Piccola premessa: "Tra
pezzetti di pane galleggianti" è il titolo della
serie che sto scrivendo da qualche annetto e questa piccola one shot ne
fa parte.
Le
sfumature dei ricordi
"I buoni hanno un modo tutto
loro di entrarmi nel cuore e metterci le radici"
The Hunger Games
A
Ranuncolo erano bastati meno di due minuti per lasciare la cucina in
uno stato pietoso.
Arrampicatosi alla sedia, con un solo scatto, era riuscito a saltare
sul lavabo ma fu scoperto da Peeta che proprio qualche attimo prima si
era deciso a scrivere un suo pensiero sui fogli bianchi che il dottor
Aurelius aveva spedito pochi giorni prima da Capitol.
Consapevoli di cosa sarebbe accaduto successivamente, il biondo e il
felino si guardarono dritto negli occhi per qualche frazione di secondo
prima che il gatto cominciasse ad avanzare furtivo verso le cosce di
pollo già pronte per quella sera.
Peeta poggiò lentamente la penna sul tavolo e
cercò di alzarsi facendo il minor rumore possibile
nonostante sapesse benissimo di non essere mai stato tanto silenzioso;
il micio era ormai a pochi centimetri dalla sua preda e continuava ad
osservare indisturbato il giovane in un gesto di pura sfida, quasi
volesse fargli capire che quella era casa sua e che lui, il vicino, era
un intruso fastidioso senza alcun potere decisionale.
«Ranuncolo» il ragazzo lo chiamò con
voce calma attirando l'attenzione dell'animale. Si avvicinò
di un passo ai fornelli tentando di accorciare di più la
distanza che gli impediva di acchiapparlo.
«Aspetta...» fece per iniziare e allungare una mano
ma, per uno scherzo del destino, fu interrotto da un urlo stridulo di
donna.
Bianca in volto e ferma sulla porta di servizio, Sae era arrivata
appena in tempo per osservare la scena e mandare all'aria i buoni
propositi di Peeta e il piano di Ranuncolo.
«Scendi da lì, gattaccio!» lo
minacciò con un oggetto preso a caso da una mensola vicina.
Come di consuetudine, il felino fece l'opposto: ascoltò
noncurante gli avvertimenti intimidatori che la donna gli rivolgeva e
cominciò ad annusare e tastare con una zampa il pollo.
A Sae bastò quell'insignificante gesto per scaldarsi
ulteriormente e lanciargli il pestello della signora Everdeen che
però colpì le stoviglie appese a una barra di
metallo.
Lo raggiunse in poche falcate nonostante gli acciacchi
dell'età ma Ranuncolo non si mosse di un millimetro
intenzionato com'era dall'assaggiare la pietanza così
invitante e cominciò a soffiarle contro indignato.
Al minimo tentativo di Sae di acciuffarlo, il gatto - sentendo la sua
incolumità compromessa - saltò sul piatto
facendolo prima oscillare e poi precipitare a terra.
L'anziana, accecata dalla rabbia, cercò di superarlo il
più velocemente possibile ma il micio corse verso il cesto
di frutta e le bottiglie di liquore bianco per poi rigettarsi a
capofitto sul tavolo.
Quello che inizialmente sembrava solo uno scappare e rincorrere,
diventò una vera e propria guerra, finché
Ranuncolo si ritrovò ad atterrare sulle mattonelle e si
arrampicò agilmente alle gambe di Peeta che aveva osservato
impotente e stupito tutto ciò che era accaduto in quel breve
frangente di tempo.
«Fuori!» gridò Sae esasperata tenendo
ben stretto un matterello. «Non ce lo voglio qui!»
asserì mentre Ranuncolo si era ormai riparato tra le braccia
del biondo che guardava sconcertato e irridente quello sputatore
professionista di palle di pelo tanto codardo. «Buttalo fuori
o portalo a casa tua» ordinò la donna ansimando
sfinita.
Afferrò una sedia per scaricare la tensione quasi allo
stesso modo in cui faceva il figlio del fornaio quando le poche tracce
del veleno degli aghi inseguitori gli ottenebravano la mente.
Tra le cosce di pollo sul tappeto ricoperte di frammenti di ceramica,
le arance che ruzzolavano instancabili per il pavimento, il liquore che
scendeva giù per i cassetti e i fogli immacolati sparsi
dappertutto, Sae sembrava sul punto di scoppiare in una crisi isterica.
«Vuoi che ti dia una mano?» si offrì
volontario Peeta inginocchiandosi con ancora il micio aggrappato al suo
maglioncino per raccogliere qualche coccio rotto.
«Va' via, Mellark» sentenziò la cuoca
del Forno. «Va via tu e quello schifoso, rivoltante e perfido
gattaccio!» gli sbraitò contro indicandogli di
uscire dall'abitazione.
«Sei
un falso, tu» proferì Peeta appena mise piede in
casa propria reggendo Ranuncolo. Aveva percorso quei ventidue metri in
assoluto silenzio riflettendo su quello che era accaduto meno di cinque
minuti prima.
Il gatto di Prim aveva
fatto un disastro e Sae era diventata in poco
tempo rossa per la rabbia.
Gli venne da
sorridere, «pensavo di esserti
simpatico» disse rivolgendosi all'animale che se ne stava
bellamente accoccolato tra le sue braccia «e invece sei
riuscito a distruggere tutto ciò che hai trovato davanti e a
farmi avere una bella ramanzina» accarezzò piano
il suo pelo arruffato afflosciandosi sul divano del salotto.
«Se Katniss non fosse a caccia, questa sera avremmo avuto
sicuramente un menù succulento: coscia o petto di Ranuncolo
arrosto con patate e piselli, pane fatto in casa e una bella torta di
mele» ironizzò immaginando la reazione della mora.
I loro due sguardi si
incontrarono per un attimo; fu un duello tra
azzurro brillante e giallo acceso velocemente interrotto dalle
improvvise fusa del micio.
«È
inutile cercare di farti perdonare in questo
modo» affermò il giovane lisciandogli piano la
testa. «È anche vero che Sae avrebbe potuto
mantenere un po' di autocontrollo...» si bloccò
chiedendosi il perché dalla sua bocca fosse uscita una
parola del genere, e proprio da lui che in passato l'autocontrollo lo
aveva perso completamente.
«Nonostante
tutto, è vero, Ranuncolo»
smise all'istante di vezzeggiarlo. «Avrebbe potuto stare
calma ma il punto è che tu non dovevi nemmeno
provarci» poggiò l'animale sul tavolino di fronte
per poterlo fissare, «che ne hai fatto dei tuoi strofinii
alle gambe e dei tuoi lamentosi miagolii di quando hai fame? Amico mio,
abiti in una casa di cacciatori, non in una casa di fornai»
per un attimo gli sembrò che il felino fosse completamente
ammaliato dalle sue parole, «quella cosa potevi benissimo
farla dove vivevo io prima. Fidati, nessuno si sarebbe accorto di
nulla» ci rifletté su meglio. Sua madre non era di
certo una cacciatrice ma osservava tutto e tutti ossessivamente,
attenta ai particolari. «Be'... quasi» aggiunse
ridendo.
Non avendo nient'altro
di interessante da fare, rimase un bel po'
disteso a contemplare il soffitto finché non gli parve
spaventosamente niveo; avrebbe tanto preferito aggiungere qualche
spruzzo di colore - giusto un tantino - in modo da dare un tocco di
vitalità a quelle quattro mura solitarie; il suo sguardo
assorto rilevò una o due macchioline grigie dovute
all'umidità ma, per il resto, il bianco prevaleva apparendo
serio e autorevole.
Quando restava in
quella che dopo i settantaquattresimi Hunger Games
era diventata la sua proprietà, diventava inesorabilmente la
personificazione di essa: cupo, triste, isolato. Il più
delle volte cercava di scrollarsi di dosso quel senso d'inadeguatezza
che lo opprimeva impegnandosi a impastare o dipingere e ci riusciva
alla grande ma terminato un dolce o un quadro, ritornava a guardarsi
intorno spaesato. La odiava quella villetta tanto vuota e spenta.
Si sollevò
di scatto stiracchiandosi facendo allertare
Ranuncolo fino a quel momento fermo a scrutarlo in ogni suo movimento.
«È
ora di fare qualcosa» disse
sgranchendo le spalle.
Allungando una mano,
Peeta afferrò da una scatola vicina al
divano dei pastelli, una matita e dei fogli da disegno e, curvatosi sul
tavolino dov'era rannicchiato il gatto, cominciò a tracciare
rapidamente delle linee chiare che piano piano assunsero uno spessore e
la forma di alcune paia di occhi diverse le une dalle altre.
Pochi minuti dopo, si
sollevò da quella posizione tirando un
lungo sospiro; verificò concentrato il risultato.
«È
orribile» constatò deluso
rigirando nervosamente il giallo tra le dita.
Il tempo gli
sembrò fermarsi, c'erano solo lui e quel pezzo
di carta che senza rendersene conto stava stropicciando ai lati,
lentamente.
Si
risvegliò da quel torpore non appena Ranuncolo gli si
aggomitolò sulle gambe miagolando senza sosta in cerca di
considerazione.
«C'è
qualcosa in queste biglie enormi che ti
ritrovi che mi ricorda vagamente lei» mormorò
esaminando le pagliuzze che contornavano le iridi del micio.
«Non riesco a cogliere nemmeno una sfumatura
irrilevante...» guardò per l'ennesima volta lo
schizzo.
Proprio non era capace
di disegnare quei quattro.
Aveva provato
più volte a catturare un qualsiasi dettaglio
del viso ma, puntualmente, accartocciava tutte le pagine usate; voleva
rappresentarli così come faceva con gli altri ma a volte
aveva la netta sensazione che il loro ricordo non gli apparteneva
più da un pezzo e se ne faceva spesso una colpa. Non li
aveva osservati abbastanza da imprimere ogni cosa nella propria mente o
probabilmente non aveva provato il minimo affetto nei loro confronti
durante gli anni passati insieme.
Si alzò
pacatamente spostando i cuscini su un altro lato del
divano e attraversò il corridoio seguito a ruota dal
quadrupede.
Arrivò al
mobiletto dell'entrata rimanendo immobile. La foto
era lì, ben supportata da una cornice di legno di noce che
adombrava il minuscolo nontiscordardimé accanto.
Mosse da un qualcosa
che all'inizio non riuscì a spiegarsi,
le sue dita cominciarono a sfiorare lievemente i volti dei componenti
della sua famiglia quasi volesse chiamarli per poter sentire un'ultima
volta le loro voci. Da leggero e delicato qual era inizialmente, quello
diventò un tocco quasi disperato e carico di sofferenza.
Nello scatto c'era
ritratto un Peeta più piccolo ma allegro,
sereno e attorniato dalle persone che aveva perso per sempre, alle
quali non aveva detto addio.
I suoi fratelli
ridevano giocosi e lo stringevano in un abbraccio che
non gli dava scampo mentre suo padre sorrideva loro comprensivo
cercando di staccarli e sua madre aveva un'espressione apprensiva sul
volto ma le sue labbra erano impercettibilmente curvate
all'insù.
Fu proprio in
quell'istante che la verità gli si
palesò davanti, cruda e schietta: gradualmente non sarebbe
riuscito a ricordare tutto nei dettagli, ogni lineamento sarebbe
diventato più opaco, ogni cipiglio pari a un altro, ogni
colore un'insulsa sfumatura. Il solo pensiero di dimenticare senza
poter fare nulla, lo faceva sprofondare in un baratro profondo.
Ranuncolo si
aggrappò alla protesi, le unghie affilate
si impigliarono nel tessuto dei pantaloni del giovane.
«Ho
capito» si chinò per liberarlo e
fargli una carezza veloce, «sei affamato»
ridacchiò per poi accorgersi di come la sua zampa continuava
a chiamarlo sommessamente.
Nonostante si sentisse
destabilizzato per le troppe elucubrazioni, quel
gesto lo sollevò. Che avesse capito il suo stato d'animo?
Andò in
cucina e versò del latte in un piattino;
scorse un lieve bagliore nelle grandi pupille dorate del gatto che si
fiondò in un battibaleno a bere.
«Che dici,
ti va di tornare a casa tua per mangiare qualcosa
di più sostanzioso?» lo guardò
divertito leccare con insistenza il fondo. «Magari Katniss ti
lascerà le interiora di qualche animale selvatico che ha
cacciato questo pomeriggio».
Il ritorno del figliol prodigo
Sono mesi che non seguo o pubblico qualcosa e me ne pento, credetemi.
È passato così tanto che non so nemmeno se
qualcuno (a patto che questo fantomatico "qualcuno" esista) si ricordi
di me.
Ebbene, lo ripeto, sono tornata :) e con un'altra one shot che spero
piaccia almeno un pochino perché, malgrado la mia assoluta
indifferenza verso i gatti e il poco tempo che ho avuto in questi
giorni, è stato quasi terapeutico scriverla.
Mi auguro di ricevere qualche recensione, un bacio ♥
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