era una buona
strategia, ma... «Lasciami fare la mia parte.»
Le causò un sorriso. «Certo, devi
partecipare.»
«No, intendo... tu sii pure tranquilla e rilassata.
Ma per
aumentare le probabilità, dovremmo favorire in ogni modo
l'incontro dei, ehm, soggetti interessati. Quindi direi di fare l'amore almeno
due volte al giorno.» O tre.
Ami stava trattenendo una risata. «Sai che sarebbe
meglio lasciare che il liquido seminale si ricarichi?»
Eh?
«La concentrazione di spermatozoi non può
rimanere la stessa
a fronte di eiaculazioni troppo frequenti. Si anticipa il tempo
necessario alla loro produzione.»
Alexander si sentì come se lei avesse appena
dissezionato verbalmente i suoi testicoli. «Quale sarebbe
la frequenza ottimale dei rapporti, in teoria?»
«Ogni due giorni. I libri consigliano di concentrarli nel
periodo immediatamente precedente all'ovulazione e durante la
stessa.»
Lui iniziò a soffrire, poi notò
che Ami
si stava divertendo.
«Una frequenza poco serrata
è una precauzione da
seguire nel caso di bassa conta degli spermatozoi. In merito a questo, giocano a
favore dell'uomo una serie di fattori, quali-»
Età, stato di salute, alimentazione. «Ho
ventun anni, mi mantengo in forma e faccio una dieta variata. Non posso
essere più fertile di così.»
Lei si sciolse in una risatina. «Lasciami finire!
Stavo per
dire che non mi importa di ricreare le condizioni mediche migliori. Mi
piace un'altra teoria che ho sentito: consiglia di avere rapporti tutte
le volte che lo si desidera. Se due volte al giorno è la
frequenza a cui aspiri...»
«Non farebbe male alla
causa.»
Ami lo abbracciò, posando un bacio sulla sua
clavicola. «Sarei d'accordo anche se non ci fosse alcun
secondo fine.»
Oh, lui era in paradiso. Aveva finalmente accanto la
Ami che aveva conosciuto al
comunicatore. Lei era la stessa persona che lui aveva amato per
anni.
Ami notò qualcosa oltre le sue spalle.
«Allora hai letto un libro mentre dormivo.» Si
sporse a prendere il volume sul comodino.
«Ci ho provato. Mi distraevi semplicemente
respirando.»
Felice, lei sfogliò le pagine. «C'entra
con
la tua ricerca?»
«Sì. Questo autore ha una teoria che
potrebbe aiutarmi. Stavo pensando di scrivergli.»
Ami lo guardò, estasiata. «Pensi che
ti risponderebbe?»
«In realtà mi piacerebbe andare a
trovarlo, ma... sta in California. Se gli esponessi la mia idea per
intero, potrei davvero coinvolgerlo nella ricerca.
Però dovrei lavorare a tempo pieno con lui per arrivare a
qualcosa di concreto. Io e Shun ci siamo andati vicini, ma... Ci sono ancora troppi buchi. Ne scopro uno nuovo ogni volta che
vado avanti.»
Ami ci pensò su. Capì
perfettamente cosa intendeva.
Alexander si esaltò. «Anche così, credo che
nessuno
sia mai arrivato fino al nostro punto. Avere un teletrasporto
funzionante, con uno strumento che permette di analizzare il processo
al livello di cui è capace il tuo computer, ci ha fatto fare un
salto enorme in avanti come umanità. Sarà una
rivoluzione
così grande che...» Ci rifletté,
fermandosi.
«Non sono sicuro che l'equazione sia da
diffondere immediatamente, una volta individuata. Comunque, solamente
esplorando il
percorso per arrivarci, Shun ha già avuto decine di idee per
altre applicazioni pratiche. Ci sono state due notti in cui non ha
dormito a forza di lavorarci.»
Ami condivideva ogni sfaccettatura della sua meraviglia. Iniziò a percepire un senso di perdita, per
lui. «Mi porterai a vedere il campus del
MIT?»
«Certo. Ti piacerà tantissimo.»
Ne era sicura. «Alex...» Gli
accarezzò la fronte. «Ti piacerebbe restare qui? O
andare in California.»
Lui rimase interdetto. «Prima di tornare in
Giappone?»
No. «Per i prossimi due anni.» Lo
bloccò prima che potesse ribattere. «Io rimarrei con
te. Dovremmo cambiare i piani che abbiamo fatto, ma... posso studiare
medicina ovunque. Da sola o iscrivendomi in un'università
vicina alla tua. Non vedrei le mie amiche tanto spesso, ma il
teletrasporto ci avvicina. Posso avere un bambino anche qui in
America.»
Vide i dubbi di lui e cercò di spiegarsi meglio.
«So che sarebbe una pazzia. Non concluderemmo nessun percorso
di studi e trasferirci e studiare fuori dal Giappone costerebbe
tantissimo, ma... qual è il valore di questi anni della
nostra vita? Forse stiamo prendendo troppe precauzioni.
È un delitto che tu interrompa gli studi che stai
facendo,
limitando questo entusiasmo che accende tutto ciò che per
cui hai sempre lavorato.»
«Ho capito cosa intendi» la interruppe Alexander.
«E non sai quanto mi renda felice sentirti parlare
così.»
Ami fu contenta di essersi lasciata andare, smettendo di
focalizzarsi su quanto sarebbe stato complesso riorganizzare la loro
vita in un altro paese. C'erano cose più importanti su cui
concentrarsi: lui, loro.
«Sono felice perché mi sostieni, love. Ma
questo
l'ho sempre saputo.» Alexander si mise a sedere.
«Voglio comunque tornare in Giappone insieme, a
casa.»
«Perché?»
Lui non era più entusiasta come quando le aveva
parlato di tutto quello che poteva scoprire, ma non sembrava
oberato. Era... calmo. «In questi due anni
che ci rimangono, potremmo andare avanti come se nulla fosse destinato a
cambiare, ma... io non
sarei tranquillo. Mi sembra già di aver fatto finta
di niente troppo a lungo. Ci è servito, ma voglio che
arriviamo pronti al giorno in cui le nostre vite cambieranno. Non sarà facile se non
possiamo dare per scontato il tetto sotto cui abiteremo, o se avremo
ancora la possibilità di lavorare e di guadagnare
qualcosa.»
Lei rimase in silenzio.
«Non potrei concentrarmi sullo studio con questi
pensieri in
testa. Vorrei che vivessimo il più normalmente possibile
fino ad allora, ma mi interessa iniziare a organizzarci. Devo lavorare
per accumulare denaro, il più possibile. E...»
sorrise, incredulo.
«Penso che coinvolgerò le tue amiche. Soprattutto
Tenou e Kaiou, che la sanno lunga. Dobbiamo prevedere la situazione in cui ci troveremo, per prepararci a difenderci.
Forse dovremo munirci di identità fittizie, creare conti
all'estero, sicuramente identificare uno o più luoghi sicuri
in cui stare se dovessimo spostarci in fretta...» I dettagli a cui pensare erano innumerevoli. «Sono idee che mi vengono sul momento. I problemi a
cui pensare sono molti di più. Senza la protezione delle
vostre identità, con tutto il mondo a conoscenza di chi
siete davvero, non sento di potermi affidare completamente al potere di
Usagi per tutte le situazioni che dovremo risolvere. Potenzialmente,
stiamo parlando di come
andranno le nostre vite per i prossimi decenni. Non ci
salverà solo la magia: ci vogliono dei piani.»
Ami era d'accordo. Soffrì per lui, solo un
poco. «Scusa se ti ho fatto credere di non avere in
mente
tutte queste cose.»
«Mi fido di te. Ma tu ti fidi troppo di
Usagi.»
Lei non se la prese. «Forse Usagi creerà
un'impenetrabile castello in cui saremo tutti felici e al sicuro, ma...
è vero, abbiamo bisogno di organizzarci. Ci
vorrà del tempo.»
Alexander annuì. «Troverò il
modo di mandare avanti la mia ricerca nel tempo libero, o quando mi
capiterà. Ma per ora è già un progetto
secondario nella mia testa.» Allungò le
mani verso di lei. «D'altronde in Giappone mi
aspettano tante novità che non vedo l'ora di godermi. Tu che
vieni a vivere a casa mia, per cominciare.»
Ami sorrise contro la sua spalla.
«Lo hai già detto a tua madre?»
«Ecco... no. Ho pensato che fosse indelicato
presentarle l'idea da sola. Mamma accetterà qualunque mia
decisione, ma sarebbe più tranquilla sapendo che
abbiamo dei progetti duraturi insieme.»
Lui comprese. «Allora, quando torneremo, le
parleremo il prima possibile.»
Proprio così. «Ho già
organizzato tutte le mie cose in modo da poterle inscatolare con
rapidità. Posso trasferirmi nel giro di un giorno.»
Era musica per le orecchie di Alexander.
«Ho fatto qualche considerazione su come gestirci a
livello economico.»
«Non parliamone ora.» Non si
ritrovavano più nella situazione di un anno prima:
poiché aveva lavorato lui aveva delle decenti
disponibilità economiche, considerato anche che quel viaggio
in America era stato finanziato interamente da suo padre. Non c'era
motivo di parlare di denaro: se Ami ne aveva, o voleva guadagnarne per
usarlo per tutti e due, bene, ma non sarebbe stato indispensabile.
In
ogni caso lui era aperto a qualunque cosa lei volesse fare. Erano nella
posizione di non preoccuparsi eccessivamente delle loro finanze
nell'immediato presente. Nei successivi due anni l'unica grossa spesa
che avrebbero dovuto affrontare insieme sarebbe stata legata al
bambino, o alla cerimonia di... Hm.
Guardò Ami negli occhi.
«Cosa c'è?»
Era smemorato come lei quando si trattava di alcune
ovvietà. «Niente.» Allegro,
assaggiò una sua guancia.
Divertita, Ami incavò la testa nelle spalle.
«Stavi pensando a qualcosa.»
Sì, ma non gliene avrebbe parlato senza
un'estesa e dettagliata preparazione.
Ami lo scrutava. «Per quanto riguarda i soldi, volevo solo dire che
ho trovato il
modo di commercializzare un programma che ho sviluppato al
computer.»
«Sei una grande.» Scese con le labbra lungo il suo
collo.
«Ci vorrà un po' di tempo per ingranare,
ma potrò mantenermi da sola per tutte le spese,
anche quelle condivise. E presto-»
A lui non poteva importare di meno.
«Brava.»
Ami affondò le unghie nella sua schiena.
«Mi sembri condiscendente.»
Si sbagliava. «Sono pronto a farmi mantenere da te
senza discutere.» Le causò una risata e
cercò un suo bacio. Lei aveva un sapore così
dolce... «Ma non potrai farmi riflettere sull'ammontare dei
nostri stipendi quando ho solo voglia di mangiarti viva.»
«Suona... sanguinolento» commentò Ami. Il ritmo del suo respiro era cambiato.
Alexander arrivò a uno dei suoi seni. Con estrema pazienza,
ignorò completamete l'areola, baciando tutto attorno. Lei si
piegò all'indietro sul letto,
usando le braccia per adagiarsi con lentezza sulla schiena.
Lui percepiva ancora l'odore del sesso che avevano fatto,
inebriante per le sue
narici. Era passato troppo tempo dall'ultima volta che si era goduto il
piacere di sentire la sua carne più intima sotto la lingua.
La
cosa più eccitante era vedere che Ami si era preparata:
lo sentiva con le dita, mentre sfiorava i peli
cortissimi del suo pube. Piegò la testa verso il basso.
«No!» si agitò lei. «Devo prima farmi un bagno!»
«Non importa.»
«Alex, Alex... A me sì. Ho
viaggiato su
un aereo e abbiamo fatto persino l'amore...»
«Va bene.» Si sollevò su di lei, incastrando le
mani sotto le sue ginocchia, per piegarle le gambe.
«Però a me il tuo odore piace sempre.»
Ami annuì col respiro accelerato: aveva intuito
cosa lui stava per fare.
Alexander non la deluse: spostando i fianchi entrò
nel suo
corpo, più veloce di quanto avesse voluto. Restò
senza fiato: il bollore, il palpito della stretta, l'umidità
dei suoi umori...
Ami separò indolentemente le gambe, scendendo con
una carezza a stringergli le braccia.
Lui si azzardò ad aprire gli occhi. Aveva visto
troppe volte il
corpo di lei su uno schermo per non provare ora la necessità
impellente di osservare dal vivo quello che Ami aveva fatto a se stessa quando lui era
stato incapace di aiutarla. Scese con la mano sul suo ventre,
muovendo il pollice fino a trovare il punto più sensibile della sua carne.
«Era qui che volevi che ti toccassi?»
Ami ansimò, tendendosi. Con la bocca lui la
adorò in viso, gemendo in
silenzio. «È
mancato di più a me, love.» Si mantenne fermo a
forza: era divino, assolutamente unico, sentirla dondolare contro
di lui, intrappolata dal piacere.
Ami lo abbracciò e parlò al suo
orecchio. «Sognavo che tu... spingessi.»
Lui lo fece, a fondo, senza impostare alcun ritmo. Premette in
lei
con singole inesorabili spinte, desiderando più di ogni
altra cosa di non arrivare mai alla fine.
Ami trovò la sua bocca in un bacio. Per un lungo
minuto, giocarono: coi fianchi lei chiedeva e lui non dava, godendosi i
suoi sforzi.
Poi lei premette le mani sulle sue spalle, allontanandolo.
«Facevo così.» Lo incitò ad
andare ancora più indietro, finché non fu
praticamente seduto. Quando Ami fu sicura che potesse vederla,
abbassò una mano su di sé. Con un'espressione di
adorabile mortificazione lasciò scivolare il dito tra le
pieghe delle proprie cosce.
Lui gemette a voce alta.
Senza smettere di guardarlo lei iniziò un massaggio
circolare, esperto - delicato ma insistente. Le bastò
sfiorarlo per caso per farlo muovere come se avesse premuto un
interruttore: sostenendosi con le braccia per non coprirla, Alexander
sentì tutto il basso ventre che si abbandonava a un ritmo
regolare, inevitabile, una strada verso la perfezione.
Ami boccheggiava a tempo con le sue spinte, cercando di non
essere vocale mentre si toccava. Era divina, sensuale oltre
ogni forma di
erotismo.
Il piacere la colse in crescendo, scuotendola.
The most beautiful girl...
Lui contribuì a plasmare il suo orgasmo seguendone le ondate,
poi vi aggiunse
il proprio peso e le fece perdere la testa: Ami incrociò le
gambe attorno ai suoi fianchi, inarcando le schiena, senza mai smettere
di far proseguire gli spasmi con movimenti erratici delle dita. All'improvviso allontanò la mano come se si fosse scottata, distendosi con tutto il
corpo mentre lui la abbracciava disperatamente
per la vita, schiacciandole il bacino a tempo.
Lei rabbrividì in risposta a ogni affondo e non emise suono quando lui si svuotò dentro il suo
corpo.
«My God, Ami. My God.»
Chinandosi, Alexander nascose
la faccia contro il suo collo.
Udì un primo mugolio. Ami portò le
braccia attorno alle sue spalle, con tenerezza.
Stremati, si concentrarono sulla riconquista del respiro.
Dopo un minuto, lei lo baciò su una tempia.
«Non sarei così, senza di te.» Lo
avvolse con tutto il corpo, cercando riparo. «Non sarei e
basta, senza di te.»
Non era vero, ma la realtà di quelle parole
esisteva anche dentro di lui. Infilò le braccia tra il letto
e la
sua schiena, stringendola più che poteva.
Non c'era un significato
prima di te.
Non voleva mai
più trovarne un altro.
«Ehi, ciao!»
Era il 22 dicembre, il giorno dopo il suo arrivo in America.
Ami sentì sparire l'ansia quando colse il sorriso
di Yamato, il miglior amico di Alexander, che la invitava a entrare in
casa.
«Quando tempo, Ami-san!»
«Yamato-san.»
Lui non era mai stato tipo da contatti fisici, ma Ami
portò comunque avanti una mano, per toccare un suo
braccio. Non si vedevano da un anno. In quei dodici mesi tutto era
cambiato per lui.
Quel giorno era l'anniversario della morte
di Asuka Yamato e il primo compleanno della figlia di lei,
Arimi.
Alla parete era appeso uno striscione. 'Oggi compio un anno!'
Alexander le aveva raccontato che Yamato aveva deciso che il compleanno
di Arimi non poteva essere indissolubilmente legato alla morte della
madre. Il modo migliore per onorare Asuka era festeggiare, di anno in
anno, la vita di sua figlia che andava avanti.
Yamato la osservò con attenzione in volto. «Sei
così... giapponese, Ami-san. In senso buono: mi fai venire nostalgia
di casa.»
Ami lo prese come un complimento. «Tu
invece...»
«Sono più vecchio, lo so. Ma la
maturità rende un uomo affascinante.»
Mentre lei rideva, lui salutò Alexander.
«Chi si rivede: l'inquilino in fuga. Se solo fossi stata qui ieri
mattina, Ami-san. Lui praticamente non ha dormito: si è
svegliato all'alba. Aveva le ali ai piedi quando è uscito di casa.»
Si era dimenticata di quanto fosse divertente Yamato.
Lui squadrò entrambi. «Sapete a chi somigliate? A una di quelle coppie dei vecchi film Disney. Ami-san,
tu sei una specie di Biancaneve, con le guance perennemente spruzzate di rosa,
timida e composta. E tu, Fox? Gli occhi ti brillano come uno di quei
principi che stanno per attaccare con le note di una canzone romantica.
Trattieniti, limitati a tubare.»
Alexander gli coprì metà faccia con la
mano. «Vuoi chiudere la bocca?»
Pur soffocato, Yamato riuscì a imitare il verso di
una colomba, muovendo le mani come se fossero ali.
«Hiii!»
Attirata dal gridolino infantile, Ami guardò oltre
le spalle di entrambi. Oh!
Alexander corse a prendere Arimi, sistemata sul suo
seggiolino. «Ciao! Hai visto che sono tornato? Buon
compleanno!»
Ami si sciolse. Dal vivo Arimi era
bellissima, così preziosa nel suo essere paffuta e
minuscola. Vedere Alexander che le schioccava un bacio sulla guancia
le
chiuse la gola per la tenerezza.
Lui passò Arimi a suo padre. Tenendola in
braccio, Yamato fece in modo che Arimi fosse rivolta verso di
lei. «Ho qualcuno da presentarti, Mi-chan. Questa
è la ragazza di tuo zio Alexander, Ami Mizuno.
È giunto il momento che tu conosca la tua
rivale.»
Ami sorrise. «Ciao, piccolina.» Cercò di
parlarle con voce delicata, per non spaventarla.
Da vicino osservò i suoi capelli neri, ondulati e morbidi,
le guanciotte piene e gli occhi di un indefinito colore, tra il verde e
il marrone. In inglese erano 'hazel eyes', un nome che Ami aveva sempre
trovato poetico. Infilò un dito nella manina di lei,
muovendola su e
giù. «È un piacere
conoscerti.»
Arimi sbatteva le palpebre, cercando di comprendere tutti i
suoi misteri.
Yamato si piegò per
passarle la piccola. Per un attimo Ami si innervosì, poi la
ricevette in modo corretto tra le braccia. Attaccata a lei, Arimi
sollevò le mani, palpandola in viso per esplorarla. Forse si
ricordava di averla vista dentro il comunicatore?
Yamato parlò. «Non ha molti contatti con donne giovani. Per lei sono una
novità.»
Ami tentò un sorriso. Squadrando la sua
espressione, Arimi decise che era innocua e le regalò la
vista di quattro splendidi dentini bianchi. Aveva un profumo
buonissimo, da
neonata. «Posso continuare a tenerla in braccio?»
Il suo peso
era delizioso.
Yamato annuì. «Prego. E benvenuta nella
dimora Yamato, che ha dato asilo per due mesi al tuo
boyfriend.»
Alexander guardava rassegnato il soffitto. «Sei
già andato a prendere la torta?»
«È in frigo. Sto solo aspettando che ci
raggiunga Agatha per iniziare i festeggiamenti.»
Ami percorse il salotto, guardando per la prima volta
l'interno della casa che aveva visto da fuori un anno prima.
«È un appartamento luminoso.»
«Già. Ti prometto che non ha
favorito incontri clandestini tra Fox e una delle sue
amanti.»
Mentre Alexander si massaggiava la tempia, esasperato, Ami
sollevò un sopracciglio. «Davvero?»
«Sai, siamo usciti insieme solo una volta -
perché di solito dovevamo alternarci per Arimi. Era
tutto uguale a
quando eravamo single. Lui si riveste di questa faccia disinteressata
che fa colpo sulle ragazze al cento per cento. Per fare il bravo
fidanzato ha ignorato quelle che si avvicinavano a lui
prestando
più attenzione agli amici che gli presentavo. Un paio di
loro l'hanno preso per gay, anche se a Fox non è piaciuto
sentirlo.»
Ami liberò una risata cristallina.
«Stai dicendo cazza-!» Alexander
censurò la parola, rendendo chiaro cosa pensava con un
gesto.
«Fox, rassegnati. Per loro la tua assoluta
fedeltà è anormale. Ti sei perso il meglio della vita
universitaria.» Yamato non lo lasciò rispondere e
tornò a rivolgersi a lei. «Ami-san, il suo
stoicismo è divenuto argomento di leggenda, proprio come nel
campus della Todai. Puoi stare tranquilla.»
«Lo ero.»
«Perfetto. Ora dissipa i miei dubbi: dimmi che,
almeno con te, a letto è un animale.»
Avvampando, Ami affondò con la testa tra le spalle. Arimi ne
approfittò per tirarle i capelli mentre Alexander
attaccava
Yamato dalle spalle, prendendolo per il collo.
«Piantala!»
Attirata dal trambusto, Arimi cominciò a fare il
tifo. Ami ne approfittò per rubarle un bacio sulla guancia.
«Va' da papà» disse ad alta voce,
avvicinandosi ai litiganti. Per lei era sempre comico vedere
Alexander che si comportava come un ragazzino quando si trattava del
suo amico Yamato.
Qualcosa che aveva detto aveva attirato l'attenzione di
Yamato, ma lui fece finta di nulla. «Mi
sono fatto male» disse ad Arimi quando la riprese, sollevando
una sua mano per accarezzarsi la faccia.
Alexander si era tirato indietro di due passi.
«Così impari a connettere il cervello prima di
parlare.»
Scherzava, ma per Ami la burla era andata avanti troppo a
lungo.
«Su, basta.»
Alexander sospirò, incrociando le braccia.
«All'amo» bofonchiò Yamato,
imitando con la mano libera il gesto di una lenza da pesca che veniva
tirata su.
«Sono felice di esserlo»
dichiarò
Alexander, attirando Ami a sé con un braccio.
Lei arrossì: aveva sentito abbastanza sciocchezze.
«Yamato-san.» Fece un passo in avanti e gli
offrì un piccolo inchino. «Voglio chiederti
perdono.»
«Per cosa?»
«Per averti fatto stare in pensiero. Amo Alexander
più della mia stessa vita e non sarò mai
più così insicura da lasciarlo andare.»
Zittì sia lui che Alex. Arimi si guardava intorno,
cercando di capire cosa stesse succedendo.
«Lo renderò felice»
proseguì Ami. «È una
promessa.»
Yamato si lasciò sfuggire una risata stentata.
«Quanta ufficialità.»
«Volevo la tua benedizione. Sei molto importante per
lui, e quindi per me.»
Capì di averlo privato della parola, molto
più di quanto avesse voluto.
Ci fu un momento di silenzio.
«Non mi hai detto se fate del buon sesso.»
Alexander si coprì gli occhi con le mani, ma Ami
badò al tono che Yamato aveva usato: stava cercando di
buttarla sul ridere, per non commuoversi.
«Ne facciamo» gli disse, e
poiché aveva risposto con audacia, esagerò.
«La qualità è importante quanto la
quantità per noi.»
Alexander aveva girato la testa verso di lei, a bocca aperta.
Yamato era convinto. «Avete la mia approvazione!»
«Hiii!» gridò Arimi.
Yamato scoppiò a ridere. «Lo prendo per
un 'sì' giapponese! Vi approviamo tutti e due.»
Lo squillo di un citofono riempì la casa.
«È arrivata Agatha. Cominciamo la tua
festa,
Mi-chan!»
«Hiii!»
Ami trascorse con Alexander cinque giorni interi a Boston, a
casa di Yamato. Lui le fece conoscere i luoghi di cui le aveva
raccontato: il campus universitario, i pub che aveva frequentato coi
suoi compagni di corso, gli angoli della città che aveva
scoperto. Il secondo giorno, il 23 dicembre, iniziò a
nevicare. Ami fu sicura di non aver mai visto un'atmosfera
più natalizia in vita sua.
Chiamò in Giappone per fare gli auguri di buon
compleanno a Yuichiro. Era in corso una festa e Usagi, Rei, Makoto e
Minako la tennero al comunicatore per oltre venti minuti, per conoscere
ogni
dettaglio della sua felicità.
«Quante volte lo avete fatto?» Minako.
«Davvero quando tornerete qui vivrete
insieme?» Makoto.
«Questi sono i baci più belli che tu
abbia mai ricevuto, vero?» Usagi.
«Ricordati le protezioni» fu il monito di
Rei. Ami non ebbe il coraggio di comunicare via video cosa stava
progettando. Era un annuncio da fare di persona.
Quella sera lesse un libro, sdraiata sul letto a una piazza e
mezza
in cui Alexander aveva dormito per oltre due mesi. Yamato aveva
indicato come opzione alternativa l'uso del divano letto in salotto, ma
poteva ospitare una sola persona e non si era stupito che entrambi
avessero preferito
rimanere stretti, ma uniti, nel letto della camera degli ospiti.
Alexander stava facendo delle analisi col suo mini-computer.
Appena lo aveva riavuto in mano vi si era immerso per oltre un'ora.
Ami lo lasciò ai suoi calcoli: aveva scoperto
l'assoluta
bellezza e vastità delle librerie americane. Avrebbe voluto
accamparsi tra quegli scaffali pieni di libri per leggere il retrocopertina di tutti i volumi in vendita. Lei e Alexander avevano speso
una fortuna nel regalarsi libri a vicenda quel giorno.
«Ami.»
«Hm?» Si voltò a guardarlo.
«Sai che la tua situazione non mi sembra cambiata
rispetto ad agosto?»
Impiegò un momento a capire a cosa si stesse
riferendo lui.
Per non lasciarle dubbi, Alexander voltò il mini-computer
nella
sua direzione. Sullo schermo era disegnato un grafico che rappresentava
la figura di lei, seduta sul letto, con vari dati relativi alla sua
persona.
Ami annuì. «Non mi sono più
allenata. Il
più grosso sbalzo di potere che ho avuto risale a maggio,
quando
sono riuscita a smateralizzare parte del mio corpo.» Lo aveva
trasformato in acqua, mentre era Sailor Mercury.
Lui meditò. «Anche io sono rimasto
uguale. Sono ancora ricoperto dalla tua energia.»
Lei lo sapeva. «Ti ho dato un'occhiata un paio di
settimane fa.»
«Di nuovo?»
Ami comprese il proprio errore. «È stato
un controllo
veloce.»
«Certo. Una cosa innocente, giusto? Come la prima
volta.»
Ovvio. L'unico suo sbaglio era stato confessargli quello
che
aveva fatto per assicurarsi che stesse bene,
nell'impossibilità
di parlargli.
Lui accarezzò l'idea. «Sapevi che era
sbagliato,
ma non hai
potuto resistere. Mi hai spiato, magari mentre facevo la
doccia.»
«Non è vero!»
«Se hai deciso di beccarmi di prima mattina, avrai visto uno spettacolo
interessante.»
Ami arrossì. «Sarò rimasta a
guardarti per non più di venti secondi!»
La precisione lo deliziò. Fece dondolare il
mini-computer per
aria. «Avresti dovuto lasciare che lo portassi con me. Avrei
fatto un uso molto meno nobile di questo strumento.»
«Avrei sentito che mi guardavi a ogni ora del
giorno.»
«Sarebbe stato verissimo.»
Lei sapeva bene che tipo di atmosfera stavano creando, e che
da un
momento all'altro lui si sarebbe alzato dalla sedia, per raggiungerla
sul letto. «Era questo che volevi dirmi?»
«No. Pensavo solo che i miei, ehm, soldatini hanno
moderate
probabilità di fare breccia se sono ricoperti dal tuo
potere.
Magari, anche se il tuo ovulo è già potenziato,
il
meccanismo dell'ykeos riuscirà a ingannarlo.»
Ami soffocò una risatina un gola. «Che
termini hai usato? Non è una guerra.»
Lui strinse un pugno. «È la battaglia per
la vita!»
Ami rise così forte che temette di aver svegliato
tutta la
casa. Si zittì a forza. «Era questo che volevi
dirmi?»
Lui si stava ancora divertendo. «No. Pensavo che è meno improbabile di quanto credevamo, perciò dovresti dare
un'occhiata a
qualche
libro, per vedere se ci sono cose che è consigliabile fare
in...
preparazione.»
Lei ci aveva già pensato. «Ho in mente quello
che ho letto
un anno fa. Andrò in farmacia domani: è meglio
che inizi
ad assumere una dose di acido folico ogni giorno. È utile
nei
primi trenta giorni di vita del feto, per evitare malformazioni durante
la chiusura del tubo neurale.
Siccome spesso ci si accorge della gravidanza non prima di due o tre
settimane dal suo inizio, l'assunzione di questa vitamina è
consigliata a chiunque stia pianificando un concepimento.»
«Good. Intendevo questo.»
Ami sospirò. «Poi consigliano
anche di fare esami
del sangue per controllare la compatibilità dei fattori Rh
nei
gruppi sanguigni di madre e bambino, ma... »
Lui capì. Lei non faceva esami clinici da molto
prima di
diventare una guerriera Sailor: se qualcosa di fondamentale era
cambiato nel suo corpo, era importante che nessun estraneo potesse
analizzare i suoi campioni biologici.
Ami meditò: se avesse avuto bisogno di
qualche intervento, prima o
dopo la gravidanza, sarebbe stato un problema.
Alexander intuì la sua
preoccupazione. «Andrà tutto
bene.» Le
prese le mani, portandole alla bocca.
Già, preoccuparsi le faceva solo male.
«Comunque, per
questo mese dovremmo essere nel periodo clou a giorni.»
«Direi di impegnarci lo stesso, fin da subito.
Delle prove
generali non fanno male.»
Lei non aveva bisogno di essere convinta. «Non si sa
mai» affermò.
Lui fu d'accordo «Non si sa mai.»
Sorridendo, si incontrarono in un bacio.
Il 26 dicembre lasciarono Boston, diretti a New York. Per Ami
fu una
sofferenza salutare Arimi. Posò un bacio sui suoi
capelli neri. «Ci rivedremo prima della mia partenza. Goditi
il
tuo primo Capodanno.»
«Hii!»
Yamato era in fermento. «Anche io sto aspettando
Agatha per uscire. Il Boxing day mi aspetta!»
Alexander aveva in faccia una smorfia. «Non dirmi
che affronterai la ressa di inizio saldi solo spendere di meno?»
Yamato era determinato. «Il risparmio è
la mia
missione! Rifarò il guardaroba di Arimi prima che cresca
oltre
i suoi vestiti.»
«Shun?»
«Sì.»
«Quando ti deciderai ad ammettere che sei diventato
un
padre?»
Lui strinse gli occhi, fingendo durezza. «Il
più tardi
possibile. Ora fuori di qui, sei stato in casa mia abbastanza a
lungo.» Cambiò tono con Ami.
«Naturalmente è
stato un piacere avere te come ospite, Ami-san. Ti auguro buon
viaggio.»
Scambiò con Alexander un'ultima occhiata sardonica. Di
comune accordo si avvicinarono l'uno all'altro, per darsi un
paio di pacche amichevoli sulle spalle.
«Non farti inghiottire dalla Grande Mela,
hm?»
«Ti porterò come souvenir una di quelle
palle di vetro.»
Yamato lo apostrofò poco garbatamente in inglese.
Ridendo di
quello scambio, Ami trascinò il trolley giù per
le scale.
Parlò solo quando lei e Alexander furono soli.
«È strano vederti trattare così
sarcasticamente una
persona a cui vuoi bene.»
«Colpa sua. Fosse per me sarei più
gentile, ma quando ci provo lui mi prende in giro.»
Sì, Yamato aveva un modo particolare di dimostrare
affetto.
«Arimi-chan gli insegnerà a essere più
dolce.»
Alexander valutò l'idea. «Vorrei poterlo
vedere.»
Il 29 dicembre Ami non riuscì più a
ignorare il mondo
che la circondava - non a New York, dove tutta la città si
preparava a festeggiare l'Humanity Day, il primo anniversario della
venuta degli alieni sulla Terra. Le strade si andavano riempiendo di
truppe militari.
Ai telegiornali si discuteva su quanto fosse saggio tenere il
principale comizio americano nello stesso incrocio dove l'alieno Zenas
aveva piazzato una bomba atomica.
Il senatore Logan, rappresentante degli Stati Uniti presso la
nuova
ETO - Earth Treaty Organization, l'entità che aveva
soppiantato la Nato - aveva
le idee molto chiare.
«Times Square appartiene alla cittadinanza di New
York e
all'America. Dobbiamo riappropriarcerne. Non possiamo
lasciare che rimanga un luogo di paura.»
«Ci dica, senatore: non teme che gli alieni possano
rifarsi vivi domani?»
«Ogni commissione d'inchiesta ha stabilito che sono
stati
sconfitti un anno fa. In ogni caso, non siamo impreparati:
in questi dodici mesi abbiamo lavorato senza sosta per acquisire i
mezzi necessari a proteggerci dalla minaccia di questi
esseri.»
«Può dirci qualcosa di più
specifico?»
«No. È e rimarrà segreto
militare, signora. Gli alieni
non devono sapere quali armi possiamo usare contro di loro,
perciò l'informazione non verrà resa
pubblica.»
Alexander aveva ascoltato il telegiornale assieme ad Ami.
«Forse» aveva commentato, «sono
più avanti di
quello che pensiamo. Magari stanno già lavorando sul
teletrasporto.»
«Magari.»
«Potrebbero essere riusciti ad acquisirlo.»
Non era da escludere, pensò lei.
Lui era rimasto in silenzio.
«Quale sarà il suo slogan per l'Humanity
Day, senatore Logan?»
«Questo: come umanità non abbiamo bisogno
di essere dominati
né protetti da nessuno. Alcuni discordano su quanto sto per dire, ma
domani dobbiamo ribadire
l'affrancamento da qualunque entità che pretenda di
asservirci, governarci, e agire in nome nostro, senza essere stato
prima regolarmente eletta dall'intera popolazione terrestre.
L'Humanity Day sarà un messaggio anche per Serenity: se ella
è aperta a un confronto, la ETO la aspetta.
È
con noi che deve dialogare.»
«È questo che si aspetta la Presidente
Rimbaud? Vi
state organizzando per un incontro con Serenity della Luna?»
«Non è la prima volta in questo anno che
estendiamo
pubblicamente un invito a questa... donna. Finora non ci ha risposto,
ma non perdiamo le speranze.»
La giornalista era sempre più interessata.
«Serenity
della Luna potrebbe svelarci le risposte a molti dei misteri che sono
sorti in
seguito alla battaglia con gli alieni. Secondo lei
perché è rimasta in silenzio?»
«Abbiamo notato tutti la sua giovane età.
Tendiamo a pensare che voglia mantenere il suo anonimato.»
«Ha ragione» commentò Ami. Non
ascoltò più l'intervista, perdendosi nei propri
pensieri.
Alexander le rivolse una domanda. «Domani vuoi
andare a quella celebrazione?»
«Sì.» Voleva vedere con i suoi
occhi che cosa
pensava la gente della Terra di ciò che era successo un anno
prima. Voleva sentire le opinioni delle persone e avere un
assaggio di quello che sarebbe stato il suo futuro.
Al pari di Usagi e delle sue amiche, avrebbe dovuto curarsi
del giudizio
delle persone che avrebbe protetto ed esserne in parte soggetta, per
l'enorme responsabilità che intendeva assumersi nei loro
confronti.
«Ci sarà una cerimonia anche a
Tokyo» disse Alexander. «Shun mi raccontava
che è soprattutto lì che si aspettano che Usagi
si faccia
viva.»
Ami sorrise. «Lei ci andrà proprio come
noi. Di nascosto, solo per guardare.»
In televisione l'intervista al senatore Logan era terminata.
La
giornalista si rivolse agli spettatori. «E ora andiamo in
collegamento con Therese Ritter, che ci parla da New Delhi.»
Ami si irrigidì.
«Buongiorno, Claire. New Delhi si prepara
all'anniversario del
giorno in cui ha rischiato la sua distruzione. Mi trovo nel punto in
cui Serenity della Luna ha lasciato brillare la bomba
nucleare. Dopo i fatti del 30 dicembre scorso, questo luogo è stato isolato per due settimane
dalle
autorità. La
popolazione
ha ancora timore di avvicinarsi all'area. Per dissipare in maniera
definitiva i dubbi della gente, il governo ha deciso di tenere
proprio qui le celebrazioni dell'Humanity Day. L'India vuole ribadire
che in quella giornata ha conosciuto una tragedia che non è
stata dimenticata. Rimane vivido il ricordo delle 2743 vittime dei
disordini che si scatenarono in
città dopo la comparsa della bomba nucleare.»
«Bisogna ricordare, Therese, che fu solo New Delhi a
registrare un numero così elevato di morti tra tutte le
città che videro comparire nelle proprie strade una delle
bombe.»
«Sì, Claire. Il governo indiano si
è speso con
misure senza precedenti per l'ammodernamento delle zone in cui
si è registrato il maggior numero di incidenti.
L'intera popolazione ha lavorato con alacrità in uno sforzo
coordinato che sta trasformando intere baraccopoli in
moderni quartieri. Guardiamo il servizio.»
Ami seppe
ciò che stava per vedere, ma non distolse in tempo lo
sguardo: sullo schermo vide la bomba che esplodeva tra le mani
di Usagi, e lei e Mamoru in sottofondo che si allontanavano, franando
all'indietro. Chiuse gli occhi, ricordando. Alexander tolse il volume
al televisore e
la abbracciò.
A lungo, non parlarono.
Lei ricordò che c'era una questione che alla
fine,
incredibilmente, non aveva ancora affrontato con lui, dopo ormai un
anno. «Un giorno combatterò di
nuovo» gli disse. «Potrei affrontare pericoli anche
più terribili di questo.»
«Perché lo dici?»
Perché era vero. «Tu avevi paura un
tempo.»
«Ne ho ancora.»
«Eri contrario.»
«Non volevo vederti più rischiare la
morte.»
Infatti.
Alexander non la lasciò andare. «Ma
succederà lo
stesso. Posso solo decidere se sostenerti o allontanarmi.»
Lei si strinse alle sue spalle. «Non
perderò. Non
permetterò che niente e nessuno mi sconfigga.»
Lui annuì contro la sua testa. «Sarei
un'anima in pena senza di te. Mi avresti sulla coscienza.»
«Vivremo insieme per mille anni. Te lo
giuro.»
«That's a beautiful promise.»
Lei avrebbe vissuto per renderla vera.
Lui le sistemò i capelli dietro le orecchie.
«Sai cos'è cambiato in questo anno, Ami?»
Lo guardò, in attesa della risposta.
«Non c'è più nessun 'se' nella
mia testa. Non mi
struggo pensando a quanto sarei più tranquillo se solo tu
non
fossi una guerriera Sailor. Perché non saresti tu, se non
fossi
Sailor Mercury. Non penso più a cosa farei se non ti
avessi incontrata - che cosa studierei, dove sarei ora. È un
esercizio inutile, perché non mi importa. Quest'ultimo anno mi ha
portato chiarezza assoluta. Non discuto più col destino,
neppure
in via teorica. Mi preparo a viverlo. Lo trovo più
funzionale
per entrambi.»
Lei non aveva mai sentito un discorso così
pragmaticamente romantico. Aveva aperto qualcosa nella sua anima. «Non so
perché non l'abbia capito fin da
subito.»
«Che cosa?»
«Ho combattuto così a lungo con questa
idea... Fin da
quando ti ho incontrato. Ho sempre tentato di non cedere, fallendo ogni
volta. Avevo paura di accettare che il mio destino
fossi
tu, e che tutto ciò che ero dipendesse da quanto avresti
voluto
accogliermi nella tua vita, e unirti alla mia.»
«Love...»
Lei scosse la testa, abbracciandolo.
«Credevo fosse una
battaglia di ragione contro cuore. Tutti i pensieri che avevo frenavano
l'unico istinto che conoscevo. Era talmente futile rimanere ancorata
alla mia confusione. Amore è chiarezza, Alex. Oggi non ho
più
domande per te, o per me. Ho solo risposte.»
Lo sentì sorridere. «Sei diventata puro
istinto?»
Oh, no. Si sollevò, per guardarlo negli occhi.
«Sono anche pensiero. Sono istinto e
pensiero. È sparito il dualismo.» E la
verità che si era rivelata a lei era
stupenda. «Sento di essere la me stessa più
elevata,
libera e felice che avrei mai potuto sperare di diventare.»
Lui assorbì quelle parole, riempiendosene fino a
traboccare. «È così che ti ho sempre
amata.»
«Anche quando ero timida?»
«Un po' lo sei ancora.»
«Quando ero reticente» si corresse.
«Avevi tanta voglia di osare. Lo sentivo.»
Ami si intenerì. «Non penso di aver fatto
per te la metà di quanto tu abbia fatto per me.»
«Che errore.»
«Perché?»
«Tutto ciò che ero e sentivo di voler
esprimere non
aveva una meta prima di te, love. Mi hai conosciuto nella mia
versione
più decente, perché solo dopo averti incontrato ho
trovato il mio significato. Ti sembra poco?»
... no.
Lo baciò e smise di fare a gara a chi aveva fatto
di più tra loro due, l'uno per l'altra.
Erano stati fortunati, graziati: erano il tutto delle vite di
entrambi. Avevano la possibilità di saperlo, e viverlo, per
anni, decenni, secoli.
Sarebbe stata una lunga, bellissima esistenza.
21/30 dicembre 1997 - Per
istinto e pensiero
- FINE
Note: Sigh. Questo è il punto a cui ho sempre
voluto portare
il personaggio di Ami. Sono commossa: questa è la ragazza
che,
come Alexander, ho sempre visto dietro quella facciata di timidezza,
reticenza e insicurezza che ho raccontato. Ami non si meritava solo la
felicità: doveva crederci prima, per viverla. Non
è
cambiata a 360°, è sempre Ami, ma senza vincoli e
limiti.
Non è più potenzialità, è
realtà.
Quando inizierò a parlare di come le andranno le
cose
nell'anno 1998 la vedrete vivere la vita che aveva voluto e
programmato, libera da paranoie. In verità quello che ne ha
ancora qualcuna è Alexander - non con riguardo a lei,
bensì a se stesso - ma avrà anche lui tempo di
evolvere e
crescere. Dopotutto si sta buttando in mille progetti e il destino - o
l'autrice :P - è crudele e non aspetta.
Saranno mesi - ehm, nove mesi - che lo metteranno a dura
prova. Il
lieto fine è così assicurato che ha persino un
nome, ma
questa... è un'altra storia ;)
Un bacio a tutti quelli che mi hanno seguito in questa seconda
avventura di Ami e Alexander, dopo 'Acqua viva'.
È stato un onore scrivere per voi, che avete avuto la
pazienza e la fedeltà di seguirmi.
Elle
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Verso l'alba e oltre...