Ventidue
ore
Quel
pomeriggio, Leia si era recata con Han e Ben ad una raccolta fondi.
Era
una bella giornata, con un cielo azzurro intenso e un sole
luminoso, e anche il punto di ritrovo, il vasto giardino della villa di
un senatore, non era niente male.
Di
solito, Leia detestava quel genere di eventi. Non vedeva minimamente
l’attrattiva di trascorrere ore parlando del tempo e facendo
sorrisi cortesi. Quando poteva, cercava di evitarli, ma quella volta
era stata invitata da Mon Mothma in persona… e non aveva
proprio potuto declinare.
Alla
fine, si rivelò non essere troppo male. Partecipavano
anche persone con idee concrete, che facevano discorsi interessanti, e
persino Han – che di solito a questi eventi era come un pesce
fuor d’acqua – sembrava abbastanza rilassato.
L’unico
vero intoppo fu quando Ben, senza una ragione
apparente, si mise a gridare a pieni polmoni all’indirizzo di
uno dei camerieri, e non smise finché Han non intervenne,
prendendolo in braccio con aria di scuse e portandolo in disparte per
parlargli e assicurarsi che si desse una calmata.
Per
fortuna, il giardino era provvisto di una piccola fontana e
circondato da alte siepi in cui alcune famiglie di uccelli stavano
costruendo il proprio nido, tutte cose molto interessanti per un
bambino di nemmeno cinque anni.
Han
gli fece fare un tour di quelle meraviglie, mentre Leia si lasciava
coinvolgere nelle discussioni delle altre persone presenti.
Ad
un certo punto, la donna gettò un’occhiata
verso suo marito e suo figlio, e vide che Han si era accovacciato
all’altezza del bambino e gli stava raccontando qualcosa.
Qualsiasi cosa fosse, doveva essere molto avvincente, a giudicare da
come Ben lo fissava ad occhi sgranati, e Leia dovette trattenere un
sorriso.
Poi,
poco più tardi, venne allestita una lunga tavolata
coperta da una tovaglia immacolata, e furono serviti alcuni spuntini.
Leia
e Han si sedettero con Ben tra loro, e la donna fu piacevolmente
sorpresa quando una giovane dello staff di Mon Mothma, Nira, si
accomodò alla sua destra. Era una ragazza riservata, capace
però di discorsi appassionati, ed era sempre un piacere
ascoltare le sue opinioni.
Così
Leia discusse con lei di alcune cose mentre venivano
serviti gli antipasti – tartine, e
formaggi, e dense salse.
Più
che a mangiare, Ben sembrava interessato ad imboccare
suo padre, e Han lo lasciava fare, reagendo con smorfie esagerate nella
speranza di divertirlo.
I
camerieri portarono anche dei bicchieri di vino, e Leia ne
accettò uno dal giovanotto pallido e smilzo contro cui Ben
aveva urlato qualche ora prima. Non bevve subito, assorbita
com’era dalla conversazione con Nira… e qualche
momento più tardi sentì Ben che si metteva a
tossire.
Si
voltò, e Han – che stava battendo delle pacche
sulla schiena del bambino – commentò con leggerezza:
«Ti ha rubato il bicchiere, il piccolo mascalzone, ma sembra
che non regga ancora l’alcol».
Poi
Ben si portò le mani alla gola, gli occhi pieni di
lacrime, e l’espressione di Han cambiò in un
istante.
«Ben?»
Aggiunse
qualcos’altro, la voce colma di preoccupazione, ma
Leia non lo stava ascoltando. Col cuore che pulsava nelle tempie, aveva
alzato gli occhi sulle persone in piedi poco lontano: un paio di
invitati che avevano preferito non sedersi, un gruppo di
camerieri… e là, un po’ in disparte, il
giovane che le aveva dato il bicchiere di vino.
Lui
stava guardando nella loro direzione con aria tesa, e quando si
vide osservato, sgranò gli occhi e si diede alla fuga,
lasciando cadere il proprio vassoio con un frastuono di bicchieri
infranti.
Leia
si alzò di scatto, esclamando: «Fermate quel
cameriere!»
Metà
delle persone si voltarono a guardarla con aria
scioccata, ma un omaccione dalla pelle scura ebbe abbastanza presenza
di spirito da bloccare la fuga del giovanotto. Lo afferrò
per le braccia, e due donne accorsero a dargli manforte.
A
quel punto, anche gli ospiti che non si erano resi subito conto della
situazione iniziarono a realizzare cosa stava succedendo.
Da
parte sua, Leia riportò l’attenzione su Ben, il
cuore che le palpitava nelle orecchie.
Il
bambino si era accasciato sul tavolo, ma Han l’aveva
tirato su, ed ora aveva la sua schiena contro il proprio petto.
«Leia»
disse, col respiro corto. «Leia,
non mi risponde più».
Lei
non replicò, lo sguardo puntato sulle palpebre
semichiuse del bambino, sulla sua sagoma inerte tra le braccia di Han.
«Chiamate
un medico» sussurrò, le labbra
insensibili. E poi, con più forza: «Chiamate un
medico!»
Si
protese a sfiorare la guancia di Ben – gli occhi del
bambino erano chiusi, ma a quel tocco si mossero sotto le palpebre.
«Ben,
resta sveglio. Ti prego, cerca di restare
sveglio».
Per
un istante, incrociò lo sguardo di Han, e vi lesse lo
stesso terrore schiacciante che stava provando lei.
Fortunatamente,
i soccorsi non impiegarono molto tempo ad arrivare.
Erano due droidi medici, simili nell’aspetto ad R2-D2. Erano
più tozzi, però, e argentati, e dotati di quattro
sottili braccia metalliche.
Mentre
uno ispezionava Ben, l’altro chiese a Leia
cos’era successo. «Credo sia stato
avvelenato» affermò lei, con voce instabile, e
indicò il bicchiere di vino. «Era destinato a
me».
Il
droide versò il liquido in una piccola fessura nel
proprio petto.
«Riteniamo
necessario trasportarlo al centro medico
più vicino» decretò l’altro
droide.
Han
e Leia andarono con loro, naturalmente, e partirono proprio quando
arrivarono gli agenti chiamati per arrestare l’attentatore.
Il
viaggio verso il centro medico fu una delle esperienze
più terrificanti della vita di Leia. Lei e Han sedevano
l’uno accanto all’altra, e si ritrovarono a tenersi
per mano tanto forte da farsi male.
Durante
il tragitto, Ben smise di respirare per un minuto e
ventitré secondi.
Leia
sentì l’angoscia di ogni singolo istante, e
quando il bambino tossì ed ansimò fu come se non
fosse stato il solo a riprendere a respirare.
Poi
arrivarono al centro medico, e Ben fu trasportato in una cameretta
pulita e ordinata, con dei bantha blu e rosa dipinti su un muro,
probabilmente per renderla meno spaventosa per un giovane ospite. Il
bambino venne collegato ad uno schermo che monitorava le sue funzioni
vitali e ad una collezione di tubicini, e gli venne sistemata una
maschera d’ossigeno sul viso.
«Il
nostro laboratorio sta analizzando il campione di veleno
da voi fornito» annunciò il droide.
«Presto saremo in grado di sintetizzare un
antidoto».
Leia
stava ancora stringendo la mano di Han, abbastanza forte da
stritolarla. «Quanto ci vorrà?»
«Non
molto. Potete accomodarvi qui, nel frattempo».
Prima
che la donna potesse insistere – o urlare, o fare a
pezzi quel droide con le proprie mani – lui
imboccò l’uscita della stanza e se ne
andò.
Così
Leia e Han avvicinarono due sedie al letto di Ben, e si
sedettero al suo capezzale.
«Faranno
in tempo, vero?» chiese Han, rocamente.
«Non…»
«Faranno
in tempo» tagliò corto Leia,
protendendosi a prendere una manina di Ben tra le proprie.
Non
poteva nemmeno sopportare di pensare il contrario.
Circa
una quindicina di minuti più tardi, una guaritrice
– una twi’lek dalla pelle azzurra –
arrivò a fare un’iniezione a Ben e a togliergli la
maschera dell’ossigeno.
«Fortunatamente»
disse, «i composti del
veleno erano conosciuti, e ci è voluto poco per ottenere un
antidoto».
«Guarirà?»
domandò Han, e
Leia serrò le dita sulla manina di Ben.
La
guaritrice esitò. «Siamo intervenuti
rapidamente, e questo aumenta le sue possibilità di
sopravvivenza. Ma è ancora presto per dirlo. Noi speriamo si
svegli entro ventidue ore. In caso contrario potrebbero esserci delle
complicazioni».
«Complicazioni?»
ripeté Han.
«Cioè, potrebbe… avere dei problemi,
oppure… oppure…»
«Anche
il rischio che non sopravviva non è
inesistente» ammise la guaritrice. «E se impiega
troppo tempo a svegliarsi, dovremo parlarvi di alcune possibili
complicazioni. Ripeto, però, che se riprenderà i
sensi entro ventidue ore senza che si presentino ulteriori problemi,
queste saranno tutte cose di cui non dovrete preoccuparvi».
Leia
chiuse gli occhi, cercando di respirare attraverso la morsa che le
serrava il petto.
Sentì
i passi della guaritrice che usciva con discrezione
dalla stanza, e Han che si allungava in avanti – per
accarezzare le gambe di Ben da sopra le lenzuola, a giudicare dal
fruscio.
Le
ore iniziarono a trascorrere, lente ma inesorabili. Calò
la notte, e venne un droide a portare loro coperte e dei cuscini.
Né Leia né Han riuscirono a chiudere occhio, e
quando arrivò il mattino faticarono ad ingerire anche solo
un boccone della loro colazione.
Fecero
a turno per andare in bagno, e durante il proprio Leia concluse
che avrebbe preferito le esplodesse la vescica, piuttosto che lasciare
il capezzale di Ben, piuttosto che provare di nuovo la paura di tornare
nella sua stanza e scoprire che qualcosa era andato orribilmente
storto…
Non
era successo nulla, però, e Leia riprese in silenzio il
suo posto accanto a Han.
Ben
era ancora privo di conoscenza, ma per ora era stabile, a detta del
droide che passò a visitarlo.
Qualche
momento più tardi, Leia udì un gemito
soffocato, e quando si girò verso suo marito
scoprì che aveva il volto nascosto tra le mani, le spalle
che tremavano appena. La donna avvertì una fitta al cuore, e
gli circondò il collo con le proprie braccia.
Han
si voltò verso di lei, chinandosi ad appoggiare la testa
contro la sua spalla. Aveva ancora il viso nascosto dietro le mani, ma
Leia poteva sentire i suoi sussulti contro il proprio corpo. Sapeva che
stava piangendo.
Gli
accarezzò i capelli scuri, mormorando: «Shhh.
Shhh». Prese una boccata d’aria.
«Andrà tutto bene. Deve andar bene». Si
interruppe, lottando per mantenere il controllo della propria voce.
«E sappi che non ti biasimo se mi incolpi in qualche
modo».
Han
si raddrizzò di scatto, lasciandosi ricadere le mani in
grembo. Aveva le guance bagnate, gli occhi pesti ed arrossati.
«Incolparti?
Perché diavolo dovrei
incolparti?»
Per
la prima volta da molto tempo, Leia non riuscì a reggere
il suo sguardo. «Stavano cercando di avvelenare me»
sussurrò. «Ero io
l’obbiettivo».
«Non
è colpa tua» replicò Han
con forza, quasi con ferocia. «È di quel bastardo.
È stato lui ad avvelenare nostro figlio, non tu».
Leia
inghiottì a vuoto. «Ben aveva sentito che
aveva cattive intenzioni. Deve averlo sentito. Ricordi come si
è messo a urlare quando l’ha visto?»
Ora
che aveva iniziato a parlare, le sembrava di non riuscire
più a fermarsi. Doveva continuare, doveva dirglielo, doveva
buttar fuori questa cosa che la stava divorando dall’interno.
«Avrei
dovuto pensarci. Anch’io sono sensibile alla
Forza, avrei dovuto capirlo. Invece ho pensato che stesse soltanto
facendo i capricci…» Serrò i denti,
ricacciando un singhiozzo sul fondo della propria gola.
Si
sentiva morire, se solo ripensava all’esasperazione che
aveva provato in quel momento. Era probabile che Ben non avesse
compreso pienamente le intenzioni dell’uomo –
altrimenti avrebbe detto qualcosa, e non avrebbe bevuto quel vino
– ma aveva capito che c’era un pericolo, e aveva
tentato di metterli in guardia.
L’aveva
protetta, ma avrebbe dovuto essere il contrario. Era
lei la madre. Lei
avrebbe dovuto proteggerlo.
Di
punto in bianco, un dubbio atroce le si affacciò alla
mente. Possibile che Ben avesse capito che il vino gli avrebbe fatto
male? Possibile che l’avesse bevuto lo stesso
perché non pensava che lei gli avrebbe creduto se non ne
avesse visto l’effetto coi propri occhi?
No.
Aveva solo quattro anni. Era improbabile che gli fossero passate
tante cose per la testa. Però…
Però…
Han
si mosse sulla sua sedia. «Anch’io ho pensato
fossero solo capricci».
«Tu
non sei sensibile alla Forza»
mormorò Leia, sempre senza guardarlo.
«Ma
sono suo padre».
Leia
si passò una mano sotto gli occhi, scuotendo la testa.
Lei avrebbe dovuto…
«Non
è stata colpa tua»
reiterò Han, con decisione.
Lei
non rispose, allungando una mano a prendere quella di Ben, fissando
il suo visetto, i suoi ricci scuri.
Han
non insistette, ma le circondò la vita con un braccio.
Più
tardi, all’orario di visita, arrivò
Luke. Leia avvertì la sua presenza nel momento stesso in cui
lui mise piede nel centro medico, ma la riconobbe soltanto quando suo
fratello varcò la soglia della stanza.
«Mon
Mothma mi ha contattato per dirmi cos’era
successo» spiegò Luke, facendosi avanti.
«Come sta? Cosa…?»
La
voce gli morì in gola, e lui – in piedi accanto
alla sedia di Leia – rimase immobile a fissare Ben.
«Speriamo
si svegli entro sei ore» gli disse Leia.
«Altrimenti potrebbero esserci… dei problemi. Dei
rischi».
Luke
non rispose subito, visibilmente scosso.
«L’uomo che… il responsabile
è stato arrestato» disse poi, un po’ a
fatica. «C’erano molti testimoni che ricordavano di
averlo visto darti quel bicchiere di vino. Forse contatteranno anche
voi, ma è già abbastanza certo che si
farà un bel po’ di anni di galera».
«Se
gli metto le mani addosso» rispose Han,
lapidario e quasi spassionato, «lo ammazzo».
Leia
non disse nulla, ma condivideva il sentimento.
«Credi
lavorasse da solo?» domandò Luke
dopo qualche istante, sommessamente.
«Non
lo so» rispose lei. «Può
essere». Pensò alla fuga precipitosa
dell’uomo. «Non sembrava un
professionista».
Luke
si accovacciò, così da avere la testa
all’altezza di quella di Ben. «Se
c’è qualcun altro, dietro questa storia, lo
scoprirò. La pagherà».
Leia
si girò a guardarlo. Suo fratello era un uomo, ormai
– un pilota esperto, un guerriero Jedi che aveva affrontato
Darth Vader e l’Imperatore in persona. In questo momento,
però, sembrava solo un ragazzo angosciato. Senza dir nulla,
Leia allungò una mano a lisciargli i capelli castani, e in
qualche modo quel gesto fece sentire meglio anche lei.
Luke
rimase con loro per tutto il tempo possibile.
«Sarò nella sala d’attesa qui
fuori» promise, quando arrivò un droide per
annunciare che l’orario di visita era finito.
Leia
scoprì di riuscire a percepire con chiarezza la sua
presenza, a quella scarsa distanza, e vi si aggrappò con
tutte le sue forze.
Il
tempo passava, e Ben non sembrava dar segno di svegliarsi. Han aveva
gli occhi puntati sul bambino, le mani premute contro le labbra, e
Leia… Leia sentiva di far sempre più fatica a
respirare, con ogni secondo che passava.
Si
era rifiutata di considerare le ipotesi peggiori, ma adesso la paura
che tutto andasse storto si stava facendo sempre più reale.
I pensieri che aveva cercato di bloccare le affollavano la mente. E se
il bambino non avesse ripreso i sensi? Se avesse smesso di nuovo di
respirare?
Avrebbe
dovuto succedere a lei. Avrebbe dovuto esserci lei al suo posto.
Si
ritrovò a pensare ai propri genitori, e
desiderò con tutta l’anima di averli vicini. Se
esistevano ancora da qualche parte, se potevano fare
qualcosa… lei li supplicò con tutte le forze di
aiutarla. E supplicò anche la Forza.
Non
poteva lasciare che succedesse questo.
Per
un istante, le parve di sentire le labbra leggere di suo padre
sulla propria fronte, il profumo di sua madre, le loro voci che la
chiamavano con affetto – Lelila,
Lelila, quel vezzeggiativo
che si era procurata da sola quand’era troppo piccola per
pronunciare correttamente il proprio nome.
Poi
quell’istante passò, e probabilmente era stato
solo un sintomo della stanchezza e della tensione, ma… Ma.
Ben
si mosse sotto le coperte, e il respiro di Leia le si
bloccò in gola, mentre di fianco a lei Han tratteneva il
fiato. Possibile che…?
Il
bambino dischiuse gli occhi, aggrottando la fronte, e
girò la testa verso di loro.
Leia
quasi si mise a ridere per il sollievo, andando ad accarezzargli i
capelli, mentre Han si protendeva a massaggiargli le gambe e poi il
pancino.
«Ce
l’hai fatta, piccolo» disse, la gioia
che scintillava nella Forza come un diamante.
«Bentornato».
Da
parte sua, Ben sembrava soprattutto disorientato, e un po’
stordito. «Non bere il vino, mamma»
mormorò confusamente. «È
cattivo».
Stavolta,
Leia rise davvero, seppur con un accenno di pianto.
«Lo so, Ben. Non l’ho toccato, ed è
merito tuo».
Il
bambino non rispose, limitandosi a ricambiare il suo sguardo e ad
aggrapparsi alla mano che Han aveva posato sul suo petto.
Non
fu niente di eclatante, ma Leia sentì che
quell’immagine le riempiva il cuore.
«Grazie»
disse a voce alta, rivolta a Ben e forse
anche alla galassia intera. «Grazie».
Note:
…so di aver detto che avrei scritto qualcosa di non-triste
su questa famiglia, ma a quanto pare non è ancora giunto
quel momento.
(E almeno un po’ di fluff all’inizio e alla fine
c’è, dai.)
Insomma, spero non sia un orrore se la è
potete prendervela
con Vitto
che mi ha spronato a pubblicarla.
Alla prossima!
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