Fuori
posto
Poco dopo
cena, Leia si era chiusa nel proprio studio.
Il
giorno successivo, infatti, avrebbe partecipato al primo di una
serie di incontri coi rappresentanti di un pianeta interessato ad
unirsi alla Nuova Repubblica, e voleva ripassare a fondo tutte le
informazioni che avrebbero potuto tornarle utili.
Da
parte sua, Han si era occupato di mettere a letto Ben e riordinare
la cucina. Aveva quasi finito, quando trovò un modellino di
astronave nella cesta del pane.
Non
se ne stupì più di tanto, a dire il vero. Non
era raro trovare i giocattoli di Ben in giro per casa –
talvolta, Han aveva l’impressione che il bambino facesse
apposta a nasconderli qua e là, anche se il motivo gli
rimaneva oscuro.
Così,
dopo aver deciso che la cucina era stata riordinata a
sufficienza, spense le luci e si diresse verso la cameretta del figlio.
Qualche
settimana prima, avevano attaccato al soffitto alcune stelle
fosforescenti. Era stato un lavoro inaspettatamente impegnativo,
soprattutto perché Leia aveva voluto ricreare alcune
costellazioni di Alderaan, ma Han sentiva che ne era valsa la pena.
Ben
sembrava più tranquillo a non dover dormire nel buio
pesto… E in aggiunta, quella notte, il bagliore delle stelle
gli permise di vedere dove metteva i piedi mentre andava a posare
l’astronave sulla mensola dei modellini.
Prima
di tornare in corridoio, si soffermò un momento a
guardare suo figlio. Ben dormiva abbracciato ad un Ewok di peluche, e
le stelle donavano uno strano bagliore al suo visetto infantile,
creando un curioso contrasto coi suoi ricci scuri.
Han
fece per dirigersi verso la porta, quando Ben si mosse sotto le
coperte con un debole gemito. Aveva increspato la fronte, e stava
spingendo il pupazzo verso il bordo del letto.
In
un istante, Han gli tornò accanto e si chinò
su di lui, cercando di valutare la situazione. Ben contrasse il viso
come se volesse piangere, i respiri sempre più rapidi, e Han
decise che era una prova sufficiente del fatto che stava avendo un
incubo.
Con
cautela, gli posò una mano sulla spalla, chiamando:
«Ben? Ehi, Ben…»
Il
bambino non si svegliò, ma ruppe in un vero e proprio
singhiozzo.
Han,
allora, gli diede una scrollata, e gli occhi di Ben si
spalancarono di colpo. Per un istante, il bambino rimase immobile, e
Han iniziò a rivolgergli un sorriso
incoraggiante… Poi Ben si ritrasse con un guaito disperato,
assestandogli una manata sul mento.
«Vai
via!» gridò. «Vai
via!»
Preso
completamente in contropiede, Han impiegò qualche
istante prima di reagire. «Ben» disse poi,
protendendosi verso il figlio, «va tutto bene, era
solo…»
«No!
No!»
Con
qualche difficoltà, e scalciando abbastanza da far
cadere il suo Ewok di peluche sul pavimento, il bambino si mise seduto.
«Era
solo un brutto sogno» ritentò Han,
«sei al sicuro».
Era
evidente, però, che Ben non lo stava ascoltando. Aveva
nascosto il viso contro il braccio sinistro, e stava agitando il destro
in direzione di Han per allontanarlo.
«Vai
via! Non mi guardare!»
L’uomo
sbatté le palpebre, mentre il bambino
cominciava a respirare sempre più rapidamente. Han era sul
punto di riprovare ad avvicinarlo, quando la luce si accese, e Leia
entrò nella stanza.
Indossava
una veste azzurro chiaro, e teneva i capelli raccolti in una
pratica treccia scura. I suoi occhi balenarono su suo marito e poi sul
loro figlio in crisi.
«Credo
abbia avuto un incubo» le disse Han,
disperato, sentendosi terribilmente impotente. «Non riesco a
calmarlo».
Leia
lo spinse da parte e si allungò verso Ben, che si era
coperto la faccia con le mani ed aveva iniziato a tremare
incontrollabilmente.
Per
un istante, la donna parve indugiare, poi posò le
proprie mani su quelle più piccole del bambino.
«Ben, va tutto bene».
«Non
è vero» la contraddisse Ben, con
voce soffocata. «Non mi guardare».
«Sì
che è vero. E se non mi credi,
senti le guance sotto le tue mani. È tutto normale. Non
è successo niente».
Il
bambino non si mosse, ma ad Han parve che le sue spalle si
rilassassero appena.
«Fammi
vedere» disse Leia, quasi con dolcezza,
prendendo i polsi del figlio e tirandogli via le mani dal viso.
Ben
strizzò gli occhi. Era paonazzo, e le sue guance erano
bagnate di lacrime. La crisi, però, sembrava essere finita,
e Han si sentì invadere dal sollievo.
«È
tutto…
normale…?» domandò Ben, timoroso.
Leia
si sedette sul letto ed annuì, accarezzandogli il viso.
«Posso portarti uno specchio, se non sei convinto».
«Non
voglio uno specchio» disse Ben, e
tirò su col naso. «Voglio un bicchier
d’acqua».
Leia
sorrise appena. «D’accordo. Te lo vado a
prendere».
«E
io le darò una mano» aggiunse Han.
Sua
moglie si girò a guardarlo ma non disse nulla. Doveva
aver capito che lui voleva parlarle.
«Certo»
rettificò Han, rivolto a loro
figlio, «se ti va bene rimanere da solo…»
Ben
annuì senza guardarlo, impegnato a tirarsi le coperte
sulle gambe. Sembrava calmo e assorto, come se avesse già
dimenticato tanto la crisi quanto l’incubo che
l’aveva scatenata.
Han
trovava che quella tranquillità improvvisa fosse un
po’ surreale, ma si limitò ad arruffargli i
capelli e a dirigersi in cucina con Leia.
Per
quanto avesse davvero bisogno di parlarle, non esordì
subito. Prese un bicchiere e lo posò sul tavolo, ed attese
che Leia si avvicinasse per riempirlo.
«Allora?»
domandò la donna, appoggiando
la caraffa davanti a sé.
Erano
l’uno di fronte all’altra, col tavolo tra di
loro. Come sempre, la postura di Leia e il suo modo di tenere alto il
mento compensavano pienamente per la sua statura minuta.
Han
indugiò. «Allora…»
«Che
c’è?» incalzò
sua moglie. «Non credo tu mi abbia seguito per aiutarmi a
prendere un bicchiere d’acqua. Spero tu sappia che posso
farlo benissimo da sola».
Han
abbozzò un sorriso. «Lo so, lo so».
«Quindi
che c’è?»
«Io,
uhm. Volevo chiederti se hai visto qualcosa».
Sua
moglie inclinò la testa di lato.
«Qualcosa?»
«Dell’incubo
di Ben. Sai,
con…» – Han fece un gesto vago a
mezz’aria – «con la Forza».
Era
ancora difficile, per lui, parlarne seriamente, dopo una vita
intera trascorsa a considerarla un’infondata superstizione.
Leia
abbassò lo sguardo sul bicchiere. «Non molto,
in realtà. Ho sentito il suo panico, e che non voleva farsi
guardare in faccia».
«Ah»
disse Han, senza sapere cosa aggiungere.
Probabilmente,
sua moglie pensò che la conversazione fosse
finita, perché prese il bicchiere e si diresse verso la
porta della cucina. Han si mosse rapidamente per intercettarla,
afferrandole un gomito, e lei lo guardò inarcando un
sopracciglio.
«Leia»
le disse Han, e lui stesso si
stupì del tono supplice che gli uscì dalle
labbra, «che cosa gli sta succedendo?»
Non
si trattava solo degli incubi.
Loro
figlio aveva sbalzi d’umore continui, e talvolta
sembrava sapere cose di cui nessuno gli aveva mai parlato.
Due
giorni prima, erano dovuti rientrare in anticipo dal centro
commerciale perché Ben si era messo a gridare che
c’era troppa confusione, che la gente pensava troppo forte,
che dovevano stare tutti zitti.
Leia
assunse un’aria difensiva. «Non gli sta
succedendo niente. È un bambino. È normale
che abbia degli incubi».
«Così
brutti da farlo reagire in quel
modo?»
Lei
strappò il gomito dalla sua presa. «Ha una
vivida immaginazione».
«Una
vivida…» Han sentì
l’impulso di alzare la voce, di chiederle se lo credeva un
idiota, ma si trattenne. Non voleva litigare, non adesso.
Invece,
gentilmente ma con fermezza, le sfilò il bicchiere
di mano.
«Stanotte
dormo in camera di Ben, così lui
può stare con te».
Leia
lo fissò. «Han…»
«Forse
dovresti fare un salto nel tuo studio, mentre io gli
porto l’acqua. Immagino avrai molte cose da
sistemare».
Lei
non rispose subito. Lo scrutò per qualche istante, poi
sospirò. «Certo. In effetti ho lasciato tutti i
documenti in disordine».
«Ecco».
Han le rivolse un sorriso forzato, uscendo
in corridoio.
Camminò
lentamente, attento a non rovesciare
l’acqua, e quando arrivò nella cameretta del
figlio diede un gentile colpo di tosse.
Ben,
seduto sul letto, si girò a guardarlo e tese subito le
mani per ricevere il bicchiere.
«Eccolo
qui» disse Han.
Il
bambino bevve tutta l’acqua in poche, avide sorsate,
quindi restituì il bicchiere vuoto a suo padre, che lo
appoggiò sul pavimento.
«La
mamma?» volle sapere Ben.
Han
si sedette sul bordo del letto. «Adesso arriva. Aveva da
riordinare qualcosa nel suo studio».
Il
bambino si asciugò la bocca col dorso della mano.
«Le
ho detto che dormo io qui, stanotte» aggiunse
Han. «Così tu puoi dormire con lei».
Ben
lo scrutò, inclinando la testa. «Vai
via?»
Han
sbatté le palpebre, e aprì la bocca per
negare… Ma c’era una parte della sua testa che
aveva preso in considerazione la cosa, e non poteva dire di non volerlo
fare. Solo per qualche giorno, per sbollire del tutto la frustrazione e
riordinare i propri pensieri.
«Mi
dispiace, piccolo. Ho avuto un contrattempo».
Ben
lo guardò molto seriamente. «Tu e la mamma
avete litigato?»
«Cosa?»
esclamò Han. «No!
Certo che no. È solo per un lavoro che devo fare».
Nell’istante
in cui lo disse, si odiò. Non voleva
mentire al bambino. D’altra parte, sembrava meglio mentirgli
che dirgli che ce l’aveva un po’ con Leia, che
aveva l’impressione che ci fosse qualcosa che lei non gli
diceva.
E
poi non doveva essere per forza una bugia. Avrebbe contattato
Chewbacca, e un lavoro da fare l’avrebbero trovato
senz’altro.
Si
spostò sul materasso. «Prima di partire passo a
salutarti, e quando arrivo ti chiamo, va bene? E al ritorno ti porto un
ricordino».
«Va
bene» disse Ben, ma non sembrava molto convinto.
Han,
allora, lo attirò a sé, e Ben gli
circondò il torace quanto poteva con le sue braccia di
bambino. In silenzio, Han gli accarezzò la schiena, e chiuse
gli occhi per un istante.
«Ben»
mormorò poi, riaprendoli,
«ricordi cos’hai sognato?»
Il
bambino annuì contro il suo petto.
Han
lo staccò da sé con delicatezza, e Ben
alzò gli occhi scuri su di lui.
«Hai
voglia di… te la senti di
parlarmene?»
Il
bambino indugiò, poi si portò una mano a
tirarsi la guancia destra. «Mi strappava la faccia».
Han
lo fissò, diviso tra lo shock e l’orrore. Gli
strappava la faccia?
Quant’era stata
realistica la cosa, esattamente?
C’era stato del sangue, nel sogno di Ben? Del dolore?
D’altra
parte, questo spiegava la reazione del bambino al
risveglio, come mai era parso tanto terrorizzato alla prospettiva di
farsi vedere in viso…
La
manina di Ben si infilò nella sua, riscuotendolo da quei
pensieri.
«Adesso
non sono più preoccupato» disse
il bambino, guardandolo con aria onesta. «Se succede, posso
sempre trovare una faccia nuova».
«Una
faccia nuova?» ripeté Han,
aggrottando la fronte.
«Sì,
tipo una maschera».
Turbato,
l’uomo fece per replicare, ma in quel momento Leia
entrò nella stanza. Gli aveva portato il pigiama,
notò Han.
«Mamma»
la accolse Ben, spostando
l’attenzione su di lei ed illuminandosi. «Il
papà ha detto che posso venire a dormire con te».
Leia
si avvicinò. «È
così» confermò. «Ti piace
l’idea?»
Mentre
il bambino faceva segno di sì, Han raccolse da terra
l’Ewok di peluche e glielo porse. «Forse dovrai
portare questo».
«Non
mi serve» dichiarò Ben.
«Puoi tenerlo tu».
Nonostante
tutto, Han si ritrovò a sorridere.
«Molto generoso, grazie».
Ben
scivolò giù dal letto e si girò
verso di lui. «Domani parti prima o dopo della
mamma?»
«Penso
dopo» rispose Han, cercando di non guardare
in direzione di Leia. «Tua mamma è molto
più mattiniera di me».
Una
fossetta comparve sulla guancia di Ben. «La mamma si
sveglia prima di tutti».
«Già»
concordò
l’uomo. Accettò il proprio pigiama da Leia, ma
evitò di incrociare i suoi occhi.
Da
parte sua, Ben fece un paio di passi, fissandosi i piedi nudi e
mormorando: «Solo chi non dorme mai si sveglia prima della
mamma».
«Buon
viaggio» augurò Leia, con voce
neutra.
«Ti
ringrazio» replicò Han nello stesso
tono, prima di strizzare l’occhio a Ben.
Mentre
il bambino incespicava nella fretta di seguire Leia ed
afferrarle la mano, così minuto nel suo pigiama azzurro, Han
avvertì un certo malessere.
Stava
sbagliando tutto. Non avrebbe dovuto evitare
l’argomento. Avrebbe dovuto spiegare a Leia che non erano
solo gli incubi a preoccuparlo.
Ma
non sapeva se sarebbero riusciti a discuterne senza perdere le
staffe, e forse… forse, una parte di lui temeva la risposta
più ovvia. Temeva che Leia gli dicesse che i comportamenti
anomali di Ben erano semplicemente dovuti alla Forza.
A
quel punto, cosa avrebbe potuto fare?
Quella
era una parte di suo figlio che lui non poteva raggiungere
né comprendere, e questo lo faceva sentire…
impotente. A disagio.
Cercando
di accattonare quei pensieri, iniziò a prepararsi
per la notte.
Non
dormì molto, e il mattino successivo si
svegliò che Leia non se n’era ancora andata.
Poteva sentirla muoversi nel suo studio, radunare le proprie cose e
dare istruzioni a C-3PO riguardo ai pasti e gli orari di Ben.
In
silenzio, si portò una mano alla fronte. Ma
certo… Questa era una cosa che non aveva considerato.
Siccome anche Leia, nei prossimi giorni, non sarebbe stata molto a
casa, a loro figlio sarebbe rimasta solo la compagnia del droide
protocollare.
Forse
era meglio rimandare la propria partenza.
Poi,
però, ricordò il respiro di Ben che
aumentava vertiginosamente, i suoi tremiti incontrollabili. Leia era
riuscita a calmarlo con poche parole, mentre lui… Si era
sentito paralizzato, non aveva saputo cosa fare.
Si
alzò dal letto, iniziando a rivestirsi in silenzio.
Quando sentì Leia uscire di casa, prese l’Ewok di
peluche di Ben e si diresse nella stanza matrimoniale.
Il
bambino dormiva ancora, raggomitolato sotto le coperte, i capelli
neri tutti lisciati da una parte a furia di carezze.
Han
esitò a lungo, ma alla fine non lo svegliò,
limitandosi a mettergli vicino il suo pupazzo per fargli sapere che era
passato.
Quando
se ne andò, l’inadeguatezza che provava
parve stringersi attorno alla sua gola, minacciando di soffocarlo. Non
si era mai sentito un tale codardo.
Note:
E fu così che Han scrisse un best-seller intitolato
“I problemi di crescere un bambino sensibile alla
Forza”.
Battute penose a parte, credevo che questa OS sarebbe stata pronta
entro la fine dell’anno scorso, ma dopo la scomparsa di
Carrie mi ci è voluto un po’ prima di riuscire a
riprendere in mano le storie che contemplavano Leia.
Anche dopo averla conclusa, poi, avevo mille dubbi, quindi grazie mille
a Benni
per essere stata disposta a leggerla in anteprima ♥
Senza il tuo via libera non l’avrei mai e poi mai pubblicata.
Per finire, prometto che prima o poi
scriverò qualcosa di
non-triste su questa famiglia… Intanto, chiunque sia
riuscito a leggere tutto merita dolci e biscotti e probabilmente
qualche abbraccio. Grazie, e alla prossima!
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