僕は孤独さ – No Signal
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Parte seconda: il caso Kamata
«Inseguimento
del ghoul Serpente sospeso. Kuramoto
e Takeomi, occupatevi delle sezione C5 e C9. Aiko, chiudi le danze e mettilo in posizione. Gli altri,
che restino di supporto. Ora ci occuperemo del ghoul
di livello SS Haise.»
Take spiegò spicciolo come sempre la
formazione, impassibile nonostante stessero per attaccare un loro collega. Un
sangue freddo del genere poteva vantarlo solamente Arima
in tutto il ccg e, non a caso, quello era il suo
pupillo.
Tutti
e quattro si liberavano dei cappotti per prepararsi allo scontro, lasciandoli
cadere mollemente a terra e Kuramoto si voltò verso Masa, sornione come al solito «Tentacolo sinistro, tentacolo destro e
centro. Te lo sistemiamo bene bene, Ai.» le disse,
estraendo Senza dalla valigetta, lasciandola cadere al suolo con un piccolo
tonfo, «Vedi di non sbagliare angolazione.»
Mentre
i tre uomini si lanciavano in avanti, quinque sguainate
e concentrati nello schivare il grande kagune di Sasaki, Masa si voltò per
scrupolo verso il palazzo alle sue spalle, calcolando l’angolatura corretta «No
che non mi sbaglio…»
Lasciò
scivolare gli occhi verso il terreno, dove tre figure si stringevano fra loro,
come pulcini sotto la pioggia. Non aveva il tempo di osservarli troppo. Con la
lancia stretta in pugno, guardò Take asportare una larga porzione del fianco
destro di Sasaki, mentre Takeomi
e Kuramoto si preoccupavano dei tentacoli rossi, che
si muovevano senza una logica fendendo l’aria. Attese di vedere il kagune spezzarsi, poi li raggiunse a sua volta conficcando Inazami nel petto dell’obiettivo, precisamente nel polmone
destro, bloccandola contro il terreno e usandola come sbarra di appoggio per impalarlo
sul posto. Riuscendo ad impedirgli di avanzare, l’avrebbe avuto in pugno.
Dopo
di che aveva circa 0.1 secondo per capire come agire. Se avesse ritardato anche
di soli 0.05 millesimi, allora Take l’avrebbe ripresa. Un battito di ciglia e
aveva una siringa in mano. Due e Aiko aveva affondato
l’ago nell’occhio di Sasaki, senza sfiorarlo con
nient’altro. Tre e la lancia era caduta a terra, allontanata con un calcio
deciso. Quattro e Masa, facendo perno sulla sua
stessa gamba destra, era riuscita a girare il ghoul,
che con una mano l’aveva afferrata sulla schiena. Cinque e la ragazza poteva
giurare di aver sentito il proiettile che aveva impattato la schiena di Sasaki per sedarlo scuotere il suo intero corpo, rendendolo
molle e debole. Lo accompagnò nella caduta per non farlo crollare
rovinosamente, portando la mano sinistra dietro alla sua nuca, fra i capelli
bicolore, mentre con l’altra stringeva il suo braccio. Lo fece stendere, specchiandosi negli occhi normali e
spaesati dell’essere, prima di appoggiare entrambe le mani sul ginocchio.
«Con
calma, primo livello Sasaki.» gli disse dolcemente,
mentre Take le si avvicinava, facendo cenno al resto degli uomini che il codice
era appena diventato verde «Questa battaglia è stata lunga e impegnativa, si
prenda il suo tempo.»
«Io
sono…. Io sono….»
Masa assottigliò lo sguardo,
chinandosi di poco verso Haise per sentire cosa aveva
da dire ed evitando per un soffio la mano di quest’ultimo, scattata verso
l’alto nel tentativo di afferrarle la gola.
«Attenta»
la ammonì con voce pacata Hirako, senza particolare
entusiasmo.
Lei
stava quasi per rilanciare che si era accorta che la situazione non si era
ancora risolta del tutto, ma a chetare ogni animo di pensò l’associato alla
classe speciale Mado, appena arrivata con ancora
stretto in pugno un fucile di precisione. «Ci penso io da qui. Vi voglio tutti
quanti ad almeno quindici metri di distanza da Sasaki.
Anche i tuoi uomini, Hirako.»
«Subito,
Akira. Muoviti, Aiko, devi
farti medicare.»
Masa, che si stava rialzando
scrollando i jeans chiari all’altezza del ginocchio, lo guardò spaesata, ma lui
non le rispose a parole. Le alzò invece il braccio, prendendole il polso con
una delicatezza che non lo rappresentava. Aiko sentì
la pelle della schiena tendersi e bruciare e quando portò le dita alla zona
lesa, le ritirò indietro sporche di sangue.
«Ti
ha graffiata.»
«Grazie
Take, non l’avevo notato.»
Il
caposquadra la guardò con il solito lieve rimprovero negli occhi, prima di
schioccare la lingua contro al palato. «Smettila di fare la stupida, recupera
la quinque e fila a farti medicare. Ordine di-»
«Un tuo superiore» lei terminò la frase
per lui, dandogli una leggera pacca sul braccio mentre gli passava accanto per
recuperare Inazami. La impugnò con decisione,
usandola poi come bastone da passeggio mentre insieme al mentore si avviava
alle ambulanze. A terra, circondati da un paio di paramedici, c’erano ancora
gli stessi ragazzi che aveva notato prima. «Quindi questi sono i famosi Quinx» soppesò «Non sembrano molto forti.»
«Sono
giovani» rispose Take come se quella di Masa fosse
una domanda, mentre invece era una lapidaria osservazione «Chi lo sa cosa ha in
servo il destino per loro.»
Lei
lo guardò di sottecchi, annuendo lentamente per poi tornare a guardarli. Uno di
loro stava rimandando il suo sguardo. Sembrava offeso, ferito nell’orgoglio e
arrabbiato. Aiko non gli sorrise, ne disse niente,
limitandosi a girare le spalle mentre Kuramoto
iniziava a lamentarsi di quei tagli sulla sua schiena, di come li avrebbe presi
volentieri lui al suo posto.
Masa però non lo ascoltava. Pensava
semplicemente che la collera vestiva bene quegli occhi serpentini, che lei
aveva visto già sul volto di qualcun altro, in passato.
Capitolo dieci.
Urie
era rimasto in uno stato confusionale per quasi dieci minuti, dopo l’esplosione
della bomba. Quando aveva ritrovato il senno, in un inferno di fuoco, urla
lontane e macerie, si era prima di tutto chiesto come avesse fatto a
sopravvivere. La risposta era arrivata quasi immediatamente. La forza
dell’esplosione doveva avergli fatto perdere i sensi, ma il muro viola e verde
che lo circondava quasi interamente come il guscio di un uovo lo aveva protetto
dalla forza del fuoco, oltre che dalla maggior parte delle onde d’urto. Lo
toccò, sentendolo caldo, bollente, e comprese di cosa fosse fatto.
Il
kagune di Masa, che
spuntava dal pavimento dopo averlo penetrato dal basso, lo aveva isolato alla meno peggio dalla deflagrazione che lo
avrebbe ridotto a un pezzo di carne ben cotta, visto quando vicino si trovava
dal punto di innesco. Si era sollevato, sentendo le orecchie fischiare a causa
dell’acufene, adocchiando quattro altri piccoli involucri,
sparsi lungo la pavimentazione dalle mattonelle smosse, come se un gigantesco verme
le avesse sollevate dal basso. Da dietro una di essere, Hairu
Ihre si stava affacciando confusa, ma viva e quasi
per nulla scossa. Da quella accanto, anche il classe speciale Ui fece capolino, tenendo una mano alla testa.
«Masa!» chiamò, sentendo la sua stessa voce come lontana,
osservando come una delle piccole uova aveva preso a tremolare, aprendosi come
un piccolo bocciolo di rosa. Il kagune della collega
aveva retto bene all’esplosione, tanto da essere ancora ben attaccato al suo
corpo. Mentre scendeva dal bozzolo protettivo, tenendosi le mani alle orecchie
disturbate, la partner iniziò a ritrarne i tentacoli, che strisciarono sotto
terra per poi riemergerne di nuovo, seguendola mentre si avvicinava a lui.
«Stai bene?!» le urlò in faccia, mentre le appoggiava una mano sulla spalla.
Notò che dall’ultima protezione era emerso il corpo di Noriko.
Aveva perso i sensi, ma non aveva nemmeno una ferita sul corpo.
«Cosa?!»
gridò di rimando Aiko «Non ti sento!» sillabò,
portando la mano sulle labbra, per dirgli di leggerle. Poi, in un impeto, si
buttò contro di lui, abbracciandolo stretto. Urie rimase fermo, ma per poco.
Sollevò le braccia stringendola di rimando e appoggiando la fronte alla sua
spalla, sollevato.
Sto bene, si stavano dicendo a vicenda,
e sono felice che anche tu non abbia
perso arti.
Dal
momento in cui si ritrovarono, le cose presero a muoversi molto rapidamente.
Arrivarono poliziotti, altri agenti dislocati nelle sedi vicine della seconda e
della quarta circoscrizione e le ambulanze. Loro due stavano bene, ma aiutarono
i paramedici a spostare i feriti dalla confusione della scena, fatta di pezzi di
cadavere, pozze di sangue e detriti. Soprattutto vetrate che, in un paio di
casi, erano state la causa del decesso di qualche vittima.
Mentre
tutti iniziavano a fare domande, fotografavano la scena e parlavano con il
direttore Washuu, accorso immediatamente nonostante
non fosse di servizio quel giorno, Masa aveva
iniziato a vagare per quello che ormai era uno stanzone vuoto, privo di pareti.
«Quella
dovresti spegnerla per buon giusto» le disse, quando Aiko
si accese una sigaretta.
«Anche
Koori sta fumando» gli fece notare senza peli sulla
lingua lei, prendendo un tiro, prima di chinarsi su un busto straziato. Inclinò
di lato il capo, osservandolo con attenzione, poi lo guardò «Hai dei guanti di
lattice, vero?» Kuki annuì, passandogliene un paio
neri e guardando poco convinto la sigaretta che lei gli stava chiedendo di
reggere mentre faceva ciò che aveva in mente. Con cura, Masa
prese a toccare il busto, portando una mano sotto e sporcandosi di sangue la
manica del trench. Prese quindi a tirare con delicatezza, allargando una ferita
con l’indice, fino a che non riuscì nel suo intendo.
Sollevò
di fronte al viso quelli che sembravano tre fili tenuti insieme da una vite, un
cilindro metallico e un fil di rame circondato da quella che a colpo d’occhio
gli parve una molla «Cosa hai trovato?»
Lei
sorrise, mostrandoglielo, senza però permettergli di prenderlo. Col cavolo che
lo avrebbe fatto, in ogni caso, sporco come era «Questo, amico mio, è l’innesco
della bomba» gli riferì, orgogliosa di quella scoperta «Sai che ogni
dinamitardo ha una firma? Dentro alla bomba, solitamente, ci sono dei pezzi
disposti in un determinato modo, cavi tagliati con attrezzi unici o ritorti su
loro stessi per far si che sia riconoscibile il lavoro. Si chiama firma ed è particolare per ogni
attentatore.»
«Perché
dovrebbero firmarsi? Non è più semplice essere presi così?»
«Perché
i dinamitardi sono, per definizione, narcisisti. Amano rimanere nei paraggi,
assistere alle deflagrazioni, compiacersi del loro operato.» Masa fece una pausa «Cosa hai studiato in accademia?»
«I
ghoul, non faccio parte della polizia anti crimine.»
«Bene,
allora prendi nota: il nostro uomo è un perfezionista.» Aiko
fece una pausa, portando più vicino al viso l’innesco «Ha tagliato tutti i cavi
in modo perfetto, li ha uniti fra loro usando una pinza piatta, lavorando solo
metalli di qualità, niente di economico. Questa non è vecchia scuola, né
qualcosa che puoi imparare a fare su internet. Abbiamo a che fare con un
giovanotto, forse dai sedici ai trent’anni di età. Dovremmo controllare le
telecamere di sicurezza attorno allo stabile, per vedere se c’era qualcuno che
si stava godendo lo spettacolo.»
«Lo
faremo subito, secondo livello Masa, ma prima
dobbiamo scambiare un paio di parole.» una voce alle spalle di Urie lo fece
voltare. Di fronte si ritrovò un ragazzetto giovane, con i capelli biondi
paglierino pettinati con ordine e due grandi occhi nocciola. Addosso aveva una
lunga giacca nera e, sul braccio, una bada del medesimo colore con cucito in
rosso un tredici in numeri romani.
«Sì,
primo livello Nakarai» rispose con educazione Masa, alzandosi e mostrandogli ciò che reggeva in mano
«Immagino che l’indagine sia vostra, quindi dovrei darvi questo.»
«Ora
cerco una bustina» le rispose il giovane, prima di sospirare grave «Vado subito
al tasto dolente, non ho intenzione di girarci attorno: ci sono persone che
hanno detto di averti vista estrarre il kagune prima
dell’esplosione, con un anticipo da non sottovalutare. Puoi spiegare come
facevi a sapere cosa sarebbe successo?»
Gli
occhi di Urie tornarono su Masa, che rispose con
tranquillità «Certo che posso. Ho sentito l’odore.» fece un cenno verso il
centro dell’impatto, a pochi metri da loro, poi guardò anche il camion, che era
stato sbalzato indietro di qualche metro dal botto «Quando il ghoul è sceso dalla cabina, aveva in mano una borsa da
palestra, rossa e nera. Al mio naso è arrivato un odore dolciastro, che avevo
già sentito una volta, quando abbiamo smantellato un’organizzazione clandestina
insieme alla squadra Hirako, facendo detonare un
ponte di scambio. Ho capito subito che era piano di nitroglicerina.»
«Perché
ha un odore dolce…» soppesò Nakarai,
pensieroso, confermando l’informazione appena data da Aiko.
Urie,
spinto da un raro momento di cameratismo, si intromise con educazione
«L’olfatto di Masa è il più sviluppato tra i nostri»
gli fece sapere «Mi fiderei della sua perizia.»
«Senza
contare che ha provato a salvare delle vite, fra cui la mia.» il classe
speciale Ui si avvicinò, scavalcando un pezzo di
muro. Appena fu accanto a loro, Masa si riprese la
sigaretta, per finirla e fare compagnia all’uomo, che stava a sua volta
fumando. «Secondo livello Masa, con i mezzi e il
tempo, saresti in grado di ricomporre la bomba?»
«Secondo
le mie competenze forensi? Sì. Secondo il buon senso….»
La donna si guardò attorno, sospirando «Devono andarsene tutti. Chissà quanti
agenti e paramedici hanno attaccati alle suole dei componenti metallici e se li
porteranno a casa stasera.»
«Sgombriamo
tutto» senza mezzi termini, Koori iniziò a far cenno
ai suoi uomini di far spostare tutti dalla scena «Squadra Suzuya,
continuate ad indagare a partire dalla sorveglianza e dalla matricola del
camion» Nakarai annuì, allontanandosi in fretta verso
i compagni «Masa, tu pensa alla perizia scientifica
insieme ad Aizawa. Non lasciare niente al caso.»
«Sarà
fatto, Signore.»
Salutarono
con rispetto il classe speciale, poi Kuki tornò a
guardare Aiko. Non trovò i suoi occhi di rimando,
però. Con il naso puntato al pavimento, la ragazza aveva già iniziato a
setacciare ogni sasso per trovare pezzi in metallo o in plastica «Ci vorrà
molto?»
«Tutta
la notte» fu la risposta candida di Masa, «Chiamiamo
il resto della squadra, ho bisogno anche dei vostri occhi. Poi penserò da sola
alla fase di montaggio, ma non posso trovare ogni singola vite da sola.»
«…Vite?»
«Chiamali,
Urie. Abbiamo una scena del crimine di sessantadue metri quadrati e anche
l’esterno. E procurami delle bustine di plastica per la raccolta prove, per
cortesia. E altri guanti!»
Lui
alzò le mani, «Poi mi spiegherai dove hai imparato queste cose.»
«In
America» rispose sbrigativa, prendendo quello che sembrava il cappuccio di un
cilindro in plastica nera del raggio di cinque centimetri e esaminandolo per
bene «E durante il master. Dovrò spiegarti piuttosto come si raccolgono e si
catalogano le prove, quindi sbrigati.»
Capendo
il punto, Kuki si allontanò in fretta, ma non sarebbe
tornato subito. Da una delle zone più esterne di quello che una volta era
l’atrio della sede centrale, insieme a molti altri colleghi, Shukumei lo stava salutando. Quando gli fece cenno di
avvicinarsi, sventolando il blocco note, Urie comprese che sarebbe stato meglio
fare prima la telefonata.
La
giornalista non l’avrebbe lasciato andare facilmente.
♠
Masa non fu per niente vaga quando
disse a Urie che ci avrebbero messo tutta la notte a trovare ogni singolo
componente della bomba. Alle sette del mattino riuscirono a tornare a casa, con
Saiko che si era addormentata ore prima con la faccia
appoggiata sulla schiena di Sasaki, il quale era
stato incaricato della repertazione di ogni singolo
schifosissimo pezzetto di plastica o fil di ferro da due millimetri. Aiko non tornò con loro. Non la videro fino alle due di
quel pomeriggio, presa dall’assemblaggio della bomba, che portò a termine con
successo nonostante molti pezzi mancassero. Alcune parti di quel puzzle suis generis le arrivarono dall’ospedale o
dalla sala autoptica, estratti dai cadaveri e dai feriti. Ebbe così modo di
farsi perdonare da Aizawa, che venne coinvolto in
ogni fase della ricostruzione, al termine della quale spiegò tutto quanto a Tamaki, prima di rientrare allo chateau.
Per il rapporto avrebbero dovuto aspettare. Aiko
infatti aveva preferito dormire almeno
quattro ore prima di quello che sarebbe stato il raid iniziale dell’operazione Kamata. Sasaki aveva provato a
dirle di non unirsi a loro e di riposare, magari concentrandosi sul caso
dell’assalto nella sede centrale, ma lei non aveva voluto sentire ragioni.
Sarebbe
andata con loro.
…Se ne sarebbe pentita in fretta.
Aveva
avuto il sentore che quella serata sarebbe andata male quando, mentre parlava
al cellulare con Kuramoto durante lo spostamento in
camionetta verso quella che sarebbe diventata una zona di guerra, si era
sentita dire da Take tutte quelle raccomandazioni puntigliose che per due anni
e mezzo si era sorbita ogni singolo giorno.
Non perdere
tempo. Non buttarti a capofitto, ma pensa razionalmente. Non fare l’eroina.
La
trinità di Hirako, sentita così tante volte che ormai
Masa poteva distintamente immaginare la faccia con
cui le aveva spiattellate dall’altra parte della cornetta. Poi c’era stato il
raid vero e proprio. Smantellare la palazzina non era stato difficile,
soprattutto perché dava direttamente sul porto e quindi chiudere i ghoul si era rivelato semplice, tagliandogli la sola via di
fuga che avevano. Non c’erano stati soggetti particolarmente forti, solo
livelli A, qualche A+, ma niente di davvero degno di
nota. Hoiji aveva poi mandato i Quinx
a controllare una casetta sulla spiaggia, poco distante e collegata da un sentiero di assi di legno
nella sabbia alla palazzina principale. Sasaki aveva
ordinato a Saiko e Mutsuki
di seguirlo nel controllare l’esterno, lasciando agli altri tre la casetta.
Lì
dentro avevano trovato una sorpresa ben poco gradita. Una botola chiusa con un
lucchetto, che fu semplice far saltare in aria. Più difficile fu la visione di
ciò che quella botola nascondeva. A decine, giovani donne mezze nude, tenute la
sotto al buio e al freddo.
«Ora
vi facciamo uscire!» aveva urlato Shirazu, cercando
una scala, ma Urie lo aveva trattenuto. Quelli erano tutti ghoul.
Una parte delle femmine che il clan Noburiko
costringeva a prostituirsi. La visione fu così penosa che nessuno disse nulla,
nemmeno quando vennero affiancati dalla squadra principale. Gli uomini di Hoiji fecero uscire ogni singolo soggetto, sopprimendo sul
luogo solo coloro che cercavano di azzannarli, sicuramente spinti da una fame cieca.
A giudicare dalle loro condizioni, non si nutrivano da molto. Il resto di loro,
una ventina di ghoul, venne spostato nella Cochlea. Venne poi impartito l’ordine di controllo di un
terzo stabile, disabitato, nel quale alcuni ghoul
erano stati visti scappare. Il classe speciale diede direttive su come dividersi
in quadranti e ai Quinx toccò il lato ovest.
«Ci
dividiamo di nuovo in due gruppi.» Sasaki, che aveva
subito l’impatto di quelle immagini forti più di qualsiasi altro membro della
sua squadra, mantenne un certo controllo. «Shirazu e Saiko verranno con me. Entreremo dalla porta ovest, mentre
Urie, Masa e Mutsuki
cercheranno una via di accesso dalla parete che fa angolo verso nord. Cerchiamo
di chiudere in una morsa chiunque ci ritroveremo di fronte per attaccarlo tutti
insieme. Schema di azione Q5.»
Si
separano in silenzio, iniziando quell’ennesima operazione e sperando di non
incontrare nessuno. Akira diede il via alle danze
dalla trasmittente e Urie fu il primo a scavalcare la finestra, porgendo una
mano a Mutsuki che si tenne alle sue spalle per fare
lo stesso. Dentro era così buio che quando Masa li
ebbe raggiunti, non poté trattenersi dall’accendere una torcia, che tenne con
la mano libera da Inazami, illuminando l’ambiente
circostante con il fascio luminoso ad altezza spalla.
Inspirò
quindi l’aria, alzando il mento «Via libera sul corridoio di destra.»
Urie,
che stava a sua volta fiutando quello di sinistra, annuì piano «Aria stantia,
probabilmente un vicolo cieco. Non credo che ci passi qualcuno da molto.
Andiamo a destra.» Si avviarono, tenendo le orecchie bene aperte sulle
comunicazioni. Fino a quel momento, nessuno aveva ancora trovato niente.
«Non
credete che sia stato orribile?» A spezzare il silenzio con un sussurro sottile
fu Tooru. Non lo fece con cattiveria o con
l’intenzione di creare zizzanie, ma quelle immagini brutali, quelle donne magre
e stanche, l’avevano scosso e non riusciva più a tenerlo per sé.
Ovviamente
si scatenarono le guerre puniche.
«No,
visto che quelli non sono esseri umani, perché dovrebbe dispiacermi?» fu di
fatto il diplomatico esordio di Kuki, che ebbe lo stesso effetto della prima pietra
scagliata.
«Figurarsi»
Masa non si fermò, mentre l’uomo accanto a lei non si
degnava nemmeno di chiederle cosa intendesse. Non l’avrebbe comunque finita lì.
Riprese a parlare quasi subito «Sei così insensibile che mi fai paura, Spock.
Come fai a non sentirti nemmeno un po’ toccato?»
«Sono
ghoul.»
«Sono
donne costrette a vendere il loro corpo a schifosi maiali per un pezzo di carne
ogni tanto. Tenute in scacco dalla paura e dalla violenza, probabilmente
picchiate e stuprate. Non è poi così diverso da ciò che succede a molte donne
umane. È disumano in ogni caso, dannazione.»
«Abbassate
un po’ la voce» suggerì Tooru, guardandoli in
tralice, mentre un leggero tremore parve diffondersi nelle sue membra. «Non
avrei dovuto parlarne.»
«Non
hai fatto niente di male, Mutsuki» lo difese
immediatamente Aiko, prima di prendere un respiro
profondo, abbassando il tono «Sono io che mi aspetto sempre qualcosa di più
dall’Omino di Latta qui presente. Ma perché, poi? Non hai un sentimento
altruistico nemmeno a cercarlo con un lanternino.»
Lui
ci mise poco a risentirsi «Non capisco cosa non ti sia chiaro del fatto che non
provo pena per i mostri. Non farne una questione personale da femminista. Non hanno
un’anima, non provano sentimenti come i nostri. Sono solo delle macchine
assassine, i nostri nemici naturali. Non provo pena per chi mi mangerebbe!»
«Vedi
quale è il punto? Io, io e io. Tu sei
così egoista, Urie. Sei un bambino viziato che vuole il giocattolo del momento.
Nel tuo caso, la promozione.» a quel punto si erano anche fermati, per litigare
meglio «Ma cosa ti importa dell’oggettivazione del corpo femminile? Magari
potresti anche essere uno degli stronzi che va a letto con loro, per quel che
ti importa. Tanto non hanno sentimenti, no?»
«Ragazzi…»
«Mi
stai accusando di cosa, di preciso? Di essere ambizioso?! Cosa c’entra?! Poi
proprio tu parli dell’oggettivazione del corpo femminile, che non fai altro che
andare in giro a darla?»
Oh. Questo è
esagerare, ma non sono pentito nemmeno un po’.
«Urie!»
Tooru portò le mani alle labbra subito dopo
quell’urlo inopportuno, sentendosi comunque abbastanza sconvolto da quella
mancanza totale di tatto. Urie si voltò verso di lui e gli parve prenderlo sul
personale a sua volta. «Chiedile scusa!»
«Perché
dovrei? Non starò qui a farmi fare la morale a qualcuno con la sua
reputazione.»
Masa però non si aspettava delle
scuse, no. Non sembrava nemmeno risentita. Lo guardava con gli occhi da gatta
nascosti nei buio e appena visibili grazie alla gioca luce della torcia,
impassibile. Forse delusa, ma non gli avrebbe dato la soddisfazione di ferirla,
se era tutto ciò che voleva in quel momento «Questo è quello che pensi di me?»
rimasero fermi, a guardarsi e quando lui non la degnò nemmeno di una risposta,
lei allora parlò nuovamente «Sai cosa penso io di te, invece, Urie Kuki? Che tuo padre si vergognerebbe dello stronzo che sei
diventato.»
Ancora
una volta, il secondo livello non rispose. Girò semplicemente sui tacchi,
prendendo un altro corridoio, come se quella fosse la sua risposta alla
provocazione di Masa. Non voleva mostrarle quanto
quella frase l’avesse toccato, quanto arrabbiato fosse e quando, sotto sotto, credesse che quelle parole fossero veritiere. Così
si distaccò da loro, in modo anche abbastanza stupido, ignorando Mutsuki che lo richiamava ricordandogli lo schema e che si
sarebbe messo in pericolo. Non voleva più respirare la stessa aria di Aiko, aveva bisogno di levarsela di torno, di pensare e
magari di scongiurare quel minimo senso di colpa che aveva provato nell’esatto
momento in cui le dava della troia. Lei però aveva giocato sporco come suo
solito, arrivando a scomodare suo padre. Quello era il solo modo che aveva di
ferirlo davvero e lo sapeva, lo sapeva eccome. Lo aveva detto lei stessa,
durante la loro prima indagine, che era una profiler
e che il suo lavoro era quello di entrare nella mente della gente.
Con
lui ci era riuscita molto bene.
Si
lasciò prendere dalle emozioni che tanto scongiurava, tirò un calcio a una
sedia rotta riversa sul pavimento e si fermò come un fesso in quella stanza
vuota, vagamente illuminata dai raggi lunari. C’erano giorni in cui li odiava
tutti, momenti in cui sperava di rimanere solo al mondo. C’erano momenti in cui
si chiedeva perché fosse costretto a sopportarli, a vedersi intralciato e
scavalcato da un ghoul e i suoi piccoli, stupidi
sottoposti.
E
c’erano giorni in cui lo stupido era lui. Quello era uno di quegli ultimi
giorni.
«URIE!»
Non
fece in tempo a voltarsi che qualcosa di duro lo colpì con forza sulla nuca,
facendolo sbilanciare in avanti. Cadde a carponi sulla pavimentazione sporca,
mentre un lampo argentato illuminava la stanza in una frazione di secondo,
facendola ripiombare in un silenzio statico e oscuro. Portò la mano alla zona dolorante,
sentendo la stoffa impregnarsi di sangue.
Non
aveva idea di cosa fosse successo, tutto si era verificato nell’arco di un
grido e a essere urlato era stato il suo nome. Gli bastò voltarsi per
comprendere che a colpirlo era stata la parte finale di Inazami,
quella opposta alla lama. Non gli ci volle molto nemmeno a capire il motivo per
cui Masa lo aveva fatto cadere. Una serie di squame
d’argento si erano conficcate nel muro, alcune sul pavimento e ora riflettevano
la luce lunare, brillando. Guardando la traiettoria, Urie si sarebbe ritrovato
decapitato se non si fosse spostato.
La
parte peggiore era un'altra. Masa gli aveva impedito
di morire, ma era stata colpita a sua volta da qualche scheggia. Una le usciva
dal centro del petto.
Un’altra
l’aveva colpita alla gamba, staccandola di netto.
♠
Il
caso volle che quell’ukaku non fosse interessato a
loro, ma che quelle schegge di kagune fossero il
risultato di uno scontro che si stava svolgendo all’esterno della struttura.
Questo diede il tempo a Tooru di chinarsi su Masa per aiutarla. Ci fu più sangue che parole di
incoraggiamento, così come il rifiuto categorico di Aiko
di lasciarsi soccorrere dal compagno. Ci volle l’intervento di Haise, che riuscì ad estrarre quella squama acuminata,
finendo per ferirsi a sua volta le mani e che, in un modo o nell’altro, riuscì
a calmare la mora che pareva essere uscita totalmente di testa.
«Va
tutto bene!» continuava a ripeterle, tenendole il viso fra le mani, mentre lei
si dibatteva, tenendosi la coscia, con gli occhi puntati sul terreno come se
non vedesse nulla, in realtà. «Stai già guarendo, guarda.»
Aveva
ragione, come fili sottili, gambe di ragno slegate da un corpo, i tessuti della
ragazza iniziavano a ricompattarsi da soli. Non ci volle molto, una manciata di
minuti che quasi tutti passarono attorno a lei, chi con una mano sulla spalla o
chi, come Shirazu, a cercare di distrarla con tutte
le volte che era stato lui a perdersi dei pezzi. Senza contare che Masa aveva un kagune di tipo rinkaku, quindi godeva di capacità rigenerative a dir poco
straordinarie, grazie alla consistenza fluida che avevano le sue cellule rc. In poco fu come nuova e venne rimessa in piedi dai suoi
compagni, che la guardarono sollevati riprendere colore.
«La
prima amputazione non si scorda mai» le stava dicendo il caposquadra,
offrendole un braccio per aiutarla a spostarsi per la stanza buia. «So che è
strano vedere pezzi di te sparsi per una stanza, ma posso assicurarti che è
possibile farci l’abitudine.»
Urie
si era tenuto a distanza, inquietato dalla reazione della sua partner, alla
quale fra l’altro doveva la vita di nuovo. Aveva visto i suoi occhi perdere il
contatto con la realtà e l’aveva sentita dire qualcosa di strano, a cui però
non trovava un senso logico.
“Non
farlo di nuovo, migliorerò.”
Masa ebbe un secondo crollo al
termine dello sgombero, ma non fu di natura psicologica come il precedente. Ebbe
un cedimento sul piano fisico, reduce da una nottata di fuoco che si concluse
solo quando l’alba era visibile sul pelo dell’acqua dell’oceano che baciava il
porto. Si addormentò sulla camionetta mentre facevano ritorno al quartier
generale e a portarla nel tragitto dall’auto alla sua camera da letto fu Sasaki.
Il
mentore si prese cura della ragazza tutta la mattina, premurandosi solo di
lasciare a Saiko il compito di svegliarla e aiutarla
a cambiarsi.
«Per
una persona che è famosa per non fare gioco di squadra, non si sta molto
risparmiando» fu tutto ciò che ebbe da dire Shirazu,
con le mani appoggiate sulla nuca e l’espressione pensierosa «Allora proprio
tutti possono migliorare, Uriko.» concluse senza
mancare di spedire una frecciatina direttamente all’altro ragazzo presente nel
corridoio in quel momento, mentre Tooru ridacchiava
piano.
«Quando
si sveglia, dovresti davvero scusarti per quello che hai detto.»
Abbandonato
anche da Mutsuki, che pareva essersela presa più di Masa per le insinuazioni fatte durante il raid, a Kuki non rimase molto da fare se non andare a sua volta a
dormire qualche ora, godendo della giornata che avrebbero avuto libera. Doveva
stilare il rapporto, ma si concesse di essere pigro e farlo solo al risveglio,
almeno per quella volta.
Masa non si vide per il resto della
giornata, fino all’ora di cena. Sembrava ancora pallida e provata e si scusò
sentitamente con tutti loro per averli fatti preoccupare. «La prossima volta
che Haise mi dirà di dormire, dormirò. Promesso.»
concluse quel discorso, alzando le mani quando il mentore le fece notare che
non era lì solo per dire cazzate, sempre con il solito sorriso gioviale sulle
labbra.
Non
mangiò con loro, in ogni caso, sostenendo che aveva da finire il rapporto
sull’indagine preliminare sulla ricostruzione della bomba. Con questa palese
scusa prese il suo piatto, strisciando di nuovo al piano di sopra, indossando
come al solito solo una canottiera chiara e un paio di culottes blu scuro sotto
a un kimono da casa, leggero a fiori.
«Avresti
dovuto prenderti cura tu di lei, non Sasan. È la tua
partner e ti ha salvato il culo. Devo per caso ricordatelo di nuovo?»
Quella
che arrivò come l’ennesima provocazione della giornata da parte del suo
caposquadra stupido, fece irritare moltissimo Urie, al punto tale che arrivò
anche a chiedersi perché diavolo avesse smesso di indossare le cuffie durante i
pasti. Lo guardò, in silenzio, decidendo di non rispondere per non essere
sgarbato. Fatti i fatti tuoi,
riusciva solo a pensare, che la tua
partner non riesci nemmeno a farla alzare in tempo dal letto.
«Guarda
che ha ragione» a sorpresa, anche Saiko sembrò decisa
a prendere una posizione in merito «Non ti stai comportando bene per niente.»
«Andiamo,
ragazzi.» Haise cercò di placarli «Io sono il vostro
responsabile e-»
«Non
sei nostra madre.» Yonebayashi non cedette terreno «…La mia sì, ma non sei la mamma di Masa.
Senza contare che non è una bambina, sarebbero bastati un paio di gesti da
parte sua, tutto qui.»
«Quanto
meno» anche Tooru si sentì in vena di sputare
sentenze, a detta di Kuki «Dovresti interessarti.»
«O
almeno far finta che ti importi qualcosa di noi.»
«Shirazu…» Sasaki annuì, cercando
di essere severo nel farlo e ottenendo come solo risultato un’occhiata da parte
del suo caposquadra. «Non stiamo facendo un processo a nessuno. Ora smettetela,
mangiate e filate e completare il rapporto. Solo Aiko
me l’ha consegnato.»
«Levatemi
una curiosità.» la voce di Urie non sembrava irritata, al contrario del suo
sguardo serpentino che passava da un viso all’altro, indagatore «Chi ha
scommesso cosa? Perché se c’è tutto questo interesse verso cosa faccio o non
faccio nei confronti della mia compagna di indagini, ci devono essere molti
soldi in palio.»
«Non
si tratta della scommessa, brutto imbecille!» come volevasi dimostrare, Shirazu scattò, inveendo contro di lui «Si tratta del
cameratismo che abbiamo fra noi. Masa è una nostra
compagna e per quanto stramba, si impegna a uniformarsi a noi. Tu invece, che
sei quello che è qui da più tempo, cosa fai?! Un bel niente, Urie!»
«Ora
basta!» a sorpresa, Sasaki alzò la voce «Non tollero
che vi rivolgiate così l’uno all’altro. Shirazu,
smettila.»
La
sedia di Urie strisciò sul pavimento e con un gesto secco, il ragazzo cacciò il
tovagliolo al centro della tavolata, «Mi è passata la fame.» fu tutto quello
che disse, prima di lasciare la cucina, andandosene al piano di sopra.
Nessuno
disse nulla, eccetto Haise che prese un bel respiro,
scostando il piatto vuoto che aveva di fronte giusto per scena, incrociando le
braccia sul tavolo. Lì nascose il viso esasperato, decidendo di prendersi
qualche secondo per cercare di capire come fare per far diventare quel gruppo
di giovani una squadra.
Sembrava
fallire ogni tentativo.
Per
rispetto ad Haise, Shirazu
lasciò perdere l’argomento, reclutando Mutsuki e Sasaki per un giro notturno in centro e una bevuta veloce
prima di buttarsi a letto nuovamente, ancora un po’ provati dalla nottata
precedente.
Soprattutto
Sasaki, che non aveva ancora chiuso occhio.
Saiko invece col cavolo che si sarebbe arresa. Piazzò un muffin al cioccolato in
mano a Urie, con decisione tale da rischiare di spappolarlo, prima di dire con
tono pretorio che lei sarebbe andata a finire una campagna a CoD, mentre lui avrebbe dovuto impegnarsi a tenere un po’
di compagnia ad Aiko.
Urie
avrebbe potuto tranquillamente riportare il dolcetto in cucina e ritirarsi
nella sua stanza, magari a dipingere. Doveva finire un quadro da quasi due
mesi, continuava a non ritenersi soddisfatto dei giochi di luce sulla tela, ma
qualcosa gli disse che scappare non sarebbe servito a niente.
Per
questo si armò di pazienza e arrivò di fronte alla porta della stanza della
partner, bussando un paio di volte. Tempo due secondi e lei gli diede il
permesso di entrare.
La
camera di Aiko era più piccola rispetto alla sua, ma
leggermente più grande dello stanzino in cui dormiva Shirazu.
Era allungata, visto che costeggiava le scale, e in fondo ad essa c’era un
letto a una piazza e mezzo con un semi baldacchino avvolto da fili e fili di
lucine natalizie. Quella era la sola fonte di luce, insieme a una piccola
lampada appoggiata sul comodino alla destra della ragazza, che lo guardava con
la solita espressione da gatta nera da dietro lo schermo del portatile.
«Ti
serve qualcosa?» domandò, fermando la musica e abbassando gli occhi sul muffin,
che lui le porse al volo. Lei lo prese, dandogli un morso mentre si scostava
per fargli posto. Ingerito il boccone, alzando la voce «Grazie Saiko!»
L’altra
non rispose, ma non c’erano possibilità che non avesse sentito.
«Ripeto:
ti serve qualcosa?»
Devo avere
pazienza, mi ha salvato la vita. Devo avere molta pazienza.
«Ho
pensato che magari ti avrebbe fatto piacere farmi leggere il rapporto che devi
consegnare domani al classe speciale Ui. Posso
correggertelo e magari migliorare qualche parte, se vuoi.»
Lei
lo guardò con le labbra socchiuse, prima di riprendere a mangiare con non
curanza «Fai schifo a chiedere scusa» gli fece sapere, facendogli cenno di
sedersi e ficcandogli il mano la cartellina che teneva aperta sul comodino e
nella quale si era appuntata l’intero rapporto in questione «Prego, divertiti.»
Lui
si accostò maggiormente alla lampada, iniziando a lavorare in silenzio e
lanciando di tanto in tanto occhiate al portatile di Masa.
Sullo schermo si stava consumando quella che sembrava un’accanita partita a
scacchi. Le lasciò fare la sua mossa, prima di chiedere delucidazioni riguardo
il nome della persona che stava sfidando «JHuang? Il
dottore?»
Lei
mugolò in assenso, guardando l’alfiere bianco spostarsi per minacciare la sua
torre «Ogni tanto non ha niente da fare e mi chiede di sfidarci.»
«Non
sembravi in buoni rapporti con lui, quella volta che siamo andati a parlarci.»
«Infatti
non sai molto di me.»
Il
desiderio di tirarle la cartellina e andarsene era forte, ma alla fine della
fiera era stato lui a comportarsi come uno stronzo. Quindi tanto valeva
scendere a compromessi con il suo orgoglio. La guardò allungarsi e afferrare
una scatolina dal cassetto del comodino, notando la presenza di un peluche
bianco su di esso. Doveva essere un gatto o qualcosa del genere. Gli sembrò
famigliare, forse lo aveva già visto da qualche parte, o uno simile.
«Sembravi
spaventata da lui.»
«Diciamo
solo che è una persona un po’…. Impegnativa.» senza nemmeno avvertirlo, Aiko prese da quella scatola tutto l’occorrente per fare
una canna. L’erba che aveva sequestrato a quei ragazzini compresa. La guardò un
po’ male, ma alla fine era la sua stanza e non poteva dirle proprio nulla
«Avevo paura che non avrebbe apprezzato la tua presenza lì.»
«Non
l’ha apprezzata, immagino.» lei annuì lentamente, appoggiando la cartina sul
computer, per andare ad aprire il sacchetto del tabacco «Per questo ti ha fatto
del male? È un amante geloso?»
Aiko lo guardò stranita, con il
filtrino di cartoncino fra le labbra e una ciocca di capelli che le ricadeva
sul viso, prima di iniziare a ridere «Ti sei fatto un’idea molto sbagliata di
lui. E di me. Ma di quello mi ero accorta prima.» continuò il lavoro certosino,
tenendo gli occhi sul tabacco che stava rullando sapientemente con le dita per
modellarlo «Gli avevo detto che andavo da sola ed è una persona molto esigente
sotto certi aspetti. Se dico una cosa, poi la devo fare. Non ama le sorprese e
temevo si sarebbe offeso e non ci avrebbe aiutato.»
Era
una bugia grande come il Giappone, ma Urie non se la sentiva di approfondire un
discorso delicato di quel calibro. Preferì girare la conversazione su qualcosa
di meno impegnativo «Invece questa abilità dove l’hai acquisita?»
Sorprendentemente,
lei sorrise divertita, prima di portare la punta della lingua sulla cartina per
chiuderla e godendosi l’espressione dell’altro che seguì il momento del muscolo
«Durante l’anno di interscambio con l’America.» lui continuò a guardarla,
chiedendo implicitamente ulteriori spiegazioni «Al secondo anno abbiamo vinto
un concorso di scambio con un’università di New York, dove abbiamo frequentato
l’accademia del FGI.»
«Federal Ghoul Investigations?
C’era la possibilità di partecipare anche quando frequentavo io» le restituì il
rapporto praticamente intonso e lei lo lanciò senza grazia sulla poltroncina
accanto al letto «Non pensavo fossi brava nelle materie pratiche.»
«Non
lo sono.» gli passò l’accendino e lo spinello e quando non ebbe reazioni
sospirò, accendendolo lei «Io e Takami non lo siamo
mai stati. Eravamo pigri, molto più di adesso. Però c’era questo nostro
compagno di corso, Kenzo, che era un piccolo genio. Voleva fare l’agente, ma
sarebbe stato un ottimo ingegnere se l’avesse voluto. Ha inventato questo
sistema di sblocco per la valigetta che invece di aprirsi, si sfila. In America
lo usano già, qui dicono che costi troppo modificarle tutte. Comunque, lui non
aveva amici e i gruppi dovevano essere almeno da tre. Ci ha arruolati con la
promessa che ci avrebbe portati a New York e l’ha fatto. Gli sono grata, mi ha
permesso di frequentare un sacco di corsi di criminologia molto affascinanti,
avanti anni luce rispetto ai nostri.»
«Kenzo?
Non credo di conoscerlo.»
Aiko prese un tiro, prima di
sorridere un po’ tristemente. Buttò fuori il fumo, guardandolo svanire nell’aria
di fronte a loro «Perché non eri ancora un investigatore quando è morto. In
servizio, a due mesi dal diploma.» a quel punto, quando la ragazza gli passò
nuovamente la canna, lui decise di accettarla. Stavano impelagandosi in
discorsi che non poteva affrontare nel pieno delle facoltà mentali «Peccato,
era un bravo ragazzo. Troppo ingenuo però, mi hanno raccontato si è fatto
prendere di sorpresa e l’hanno aperto in due come un gamberetto. Ogni tanto
ripenso a come, malgrado fosse un nerd sfigato, risultasse di compagnia. Era
una persona dolce. Mi manca.» Urie evitò il contatto visivo prendendo un tiro
di fumo, che soffiò fuori subito dopo, disturbato dal sapore amaro che gli era
rimasto sulla sua lingua. «Inspira» gli disse lei, alzando un sopracciglio
divertita «Stasera stai bruciando la prima tappa di ogni adolescente normale»
«La
droga?»
«La
trasgressione delle leggi.»
Kuki provò a fare come lei aveva
detto, ottenendo come solo risultato gli occhi lucidi a causa della tosse che
cercava inutilmente di trattenere. Masa ridacchiò,
guardandolo e lui, per orgoglio, ci riprovò un paio di volte, riuscendoci «Non
sento niente.» le fece sapere alla fine, ripassandole lo spinello.
Lei
lo prese fra le dita, sospirando mestamente «Deve essersi alzata molto la
nostra soglia di tolleranza. È stato così anche con l’alcool dopotutto. Prima
non reggevo niente.»
«Voglio
farti una domanda, ma so che mi daresti una risposta sgradevole e finiremmo a
litigare nuovamente» appoggiando la schiena al muro dietro di lui, Urie si
allungò sul letto. «Ho mal di testa, quindi forse è meglio se lascio perdere.»
Aiko lo guardò perplessa, prima di
spegnere il mozzicone nel posacenere e chiudere il laptop, che andò ad
appoggiare accanto alla scatola. « Posso prometterti di provare a non fare la
stronza, ma solo se anche tu proverai a trattenere la tua vena
insopportabilmente sarcastica.» propose sedendosi accanto a lui, con le
caviglie incrociate e le spalle contro la superficie fredda della parete.
Urie
deglutì, sentendo la bocca pastosa e la testa un po’ più leggera. Un minimo
effetto doveva averlo avuto, anche se non aveva perso in lucidità. «Difendi i ghoul, provi pena per loro, nonostante non ti abbia vista
mai indecisa durante gli scontri.» iniziò con le mani incrociate sul ventre e
gli occhi ben piantati di fronte a lui «Dopo tutto quello che ti hanno fatto,
le persone che hanno portato via, il dolore che è rimasto….
Come puoi farlo? Perché non li odi?»
Perché non sei
come me?
Aiko lo guardò sorpresa, voltando
il capo verso di lui e spiando il suo profilo a zone d’ombra a causa della
moltitudine di lucine che li circondava. E capì che per quanto storto e
bislacco, quello era un passo che Urie stava muovendo verso di lei, per
sotterrare l’ascia di guerra. Forse solo per capirla.
«Per
mio fratello» sussurrò alla fine, stupendolo al punto tale che alche lui si
voltò a guardarla. «Lui ha preso e se n’è andato dal giorno alla notte, senza
curarsi di dirlo nemmeno a nostra madre. La sua fidanzata mi odia, dice che è a
causa mia se non c’è più, che un ghoul deve essersi
vendicato di me uccidendolo, ma io sento che non è morto. È solo scappato via,
come un codardo. Se esistono persone così, che lasciano un’intera famiglia a
soffocare nell’angoscia e un figlio non ancora nato, perché dovrei odiare i ghoul? Loro mi hanno fatto del male, ci sono stati degli
istanti, due anni fa, in cui credevo che non sarei mai sopravvissuta
all’eredità dell’Anteiku. Mi svegliavo nel cuore
della notte, piangendo, immaginando un mostro per ogni angolo buio della
stanza. Avevo smesso di mangiare, ho perso dieci chili in tre settimane.
Soffrivo di insonnia e ho quasi smesso di lavorare. Poi, di punto in bianco, ho
realizzato che ciò che mi era capitato, gli orrori che avevo visto e vissuto,
erano solo un prezzo da pagare per la professione che mi sono scelta e che mai,
mai mi avrebbero ferita come la
consapevolezza che a mio fratello non importava un cazzo di me, così come a mio
padre. Di mia madre meglio non parlarne nemmeno, non vorrei deprimerti più di
quanto tu non lo sia già.»
C’era
qualcosa di incredibilmente devastante negli occhi di Masa,
mentre gli raccontava ciò che provava in merito alla sua famiglia. Urie, che
aveva perso i suoi genitori da bambino, non aveva mai pensato che forse era
meglio avere di loro un ricordo dolce, che sopportare il peso di una famiglia
inconsistente. Non se la sentì di dire niente, però in un timido gesto di
affetto, appoggiò la mano sulla sua gamba nuda, poco sopra al ginocchio,
voltando poi nuovamente il capo per evitare di continuare a torturarsi di
fronte a quegli occhi malinconici.
Lei,
per risposta, prese quella stessa mano e la strinse alla sua, intrecciando le
dita.
«Ora
te la faccio io una domanda» sussurrò con tono basso, rispettando il suo volere
di non incontrare i loro sguardi e prendendo a fissare l’elaborata cucitura
sulla manica del suo stesso kimono «A vent’anni stai per essere promosso al
livello uno. Hai terminato l’accademia con dei voti d’eccellenza e sei entrato
a fare parte del progetto più folle e pericoloso che il ccg
abbia mai pensato. Immagino che tu abbia sacrificato molto per arrivare al
punto in cui sei, tutto ciò che ha tenuto me in piedi in questi anni: gli
amici, l’affiatamento fra colleghi e compagni di corso e anche l’amore. Mi
domando solo se tu credi che ne sia valsa davvero la pena. Se ogni rinuncia,
ogni singolo istante di solitudine, quel doppio strato di filo spinato in cui hai
avvolto il tuo cuore…. Tutto questo, è valso la
pena?»
La
risposta si stava rivelando più complessa della domanda stessa, perché lei non
aveva chiesto se ne era valsa la pena, ma se lui lo credeva. Gli stava
chiedendo di fare una stima di quegli ultimi quattro anni di vita, gioie e
dolori, fino ad arrivare a tirare le fila e decretare se il tenere gli altri
molto lontano da sé avesse avuto un effetto positivo o meno. Ripensò ad alcuni
fatti recenti, ad iniziare dall’assalto alla casa d’aste, al modo in cui Mutsuki aveva percepito l’agonia della sua solitudine e
aveva cercato di porvi rimedio, fino a ogni singolo giorno sotto quel tetto, a
discutere con i compagni di squadra semplicemente perché era lui a non essere
in grado di relazionarsi a loro.
Poi
pensò alla notte del suo compleanno, alle labbra di Aiko
che ora gli sedeva accanto e a ciò che aveva impedito che succedesse.
Se
ne era pentito? Parecchio. Lo avrebbe impedito di nuovo? Conoscendosi, di
certo.
Arrivò
quindi alla spiazzante conclusione che no, non aveva una risposta.
«Non
lo so» le rispose sinceramente, con tono incerto, il quale gli fece accapponare
la pelle. Masa era incredibilmente brava a capire le
persone. Troppo brava.
La
stretta delle loro mani si intensificò.
«Rischiamo
di morire ogni giorno, Kuki. Ogni singolo giorno può
essere l’ultimo e posso garantirti che il mondo non cambierà se tu avrai o meno
qualcuno al tuo fianco. Il mondo rimarrà esattamente lo stesso, a cambiare
sarai tu. Se hai qualcosa in cui credere, qualcuno per cui combattere, allora
lo farai più intensamente, con più coinvolgimento. Sarai un soldato migliore.»
Si
voltò di nuovo verso di lei, ma il suo sguardo non venne ricambiato «Non sempre
avere qualcuno a casa ti fa combattere meglio. Senza contare che, se muori,
coloro che restano devono sopportare un dolore che non ha mai fine. Preferisco
vivere da solo che far vivere a qualcun altro ciò che ho vissuto io.» Una singola
lacrima percorse la guancia di Aiko, che ancora
evitava i suoi occhi, mentre lui la fissava insistentemente, cercando di
rimanere impassibile nonostante quel discorso lo stesse pugnalando. Perché cazzo stai piangendo al mio posto?
«Tuo
padre avrebbe fatto qualsiasi cosa per tornare da te. Qualsiasi cosa.» si
interruppe, tirando su col naso e sciogliendo le loro mani per portarle
entrambe alle guance e asciugarle «Un genitore ha molta più paura di deludere
suo figlio che di morire. Almeno, un buon genitore e scommetto che lui lo era.
Scusami.» prese un respiro, stringendo gli occhi mentre il viso le si storceva
nella smorfia del pianto. Asciugò di nuovo gli occhi, prima di allungarsi verso
il comodino per afferrare un fazzoletto.
Lui
comunque non glielo permise.
La
prese per il braccio, poco sopra il gomito, tirandola verso di sé per farla voltare
e poi, senza nemmeno un minimo di esitazione, condusse la mano libera sulla sua
guancia umida, sporgendosi col busto e incontrando per propria scelta le sue
labbra salate in un bacio. Non fu nemmeno lontanamente come il primo che si
erano scambiati. Non era stato strappato un po’ a tradimento da Aiko, sotto i fumi dell’alcool e l’euforia, ma veniva
direttamente da Urie. Quella che era stata etichettata come la sera della sua
trasgressione sarebbe stata vissuta fino alla fine.
Masa smise di piangere, mentre le
loro labbra si accarezzavano con lentezza. Socchiuse gli occhi per spiare il
volto rilassato dell’altro e poi si staccò lentamente, continuando a guardarlo
con un mezzo sorrisetto, finendo di levare via le guance dal suo viso con i
palmi aperti «Scusa, deve essere la sindrome pre
mestruale» soppesò con divertimento, riuscendo a strappare un sorriso anche a
lui. Poi tornò seria, sistemandogli i capelli sulla fronte con la punta delle
dita «Ormai è tardi, Kuki. Se tu morissi, io sarei
distrutta. Non azzardarti a farmi questo, non tu.»
Ci
sarebbero state parecchie cose che avrebbe voluto chiedere Urie in quel momento,
ad iniziare dalla sua relazione con Ito, passando
alla vera natura di quella con il dottor Huang. Gli sarebbe piaciuto sapere
anche perché era sempre così ammiccante, perché flirtava con lui quando aveva
già altri uomini disposti a fare qualsiasi cosa per lei. A come riuscisse a
fargli perdere la testa, nonostante non fosse altro che una ragazza molto
comune. Voleva anche sapere cosa le passava per la mente quando i suoi occhi si
oscuravano, quando un’ombra attraversava le sue iridi e si chiudeva in se
stessa, ostentando una felicità che non provava davvero.
La regina dei
falsi.
Non
lo fece perché metà di quelle risposte non le voleva. Portò l’indice alla
cravatta, che si era fatta insopportabilmente stretta e ne allentò il nodo,
pentendosi di essere vestito nonostante non avesse messo il naso fuori casa. Aiko gliela sfilò completamente, mentre continuava a
fissarlo attraverso quei due medaglioni dorati che aveva al posto delle iridi.
Poi, con mani delicate, iniziò ad aprire uno ad uno i bottoni della sua
camicia, accarezzando lentamente la pelle che iniziava a scoprirsi sotto di
essa con la punta dei polpastrelli, come se gli stesse dando il tempo di
razionalizzare l’intera situazione e alzarsi, all’occorrenza.
Urie
non aveva intenzione di farlo e glielo dimostrò portando una mani sui suoi
fianchi e slacciando il cordoncino che teneva chiuso il kimono, il quale cadde
a terra seguito poco dopo dalla sua camicia nera. La tirò piano a sé, facendola
sedere sul suo bacino e sollevandole la canottiera fino al seno. Quando lei
alzò le braccia, con un sopracciglio alzato e un sorrisetto irriverente che lo
invitava a sfilargliela, la liberò anche di quell’indumento. Sotto non
indossava nulla, eccetto una sottile asticella argentata che attraversava il
suo capezzolo destro, tenuta ferma da due palline metalliche. Si fissò
parecchio su questo dettaglio, mentre le sue mani fredde le accarezzavano la
schiena nuda, facendola inarcare.
«Carino,
vero?» gli domandò scanzonata, inclinando la testa di lato e spiando le sue
reazioni, mentre la mano sinistra parava indietro i capelli viola di Kuki «So a cosa stai pensando e sì, sono una donna piena di
sorprese. Devi ancora trovare l’ultimo tatuaggio…»
C’era
qualcosa di intrigato nello sguardo di Urie, quando riuscì a scollare gli occhi
dal suo seno per osservarle il volto, quasi come a chiedere conferma di ciò che
aveva appena affermato, ma non gliene diede il tempo. Esattamente come un fuoco
tenuto controllato che prendere il sopravvento e brucia ossigeno
ingigantendosi, Urie si lasciò andare definitivamente. Prese fra le labbra
quell’asticella argentata, sentendo i dolci gemiti che lasciavano le labbra
della compagna. Motivato da quella reazione la fece stendere sulla schiena e
solo quando entrambi ebbero finito di spogliarsi, tornò a guardarla.
Lei
non sembrava a disagio nel trovarsi sotto di lui, completamente nuda ed esposta
ai suoi occhi. Gli permetteva di osservare ogni porzione del suo corpo dalla
pelle di alabastro e, al contempo, faceva lo stesso con quello allenato del
partner.
«Sapevo
che dovevi avere un grosso pregio.»
gli fece sapere, senza nemmeno avere l’accortezza di alzare gli occhi, ma aprendo
le cosce e tirandolo maggiormente a sé per baciarlo nuovamente, man mano che i
loro corpi andavano fondendosi, le loro carni unendosi.
Ansiti
e sussurri diventarono gemiti sempre più alti, mentre le carezze che
percorrevano la pelle bollente accrescevano di intensità fino a sfociare in
piacere puro.
C’era
qualcosa di lui che doveva aver toccato un nervo scoperto dentro alla giovane,
così come anche Masa era stata in grado di sfiorare
corde di Urie che il ragazzo non credeva
nemmeno di avere.
Continua…
♠
Nda ♠
Non credevo
che sarei mai arrivata a questo punto, e invece eccoci qui.
Urie,
il tuo fiore è stato colto.
Masa è un tipetto strano, uhm? Che idea
vi siete fatti di lei, dopo ben dieci capitoli.
Ho postato
a distanza di un paio di giorni per pura fortuna, perché ho tempo da dedicare
alla scrittura.
Sarebbe
bello se questo periodo di ispirazione continuasse.
Grazie
a chi legge!
Grazie
come sempre a Maia per la betatura del capitolo.
Alla prossima,
folks.
C.L.