Le piccole cose che... odio.

di Madame_Padfoot93
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Le piccole cose che... odio.
 

L’odio è sempre stato un sentimento considerato negativo e antisociale. Odiare è un’azione inammissibile, osteggiata e considerata come un vero e proprio male per l’uomo.
Tuttavia l’odio è una comunissima forma di espressione, ed è intrinseco nella natura umana. Inoltre è il giusto contrappeso per capire e conoscere ciò che si ama.
Come faccio a capire che è giorno? Perché conosco la notte.
Come faccio a capire che sono felice? Perché sono stata triste.
Come faccio a capire che fa freddo? Perché ho avuto caldo.
Come faccio a capire perché amo? Perché odio.
E non fate i furbetti, i finti santarellini. Vi conosco, mascherine. Anche se foste la reincarnazione di Madre Teresa di Calcutta o del Mahatma Ghandi, anche voi, nel vostro cuoricino sapete di odiare qualcosa. Anche solo una. Perché altrimenti o siete dei bugiardi patologici, o avete la sindrome di Pollyanna, o vi ha colpito una tegola in testa. Suvvia, qualcosa che vi urta il sistema nervoso c’è, sicuramente.
E poiché io, che non ho nulla da fare (cioè… ci sarebbe qualche libro da studiare, ma che sbatti però), odio un botto (botto...unità di misura ampiamente riconosciuta) di cose, ho deciso di stilare una bella lista delle cose che più detesto al mondo e di condividerla con voi. Cosa c'è di meglio che parlare di un po' di odio, nel periodo più romantico dell'anno? Eh? Che ne dite? Ok, so benissimo che la vostra faccia ha assunto un’espressione scettica e derisoria, ma la mia fantasia è morta, forse uccisa dalla troppa TV. 

Ordunque, si va.

 

Le cose che quella nevrotica di Madame_Padfoot odia più al mondo.

 

1) “Se vengo lì...”. Io non sono molto ordinata. Ammettiamolo. Lascio i vestiti accatastarsi sulla sedia per giorni, fino a quando non crollano giù; lascio i miei indispensabilissimi occhiali da vista in giro, dimentico i libri ovunque (anche in bagno a volte, ma non per il motivo che pensate voi). E quindi, come a chiunque, mi capita ogni tanto di non trovare qualcosa, che so per certo essere da qualche parte a casa. Che sia il cellulare, che mannaggia giusto quella volta è in modalità silenzioso, o che sia il portafogli, quando non trovo qualcosa la mia prima reazione è una sola: panico. Immagino i mille, apocalittici posti dove possa essere l’oggetto smarrito: all’università, sul treno, nel deserto del Sahara, nell’iperuranio. Ma non può essere, dai… lo avevo appoggiato qui, cinque minuti fa, sulla scrivania (l’80% delle mie cose che non siano vestiti sta sulla mia scrivania). Comincia così una caccia al tesoro: smonto il letto, svuoto ogni singolo cassetto, sposto ogni oggetto, libero ogni scaffale. Ma niente. Il mio oggetto smarrito è… smarrito appunto. Non mi resta che una sola cosa da fare. Con molta fatica, perché già so come andrà a finire, e con la morte nel cuore… chiamo Madre. “Madreee! Hai visto il mio oggetto smarrito?” E lei, dal lato opposto della casa, risponde: “È lì, sulla tua scrivania.” Ma che cazz… qui non c’è. “No Madre, ho controllato dappertutto. Non è qui!” E allora, eccola, la frase che più odio sentire da mia madre, quella che più di tutte mi urta il sistema nervoso, peggiore di qualsiasi stridio di lavagna al mondo: “Se vengo lì e lo trovo, ...”, con quell’inespressa minaccia, che ti gela il sangue nelle vene e ti fa ritornare in mente la temibile cucchiarella. Madre giunge in camera, con fare teatrale, dà un’occhiata alla stanza e punta il dito sulla scrivania: “Ah-ah! E quello? Cos’è?”. Con un sorriso strafottente, Madre sta indicando proprio l’oggetto smarrito… che può avere solo le gambe quel grandissimo oggetto inutile della malora, che mi ha fatta disperare e cercare e mettere ancora più in disordine un’intera stanza. E lui era lì, ma prima non c’era di sicuro. Due sono le cose: o mia madre, mi nasconde le cose e poi fa finta di ritrovarle perché è una sadica e le piace farmi impazzire, o le mamme hanno un radar speciale che hanno sviluppato nel corso del tempo. Io opto per la prima. Mamma mia, che odio!

 

2) Lavare i piatti. Circa sedici anni fa, trasferendoci nella nuova casa, Madre mostra a me e a mia sorella la nuova cucina, fornita di un optional che io ho sempre considerato meraviglioso: la lavastoviglie. Quanto era bella, quanto era sexy ai miei occhi. Quanto l’amavo. Era. Amavo. Tempi passati. Perché circa un anno fa la mia cara, amata, devota, unica e stupenda lavastoviglie ci ha lasciati, a causa di uno stramaledettissimo black-out che ha fuso la scheda e ora è irreparabile. Ne servirebbe una nuova. Ma Babo (che ancora non ha capito che, in una casa con una moglie, due figlie, una nonna, una gatta e una cagnolina, bisogna essere un pochino meno maschilisti) sostiene che due figlie femmine possano benissimo lavare quattro piatti, quindi per ora la lavastoviglie è rimandata. Bisogna lavare i piatti a mano. Con spugnetta e detersivo. Ecco, ora, io pur essendo un po’ disordinata, non mi lamento se devo fare “i servizi di casa”: lavare i pavimenti, passare lo straccio, stirare, mettere la lavatrice sono ormai un gioco da ragazzi. Ma io odio, odio tantissimo dover lavare i piatti. Non lo so perché: molti lo trovano rilassante, ma io lo detesto. Per di più, “casualmente” quando tocca a me lavare i piatti ci sono centoventi posate, trecento bicchieri, cinquanta piatti, dozzine e dozzine di casseruole, pentole, vassoi e ciotole. Per me è una lunga, lenta agonia. Anche perché, con il lavare i piatti, si aggiunge il dover pulire i fornelli, che sempre “casualmente” saranno incrostati di sugo. Devo stare lì, a strofinare, e strofinare, e strofinare le stoviglie, cercando di rimuovere ogni singolo rimasuglio di cibo; sciacquare con cura e lasciare sgocciolare; prendere il panno e… uff… asciugare (la parte che più trovo detestabile) e poi rimettere tutto apposto. Che nervi!

 

3) La stromabazzatura. Voi avete la patente? Io si, da appena un anno. Vi ricordate i primi tempi in cui avete portato l’auto… e vi si fermava sempre. A me è successo un sacco di volte. E quando succedeva in una strada molto trafficata per me era la fine del mondo. Perché, vedete, le persone della mia città (che sono bast… nell’anima), quando vedono la macchina davanti ferma, che cerca di ripartire, con una “P” grande come una casa sul lunotto, cominciano a suonare il clacson. E non appoggiano leggermente la mano, facendolo suonare brevemente… certo che no: con tutta la violenza possibile a questo mondo tengono ferma la mano sul clacson, in modo tale che questo suoni il più a lungo possibile, facendo partire un fastidiosissimo e tremendo concerto, che si ferma solo quando, con la grazia divina, la macchina del povero malcapitato riparte. Tolleranza e comprensione zero; anzi a volte ci scappa qualche bel “Cornutazzo” e “Testa di Min...”. Io odio la strombazzata. La detesto. E quando mi capita un’occasione del genere mi sento male e non riesco a muovermi. Se qualcuno si comporta così al volante, vorrei fargli presente una cosa: se tu, pezzo di cosa inutile, pensi che, suonando il clacson nel modo più fastidioso e più a lungo possibile, riesca a far ripartire la macchina, sappi che in realtà stai solo peggiorando le cose. Mi metti ansia, angoscia e più sto in ansia, più quella dannata auto non partirà. Quindi, cortesemente, vedi di smetterla. Grazie.

 

4) Io non so niente!”...e poi 30 e lode. Quante volte vi è capitato a scuola, al liceo o persino all’università di sentire, dal vostro compagno/collega la fatidica frase “Io non so nulla. Non ricordo niente”? Io un migliaio di volte. E quante volte a quello stesso compagno/collega è stato dato un voto alto, dopo aver pronunciato quella dannata, dannatissima frase? Sempre, ogni singola volta. Ma chi te crede? Ma mi prendi in giro? Caspiterina non ditela se sapete di sapere (un pensiero molto filosofico, da una che la filosofia l’ha odiata fino al quarto anno): “Io non so niente!” è un motto, che ci rende più uniti, solidali; è uno stile di vita che i cervelloni non possono capire. È una bandiera sotto la quale noi poveri ragazzi, che avevano la media tra un sudatissimo sei (se non meno) e l’otto alla botta-de-culo, ci riunivamo, per sentirci meno soli, per sperare che c’era qualcuno come noi, che poteva capire la nostra ansia e il nostro dolore (di pancia soprattutto). Quindi, oh teste d’uovo che pensate che dire “Io non so niente!”, per poi prendere 10 o 30 (dipende dove state), vi faccia sembrare più fighi: smettetela, perché in realtà vi odieremmo ancora di più.

 

5) Le ditate sugli schermi. Ok, ne sono consapevole. Questa è ridicola, ma davvero non posso farci nulla. Tutti al giorno d’oggi abbiamo uno smartphone: che sia l’ultimissimo modello al modico prezzo di un rene e un polmone o dello scarto preso su Amazon o di uno usato, magari dal genitore o dall’amico, questi apparecchi sono diventati indispensabili per la nostra esistenza. Uscire senza è impensabile (se non impossibile); la batteria scarica è una catastrofe; ogni sua caduta ci fa salire il cuore in gola, manco fosse nostro figlio (beh, per me è come se lo fosse). Ovviamente avendolo sempre in mano, il nostro (o meglio, il mio) smartphone ha uno schermo perennemente ricoperto di ditate. Nonostante la pellicola, nonostante tutte le protezioni, nonostante passi lo straccetto per pulire gli occhiali, quello schermo è sempre appannato, pieno di ditate. Mamma mia come lo detesto. Mi fa imbestialire.

 

6) Il giro dei parenti. Questo aspetto lo può capire chi, come me, è terrone (in particolare siciliano). In primo luogo bisogna specificare che al Sud il termine “famiglia” è molto ampio e i confini sono molto sfumati: in breve per famigghia si intende non solo il nucleo famigliare di origine (Madre, Babo e Ma-porca-l’oca-io-volevo-una-bambola-non-una-sorella, al massimo i nonni), ma anche zii, cugini di primo, di secondo, di ottavo grado (si...esistono), i fratelli degli zii acquisiti, il tizio che è passato una volta a casa per sistemare l’antenna… e così via. Anche se tutti questi parenti abitano a una sola ora di distanza dalla città in cui abiti tu, devi, obbligatoriamente, andarli a trovare ogni volta tu ti trovi al paese in cui abitano. È il cosiddetto “giro dei parenti”, che è il mio girone dell’inferno personale. Devo salutare tutte quelle persone, di cui non so nemmeno il nome e di cui non mi interessa nulla, che probabilmente hanno conosciuto personalmente Matusalemme, che ti urlano nelle orecchie, che ti chiedono ad ogni Natale “E la laurea? E il fidanzatino? Quando ti sposerai?” (che poi a 24 anni io non dovrei avere un fidanzatino, ma un Iveco di fidanzato). Dio, non lo sopporto. Un giorno comprerò una bella maglietta con su scritto “Parenti-serpenti” da mettere al prossimo giro… chissà poi se mi inviteranno o se mi diranno ancora qualcosa.

 

7) L’accondiscendenza di mia nonna. Si sa, per le nonne noi saremo sempre dei bambini. Anche se per la legge, Dio, i tuoi genitori, gli amici o i professori siete grandi abbastanza per votare, guidare o anche solo sbucciarvi da soli la frutta, le vostre nonne vedranno voi come quelle fragili creature a cui bisogna fare ancora a pezzettini la carne. Anche mia nonna mi tratta così, come se avessi ancora 4 anni. Quando c’è un ospite, si premura affinché io lo saluti, sussurrandomi a denti stretti “Saluta, saluta che c’è Tizio”. Quando le dico che mi basta solo il primo, lei prepara dall’antipasto fino al dolce. Quando discuto con i miei di qualcosa di profondo o di attualità o di politica, lei mi guarda come un cucciolo bastonato dicendomi “Ma tu non puoi capirle queste cose! Quando sarai grande, con famiglia, forse… ”. E io questo non lo tollero, non lo sopporto proprio. Mamma mia, ho 24 anni, studio all’università, ho studiato, viaggiato e conosciuto una parte del mondo. Almeno qualcosina, una cosa qualsiasi la saprò. Non ho più 4 anni, trattami come un’adulta. Per favore. Mi mortifichi sempre anche davanti alle mie amiche, davanti alle tue amiche, davanti al ragazzo per cui sbavo… per favore.
Però… a volte… il pensiero di non averla vicina, di non essere trattata come una bimba, di non avere qualcuno con cui sfogarmi quando litigo con i miei, che mi abbracci e mi faccia i biscotti quando sono giù… Ok, ok. A volte è davvero insopportabile, quindi questo aspetto possiamo definirlo quasi odioso.

 

8) “Ma stai studiando?”. Alzi la mano quanti di voi hanno sentito almeno una volta questa frase, da una mamma o da un papà che, con la delicatezza di un elefante, irrompe nella stanza, spalancando furiosamente la porta. Tu stai studiando da più di tre ore un capitolo difficilissimo di psicologia dinamica, le parole ti stanno uscendo dagli occhi e davvero non ne puoi più; decidi dunque di fare una piccola pausa, solo qualche minuto : il tempo di aprire un attimo Facebook, guardare se qualcuno abbia calcolato di striscio una nuova foto postata, postare qualcosa. Quando improvvisamente si apre la porta. Tu urli, mettendoti la mano sul cuore e gridando all’infarto, mentre il tuo genitore è lì, sull’uscio che ti osserva. E poi, con malignità e senza alcuna considerazione dei tuoi poveri nervi o del fatto che stai rantolando sul pavimento perché lo spavento è stato troppo grande, ti pone la fatidica domanda: “Ma stai studiando? Sempre su sto coso stai?”. E tu, dopo ore che studi e volevi riposarti solo per cinque dannatissimi minuti, non puoi far altro che tornare a studiare. E si lo so che quella del “Solo cinque minuti e poi ricomincio a studiare!” è una scusa, una bugia che usiamo per illuderci. Ah insomma, da che parte state?
E comunque lo detesto. Ogni volta rischio di rimanerci secca.

 

9) Bellezza filosofeggiante. Ogni tanto, spulciando Facebook, mi capita di trovare foto postate da belle fanciulle, quasi sempre molto ben truccate e ben pettinate, con sorrisi enigmatici (che Monnalisa te dico levate) e pose seducenti, con decollété (si scrive così no?) in bella mostra e magari stretto per compressione delle braccia. Non ho problemi se vedo una foto del genere… No, dico davvero, non ho nessun problema. Ma mi urta davvero il sistema nervoso quando, come didascalia della foto, vi è una frase poetica...anzi più filosofeggiante, o qualche strombolata presa dai Baci. Si ritrovano foto di ragazze con un bikini microscopici e poggiate su un albero, a mo di calendario Pirelli, rivolte al sole che tramonta, con didascalie come: “L’orizzonte è il vero confine delle mie possibilità.” o “Finché la barca va, lasciala andare.” o qualche frase presa da Bukowski che ora va tanto di moda. Come se la persona che guarda il post leggesse la frase, anzicché andare a sbavare sulla foto di sta squinzia, che ai commenti “Sei bellissima! Ti cuoro!”, “Sei proprio stupenda tesoro!” risponde “No, non è vero. Sono una balena!”. MA CHI TE CREDE? Io dico che è impossibile, IMPOSSIBILE, che tu pensa di essere brutta, di essere una balena, di essere un cesso su pedali per poi postare foto che manco Bianca Balti. Che poi, se nella descrizione ci fosse scritto “Guardatemi quanto sono gno… bella!” allora potrei accettarlo. Ma per favore, ve lo chiedo in ginocchio, per favore lasciate in pace quei poveri filosofi e scrittori che non hanno fatto nulla. Se proprio dovete scrivere qualcosa di intelligente e profondo fatelo con foto in cui non siete mezze nude. Un minimo di coerenza, please. E no… non sono invidiosa (nonostante io sia una specie di arancina con due piedi, cieca come una talpa, con un cespuglio al posto dei capelli). Penso che ognuno, sul proprio profilo, possa pubblicare il cavolo che gli pare e se siete belle ragazze non vedo il motivo per cui non mostrarlo (con un minimo di decenza, ovviamente); ma il motivo per cui si debba associare a una frase profonda, che porta a una riflessione, a una foto in cui siete distese sul cofano dell’auto, con un pantaloncino super-stretto e corto e una canotta che copre a stento il seno, mi sfugge completamente. Lo detesto, non lo sopporto davvero.


10) L’aspirapolvere. Quando sistemo quella che chiamo “camera mia” ma che Madre ama chiamare “porcile”, “tana” o (la mia preferita) “l’inferno” utilizzo le più svariate cose, ma la vera salvezza per me è il panno elettrostatico. Riesce ad acchiappare i capelli che vado perdendo ogni giorno (capita quando hai i capelli lunghi e ricci), i peli di Diana (la mia gattina), i pilocchi (per chi non lo sapesse sono quei schifosi mucchietti di polvere che mi fanno salire i conati)… insomma sono una benedizione. Ma, a volte, non bastano e quindi mi tocca prendere l’aspirapolvere, o come la chiamo io “lo strumento più inutile, fastidioso, ingombrante e rumoroso del mondo” o semplicemente “incubo”. Purtroppo per me non ho un aspirapolvere ultimo modello, super silenziosa e potentissima: io ho la “Schifus2000”, una macchina odiosa e rumorosa, che emette un terribile suono da spaccarti i timpani e lasciarti il mal di testa per giorni. In più, essendo un po’ vecchiotta, ha alcune parti rotte (aggiustate con lo scotch) e aspira solo quando piace a lei. Evito assolutamente di usarla, o almeno il più possibile. Purtroppo non posso evitare che la usi Madre, che simpaticamente alle 9.00 di sabato mattina incomincia ad passarla per tutta casa; o la vicina, che probabilmente avrà lo stesso dannatissimo modello e che si diverte ad utilizzarla ogni santa volta che cerco di ripetere. Dio...fammi ascoltare tutta la discografia di Pupo; fammi sentire milioni di gatti miagolanti la notte o vedere per 24h di fila Barbara D’Urso, ma per favore non fammi ascoltare più quel suono fastidioso e maledetto, che rimbomba nella mia scatola cranica per giorni, giorni, giorni.

 

Queste sono le cose che urtano il mio sistema nervoso e tendono a farmi leggermente impazzire. Ma ce ne sono molte e molte altre. Perchè io odio tanto. Ma amo anche tantissime cose. 




Vi mando un bacino affettuoso e

Ciriciao


 

 





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