Capitolo
I
Smell of Sea
“Mia Murdoc?”
Il professore, che a giudicare dal mio
orario doveva essere
un certo Molina, mi invitò a entrare nella classe con un
ampio gesto della mano
sinistra. Ero rimasta fino a quell’istante sulla porta, e
aspettavo solo un
gesto del genere. O meglio, non lo aspettavo per niente: odiavo entrare
in una
classe ed essere il soggetto di tutti gli sguardi.
“Ragazzi, questa è la
vostra nuova compagna” Feci un passo
avanti, e guardai i volti dei ventitré ragazzi fissi su di
me. Mi strinsi alla
spalla lo zaino, e inspirai profondamente, cercando di calmarmi.
“Vediamo… dove
potresti sederti?” fece il professore, con fare pensoso.
Pessimo attore, quello
era sicuro. “Ah, sì! Accanto alla signorina
Pollock”, aggiunse indicandomi una
ragazza mora seduta in terza fila, che toglieva lo zaino dalla sedia
accanto
alla sua. Mi avvicinai e mi sedetti, sempre a disagio.
“Ciao” esordii, per
rompere un po’ il ghiaccio. Odiavo i
silenzi imbarazzanti. Lei mi lanciò un’occhiata
distratta e tornò a guardare il
professore. Ricambiai il favore, sperando che si potesse notare che la
mia, di
occhiata, stava a dire “non ti costa nulla
rispondere!”. Ero piuttosto irritata
dal comportamento di quella ragazza, che avevo appena non-conosciuto.
Dato che
mi aveva totalmente snobbato, potevo pure esclamare, nel mio cervello
“bel
primo giorno di scuola!”
Sospirai. Mi mancava il profumo di brezza,
che sentivo
provenire dalla finestra della classe a Boston, dove abitavo fino a una
settimana prima. A Cheyenne non c’era quell’odore
che adoravo tanto. Mi sentivo
letteralmente un pesce fuor d’acqua, mi mancava il mare,
l’aria umida e un po’
fredda di Boston. Ma la cosa di cui sentivo più la mancanza
era mio fratello.
Da quando se n’era andato in Australia due mesi prima,
nessuno in famiglia era
più lo stesso: mio padre beveva molto di più, e
era costantemente immerso nei
suoi dipinti, sui quali spennellava per ore e ore; mia madre di
rinchiudeva
nello studio per ore e ore, e faceva progetti su progetti.
Ma era Lisa, mia sorella, la
più preoccupante: aveva quattro
anni più di me – ventuno, quindi – ed
era di costituzione robusta; ma da quando
nostro fratello Andreas se ne ara andato lei mangiava poco o nulla, ed
era
dimagrita in modo preoccupante.
Io e lui eravamo pappa e ciccia, sempre
insieme,
inseparabili. Avevo sperato che si sarebbe reso conto, prima o poi, di
quanto
tutti noi soffrivamo, e magari sarebbe tornato. Confidavo nel suo
buonsenso,
insomma, e per questo ero l’unica a non essere relativamente
depressa, in
famiglia.
Quanto al fatto del trasloco da Boston a
Cheyenne.. beh,
come potevamo “vivere in una casa dove aveva abitato anche
lui” come avevano
detto i miei? Neanche fosse morto, Cristo santo!
Ripenso a lui, molto, molto spesso,
soprattutto quando mi
guardo allo specchio. Siamo molto simili: gli stessi occhi nocciola,
gli stessi
capelli color cioccolato, e perfino la stessa linea morbida delle
labbra.
Sembra strano, raccontato così,
che una famiglia si disperi
così tanto per la partenza di un figlio. Il fatto
è che Andreas non aveva
semplicemente fatto le valigie e preso un’aereo per
l’Australia. Lui
era scappato, quindi non sapevamo se lo
avremmo mai rivisto. Era lui che fungeva da collante, in famiglia. E
forse
proprio perché era carico di questa
responsabilità se ne era andato. Non so se
la mia famiglia sarebbe stata nello stesso stato in cui si trovava in
quel
momento, se ad andarcene fossimo state io o Lisa.
La campanella suonò proprio in
quel momento, interrompendo,
per mia fortuna, i miei pensieri. Se avessi continuato su
quell’onda, probabilmente
mi sarei potuta mettere a piangere da un momento all’altro, e
non sarebbe stato
carino farlo di fronte a una classe piena di ragazzi che neanche
conoscevo.
Mi alzai dal banco e presi il mio zaino,
con calcolata
lentezza.
“Scusa per prima”. Mi
voltai, guardando sbalordita la mia
compagna di banco, che stava beatamente sbadigliando. Era una moretta
dai
grandi occhi verde/marrone, e mi sorrise imbarazzata.
“Sai… ho litigato da poco
con il mio ragazzo, e ho la luna parecchio storta”. Sorrisi
anche io: mi piacevano
le persone franche.
“Non preoccuparti”
dissi, cercando di rassicurarla “Capita a
tutti. Se non sono troppo invadente, potrei sapere
perché?” bell’argomento per
attaccare bottone: ragazzi.
“Oh, bè…
Lui dice che...” si bloccò, per osservare
attentamente
un ragazzo che stava uscendo dall’aula. Era un tipo niente
male, probabilmente
uno dei più carini del corso.
“Credo di aver capito il
motivo” risi, e lei mi guardò
stralunata. “Guardi troppo gli altri ragazzi, eh?”
le spiegai. Mi sorrise,
probabilmente avevo fatto centro. Forse era una di quelle ragazze che
“si
godono i piaceri della vita”, e probabilmente il suo ragazzo
era leggermente
geloso.
“Oh, ma tu sai solo il mio
cognome!” sbuffò lei, sbattendosi
una mano sulla fronte. “Io mi chiamo Lynn Pollock”
“Mia Murdoc” sorrisi.
“Hai biologia anche tu?”
“Si. Dato che sei nuova, devo
aggiornarti sugli ultimi
gossip!” esclamò lei, mentre entravamo nella
classe, che era delle più comuni:
con i banchi con le provette e una serie di microscopi. Ci sedemmo, e
il
professore non era ancora arrivato, ma quando lo fece, potei realmente
percepire l’ondata di ormoni impazziti che aleggiarono nella
classe.
“Buongiorno ragazzi”
disse, con voce profonda. Era davvero
un bell’uomo. Un bellissimo uomo: belle mani, bella voce, e
bella presenza.
“Allora… Mia Murdoc?”
domandò, e mi dovetti alzare, sorridendo debolmente.
“Benvenuta, Murdoc” disse, ricambiando il sorriso.
“Ti piace biologia?”
“In realtà non mi
attira tantissimo, ma la studio molto più
volentieri di altre materie.” Mentre parlavo, cercai di
stimare l’età del mio
nuovo e affascinante professore: secondo me, non arrivava ai
trentacinque anni.
“Lui è il professor
Bill Compton” bisbigliò Lynn.
“Che
rimanga fra me e te, ma ci sono delle voci di corridoio piuttosto
confermate
che abbia una relazione con una dell’ultimo anno, una mia
amica”
“Chi sarebbe la
fortunata?”
“Melinda Kerr.
Ottimi voti,
ottima parlantina, ottima
presenza, ottima cheerleader, e quasi diciottenne.”
“Forse la signorina Pollock ha
qualche interessante scoop da
proporci” la riprese il professore, con un sorriso ironico.
Noi abbassammo la
testa. Decisamente, non gli sarebbe di certo piaciuto sapere
l’argomento della
nostra conversazione.
Per tutta la mattinata non feci altro se
non ascoltare e
seguire a lezione Lynn. Era simpatica, un po’ distratta e
lunatica, soprattutto
a causa dei ragazzi, ma simpatica. Quando fu l’ora di pranzo,
e mi vide in
evidente stato di panico a causa dell’eterno dilemma
“a quale tavolo mi
siedo?”, fu così gentile da invitarmi al suo.
La disposizione dei tavoli è
tra le cose più importanti
nelle scuole; è una cosa che determina la tua appartenenza a
un certo gruppo:
c’è il tavolo dei NERD, quello degli skater, dei
metallari, dei rockettari,
della squadra di baseball e
quella di
football, il tavolo delle cheerleader, del gruppo di informatica, dei
francesi,
degli spagnoli e di tutte le altre minoranze etniche immaginabili. E
poi c’era quello. Il
tavolo dei più popolari.
Probabilmente una sorta di “Mecca” per qualsiasi
ragazzo della scuola. Ed io,
la nuova arrivata, ero stata invitata a sedermi là.
Ok, in fondo non era male come primo
giorno.
“Gente, lei è
Mia” esordì, presentandomi alle due ragazze
sedute al tavolo, una rossa e una bionda, che mi sorrisero subito
cordiali. In
poco più di cinque minuti, appresi che la rossa si chiamava
Allison Reed, e
sicuramente era più piccola di me e Lynn, mentre
l’altra era
Miley Wallace,
dell’ultimo anno.
“Piacere”, fece
Allison, tendendomi la mano. Non credo
l’avesse fatto apposta, ma notai subito la farfallina che
c’era tatuata sopra.
“Oh, questo è un ricordo del mio cane; lui le
adorava”, mi spiegò, senza
problemi. Miley mi tese solamente la mano, con un sorriso smagliante. In
quell’istante, arrivò un ragazzo
dall’aria
nera.
“Ciao Ally, ciao
Miley”, salutò le due ragazze. Visto che
non aveva salutato Lynn, dedussi che lui fosse Josh.
Le mie
capacità deduttive
erano notevoli, quella mattina.
Miley alzò lo sguardo dal suo
piatto. “Ciao Josh. Melinda?”.
Per tutta risposta, il ragazzo
scrollò le spalle. “Sarà con
Bill, come al solito”.
“Rischiano, loro” fece
Allison. Capii che parlavano della
relazione clandestina tra il professor Compton e, appunto, Melinda. A
quel
punto, ero davvero curiosa di vedere che faccia avesse Miss
Popolarità. Da come
ne parlavano tutti, sembrava una tipa simpatica, ma a me sapeva tanto
di
spocchiosa.
Josh volse lo sguardo verso di me, senza
considerare Lynn.
Non che lei lo facesse, anzi! “Tu sei la ragazza
nuova?”. Annuii, mentre
bevevo. “Sono Josh, il fratello di Miley”, si
presentò, tendendomi la mano, con
un’espressione che oscillava tra la frustrazione e la
cordialità. Lanciai
un’occhiata di sfuggita a Lynn, e notai che era in tensione.
“Matt?” chiese Josh
alla sorella. Lei sorrise, per andare a
prendersi da mangiare. Cibo self-service. Che goduria!
“Matt sta
cercando un lavoretto
a San Francisco, per
mantenersi gli studi all’Università di
Stanford” rispose, tornando con un nuovo
piatto di insalata. Matt doveva essere un suo caro amico, o un
fidanzato.
“Questo week-end viene a trovarmi e andiamo un po’
a giro. Solo noi” precisò,
puntando lo sguardo su Allison. Probabilmente, Miley non gradiva molto
le
uscite a quattro.
“Tu Mia?” chiese
Allison, facendomi cenno con la testa, “sei
fidanzata?”. Purtroppo, dovetti rispondere scuotendo la
testa. Mi piaceva un
ragazzo di Boston, ma oramai era leggermente inarrivabile …
“A Boston avevo solo un paio di
amiche, e non facevamo altro
che passare i pomeriggi a caccia di ragazzi… ma niente di
più”. Le mie amiche
si erano tutte fidanzate poco prima che io partissi, e una di loro
stava con
mio fratello. Inutile dire che quando lui se ne era andato, tra loro
era
finita. Non glielo avrei mai perdonato, quello.
Mentre parlavamo, arrivò una
ragazza in divisa da
cheerleader, tutta trafelata. Non mi ci volle molto per capire che
quella era
Melinda. Era una ragazza di un solo anno più grande di me,
con gli occhi grigi
e i capelli di un colore stranissimo, che si alternava tra rosso e
viola… erano
quasi amaranto.
“Bel colore!”
esclamai, per cominciare un discorso.
Probabilmente feci centro, visto che lei mi sorrise, felice.
“Davvero ti piace?” mi
chiese, sempre sorridente. Annuii
sincera. “Qualcuno che mi capisce!”
esclamò, per poi tendermi la mano come
avevano fatto gli altri. “Melinda Kerr. Tu sei Mia Murdoc,
vero?”
“Ovviamente!”
“Sai, è davvero
difficile trovare qualcuno che mi capisca!”
sbuffò, per poi voltarsi verso i suoi amici, con fare
spocchioso evidentemente
finto. “Voi non capite l’arte! Sai, loro sono tutti
perfettini … e non si
permetterebbero mai di colorare i loro bellissimi capelli!”
“Ma ce l’hai proprio
con noi, te, eh?” sbuffò Lynn,
evidentemente scocciata. “Credi di essere un genio a
rovinarti i capelli con la
tinta?!”
Melinda le fece una linguaccia, per poi
addentare una
patatina. Notai la pallina argentata sulla lingua. Okey, dovevo
ammetterlo:
forse Melinda non era poi così male.
Mangiammo tutti con una certa
velocità, e poi uscimmo dalla
mensa non appena iniziarono le lezioni pomeridiane. Controllai il mio
orario:
grazie a dio avevo solamente un’ora di matematica e una di
norvegese, che
frequentavo con Lynn, e quindi il pomeriggio passò svelto.
Trovai mia sorella a
prendermi all’uscita da scuola.
“Ciao Lisa” la
salutai, con un sorriso sulle labbra, mentre
montavo in macchina. “Come ti è andata la
giornata?”
“ Bene, Mia, bene” mi
rispose lei, riaccendendo il motore.
“Tu invece?”
“Vediamo… non
è stato così terribile come immaginavo. A
pensarci bene, credo di essermi integrata in un gruppo,
c’è anche gente più
grande di me. Tu hai trovato qualche ragazzo carino?”
Lei mi sorrise. In effetti, era la prima
volta dopo tanto
tempo. “Un certo Nero Caine,
che lavora con me”
“è per me?”
dissi, scherzando. Lei mi lanciò un’occhiataccia
scherzosa.
“Solo se non vuole me. Comunque
questo sabato passa a
prenderci, per farci fare un giro in
città…”
“Prenderti o prenderci”
“Prenderci”
ripetè “gli ho detto che mi dispiaceva lasciarti
da sola a casa, e così ha proposto di portarti con
noi”.
“Evivva!” esclamai
raggiante. Un giro con mia sorella e
degli amici era quello che mi ci voleva, quella settimana. Magari avrei
potuto
invitare Lynn. No, era meglio di no. Nero doveva essere molto carino
per
piacere ad una come mia sorella, e forse era meglio se lei non lo
vedeva: mi
sarebbe dispiaciuto mettere ulteriormente zizzania tra lei e Josh.
“Quindi dopodomani andiamo
fuori?” chiese mia sorella,
mentre parcheggiava nel vialetto di casa nostra.
“Va bene, Lisa”. Mi
resi conto solo in quel momento che era
giovedì. Dovevo aspettare altri due giorni. Solo due.
Il giorno seguente, strano a dirsi, mi
sveglia con un
ritardo mostruoso: mancavano solamente quindici minuti al suono della
campanella, e contando che per andare a scuola a piedi mi ci volevano
per lo
meno dieci minuti, avverrai le prima cose che trovai
nell’armadio, e mi fiondai
in bagno. Dopo neanche cinque minuti, ero già fuori di casa,
che correvo per il
vialetto, con una mela in mano. L’avrei mangiata una volta
arrivata a scuola,
se non fossi collassata.
“Ehi, Mia!” mi sentii
chiamare. Chi diavolo era che voleva
contribuire a farmi arrivare in ritardo il secondo giorno di scuola?
Guardai a lato: di fianco a me, una Mini
decappottabile mi
aspettava, e scorsi Melinda al posto del conducente che mi invitava a
salire.
Miley era seduta accanto a lei, e dietro di loro c’erano
altre due persone, ma
non capii chi erano, visto che erano girate dalla parte opposta alla
mia.
“Ma perché devo
scendere io? A te fa fatica?!” sbraitò la
voce famigliare di Lynn, che vidi scendere svogliatamente dal sedile
posteriore
per farmi salire. Inizialmente non capii: potevamo benissimo scorrere.
Appena entrai in macchina, mi fu tutto
chiaro: il secondo
passeggero seduto sul sedile posteriore era Josh, e io, evidentemente,
servivo
a dividere i due litiganti!
Mi sedetti, a disagio, mentre il cane e il
gatto
continuavano a litigare.
Dire che l’atmosfera era tesa
era un eufemismo, e perdipiù
pioveva, quindi Melinda dovette tirare su il tettuccio della macchina,
mentre
Lynn non faceva altro che lamentarsi del suo mal di testa.
“Vuoi piantarla?”
urlò a un certo punto Josh, “Sembri mia
nonna quando ti lamenti così!”
“Io mi lamento quanto mi pare e
piace, e comunque, anche
sembrando tua nonna sarei sempre più agile di te!”
“Ma fanno sempre
così?” chiesi, sporgendomi in avanti per
poter sussurrare a Mel e Miley.
“Ultimamente si” mi
risposero in coro. Sarebbe stato,
normalmente, un particolare inquietante, e ci avrei fatto caso se non
fossimo
arrivati a scuola.
Io e Lynn
corremmo a lezione di storia, separandoci dagli altri che, per fortuna,
si
diressero ad arte.La mattinata, nonostante fosse una delle peggiori,
passò
piuttosto velocemente e in un batter d’occhio
arrivò l’ora di pranzo.
Al tavolo c’era
sempre la stessa aria tesa che c’era in macchina.
Solo Allison
parlava, raccontandoci cosa le era successo la mattina e
rimproverandoci per il
nostro “ritardo”.
Dopo aver portato i vassoi a posto salutai
tutti e Lynn mi portò a lezione di storia trascinandomi per
la mano. Era ancora
su di giri, e se me lo avessero
chiesto ci avrei scommesso: se lei e Josh avessero dovuto lottare corpo
a corpo
in quel momento, lei avrebbe sicuramente vinto. Strano meccanismo di
scariche
di adrenalina, cercate su Google.
Passammo per il laboratorio di biologia, dove
il professor Compton stava sistemando alcune provette con, guardando
fuori
dalla porta. In quel momento ci passò accanto Melinda,
agghindata da
cheerleader. Ovviamente non avevo pensato che lei potesse essere una di
loro,
ma a quel punto tutto il quadro tornava.
Il professore la vide con la coda
dell’occhio
e i due si sorrisero. Erano estremamente dolci, peccato che lui fosse
un
professore.
Quando arrivammo di fronte all’aula di
storia, realizzai che io odiavo quella materia. La odiavo
profondamente.A che
serviva sapere ciò che era successo centinaia di anni prima,
quando invece era
meglio, molto meglio, pensare al futuro più imminente, visto
che sabato era
prevista l’uscita con mia sorella e questo misterioso Nero?
Per poco non sbattei contro la porta
dell’aula, da quanto ero immersa nei miei pensieri. Cavolo,
neanche eravamo
usciti, e io cominciavo già a farmi i film su Nero. Lynn scoppiò a
ridere, ma si sedette
velocemente al banco, accorgendosi che la professoressa stava entrando.
Anche quell’ora, fortunatamente,
passò veloce,
ed io venni nuovamente ri-trascinata da Lynn lungo i vari corridoi,
seguendo
scorciatoie che la mente contorta della mia nuova amica si era
inventata.
“Vedrai, il professore ti
piacerà!” mi disse
Lynn “è un tipo piuttosto strano, ma del resto
tutti gli artisti lo sono, no?
Oggi dovrebbe esserci la lezione sull’Action
Painting” continò, entusiasta, “e
sai chi è il suo maggiore esponente? Jackson Pollock! Noti
niente? Stesso co..”
“Lynn!” esclamai, ma troppo
tardi. Lynn era
finita addosso ad un Josh dall’aria molto fredda, che la
respinse via in modo a
dir poco glaciale. Fece per andarsene, ma poi ci ripensò.
“Vieni con me”
“Mia, ci vediamo dopo” mi
congedò preoccupata,
seguendo il suo ragazzo. Bene! Perfetto! Ora dovevo ritrovare
l’aula di arte da
sola, e perdipiù mi trovavo nell’ala della scuola
dove, relativamente, si
trovavano tutte le classi dell’ultimo anno, quindi
esattamente al lato opposto
dell’aula di arte.
Per grazia divina, mi vidi passare davanti la
chioma a dir poco riconoscibile di Melinda, e ne approfittai per
chiederle di
accompagnarmi al famigerato laboratorio d’artistica.
“Ti ci potrà accompagnare il
tuo nuovo
professore, vero prof?” disse
lei con
voce squillante, rivolgendosi ad un uomo sulla quarantina, con ampi
pantaloni a
fiori gialle e con una fascia arancione che gli teneva indietro i
capelli.
“Certamente! Tu devi essere Mia Murdoc,
vero?” e senza neanche darmi il tempo di rispondere, mi prese
sottobraccio.
Lynn mi raggiunse in aula pochi minuti dopo,
con una faccia da funerale. Per tutta l’ora cercai di
bisbigliare domande su
domande, tentando di capire che cosa si fossero detti lei e Josh. Alla
fine,
dedussi (grazie ad un miracoloso bigliettino scritto in calligrafia
illeggibile
da Lynn) che Josh le avesse fatto un’altra scenata delle sue,
e che avesse
giurato di non poterla proprio sopportare più.
Finì
anche quell’ora. Quel giorno passava talmente velocemente,
che neanche me ne
stavo rendendo conto. Chissà, forse era perché
non vedevo l’ora di essere al
giorno dopo, o forse perché mi divertivo un sacco a vedere
Lynn e Josh che si
litigavano per cose assurde.
Ad un certo punto, senza neanche capire come,
ci ritrovammo dietro ad un cespuglio, nel parcheggio della scuola.
Mi sentivo una guardona a spiare così la
gente: da quel cespuglio si vedeva benissimo una Mercedes argentata,
evidentemente quella del signor Compton, visto che lui era al posto di
guida
con, guarda caso, Melinda
al posto del
passeggero.
Cavolo, ma quei due non avevano paura di
essere beccati?! In quel caso, da quanto ne sapevo, lui avrebbe perso
il posto
di lavoro, e lei … bè, non so cosa le sarebbe
successo, ma presumo che i suoi
genitori non sarebbero stati contenti di scoprire che la figlia se la
faceva
con un uomo di tredici anni più grande di lei, che era
soprattutto un suo
professore.
“E questi?”sentii sbottare Mel,
con aveva dei
fogli in mano, che aveva appena fatto apparire dal cruscotto.
“Sono i documenti..”
“Lo so benissimo cosa sono!” lo
interruppe
lei, acidamente. Aria di tempesta in arrivo. “Intendo..
perché c’è solamente la
firma di Angela, e non la tua?”
Probabilmente, Angela doveva essere la moglie
del professore.
“Melinda”
sospirò lui, passandosi una mano tra i capelli neri
“Melinda un corno, Bill! È
quasi tre mesi che
va avanti questa storia” quasi urlò lei, con le
lacrime agli occhi,
interrompendolo di nuovo. Era fin troppo evidente che si stava
trattenendo,
perché era orgogliosa. “Me l’avevi
promesso, Bill” aggiunse più dolcemente,
sospirando.
“Che stronzo” Sibilò
Lynn, accanto a me.
Cercai di guardarla con aria di rimprovero, ma non me ne dette il
tempo, visto
che mi trascinò dietro ad un altro cespuglio, in posizione
laterale al nostro
precedente nascondiglio. “Sono, appunto, tre mesi che il prof
ha promesso a Mel
di lasciare sua moglie. Non che a lei importi qualcosa,
intendiamoci” mi
spiegò, continuando a bisbigliare “ma non vuole
essere “l’amante”, capisci?”
Annuii, per poi tornare a focalizzare la mia
attenzione sulla macchina, dove sembrava che il professore avesse
finalmente
avuto l’occasione di potersi spiegare.
“è mia moglie,
Melinda, le voglio comunque bene, e non”
“Non c’entra niente! E io cosa
sono, allora?
Sono una tua alunna, una stupida ragazzina da portarti a letto quando
ti
serve?”
“Mel, dai!”
“No, Bill” disse Melinda,
uscendo dalla
macchina “Non voglio parlarne”. Quando lui scese a
sua volta, e fece per
parlare di nuovo, lei lo interruppe ancora. “E neanche
ascoltarti”
Lui l’afferrò per un braccio,
costringendola
dolcemente a voltarsi, ma impedendole di andarsene. “Non
essere arrabbiata con
me, piccola”
“Non sono arrabbiata con te! Sono
arrabbiata
con me!” scoppiò lei, sull’orlo delle
lacrime “Lasciami andare, per favore”.
Cavolo, era meglio di Beautiful! Certo, non
ci conoscevamo da molto, ma Melinda versione melodrammatica era
spettacolare,
non me la sarei mai neanche immaginata, e il professore enormemente
dispiaciuto
era qualcosa di straordinario. Mi passò per la mente
l’idea fulminea di creare
un romanzo su una storia come la loro, ma lo ricacciai subito indietro.
Mi
voltai verso Lynn, che fissava a bocca aperta Mel: evidentemente era un
caso
rarissimo vederla piangere, e perfino una sola lacrima doveva essere un
evento
straordinario.
Il
professore allentò la presa, e Mel
cominciò a correre in linea retta rispetto al signor
Compton. Lui non provò a
seguirla, ma feci appena in tempo a vedergli prendere a calci la ruota
della
macchina, perché fui nuovamente trascinata via.