Età adulta.
Premessa dell’autore.
Il
seguente scritto è opera di fantasia. I personaggi in esso
contenuti non mi appartengono: la proprietà intellettuale
è di J. K. Rowling, come tutti gli elementi che appartengono
all’universo di Harry Potter. Questo scritto non è
ad opera di lucro. Tutte le parti originali appartengono esclusivamente
all’autrice di quest’account (salvo diversa
specificazione).
Dunque
eccoci qui. Dopo anni di scrittura quasi totalmente tenuta privata, mi
accingo a pubblicare la mia prima fanfiction. Lo faccio innanzitutto
come esercizio di libera scrittura personale; lo faccio anche per
vedere che riscontro possa avere su un pubblico che cerca questo tipo di
storie. Piccolissima precisazione sui personaggi: mi sono permessa di
ritenerli IC, anche se in teoria una coppia DracoHermione sarebbe per
definizione OOC! Credo tuttavia di aver tenuto sufficientemente fede
all’indole dei personaggi, e di averli fatti agire in maniera
coerente. Tenete poi conto che non sono proprio gli stessi personaggi
creati dalla Rowling: il fatto stesso che la storia sia ambientata
cronologicamente nella loro “età adulta”
(come da titolo) dà spazio di manovra in tal senso. Dunque,
anche se i libri non davano adito a una coppia come questa, il
trascorrere del tempo e le circostanze giustificano una classificazione
IC.
Veniamo
ora alla parte logistica. Gli aggiornamenti saranno per il momento
settimanali, anche se mi riservo di renderli bisettimanali;
indicativamente verranno pubblicati tra la domenica e il
martedì. Se ce ne saranno (e comunque non prevedo
abbondanza) vi assicuro di rispondere ai commenti per quanto possibile.
In ogni caso darò priorità alla storia in
sé.
Infine,
e questa ultima postilla mi fa sentire un bel po’ meschina,
non prendo impegni riguardo al terminare la fan fiction. Ovviamente
posso impegnarmi a fare di tutto per terminarla, ma
dell’intervento di forze maggiori (studio, occupazioni varie,
famiglia, e soprattutto la bestia nere di ogni aspirante scrittore - la
mancanza di ispirazione) non sono né voglio essere
responsabile. Vi basti sapere che molti capitoli sono pronti e
già ho idee sul prosieguo.
Che
dire? Buona lettura.
Charlie
Prologo
Da quando la
Guerra è finita sai che la gente conia sempre nuovi
appellativi sprezzanti, il preferito è sempre rimasto Mangiamorte.
Incisivo, didascalico, corretto.
Le
prime volte c’erano più che altro occhiate
orripilate che fioccavano ai lati del Ministero. Shackelbolt o chi per
lui aveva avuto un briciolo di compassione nel tendere due cordoni di
Auror per sedare la folla impazzita, ma le urla e gli sputi arrivavano
lo stesso. Ben presto, al braccio di padre stretto attorno alla vita di
Narcissa si è sostituito il tuo. Più magro e
debole, ma pur sempre quello di un Malfoy.
Ricordi
come se fosse ieri il titolo sulla Gazzetta:
Lucius
Malfoy condannato. Tre anni ad Azkaban
Dita
gelide ti hanno serrato il cuore in una morsa di disperazione mentre
leggevi. Per la prima volta da quando avevi memoria la forma e la
compostezza non contavano. Hai pianto come un bambino, invocando
l’aiuto dell’unica persona che avrebbe potuto
trarti fuori da quell’abisso di disperazione.
Invece
tua madre non ha fatto neanche un tentativo di reagire. Si è
ripiegata su sé stessa, vinta, debole, irriconoscibile.
L’unico stoico colpo di coda di quel dragone morente
è stato il matrimonio Grengrass, anche se sai benissimo che
ad orchestrarlo veramente era stato Lucius. Tuo padre ci aveva visto
lungo: sapeva che l’unico modo per risollevarvi era legarvi
ai Greengrass, usciti puliti dalle rappresaglie post-guerra. Se non
altro, Narcissa si era trovata impegnata in qualcosa, e il pensiero del
marito ad Azkaban non era più stato un’ombra
incombente sulla sua vita.
La
giovane Astoria. Vi eravate annusati con diffidenza,
all’inizio, ed era stato mortificante avvertire la sua
latente ripugnanza. Perché lui?, si chiedeva la tua futura
moglie, E perché io? Ma forse qualcosa era scattato dentro
di lei. I pugni chiusi della giovane rampolla ribelle si erano piano
piano distesi, mentre intravedeva in te qualcosa che neppure tu stesso
riuscivi a scorgere.
Di
una cosa però sei certo: puoi anche aver lasciato tuo padre
a espiare le colpe di famiglia in una prigione infernale; puoi anche
aver tentato di ripulire il tuo nome sposando una limpida strega; ma il
Marchio è qualcosa che ancora brucia sulla tua pelle.
1.
2003.
Covi propositi
assassini, e sei abbastanza certo che a Potter farebbe piacere saperlo;
così avrebbe una scusa per sbatterti dentro una volta per
tutte.
Guardalo.
Ride come se non ci fosse un domani, e se non ti trovassi in una stanza
piena di gente l’avresti già affatturato. Ma
andiamo con ordine.
La
missiva è giunta per gufo espresso questa mattina al Manor.
Astoria compilava un’agenda allo scrittorio e ti è
corsa in contro frullando le sue dita curate attorno ad una pacchiana
lettera giallo canarino. L’hai fulminata con lo sguardo, dal
momento che sa perfettamente quanto tu odi essere disturbato quando
leggi, scrivi, o... Insomma, disturbato e basta.
Hai
dato una scorsa rapidissima e hai quasi subito detto:
“No.”
Microscopico
sospiro da parte di Astoria. “Draco, con tutto il rispetto,
forse dovremmo presenziare.”
“Ragioni
valide?”, hai indagato telegrafico senza staccare gli occhi
dalla tua preziosa riproduzione de Il
canto della Sibilla.
“Hanno
concesso la presenza della stampa.”
Hai
serrato i denti, contrariato ma già sconfitto. Nessuna
sorpresa che il sottile senso pratico della tua consorte
l’avesse resa ancora una volta lungimirante; così
hai ceduto quasi subito, imponendo come unica condizione un
aristocratico ritardo ed un’ancora più
aristocratica uscita di scena nel più breve tempo possibile.
Ritrovo tra ex studenti.
Ridicolo.
La
tanto declamata stampa che avrebbe dovuto fotografarti mentre
intrattenevi civili rapporti con i grandi eroi del mondo magico ha
inviato poco più che uno scribacchino, che è
rimasto tutta la sera incollato al deretano del Salvatore del Mondo
Magico. Lady Astoria si è dileguata per cinguettare
sciocchezze con vecchie compagne di dormitorio e tu sei solo,
appoggiato ad una parete, che sorseggi un whiskey incendiario di
pessima qualità mentre incenerisci Potter con lo sguardo.
“Oh,
non ci sperare. Suppongo non prenderà fuoco, per quanto
intensamente lo fissi.”
Hai
un attimo di smarrimento e sgrani gli occhi, ma sei ancora un discreto
Occlumante. Quando ti giri hai solo un sopracciglio candido inarcato.
Sei bravo persino a nascondere la sorpresa quando registri le fattezze
adulte di Hermione Granger.
Hai
appena un lievissimo scatto di sorpresa e fastidio. Per quale oscura
ragione si permette di importunare te, anziché dar fiato
alla bocca con qualche insignificante ex grifondoro?
“Granger.”,
ti scolli a forza dal palato.
“È
Weasley.”, corregge, “Io e Ronald siamo
sposati.”
Ma
certo. Quasi dimenticavi che il cencioso figlio di Arthur aveva
impalmato la Mezzosangue; i giornali magici ne avevano farneticato per
settimane.
“Congratulazioni.”,
replichi ironico ingoiando in un sorso il fondo del tuo bicchiere.
E
poi stai zitto, sperando che questo silenzio inopportuno che si sta
gonfiando fra di voi le faccia capire che non avete
nient’altro da dirvi, che sì, ha fatto il suo
dovere di strega civile ed ora può lasciarti in pace,
grazie. Ma la Granger, per quanto si vanti della sua presunta
intelligenza, non è mai stata un asso a capire le sfumature.
Per lei è un silenzio che va riempito.
“Ti
trovo bene, Draco.”
Questa
volta non riesci a nasconderti. Sussulti e le scocchi
un’occhiata di turbamento allo stato puro. Non è
solo il tono quasi comprensivo, è che ti ha chiamato per nome.
“Da
quando ti arroghi tutta questa confidenza, Granger?”, ringhi
a bassa voce.
Un’impercettibile
sfumatura di rosso le vena le guance, ma poi lei sorride, di un sorriso
che sembra saperla lunga.
“Solo
nei weekend, Malfoy.”
Fai
una smorfia disgustata di fronte alla battuta più fiacca del
secolo.
“Hai
una ragione in particolare per disturbarmi? O sei solo
tediata?”
Questa
volta incespica apertamente, e arrossisce. Ti congratuli con te stesso
per averla zittita, ma nel più classico dei copioni lei ti
smentisce otto secondi dopo.
“È
tanto che non ci vediamo faccia a faccia. E io... Ecco...”,
sbuffa come se si stesse cavando le parole fuori a forza,
“Volevo sapere come stavi. Mi dispiace per tuo
padre.”
L’ultima
frase l’ha detta tutta d’un fiato e tu,
francamente, stavi anche per estraniarti e lasciarla balbettare per
conto proprio. Ma poi l’ha detto.
Stupida sanguesporco.,
pensi confusamente prima di avvertire una bolla di calore che ti
esplode all’altezza del palmo. Abbassi gli occhi, stupito:
hai appena frantumato il bicchiere di whiskey, e una profonda striscia
rossa segna il punto dove il vetro è penetrato.
L’esclamazione
soffocata della Granger fa da contrappunto alla tua imprecazione. Poi
nel tuo campo visivo entrano le sue dita bianche e premurose, ma tu
strattoni via la mano e ti ci vuole uno sforzo immenso per non
sibilarle “Non toccarmi.”.
Non
osi alzare gli occhi sulla sala. Dal silenzio tombale che ha
inghiottito le conversazioni, deduci che tutti gli occhi sono puntati
su di voi. Allora, prima che a quell’ignobile babbana salti
in mente qualche altra brillante frase di circostanza, ti smaterializzi
di colpo e l’ultima cosa che vedi sono i suoi occhi
mortificati.
Ma
va’ al diavolo, Granger!
Fai
arrivare le rose bianche dallo Yorkshire, con i gambi lisci e i petali
appena socchiusi. Li incarti personalmente, l’unico lavoro
manuale che ti sei mai imposto in venticinque anni. Poi di solito metti
il tuo completo migliore, non saluti Astoria, abituata a vederti
sparire tutti i lunedì mattina, e prendi la metropolvere.
Calchi
il viale che hai percorso così tante volte. È
ghiaia e alberi, e conduce direttamente al grande ingresso della villa.
All’accettazione ti salutano ossequiosi: tutti rispettano il
più grande benefattore dell’Istituto.
Lei
ti accoglie con quella sua voce crepitante, aggiustandosi una falda
dello scialle intorno alla vita.
“Buongiorno,
Draco.”
Tu
rimani fermo un attimo sulla soglia. Guardi la stanza grigia e bianca,
il marmo candido che hai fatto posare, il suo letto a baldacchino con
le lenzuola argentate, la grande poltrona antica su cui sei sicuro se
ne stia infossata tutto il giorno.
“Madre.
Vi ho portato dei fiori.”, ripeti le battute che sono
diventate il vostro rituale.
Ecco,
adesso lei ringrazia e ti indica con un dito scheletrico il vaso di
cristallo sul tavolino. Togli i fiori appassiti che c’erano
prima, e intanto ne approfitti per studiarla di nascosto.
Narcissa
Black è diventata l’ombra di se stessa. Non che ti
aspettassi qualcosa di diverso, ma è come se ogni volta che
la guardi ti ricordassi della vostra tragedia familiare.
Non
mangia, decreti rassegnato. È talmente magra che scompare
nelle pieghe del suo vestito color cenere, con il colletto alto fermato
sulla gola da un fermaglio di pietre dure, come comandava la moda di
vent’anni fa. E poi sembra vecchissima: sul collo si rincorre
una ragnatela di rughe che consuma vorace tutta la sua antica bellezza.
Gli occhi sono vitrei, perennemente fissi fuori dal vetro opaco della
finestra.
Fai
evanescere il fascio di fiori putrescenti che hai in mano. Stupidi
inservienti. Quella stanza andrebbe tenuta come oro. Ti accomodi di
fianco a lei, sulla poltrona gemella che per il resto della settimana
è vuota, è tenti di scorgere quello che tua madre
sta osservando così intensamente; lo fai sempre, ma a parte
il grande giardino all’italiana ammantato di brina non hai
mai visto nient’altro.
“Il
Manor?”, esclama ad un tratto affannosa.
“Discretamente
bene. Astoria vi porge i suoi saluti.”
Anche
questo è un rituale. Domande vuote, in cui lei cerca di
sbirciare nella tua quotidianità, quella che non
sarà mai più sua; e tu, per parte tua, ti sforzi
come un dannato di riafferrare la vecchia lei. Provi a ricordare i
dettagli di quel vostro rapporto viscerale, quasi simbiotico, che tanto
tempo prima ti ha salvato, e ti accorgi che ti rimangono solo quelli.
Dettagli.
Questa
volta, però, qualcosa cambia.
Tua
madre ti scocca un’occhiata indecifrabile e poi decanta, con
la sua voce da uccellino: “Spero tu non sia ancora furioso
per via di quella graziosa mezzosangue... Com’è
che si chiamava?... Granger, se non vado errata.”
E
sorride melliflua.
Tu
senti una specie di pugno allo stomaco e diventi un blocco di pietra.
La festa. Si riferisce a quella dannatissima festa.
Come
accidenti fa...?
“Come
l’avete saputo?”, indaghi brusco, cercando di non
tradire irritazione.
Narcissa
scuote il raccolto intrecciato, con noncuranza.
“Era
sulla Gazzetta.”,
e ti allunga il giornale.
Tu
trasalisci. Tua madre che legge il giornale. Tua madre, la cui salute
mentale è precariamente tenuta in piedi da pozioni
sperimentali, tua madre confinata all’estremo lembo
dell’Inghilterra abitata, tua madre che neanche nei suoi
giorni migliori ha mai sfiorato un quotidiano, oggi ha letto il
giornale.
È
un riquadro di approfondimento, poco più che una bizzarra
curiosità nel corposo speciale che hanno dedicato alla festa
più infiorettata dell’anno: Marchio Malfoy,
dice spietato il titolo. L’incompetente giornalista ha rubato
una foto nel momento in cui ti smaterializzi, con il bicchiere
frantumato tra le mani; sei girato di tre quarti, e di te si vede solo
la mano che si agita furente su e giù.
Solo
ora la noti. Alla festa il tuo sguardo l’aveva trapassata,
impegnato com’eri a mostrarti distaccato e scontroso.
La
Granger adulta è diversa da come te la ricordavi;
chissà perché di lei hai solo
l’immagine datata di una ragazzina magra e bisbetica, che
aveva scritto ‘sanguesporco’ in fronte
così grande che ti era impossibile ignorarlo. In questa
foto, la donna che hai davanti ha solo una vaga somiglianza con quella
irritante saputella. Ha un lungo vestito chiaro, stretto sotto il seno,
con le maniche di broccato rigido; tiene i capelli legati di lato, in
una coda che nel mondo magico non s’è mai vista;
ha un viso pulito, la bocca rossa ben disegnata e due grandi occhi
sgranati. Sono fissi sulla tua mano, ovviamente. Se non fossi stato
così impegnato a non morire dissanguato, avresti notato quanto sono grandi.
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