L'ultima lettera ad Attico

di La Mutaforma
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Al mio Attico, nella speranza di trovarti in salute,

ti spedisco questa mia lettera che non vorrebbe essere l'ultima, ma mi sembra già di sentire i passi dei sicari del traditore. So che stanno arrivando e cercheranno me, e io li aspetterò in casa mia, e se vorranno la mia lingua reciterà loro vecchie orazioni, per loro diletto, prima che mi sia tagliata la gola.

 

Ricordi Formia, e la sua aria tranquilla? Ricordi quanto ti piaceva questa vita? E mi ripetevi spesso che la vita da privato era sempre così, tranquilla e serena. Mi dicevi di dedicarmi ai miei studi in solitudine e quiete, come facevi tu. E pensavi che nella mia insistenza nella carriera politica ti facessi torto, ti disprezzassi. Voglio che tu sappia che ho sempre amato il tuo lavoro, e che non lo consideravo certamente inferiore ai miei tentativi di salvare Roma.

Disperati tentativi.

Adesso sento l'eco delle tue parole chiuse nel mio studio e accarezzo le carte che non riuscirò a studiare. Ho paura, Attico, ho paura. Fin dalla scuola, anche mentre eri ad Atene, non hai smesso di mandarmi le tue epistole, e io con gioia tutte le ho ricevute, lette e gelosamente custodite. E se c'è un oltretomba, so che mi spediresti le tue lettere affettuose anche lì, e io lì le aspetterei, e pregherei gli dei per un po' di carta, per poterti scrivere. Nessuno dei misteri del mondo su cui ci siamo tanto interrogati, no, ti scriverei di quanto è umido il luogo, quanto inospitale, o dei sogni che potrei fare. Troverei sempre qualcosa da dirti, ovunque mi trovi, mio caro Attico.

Te la ricordi la villa di Formia? La feci ricostruire dopo i fatti di Clodio. Questa doveva essere la casa della pace per me, un luogo adatto all'otium e alla tranquillità, perfetto per studiare e scriverti di quello che studiavo.

È giusto per me morire qui.

Spero di aver la possibilità di guardarmi intorno, quando sarà il momento, e rivedere la tua immagine contro il sole, mentre mi indichi la pace nelle terre che circondano Formia.

Potrebbe essere nostro, potrebbe essere tutto nostro.

 

Mi dispiace, ho cercato di salvare una città da se stessa, ho fatto sogni più grandi di me. Ma speravo di rendere il nostro paese più felice per i miei figli, per il nostro giovane popolo, per Roma e tutto ciò che rappresenta per noi.

Perdona la mia dolce colpa e la mia mancanza di pentimento. Hai reso possibile la mia idea di una società meno brutale, che vive di amicizie e di affetti. Mi hai aiutato a realizzare quel mondo nel mio mondo.

Non potresti aver fatto nulla di meglio per me.

Non dimenticare di scrivermi. 





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