Uno
Ero giunto alla fine della mia vita. Come
tutti, avevo collezionato successi ma anche fallimenti. Mi ero
sposato, avevo creato altra vita, avevo visto questa vita crescere e
riprodursi a sua volta. Avevo costruito una casa con le mie mani
forti, per poter difendere la mia famiglia dall'acqua e dalla
ruggine. Avevo portato a termine il mio lavoro, con dedizione e
costanza, senza mai cedere alla stanchezza, senza mai desiderare di
essere altrove. Certo, avrei voluto poter vivere più a lungo.
Ma la vita di un robot dura vent'anni, che pochi non sono.
I miei bulloni non erano più
lucidi e brillanti come quando ero piccolo; presentavano graffi,
usure evidenti e avevo perfino un buco nell'addome che però
non mi aveva mai causato problemi.
Ero lì in piedi, con la batteria
al 1% che lampeggiava dietro i miei occhi: la mia famiglia, ero
sicuro, aveva tenuto il conto. Tutti noi teniamo sempre il conto di
quanto ci resta. Ma in quel momento i miei nipoti giocavano, i miei
figli erano a lavoro e mia moglie filtrava l'olio per cena: tutti
loro fingevano di essersi dimenticati di me. Sorrisi. Sapevo bene che
volevano accompagnarmi allo spegnimento senza drammi.
Ci nutrimmo, parlammo e ridemmo, come
sempre. Nessuno accennò al fatto che da lì a tre giorni
ci sarebbe stata la mia cerimonia, ore cinque del primo mattino. Ma
quel giorno arrivò e la mia mente resettò prontamente
gli impegni lavorativi.
Ero stanco e non riuscivo a camminare
bene: le ultime energie erano lì ad assistermi appena. Mia
moglie mi condusse sul patio della piazza, circondato da spirali di
metallo decorative e un buon profumo di olio fumante. C'erano proprio
tutti quelli che avevo incontrato durante la mia vita: mandavano
bagliori dal torace, ad intermittenza, per manifestare la loro
commozione.
Il capo città tenne un discorso,
ricordando ciò che avevo fatto per la comunità. I miei
nipoti erano in prima fila e mi salutavano incessantemente. Mia
moglie, 876, era splendida come sempre. Il suo bagliore era il più
bello di tutti.
Mi specchiai un'ultima volta negli occhi
di 876, avvicinammo la fronte l'uno all'altra, le trasmisi i miei
pensieri d'amore. Poi mi aiutò ad entrare nello scatolo e da
allora concentrai la mia attenzione solo alle volte sinuose della
cupola del patio.
Avevo già visto molte altre di
quelle cerimonie, perciò sapevo cosa mi aspettava: mi
avrebbero ricoperto di olio caldo allo scadere dell'ultimo residuo di
energia, quando i miei bulbi visivi erano ormai spenti. Avrebbero
chiuso il coperchio dello scatolo grande, a forma di rettangolo, dove
mi trovavo. Tutti gli scatoli venivano portati a sotterrare nella
Fabbrica Prima e Ultima; l'olio era composto da nano macchine che
disassemblavano il corpo nel giro di un mese, come da rituale. E la
nostra anima raggiungeva i nostri antenati.
Provai a rilassarmi. Che cosa mi sarebbe
mancato di quella vita? Tutto ciò che riempiva la mia mente in
quel momento era mia moglie.
I bagliori degli altri si fecero più
intensi ma io, loro, non li vedevo più: le pareti di metallo
dello scatolo erano alte, potevo vedere solo quei riflessi sulla
cupola. La batteria lampeggiò di rosso dentro la mia testa per
qualche minuto; fu in quel momento che avvertii una voce. Disse: “
Spegnimento tra tre, due, uno...”
Due
Presi una boccata d'aria improvvisa
cercando di alzarmi, ma sbattei la testa contro un lastrone a pochi
centimetri dalla mia faccia. Ero disteso, bloccato e confinato in uno
spazio minuscolo, che si estendeva maggiormente solo in lunghezza,
appena in larghezza, ma quanto a spessore potevo toccare con il naso
il soffitto.
Ero coperto di blocchi duri e di una
sostanza unta; non potevo muovermi granché. Il respiro si fece
affannoso, ma lì dentro l'aria finì presto. Mi aggredì
un dolore dietro la fronte, cercai di portarmi le mani in quel punto,
ma non potevo sollevarle e non riuscivo nemmeno a farle strisciare
fino a sopra. Diedi un'altra botta al soffitto, divincolandomi.
Immagini cominciarono a passarmi davanti agli occhi, a sovrapporsi al
buio; erano scene che non capivo, ritraevano cose che non
comprendevo. Urlai. E' la prima cosa che ti viene in mente, l'unica a
cui puoi appigliarti in una situazione del genere. Gridai tanto che
la gola mi si graffiò e quindi continuai a gridare ma
piangendo.
Un tonfo improvviso colpì il mio
soffitto. Inizialmente mi zittii, poi gridai ancora. Volevo che mi
tirassero fuori da lì ma non possedevo le parole per
esprimermi. Dalla mia bocca uscirono ancora dei suoni privi di senso,
ma dovevo provarci.
« Sto aprendo, sto aprendo! »
Quella voce mi bloccò all'istante;
la capii. Io e tutto ciò che avevo attorno venne sballottato
mentre i rumori ricominciavano sul soffitto, colpi decisi e ritmici.
Poi si aprì uno spiraglio, mi voltai in quella direzione e mi
assalì aria fredda. Il soffitto si sollevò del tutto e
venne buttato oltre la mia visuale. Davanti alla mia faccia avevo
qualcosa che mi guardava.
« Ciao, scusa l'attesa. Nessuno ci
aveva mai messo così poco a svegliarsi! Comunque...
ricapitolazione generale. Non spaventarti. Io sono un uomo, come te.
Ora ti aiuto ad uscire da questa dannata melma. »
Tutto il mio corpo era rigido e
impietrito. Mi lasciai sollevare da lui quasi fossi un peso morto.
Ero molto più piccolo di lui: me ne accorsi quando mi aiutò
ad uscire da quel contenitore e mi adagiò in piedi sul
pavimento. Gli arrivavo al bacino.
Si accovacciò di fronte a me,
sorridendo. Mi poggiò le mani su entrambi i gomiti, le sue
dita quasi chiudevano la circonferenza delle mie braccia.
Mi investì una scarica di liquido
gelido; lo sentivo sotto la pelle, diradarsi da sotto i suoi palmi e
diffondersi rapidamente per tutto il mio corpo. Guardai il mio
gomito: sotto le dita di quell'uomo c'era una luce bianca difficile
da fissare senza provare fastidio.
« No no, guarda me. Negli occhi. »
Obbedii, concentrandomi sulle sue pupille
immobili. Passò qualche minuto, poi allontanò da me le
mani e la sensazione di gelo nelle vene terminò all'istante.
« I ricordi cominciano ad arrivare?
Riesci a dire qualcosa? »
Stavo pensando a cosa dire quando me ne
accorsi. Avevo nella testa la terminologia giusta, le nozioni utili e
d'un tratto potei perfino descriverlo. Aveva la pelle chiara, i
capelli neri, era muscoloso, la faccia limpida, gli abiti comodi e
senza molti colori.
« Qualcosa... »
« Siamo anche simpatici! Bene. »
La simpatia ancora non avevo capito bene
cosa fosse, ma forse dovevo aspettare che l'informazione arrivasse.
Piano piano, il mio cervello stava subendo un aggiornamento; mi venne
da pensare che magari erano state proprio le sue mani a comunicarmi
tutto ciò che stavo registrando in quel momento.
« Che ci faccio qui? »
« Ti ricordi qualcosa di prima?
Prima di risvegliarti? »
Quelle parole sbloccarono in me altri
ricordi. Le mie dita in quei ricordi erano dure, metalliche,
vedevo colori diversi e davanti a me si paravano umanoidi per cui
solo in un secondo momento trovai parola: robot.
« Ero... diverso. Ero un robot? »
« Eri dentro
un robot » disse con fare semplice e con un sorriso
accondiscendente. « Anche io ero dentro un robot. Tutti qui
eravamo lì dentro. Siamo la loro coscienza, la loro anima.
»
« Spiegati meglio, ti prego. »
« A quanto pare nei robot il nucleo
vitale è biologico. Questo nucleo, grazie a delle nano
macchine che operano nell'olio di decomposizione, viene alimentato
durante il mese di riposo e da pura coscienza il nucleo si trasforma
in vita. »
Sgranai gli occhi. Qualcosa all'interno
dei miei ricordi, forse quelli che mi legavano ancora alla vita
precedente, mi comunicò meraviglia. Che ciò che lui
raccontava era assurdo. Sentivo che quell'uomo così rilassato
doveva essere più serio, più preoccupato, più
stupito. Così come lo ero io.
« E com'è possibile? Come
può... ? »
« Non chiedermi troppo, non ti
saprei rispondere. Il nostro mondo è privo di tecnologia,
conosciamo solo la meccanica e la magia naturale. »
« Magia naturale? » Il mio io
precedente poteva concepire la meccanica, ma cos'era la magia? Volevo
sapere, volevo conoscere tutto in quegli istanti, non volevo
attendere.
« Sei solo un bambino ora. Non
pensare troppo. »
Come intuendo l'intreccio doloroso dei
miei pensieri, mi passò la mano sulla testa. Si allontanò
da me verso la porta e io provai un senso di vuoto. Mi sentivo molto
più fragile, sensibile e indifeso di quando ero un robot. Gli
andai incontro, cercai la sua mano. Lui si voltò al suono dei
miei passi e mi afferrò le dita con dolcezza.
« Avrai una famiglia. Avrai un
nome. »
« E quale nome? »
« Il tuo nome puoi sceglierlo. Che
nome vorresti? »
Mi osservò pensare con curiosità.
Chissà quanti al giorno ne arrivavano come me; lui aveva
sempre la stessa pazienza?
« Attingi alla tua memoria »
m'incalzò.
« Nella mia memoria, i robot
avevano numeri come nomi. Mia moglie... »
E mi bloccai. Quella parola,
quell'individuo, mia moglie, mi apparve nel tempo di un battito di
ciglia.
« Tranquillo, è normale.
Lentamente la vita precedente si dimentica e puoi ricominciare. Ti
mancheranno gli affetti di sopra, all'inizio. »
« Di sopra? »
Lui prese un bel respiro. « I robot
abitano in superficie, noi abitiamo sotto terra, ma loro non lo
sanno. Il terreno assorbe i contenitori funebri che arrivano da noi.
I nostri antenati crearono dei binari che direzionano i feretri nelle
sale d'accoglienza. Apriamo gli scatoli, vi facciamo svegliare, vi
diamo una pulita... a proposito! Per di qua. Fai prima un bel bagno.
»
« E perché loro non lo
sanno? »
«
Scoprire che dentro di te c'è una
coscienza che in sé ha due nature, potenzialmente autonome...
non è proprio piacevole. No? »
Mi ritrovai ad annuire.
« Impazzirebbero. Farebbero
esperimenti sui nuclei biologici dei robot morti e noi non riusciremo
più a venire alla luce. Tutti farebbero carte false per
scoprire qualcosa solamente sull'esistenza o meno della propria
anima. »
« Ehi ehi » fece una donna in
lontananza, venendoci in contro. « Vuoi dirgli tutto nelle sue
prime ore di risveglio? Fallo riposare! »
« Non penso di volermi stendere,
almeno per un po' » confessai e la feci sorridere.
Era una donna avanti con l'età, i
capelli rosso scuro erano lunghi fino al sedere, l'abito che
indossava era sporco e lei sembrava aver appena finito di lavorare.
« Però un bagno serve.
Quell'olio addosso puzza terribilmente! »
« A me non dispiace... »
« Sono i tuoi ricordi da robot che
te lo fanno piacere. Ma, passato qualche mese, quel coso puzzerà
anche per te! Non so Bob come fa a lavorare all'accoglienza e ad
alzare quei coperchi ogni volta. »
« Mi piace tranquillizzarli quando
arrivano. E comunque adesso sono io il suo mentore, decido io se deve
lavarsi o meno » disse Bob. Solo quando la donna si allontanò,
sbuffando, lui si chinò accanto al mio orecchio. «
Lavati » sussurrò, poi mi lasciò la mano
lentamente e mi disse di entrare in una stanza piuttosto piccola. Lì
avrei trovato tutto il necessario per pulirmi.
« E pensa al tuo nome mentre sei
sotto la doccia. Lì i ragionamenti funzionano meglio. »
Dopo l'ultimo consiglio mi sorrise
agitando appena una mano, chiuse la porta e io mi ritrovai solo.
Un bocchettone scendeva dal soffitto, una
manopola posta in basso mi suggeriva di aprire l'acqua. C'erano dei
flaconi di sapone e un camice color senape piegato ad attendermi.
In quel momento realizzai di essere nudo
e me ne vergognai. La vergogna era un sentimento davvero angoscioso e
soffocante, non riuscivi a pensare più a nulla se non alla
vergogna. Ma ormai ero solo ed era inutile rimuginarci. Aprii il
getto di acqua e del vapore si sollevò in aria. Era calda e
piacevole sulla pelle. Per togliermi tutto l'olio ci misi molta
pazienza e molto sapone.
Con il mio nuovo camice profumato
girovagai per i corridoi senza trovare nessuno per un bel po'. Se
sopra regolavamo gli orari in base alla luce che proveniva dal cielo,
lì non sapevo come orientarmi: poteva essere primo mattino o
anche sera. Le strade erano ampie ma scavate nella roccia e perciò
buie. Desiderai avere la luce per poter vedere meglio dove andavo e
d'improvviso una debole lampadina cominciò a vibrare sopra il
soffitto, fino ad accendersi.
Rimasi stupito a fissarla. Bob mi
raggiunse. Sorrideva beato come sempre, calmo, come se niente potesse
turbarlo.
« Certo che il tuo nucleo biologico
doveva essere proprio complesso, eh. »
Non capii subito ciò che voleva
dire. Guardai la lampadina, guardai lui.
« Come si è accesa? »
Lui non mi rispose, ma tutte le luci sul
soffitto si accesero quasi nello stesso istante.
« C'è qualcuno che le
accende altrove? »
« Sono io ad agire sugli elettroni.
»
Avevo poche informazioni sull'argomento a
cui attingere. Sapevo che senza tecnologia, l'unica cosa di cui
potevano servirsi lì sotto era la meccanica. Ma allora come
faceva lui, fermo, ad agire sugli elettroni?
« E' magia. Magia elementale »
mi venne in soccorso Bob. Ma a me quelle parole continuavano a non
dirmi niente.
« E cos'è? »
« Un potere che risiede all'interno
della tua mente, che ti permette di agire sulla Natura, controllarla,
servirtene. Ma qui abbiamo delle regole, un'etica. Ne avrai di strada
da fare prima di poterla padroneggiare nel modo giusto, però è
lì, dentro di te. »
Il mio risveglio risaliva solo a qualche
ora prima perciò avvertivo dentro di me ancora radicate le mie
sensazioni da robot, che stavano convivendo con quelle nuove,
puramente umane. Sentivo in me crescere due tipi di emozione, la
repulsione e la curiosità d'apprendere.
« I robot non hanno la magia. »
« Sì, me ne ricordo. Anche
se dopo trent'anni i ricordi sono sfumati, posso assicurarti che
ricordo bene la vita sopra, la scienza. Qui non abbiamo la scienza. »
« Ma se sopra la usavamo, potremmo
ricordarla e usarla qui. »
« Ma non ne abbiamo bisogno.
Abbiamo le nostre capacità qui » mi spiegò
paziente.
Il ricordo della mia precedente vita
tornò in me prepotente. Immaginai mia moglie, i miei figli e i
miei nipoti e a cosa stessero facendo senza di me.
« Eri sposato? » gli
domandai.
« Sì. Ma ho ritrovato qui
mia moglie. »
La sua riposta mi fece drizzare la
schiena. Il mio sguardo si accese di speranza.
« Morì sopra poco dopo di
me. Quando arrivò, era mio padre l'addetto all'accoglienza di
questo settore. La prese e la riconobbe. Non ne era ancora molto
sicuro, perciò me la fece incontrare quasi immediatamente. Lo
capii all'istante che era lei. »
« Quindi... le anime hanno memoria?
»
« Certo. La memoria è nella
mente. Presto anche tu riavrai qui i tuoi affetti, potrai starci di
nuovo insieme, ricomincerà una vita, anche migliore di quella
che avevi sopra. Sai... gli umani vivono molto di più di
vent'anni. Devi essere paziente però. Devi smettere di
domandare, devi lasciare spazio al pensiero e alla concentrazione. »
La sua sembrò quasi una ramanzina
ma il tono dolce di voce che usava non me la fece apparire tale. Gli
sorrisi, carico di una nuova speranza.
« Ho deciso come chiamarmi. »
« Ah! E come? »
« Sull'etichetta del bagnoschiuma
c'era scritto Prometeo. Mi piace, voglio chiamarmi Prometeo. »
Bob sorrise dopo aver udito quel nome, ma
non era il suo solito sorriso.
fine
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