Prodigy
Disclaimer: Albert
Wesker, Alex Wesker e tutti gli altri personaggi appartengono a Shinji
Mikami, alla Capcom e a chi
detiene i diritti sull'opera. Eve è invece una mia
creazione. Questa storia è stata scritta per puro diletto
personale, pertanto non ha alcun fine lucrativo. Nessun copyright si
ritiene leso. L’intreccio qui descritto rappresenta invece
copyright dell'autrice (Nocturnia) e non ne è ammessa la
citazione altrove, a meno che non sia autorizzata dalla stessa tramite
permesso scritto.
"I was not a lovable child, and I'd grown into a deeply unlovable
adult.
Draw a picture
of my soul, and it'd be a scribble with fangs."
- Gillian Flynn -
Prodigy
#1 - hearing.
Hey, girl, open the
walls, play with your dolls,
we'll be a perfect family.
Il battito di un cuore che riconosce - che l'ha accompagnata per nove
mesi.
Il mormorio di una voce maschile, tiepida; qualcuno che ha vegliato su
di lei fin dall'inizio.
Il rullio della marea, il tac
tac ritmico delle scarpe di sua madre.
Fogli che vengono spostati, sbuffi metallici - una ninna nanna che taglia sulla
lingua, durissima e spietata.
Vetro che si rompe, suppliche che vengono messe a tacere in un suono
amorfo - un plotch denso
e che non riesce ancora ad associare.
Il cigolio di una molla nella sedia, le unghie di sua madre che
tamburellano su di una superficie rigida.
Silenzio.
"Eve."
Padre.
"Si chiamerà Eve."
Il suo nome ha la stessa consistenza di una promessa.
No one ever listens, this
wallpaper glistens,
don't let them see what
goes down in the kitchen.
La pioggia ha un rumore particolare per Eve.
Le riporta alla mente qualcosa che non ha ancora visto, ma solo vissuto
- dal quale sua madre l'ha difesa con tutta la protervia di una femmina
sola e disperata.
Cade attorno a lei, le accarezza il viso in una corrente gelida.
"Ti piace la pioggia, Eve?" le chiede sua madre, ed ha una bella voce.
Sbeccata agli angoli, di vetro
- la voce di sua madre è sporcata da un'inflessione fragile
e indifesa, qualcosa che pochi riescono a cogliere.
No,
vorrebbe rispondere Eve, non
mi piace.
Perché mi
ricorda quando ti hanno sparato addosso: quando il Progenitore ha gridato e tu con lui.
Un sospiro; un singhiozzo a metà
Anni dopo Eve capirà.
Ricorderà.
La pioggia possiede lo stesso suono del proiettile che
ucciderà sua madre.
Picture, picture, smile
for the picture,
pose with your brother,
won't you be a good sister?
C'è qualcuno che le parla, sempre.
Non ha consistenza, forma; vibra
nel suo sangue, tra i suoi pensieri.
Traduce, modula; la Voce è la prima cosa che sentito,
sarà l'ultima.
La Voce è anche in sua madre, in suo padre.
È un assolo tragico in sua madre, un ruggito minaccioso in
suo padre.
Le mostra,
la Voce, blandisce.
Racconta storie di mostri e bestie feroci; uomini che sembrano come lei
(non lo sono)
e cani di metallo e acciaio.
Racconta e incide
- nelle ossa, nella carne: memorie che diventeranno cicatrici di una
guerra non ancora
iniziata.
Ma lo sarà
presto.
Eve sorride al buio, allunga le mani verso quella voce - verso la sua forza, il suo calore.
Stringe un serpente
nerissimo e di cui non vede la fine.
Il Progenitore si arrotola attorno al suo cuore e sussurra.
#2 - sight
Places, places, get in
your places,
throw on your dress and
put on your doll faces.
Gli occhi di sua madre sono trasparenti.
Non azzurri, o blu: trasparenti.
Eve sbatte le palpebre, sorride - un gesto disarmante per una
bambina che può ridurre un Cerbero a nulla più
che un docile cane da compagnia.
La stanza dove si trova è grigia.
Non nera, o bianca: grigia.
A Eve non piace quel colore; lo trova triste, senza vita.
Afferra un angolo della camicia di sua madre e tira - ottiene
un'occhiata perplessa e interrogativa.
Il viso di Stuart è sereno.
Non distante, o disinteressato; sereno.
Affianca sua madre, le sorride - tiepido sotto le dita, sulla guancia.
"Credo voglia le sue attenzioni, Master Alex."
"Guh."
Sua madre alza un sopracciglio, la tocca come se potesse rompersi da un
momento all'altro - come se
lei potesse sgretolarsi sotto il peso della sua
esistenza.
La giacca contro la quale si arrotola è rossa.
Non fucsia, o corallo: rossa.
"La cerca,
Master Alex."
Eve sospira, si distende tra le sue braccia.
"È tutto quello che conosce."
Chiude gli occhi, si abbandona al respiro quieto di sua madre.
"Che il Progenitore le dice di seguire
- di cui può fidarsi."
Alex stringe le labbra in una strana smorfia - contratta, incerta.
Insicura.
Eve si addormenta sognando un mondo che ha gli stessi colori del
sangue.
Everyone thinks that
we're perfect,
please don't let them
look through the curtains.
Un profilo nero e
rosso - occhi che la studiano con un'intensità quasi spaventosa.
"Ha solo sei mesi."
"Lo so."
"Non pensavo fosse capace di una cosa simile."
Una pupilla che si riduce a
nulla, da rettile.
"È la prima nel suo genere."
Sua madre si sporge verso di lei, sopracciglia aggrottate e i capelli
raccolti in un nodo disfatto.
"Non ha bisogno di pensare, o di collegarsi:
lo fa e basta."
Eve socchiude la bocca, non
capisce.
Il Progenitore le dice che va tutto bene; che non sono arrabbiati.
Il Progenitore le assicura che non ha fatto nulla di male; che stanno
solo cercando di comprendere. Di contestualizzare.
Eve inclina il viso nella loro direzione, si stringe la punta dei piedi
tra le dita.
"Non percepisco paura, o soggezione."
Sua madre annuisce, si passa la punta della lingua sulle labbra.
"Non c'è ansia, e neppure preoccupazione."
"Lo so."
Suo padre emette un suono interdetto - confuso.
"L'ha fatto perché le andava. Perché lo trovava divertente."
Sua madre sposta lo sguardo su suo padre, incrocia le braccia al petto.
"Be'... sotto un certo punto di vista lo era."
Suo padre tamburella con le dita sul bordo della culla, Eve s'incanta
ad osservare il movimento ritmico delle sue mani fasciate di nero.
"Uhm." dice solo, e si allontana leggermente.
"Un Infetto che balla nel
mezzo della sala monitor?"
Sua madre abbozza un sorriso, si appoggia con il fianco contro il muro.
"Michael Jackson l'ha pur fatto prima di lei, no?"
Eve osserva l'iride di suo padre virare a un rosso cupo, grondare -
esplodere poi in un grumo di colori che bruciano.
Cremisi e arancione -
una livrea che indosserà anche nei suoi ultimi, disperati,
momenti.
Sua madre libera una risata che è quasi offensiva.
Dollhouse, dollhouse,
I see things that nobody
else sees.
Eve li osserva.
L'ha già fatto prima; li aveva studiati mentre litigavano -
le loro emozioni un groviglio rovente al centro del petto.
Li aveva spiati mentre lavoravano in sincrono, silenziosi per ore - il
Progenitore null'altro che un quieto ronzio di sottofondo.
Li aveva fissati incuriosita mentre si chinavano su di lei - la paura
di sua madre, l'orgoglio avvelenato di suo padre.
Eve si stropiccia le palpebre, apre la bocca (ha fame) la
richiude quando il Progenitore le dice di aspettare, che ci
sarà tempo.
Che adesso è
un istante solo loro - privato, raro.
Eve si volta, li vede - ancora, sempre.
Alex sorride, gli
allunga la mano.
"Ricordi come si fa,
Albert?"
Wesker le rivolge uno
sguardo in tralice, comprende - sorride a una memoria mai
spenta.
"Sì."
Intreccia le dita alle
sue, si alza - si muove con lei, per lei; un valzer quieto e la cui
sinfonia risuona solo tra le labbra socchiuse di Alex.
Li contempla, Eve.
Segue i loro movimenti, il modo in cui sua madre appoggia la testa
sulla spalla di suo padre, il profilo rilassato di quest'ultimo mentre
si perde
nel ritmo di una musica invisibile.
Wesker le blandisce la
curva sottile del fianco, risale lungo le costole, la nuca - tira.
Alex gli cerca la bocca,
affonda; si piega tra
le sue braccia, ride - strappa un momento al destino,
alla storia.
Eve ride con loro e stringe un istante fragile come i suoi sogni.
#3 - smell
Hey, girl, look at my
mom, she's got it going on
Ha, you're blinded by her
jewelry.
Sushestvovanie è neve e ghiaccio.
Eve inspira il suo odore, un nodo di roccia bagnata e terra umida.
Chiude gli occhi, riconosce il profumo di sua madre (argan e sangue) quello
di Stuart (incenso e
bergamotto.)
Ha un anno, Eve.
Cammina da almeno due mesi, è in grado di parlare da tre.
Espira, e il lezzo di carne morta le invade le narici - gli esperimenti
di sua madre per curare la malattia che la sta uccidendo.
Il Progenitore le dice che lei è speciale; che nulla
funziona come negli altri bambini.
Eve però li ha visti: li ha sentiti.
Ogni tanto corrono intorno alla Torre, inciampano nelle radici degli
alberi che costeggiano il viale d'ingresso.
Ha annusato il loro odore, Eve; ha riconosciuto chi non
arriverà all'età adulta, chi invece si porta
già addosso il rancido della paura.
Giocano, scherzano, si fanno male
- un lusso che a lei non è concesso.
Eve si fissa il palmo della mano, alza un sopracciglio.
Si allunga verso il tagliacarte di sua madre, incide - apre una
pelle pallida e altrimenti perfetta.
Plotch. Plotch. Plotch.
Osserva il sangue fiorire,
scivolare tra le dita socchiuse - grondare
sul pavimento bianco.
Il Progenitore sibila -
rigenera, chiude,
ricostruisce.
Eve sa che non è normale; sa che c'è qualcosa di
diverso in lei.
Ma non ne ha alcuna
paura.
Un rumore: passi marziali, duri.
Che non chiedono, non
concedono.
Inclina appena il viso verso la porta, stringe la mano in un
pugno chiuso.
Maninka e cuoio. Africa
e pelle nera come i loro cuori.
Si volta, lo vede - lo cerca.
Albert Wesker emana già il tanfo della morte che lo
prenderà a breve.
When you turn your back
she pulls out a flask
and forgets his
infidelity.
Eve è una bambina quieta: silenziosa.
Alex la osserva giocare con un Cerbero, saltargli al collo e ignorare
l'odore pungente della putrefazione.
"Sta crescendo." dice, e Stuart annuisce.
"Non ha paura di nulla." continua, e Stuart le rivolge uno sguardo in
tralice - la esorta a continuare.
"Il progetto di Albert la ucciderà."
Silenzio.
Il Cerbero guaisce, scodinzola con ciò che gli è
rimasto della coda.
"Si fermerà in tempo." le assicura Stuart, portandosi le
mani dietro la schiena "Eve è un prodigio, Master Alex. La
prima bambina nata da due Tyrant. Vostra
figlia."
Alex libera una risata asciutta, aspra.
"C'è chi la definirebbe un abominio."
"E lei come la chiamerebbe, Master Alex?"
Eve ride quando il cane le lecca la faccia, Alex arriccia il naso al
puzzo nauseante della saliva del Cerbero.
Stuart la fissa, inclina il viso nella sua direzione.
Aspetta.
Eve cerca gli occhi sua madre - la
invoca.
Alex non ha nome per qualcosa che le distrugge il cuore a ogni battito.
No one ever listens, this
wallpaper glistens
one day they'll see what
goes down in the kitchen.
Il sogno di suo padre puzza già di decadenza e fallimento.
Eve può sentirlo sulla sua pelle, tra le dita - una patina
vischiosa che le cola giù per le narici, la gola.
Uroboros.
Il virus ringhia a
quella parola, rumoreggia - soffia, geme, urla.
Suo padre ha occhi stanchi, spenti;
un rosso sbiadito e infossato nelle orbite.
Stringe sua madre, preme
nella carne tenera dei polsi - china poi il capo, lo lascia ciondolare
tra le spalle piegate.
"Non posso."
"Non vuoi."
"Il mondo ne ha bisogno."
"Stronzate: tu ne hai bisogno.
Tu e solo
tu."
Eve annusa paura, rimorso; sotto la lingua l'acido della sconfitta, tra
le ciglia lacrime che non saranno mai piante.
Sua madre chiude gli occhi, libera un sospiro esausto - schiacciato.
"Morirai."
"No."
"L'Uroboros
fallirà."
"Non
succederà."
Sotto la maninka e il cuoio di suo padre vi è un odore
nuovo, più pesante:
nerastro e appiccicoso.
Il Progenitore le dice di starne
lontana, che è un parassita indegno, sporco.
Eve si tormenta il bordo della maglietta, annuisce - accetta l'unica
voce di cui abbia mai potuto fidarsi.
"Albert."
"Tornerò."
"No, non lo farai."
Suo padre snuda i denti, emette un verso frustrato - disperato.
Intreccia le dita a quelle di sua madre, l'attira a sé - le
parla attraverso immagini che Eve non conosce.
Non può.
Raccontano una storia quelle immagini.
Raccontano di due bambini strappati,
smontati e poi ricostruiti a Sua
immagine e somiglianza.
Raccontano di due esperimenti da testare, provare, misurare.
Raccontano di un ragazzino ambizioso, un uomo crudele.
Raccontano di una ragazza abbandonata alla propria solitudine, una
donna spietata.
"Tornerò,
Alexandra."
"E se non dovessi farlo?"
"Allora aspettami."
Raccontano, quelle immagini.
Di lei, dei suoi
genitori.
Di chi li
ucciderà e di chi invece li proteggerà.
Di chi li hai
già uccisi e pagato per questo.
Di un passato che a ogni
istante si tramuta in futuro - un presente che sfugge.
Eve chiude gli occhi, incespica nei suoi stessi piedi.
Affonda in un abisso di
sangue e voglia,
un grumo di sentimenti repressi troppo a lungo e ferite ormai
infette e suppuranti.
Suo padre cerca la bocca di sua madre, respira - infrange
la sua tristezza, i suoi dubbi.
Sua madre lo accetta, morde
- si aggrappa alle sue promesse, al suo corpo.
Eve si chiede se il peso che sente nel cuore sia quello che gli adulti
chiamano amore.
****
#0 - sensory overload
'Cause all your heads are
gonna roll
I've made your misery my
goal,
so if you want survival
kneel on my arrival
for this is how I rule
the world.
Carne bruciata, roccia fusa.
Eve viene sopraffatta da un odore che non ha origine - non qui, non
sull'isola.
Cerca un appiglio, crolla in ginocchio - soffoca un conato.
Pelle che si scioglie, ossa che diventano liquide - polvere che le si
appiccica alle narici, nei polmoni.
Eve apre la bocca, prova a chiamare sua madre.
Non ci riesce.
Il Progenitore è un serpente impazzito che sbatte contro le
pareti della sua mente, ed è la prima volta che succede.
E questo la terrorizza.
Grida e
urla e geme
il Progenitore, un'agonia che Eve non ha mai
provato - un dolore tale da squarciarle
le membra e strapparle un
singhiozzo patetico.
Inspira, espira: viene colpita in pieno petto da un odore nauseabondo,
rancido.
Non ha forma, dimensione: è nero e altro nero, una
vescica
purulenta che pulsa
- che mastica e vomita
un lezzo che sa
già di sconfitta.
Eve si preme i pugni chiusi sulle tempie, libera un grido senza suono.
Sangue coagulato,
sudore.
Erba secca, plastica
fusa.
L'acido dell'adrenalina,
polvere d'ossa e muscoli.
Organi consumati,
metallo fuso e poi accartocciato.
Eve cerca di rialzarsi, cade.
Maninka e cuoio.
Si morde le labbra, tenta di liberarsi del Progenitore - dell'orrenda
verità che le sta raccontando.
Padre.
Un ultimo affondo. Un ultimo colpo.
No.
Fumo e polvere nera; le macerie di un uomo e del suo folle
sogno.
Eve chiude gli occhi e comincia a piangere.
****
#4 - taste
Places, places, get in
your places
throw on your dress and
put on your doll faces.
Eve ha un anno e nove mesi.
Eve non si è accorta di cadere, ma sotto la lingua il sapore
del sangue le ricorda che
sì, l'ha fatto.
Cerca il Progenitore, lo trova nascosto nelle pieghe più
profonde della sua paura, un serpente scuoiato vivo.
Inspira, deglutisce.
Allunga le dita davanti a sé, dentro la sua mente
- fili
nerastri che sondano, toccano, rovistano.
Il Progenitore di suo padre tace
- morto.
Eve aggrotta le sopracciglia, arranca tra gli avanzi di un virus
sconfitto, lacerato.
Giù per la gola l'amaro della consapevolezza, il ruvido di
un sentimento nuovo - spietato.
Eve trema,
annaspa nella miseria di una storia già scritta -
si protende verso il Progenitore di sua madre e...
No.
Eve osserva il Progenitore sua madre
sgretolarsi come se non fosse mai
esistita.
Everyone thinks that
we're perfect,
please don't let them
look through the curtains.
La tristezza ha un sapore.
È amara sotto la lingua, nella gola.
Il dolore ha un sapore.
È metallico in bocca, appiccicoso tra i denti.
La disperazione ha un sapore.
È nauseante quando ti sfiora le labbra, densa.
"Mamma." chiama - supplica.
Ma non c'è
più nessuno che può
risponderle.
Alex storna lo sguardo e la fissa con occhi morti e privi di speranza.
Picture, picture, smile
for the picture
pose with your brother,
won't you be a good sister?
Stuart abbozza un sorriso, le accarezza i capelli.
"È il tuo compleanno, Eve." le ricorda, e si siede al suo
fianco "Dovresti esprimere un desiderio."
Eve fissa una torta al cioccolato e nocciole, la sua preferita.
L'ha fatta Stuart, ne è sicura. A Sushestvovanie non ci sono
pasticcerie, o negozi simili.
Vorrebbe sorridere, Eve.
Vorrebbe ringraziarlo, prenderne una fetta e dividerla con lui.
Ha due anni, Eve, eppure il Progenitore l'ha resa più adulta
- più
consapevole.
Sospira, si morde il labbro - un fagotto dai capelli biondissimi e gli
occhi troppo azzurri.
Troppo simili a lui.
Stuart le sfiora il dorso della mano, intreccia le proprie dita alle
sue.
"Eve."
"Dov'è la mamma?" gli chiede all'improvviso, ed è
fragile la sua voce - triste.
Stuart raddrizza le spalle, libera un respiro a metà.
"Deve lavorare."
Mente.
Eve china la testa, annuisce.
Accetta la menzogna per
quello che è: un debole tentativo di
proteggerla.
"Allora." prosegue poi, premendo a forza un'inflessione allegra nelle
sue parole "Che fetta vuoi che tagli? Quella con il fiore di zucchero
oppure quella con la casa di caramello?"
Eve inspira, piega le labbra in un smorfia.
Cerca il Progenitore,
sua madre - viene brutalmente lasciata da sola.
Indica quella con la casa in caramello, osserva Stuart tagliarla e
poggiarvi sopra una candelina rosa e bianca.
"Tanti auguri, Eve."
Eve accenna un sorriso, ne esce un'espressione affaticata e cupa.
Prende fiato, soffia: spegne
una fiamma che brucia sempre lo stesso
desiderio.
Il Progenitore di sua madre è un urlo senza fine.
#5 - touch
Uh-oh, she's coming to
the attic, plastic,
go back to being plastic.
"Eve, smettila."
È la prima volta che le parla in mesi.
È la prima volta che la guarda negli occhi.
È la prima volta che si accorge che c'è ancora -
che esiste.
"No."
Eve osserva sua madre snudare i denti, avanzare - Era e tutta la sua
terribile forza.
"Smettila!" ordina - supplica,
ma Eve è troppo giovane per
capire (per comprendere.)
Gli Infetti si lanciano contro le pareti delle celle, disordinati -
disperati.
La padrona è
arrivata, gridano nelle loro teste la padrona
ci vuole.
Masticano la loro stessa carne, si strappano organi, muscoli, viscere,
ossa, tutto:
offrono ogni cosa a Ebe e alla sua cieca furia.
"Eve!" la chiama, la cerca.
Adesso, troppo tardi.
È arrabbiata, Eve.
È sola e triste
e sconfortata
e ha paura.
Il Progenitore è spezzato senza suo padre, monco.
Si era abituata a quella presenza costante e spigolosa - un virus che
esigeva sempre,
non concedeva mai.
Si era abituata a lui,
al suo odore - cuoio e maninka.
Si era abituata a sentire sua madre ridere nel cuore della notte, agli
occhi grondanti sangue di suo padre.
Si era abituata a loro
- a quello che il Progenitore le sussurrava
avrebbero potuto
essere.
"Eve."
È morbida sotto le dita sua madre, tiepida.
È la seta di una camicia bianca come la sua pelle, il
pesante di pietre nere e sgranate a lutto.
È una scusa tardiva, un dolore troppo grande per essere
condiviso.
Gli Infetti crollano al suolo, alcuni morti, altri agonizzanti.
Eve stringe sua madre e tutte le promesse ormai infrante.
Mom, please wake up.
Dad's with a slut, and
your son is smoking cannabis.
Non le ha detto come è morto: non ha voluto.
Le ha raccontato invece di come ha vissuto, di quello in cui credeva.
Le ha spiegato cosa erano - oltre la biologia e la scienza.
Le ha permesso di toccare la sua tristezza, il suo dolore: un'ustione
che non guariva mai e che l'aveva portata a stringersi le mani al
petto.
Le ha assicurato che Stuart si prenderà cura di lei anche
dopo -
perché il suo tempo è quasi scaduto e la
clessidra sta consumando gli ultimi grani.
Eve ha tre anni e quattro mesi quando capisce che sua madre non
è mai sopravvissuta a suo padre.
Dollhouse, dollhouse,
I see things that nobody
else sees.
Sua madre ha dita sottili, forti.
È morbida, e tra il pollice e l'indice vi è una
piccola cicatrice (il
carrello di una pistola, le spiega il
Progenitore.)
Le stringe le mani per tutto il tempo.
Eve la guarda negli occhi, annuisce - trattiene le lacrime.
Vuole essere forte; vuole essere degna.
Dove hai sentito questo
termine? le domanda sua madre, e lei tentenna -
esita.
Da papà,
risponde, quando ero
piccola.
Ma è
piccola, Eve.
Ha quattro anni compiuti da tre giorni, Stuart al suo fianco e una
torta più grande.
Sua madre rafforza la presa, l'anello che porta all'anulare (oro bianco
e ossidiana)che le incide il palmo della mano.
Tu sei degna, Eve. Tu sei tutto
ciò che il mondo dovrebbe
essere, le ribatte, è c'è una nota
dura nella sua
voce, spietata.
Eve annuisce ancora, le braccia protese in avanti, i capelli raccolti
sulla nuca.
Sua madre le stringe i polsi, i gomiti.
Devo andare via, Eve.
Per un po'.
Quanto?
Non lo so.
Farai come
papà? e c'è una microespressione che
attraversa il viso di sua madre - paura, forse.
No, la
rassicura, no;
tornerò a prenderti.
Torneremo a prenderti,
ruggisce il Progenitore, ed è la
prima volta da allora che lo sente così forte, sicuro.
Eve inspira, nasconde il tremito che la scuote dall'interno.
È una buona
famiglia, Eve, ma non dovrai mai mostrati per
quello che sei: mai.
Nasconditi, e cresci. Il Progenitore ti
dirà cosa fare.
Eve chiude gli occhi, memorizza la consistenza della pelle di sua
madre, le cicatrici che le corrono tra le dita, sotto i polpastrelli.
Il suo odore, la sua
voce; tutto quello a cui potrà
aggrapparsi quando la solitudine minaccerà di schiacciarla.
Eve Wesker cessa di esistere il 20 giugno 2011: il mondo la
conoscerà come una delle tante bambine che la guerra in
Edonia ha lasciato orfana.
****
#6 - Progenitor
Hey, girl, open your
walls, play with your dolls,
we'll be a perfect family.
Non è il suo nome, non è la sua casa.
Non sono i suoi genitori, non è la sua storia.
Non è quello che vuole, non è ciò che
desidera.
Che il Progenitore
chiede - esige.
Megan, la
chiamano.
Piccola mia,
la blandiscono.
Tesoro,
l'apostrofano.
Eve ingoia tutti quei ridicoli appellativi e sorride.
Eve ha cinque anni, due giorni.
Le hanno preparato una torta alla vaniglia. Rosa. Con gli unicorni.
Fissa la sua fetta arcobaleno, vibra
sotto la pelle - tra le viscere,
dove il Progenitore batte e
pulsa.
La sua finta
madre la guarda apprensiva, il suo finto
padre ha una
macchina fotografica tra le dita, l'indice pronto.
Eve sorride (come le ha insegnato sua madre) mente (come le ha
insegnato suo padre) alza il pollice verso di loro.
Click.
Quella foto sarà la prima cosa che la sua vendetta
brucerà.
Una bambina silenziosa, introversa: così l'hanno definita.
I suoi nuovi falsi genitori dicono che
è colpa della guerra
se la bambina non parla molto.
Dicono chissà
quali orrori deve aver visto
laggiù, e la guardano con tenerezza -
compatimento.
Dicono che passerà; che s'impegneranno affinché
succeda.
Dicono che è una brava bambina, e gli insegnanti annuiscono
- certo, il suo
rendimento è alto, l'atteggiamento positivo.
Vorremmo solo un po' più di partecipazione alla vita
scolastica.
Dicono, e
promettono, e
affermano e...
Il Progenitore è l'unica voce che non le ha sempre detto la
verità.
È egoista, Eve.
Brucia della brama tipica dei bambini che tutto vogliono, nulla
concedono.
Il Progenitore cresce con lei - si nutre di tutti i sentimenti
repressi, lasciati marcire nel petto come foglie morte.
Chiude gli occhi, si concede un momento con il virus - lo estende,
allungando le sue propaggini fin dove la mente può arrivare
e...
Madre?
Il Progenitore si ritrae di scatto, spaventato.
L'hanno derisa, umiliata.
Sei brutta,
le hanno detto,
assomigli a uno di quelli, gli albini. Sei
malata.
Eve, la malaticcia. Eve,
l'albina.
E ridono. La strattonano. Le spingono.
Eve si contrae - il Progenitore ruggisce,
le dice cosa fare, come.
Sì, sei malata,
conferma, sei il virus
che
purgherà questo mondo. Sei l'infezione che non potranno
fermare - che li ridurrà a poltiglie di sangue e vomito tra
le braccia dei loro indegni
genitori.
Sì, sei
malata, Eve. E allora mostra loro la tua tremenda,
spietata,
malattia.
La pupilla di Eve si riduce a un filo nerissimo e sottile, brucia
l'iride - li cancella, distrugge, polverizza.
Morti. Indegni. Morti
indegni, canticchia il Progenitore, e Eve sorride
- crudele, bellissima.
Fissa il punto dove una volta c'erano stati tre bambini innocenti
- ora
solo pozze rossastre e mollicce.
Eve si guarda nello specchio (otto anni, gli zigomi di suo padre, le
labbra di sua madre) e lo vede.
Progenitore.
La porta del bagno si richiude alle sue spalle senza fare alcun rumore.
A volte si chiede che fine abbia fatto Stuart.
Di lui ricorda le mani rugose, tiepide; il sorriso sempre pronto, i
capelli grigi simili a una corona d'argento.
Ricorda le sue torte, il modo in cui le parlava - quieto, rassicurante.
Caldo.
Era così diversa la sua voce da quella di suo padre -
durissima, monocorde; avvolta da una profondità feroce,
selvaggia.
Eve segue con l'unghia una crepa nel legno del tavolo, sorride a uno
scoiattolo che le corre vicino.
Sfiora con la punta dell'indice il pezzo di pizza al prosciutto che ha
davanti, ne morde una generosa porzione.
Non è una brutta vita; non del tutto, almeno.
Ma non è sua.
Cindy festeggia il suo decimo compleanno, l'ha invitata di malavoglia.
A nessuno piace quella
bambina silenziosa e piena di troppo - che porta
la guerra negli occhi e nel cuore.
Eve sospira, lancia un pezzo di pizza a una tortora che la fissa,
curiosa.
Il Progenitore si siede al suo fianco e racconta
ricorda.
Qualcosa è cambiato; qualcosa lo ostacola.
Eve chiude gli occhi, si concentra: protende il Progenitore prima in
avanti, poi agli angoli - lo allunga,
come la naturale estensione di un
suo arto.
Il Progenitore è un serpente che sente tutto -
le
racconta tutto.
C'è un punto che vibra
- che assomiglia a un odore
conosciuto, amato. Che le ricorda sua madre e il suo virus (fragile,
spietato, feroce.)
Eve non riesce ad accedervi, ed è frustrante.
Spaventoso.
E se esistessero altri come lei? E se volessero farle del male? E se
fosse meglio rimanerne distanti, nascosti da una normalità
soffocante?
Stringe i denti, rabbrividisce - una scossa elettrica tra le dita,
lungo le vertebre, fino alla nuca.
Tocca poi qualcos'altro,
un nodo nerastro e senza crepe in cui
infilarsi.
Il Progenitore lo circonda, lo studia.
Dondola tra i suoi pensieri, le chiede come procedere.
Vai, gli
dice, continua.
Lo sfiora, lo provoca - lo percuote,
sperando d'ottenere una qualche
reazione.
Questa cosa
non reagisce, non attacca - non si difende.
Rimane semplicemente lì,
inerte.
Morta.
Eve s'irrigidisce di colpo, piega le dita ad artiglio - soffoca un
singhiozzo.
Non è
possibile.
Nell'aria maninka e cuoio.
Eve ha imparato a suonare il violino.
Gliel'ha chiesto la sua finta madre, e lei l'ha accontentata.
Devi dare loro qualcosa,
le aveva suggerito il Progenitore, devi
fingere.
Eve è brava: un talento naturale.
Libera un assolo disperato e tragico nel piccolo teatro scolastico, un
suono così profondo - triste
- che qualcuno in platea inizia
persino a piangere.
Ripete l'unica canzone che conosce - un valzer che sua madre e suo
padre avevano ballato su note invisibili.
China il capo quando gli applausi la investono, esce di scena - si
nasconde.
Carol è la bambina successiva, e recita un brano tratto dal
Mercante di Venezia.
Eve la guarda senza interesse, accarezza distrattamente le corde del
violino.
"Io ero più brava a suonare il piano."
Silenzio.
Si volta, percepisce il Progenitore agitarsi, grattare -
uggiolare come
un cane alla catena.
Ha zigomi affilati la ragazza che la sta fissando, capelli biondissimi
e raccolti in uno chignon alto.
"Moonlight Sonata è stato il primo brano che ho eseguito, ma
non ne ho bei ricordi."
Diciannove anni, nulla più: gambe fasciate di nero, un
sorriso ambiguo sul volto - che dissimula.
"Mi piaceva di più Vivaldi, l'Inverno. Non la Primavera.
Troppo scontato. Troppo usato."
Avanza di qualche passo, si siede di fronte a lei.
"Anche tuo padre suonava il piano, sai? Jupiter, sinfonia 41. Mozart,
conosci?"
Eve annuisce, il Progenitore tace, attonito.
Carol finisce la sua esibizione, lascia il posto a Mark e alla sua
imitazione di Justin Bieber.
La ragazza si reclina all'indietro, la studia - libera un
suono
soddisfatto, d'approvazione.
"Sei cresciuta."
Eve stringe il manico del violino al petto, non capisce
perché il Progenitore esiti.
"Assomigli così tanto a tuo padre."
La cassa armonica le schiaccia le costole, il fianco; il virus una
corrente instabile e gemente.
La ragazza si piega verso di lei, le cerca gli occhi - oltre la pupilla
tremante e l'iride artica.
"Eve."
Il suo vero nome.
La chiama, la evoca.
"Eve." ripete, e qualcosa si flette
negli occhi della ragazza - sfuma,
si scioglie; diventa rosso
e rosso.
Mark è a metà della sua battuta quando cade - il
pubblico ride,
e applaude.
"Sono io."
Mamma.
Il Progenitore esplode,
si libera dal nodo nel quale si era rifugiato e
scivola in ogni anfratto, ogni sinapsi.
Spreme ogni ricordo,
ogni
istante rubato; scandaglia la mente della
ragazza, vede una bambina morire (Natalia
Korda) sua madre ascendere,
riprendersi una vita lasciata a metà.
Mamma.
Eve solleva il viso, sfiora le guance della ragazza - lascia che il
Progenitore ricomponga i pezzi per lei.
Ha lo stesso odore Natalia Korda
di sua madre, argan e
sangue.
Ha lo stesso sapore sotto la lingua, l'aspro di un'indole spietata e
vorace.
Ha gli stessi occhi nei suoi, trasparenti come un cielo invernale.
Ha la stessa morbidezza nelle mani, sulla pelle - tra i capelli.
Ha la stessa voce di sempre tra i suoi pensieri, nel suo cuore.
"Mamma?"
La ragazza sorride, schiude labbra piene e grondanti sangue.
Sì, Eve,
bisbiglia per lei il Progenitore sono
tornata a
prenderti.
Mark conclude la sua patetica
recita inciampando in un filo elettrico e
rompendosi la caviglia.
****
Took them by surprise,
worked my way uphill,
they looked into my eyes;
I became invincible.
"Ti piace?" le chiede sua madre, e le porge un gelato alla nocciola e
cioccolato.
Eve annuisce, dà un primo morso - sorride quando le
accarezza i capelli.
È una bella giornata a New York; tersa, pulita. Di quelle
che ti fanno sentire libero, pieno di speranza.
I grattacieli brillano sotto un sole tiepido, mostri d'acciaio e vetro
che sfidano la sua grandiosità, bramano il suo tocco.
Eve dondola i piedi oltre il bordo della panchina, dà un
secondo morso - fissa in tralice sua madre.
Non è come la ricordava, eppure il Progenitore sovrappone il
profilo di questa ragazza al suo, rendendoli terribilmente
simili.
Sua madre sorride, e Eve nota che è meno pallida di una
volta - più viva, più forte.
"Un giorno ti spiegherò." le dice, rispondendo alla sua
silente domanda "Un giorno capirai."
Che ho ucciso la Morte e
sono tornata indietro.
Che ho sconfitto la
Paura e ne ho fatto la mia schiava.
Che ho distrutto il
Dubbio e ne ho fatto il mio giocattolo personale.
Eve annuisce, respira - le sembra di farlo per la prima volta.
"E adesso?" le chiede, addentando la cialda del gelato
"Dovrò tornare da loro?"
Sua madre esibisce un'espressione accigliata, libera un borbottio
irritato.
"No." ribatte "No, Eve: non dovrai più tornare da loro."
Da una famiglia che
avevo scelto solo per poi macellarla come la
peggiore delle bestie.
Eve sorride, il gelato che le cola tra le dita, lungo il polso.
Un uccellino plana vicino alla sua scarpa, cattura una briciola
dimenticata.
Il parco brulica,
freme d'una vita che mai come il quel momento le
è sembrata solida - pulsante
sotto le mani, nel petto.
Sua madre si reclina all'indietro, accavalla le lunghe gambe fasciate
di scuro.
Una domanda giace sospesa tra di loro - silenziosa e pesante:
dolorosa.
Eve osserva sua madre alzarsi, infilarsi una giacca rossa foderata di
nero - all'anulare sinistro oro bianco e
ossidiana.
Un simbolo che aveva
trasceso il tempo e il destino.
"Andiamo, Eve." e le porge la mano, abbozzando un sorriso quando la
vede cercare di pulirsela prima sui tovagliolini in plastica.
Silenzio.
Il parco tace all'improvviso, ammutolito.
L'orizzonte si ferma, attonito.
Spaventato.
Qualcosa si rompe; qualcosa si
libera.
Eve si blocca a metà del gesto, spalanca gli occhi.
Padre?
Il Progenitore divampa,
un rogo annichilente che consuma ogni cosa -
ogni incertezza.
Quel grumo pieno di tutto
- impenetrabile - cede,
ed Eve comprende.
Vede.
"Tuo padre ci aspetta."
Eve.
A terra, ciò che resta di una pelle che non è mai
stata sua.
"Life is not like
water.
Things in life don't
necessarily flow over the shortest possible route."
- Haruki Murakami -
Note
dell'autrice: Albert Wesker e Alex Wesker non sono fratello e sorella. Non hanno nessun legame di sangue e non sono stati cresciuti
nella stessa famiglia come tali (ne hanno avute due ben diverse e
distinte) per cui non ritengo che questa storia richieda l'avvertimento
incest. Appartengono allo stesso progetto scientifico di selezione
genetica (Project W.) e per questo si definiscono "fratello" e
"sorella" e possiedono lo stesso cognome (in onore del creatore del
progetto), ma nei fatti non lo sono e non hanno mai avuto l'occasione
di comportarsi come tali.
Secondo la legge italiana non sono né discendenti
né ascendenti, e neppure affini in linea retta, per cui il
reato d'incesto non sussiste.
Le canzoni usate per intercalare i paragrafi sono
"Don't mess with me" , di Temposhark, e "Dollhouse" di Melania
Martinez.
Questa storia contiene
dei riferimenti alla one-shot "My dear brother."
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