Fluffy

di _Gilestel_
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Fluffy

Quella mattina, stranamente, Emma si destò prima che la sveglia suonasse. Accendendo lo schermo del cellulare vide che erano da poco passate le sette. Apparentemente la sveglia non era proprio suonata e Emma ringraziò il proprio orologio interno per averla scossa dal sonno.
Sdraiata sul fianco sinistro, voltò il capo dietro di sé e aggrottò la fronte quando trovò il letto vuoto. Probabilmente Killian aveva da fare sulla nave ed era uscito prima, stando ben attento a non svegliarla. Trovava poco corretto che lui potesse andare e venire senza avvisarla, mentre lei doveva dargli conto di ogni suo spostamento, ma se questo era il prezzo da pagare per il lieto fine, poco importava. Un pizzico di tristezza era qualcosa su cui si poteva sorvolare per avere la felicità.
Sospirò, augurandosi che le cose sarebbero cambiate dopo il matrimonio. La sua speranza era quella di avere un futuro sereno, di sentirsi amata e di far felici i suoi genitori. Con Killian poteva ottenere tutto ciò. Dopo essersi vestita, scese a far colazione, ma nel frigorifero, più vuoto del solito, non trovò né il latte né le uova. Il suo fidanzato doveva aver finito tutto quella mattina, perché Emma era certa di aver fatto rifornimento solo un paio di giorni prima. Anche quella mattina, come era già capitato altre volte, si sarebbe accontentata di una tazza di caffè. Dal momento che la primavera non sembrava voler arrivare, indossò il suo cappotto rosso e si avviò per le fredde strade di Storybrooke, rispondendo ai saluti dei passanti. Arrivata alla stazione, appese il cappotto all'ingresso e mise a preparare dell'altro caffè dato che quello bevuto a casa sua le aveva lasciato uno strano sapore in bocca.
Si voltò verso il suo ufficio e rimase perplessa nel trovare seduta alla sua scrivania una bambina dai capelli scuri. Si domandò mentalmente come avesse fatto ad entrare, dal momento che la porta era chiusa a chiave.
Lentamente entrò nella stanza e richiuse piano la porta alle sue spalle. La piccola alzò per un attimo i suoi grandi occhi verdi su di lei, prima di riprendere a scarabocchiare sui fogli di carta riciclata in dotazione alla stazione dello sceriffo.
"Ragazzina, che cosa stai facendo?" chiese piano Emma.
"Sto colorando" rispose la bambina senza alzare lo sguardo dal foglio, sibilando leggermente dal dentino che le mancava.
"Questo lo vedo, ma perché sei seduta alla mia scrivania?" domandò di nuovo la donna.
"Non posso certo sedermi in terra!" disse la piccola come se fosse un dato di fatto.
Emma rimase in silenzio: si sentiva come se fosse appena stata rimproverata da una bambina che non doveva avere più di cinque anni. Si guardò attorno, ma l'ufficio era deserto, le celle erano vuote e alle altre scrivanie non c'era nessuno. Poi guardò di nuovo la sua ospite.
"Tua madre sa che sei qui?" il tono era guardingo senza essere allarmante. Se la bambina si era persa era meglio mantenerla calma. Eppure sembrava perfettamente a suo agio seduta sulla sua vecchia sedia da ufficio. Infatti la risposta che ottenne riuscì a destabilizzare lo sceriffo.
"Certo! Ne avete parlato a colazione." Emma aprì la bocca, incerta su cosa dire. Quella mattina non aveva parlato con nessuno a colazione. Hook era uscito prima che si svegliasse e Henry era da Regina.
"Come scusa?" furono le uniche parole che riuscì a proferire. La bambina si bloccò e fissò lo sguardo sulla donna che aveva di fronte, riducendo gli occhi a due fessure in un modo che le richiamava alla mente Regina.
"Mamma, stai bene?"
Mamma?
Poi la bimba abbassò lo sguardo e aggrottò la fronte. "Perché hai messo la camicia della nonna?" 
Ancora sconvolta, Emma abbassò lo sguardo sulla propria camicia a fiori, uno stile che aveva cominciato ad adottare da qualche mese e che in effetti ricordava molto quello di Mary Margaret. Che a quanto pare era la nonna della bambina seduta di fronte a lei. Sua figlia.
Nonostante la porta fosse chiusa, il silenzio che era calato nella stazione dello sceriffo permise a un familiare rumore di tacchi di riecheggiare fino a loro ed entrambe si voltarono verso l'ingresso, da dove pochi secondi dopo comparve il sindaco di Storybrooke. Sotto il cappotto ocra indossava un completo nero da cui sbucava una camicia bianca, mentre ai piedi aveva un paio di tacchi neri che non le aveva mai visto. Emma tuttavia rimase a fissarle i capelli, che non le arrivavano ancora alle spalle ma erano ben più lunghi rispetto al giorno prima. 
"Ciao, mamy!" la salutò la bambina.
Mamy?
"Ciao, tesoro" rispose Regina sorridendole prima di rivolgersi a Emma. "Miss Swan, possiamo parlare un attimo?"
"Oh-oh, mi sa che sei nei guai!" bisbigliò l'esserino con aria cospiratoria.

"Regina, vuoi spiegarmi che cosa sta succedendo?"
In piedi nell'altrio della stazione, Regina si voltò verso Emma.
"Forse prima vuoi sederti?"
"Regina! Perché quella bambina mi ha chiamata mamy? Che cosa diavolo sta succedendo?"
Per la prima volta da quando la conosceva, Regina le parve incerta sul da farsi. "Sicura di non volerti sedere?"
"Al cento per cento!" rispose Emma con una voce tesa più che mai. La mora inspirò profondamente e guardò l'altra donna con onestà e comprensione.
"Emma, la bambina seduta alla tua scrivania è tua figlia." Poi si strinse nelle spalle. "Nostra figlia."
La Salvatrice rimase interdetta per qualche secondo, gli occhi sgranati e la bocca spalancata. "Come posso avere una figlia che non ricordo nemmeno di aver concepito?" chiese poi. Di certo si sarebbe ricordata di una cosa simile.
"Perché non l'hai concepita, o almeno non ancora." Emma si voltò verso la porta del suo ufficio, sempre più confusa. "Non hai alcun ricordo degli ultimi sei anni perché non li hai vissuti."
"Di che cosa stai parlando?" domandò di nuovo la bionda.
"Qualcuno ti ha fatto un incantesimo e ti ha fatto viaggiare in avanti nel tempo."
"Come? Chi?"
Regina sembrò soppesare per un istante la risposta, ma sapeva di non avere altra scelta. "Tu."

Erano le dieci passate e Regina, sebbene immersa nella lettura di un thriller, si stava chiedendo dove fosse finita sua moglie. Lesse altre due pagine e, non vedendola ancora spuntare, scostò le coperte, indossò la vestaglia e uscì dalla camera. Trovò la seconda porta sulla destra aperta. Emma era seduta di fianco alla loro bambina, profondamente addormentata sotto le coperte, e le accarezzava i capelli scuri.
"Non vieni a letto?" le chiese appoggiandosi contro lo stipite della porta, facendola sobbalzare. "Tutto bene?" domandò preoccupata. Era strano che fosse così assorta nei suoi pensieri da non sentirla entrare nella stanza.
"Non lo so" mormorò Emma tornando ad osservare la bambina. Regina attese pazientemente che l'altra si spiegasse. Con sua moglie bisognava avere pazienza e lasciarla agire con i suoi tempi. La spiegazione, infatti, non si fece attendere più di una decina di secondi. "Oggi era stanca, più del solito, e questa sera quando l'ho portata a letto sembrava più leggera... ho avuto la sensazione che fosse quasi evanescente." Alzò i suoi magnifici occhi verdi in quelli di Regina, mostrandole tutta la sua preoccupazione.
"Emma..." iniziò la mora.
"E se non fossi forte abbastanza? E se facessi la scelta sbagliata?"
"Tesoro, che cosa stai dicendo? Hai già fatto la scelta giusta, la scelta che ci ha portate a questo." Emma si lasciò sfuggire una mezza risata sarcastica.
"Lo sai anche tu che il tempo è folle e ha delle regole tutte sue."
"E che cosa vorresti fare? Tornare indietro nel tempo e assicurarti che la Emma del passato non sposi Hook?"
"Potrei" rispose lei stringendosi nelle spalle. Regina sospirò e si staccò dalla porta.
"Emma, ti prego, vieni a letto e non fare idiozie."
La bionda abbassò di nuovo lo sguardo su sua figlia. "Va bene," acconsentì, "tra un attimo."

Con la mano stretta in quella della sua mamma, la bambina stava percorrendo il vialetto del numero 108 di Mifflin Street, raccontandole le avventure rocambolesche di Fluffy, il coniglio mascotte della sua classe. Emma si rese conto che sapeva il nome della mascotte della scuola materna di sua figlia e di gran parte dei suoi compagni ma non conosceva il nome della bambina in questione. Qual era il giusto modo per chiedere a sua figlia come si chiamava?
Non appena Regina aprì la porta, la bambina schizzò dentro, gettando lo zainetto a terra.
"Non si corre per casa, signorina! E ricordati di lavarti le mani prima della merenda!" esclamò il sindaco prima di raccogliere lo zainetto. "Incolpo i tuoi geni per la sua mancanza di ordine" le disse sorridendo.
Entrando nella villa, Emma si accorse che era simile a come l'aveva vista l'ultima volta, eppure non identica: sulle pareti e sulle varie mensole erano state aggiunte delle foto e dei disegni. Una in particolare, sulla parete a destra, colse la sua attenzione: ritraeva una Regina stanca ma radiosa seduta in un letto di ospedale, tra le braccia un neonato avvolto in una coperta simile a quella che Granny aveva fatto per la figlia di Snow e David. Al fianco della neomamma c'erano Emma e Henry, anch'essi felici come non mai. Regina le si avvicinò lentamente.
"La nostra prima foto insieme" disse rievocando nella sua mente i ricordi di quei momenti. Lanciò uno sguardo all'altra donna, ancora intenta ad osservare la foto, poi decise di lasciarla sola per qualche istante. Aveva molto su cui riflettere.
La raggiunse più tardi in cucina, dove Regina stava sbucciando una mela. Si sedette su uno sgabello di fronte all'isola e rimase ad osservare i movimenti precisi e aggraziati dell'altra madre dei suoi figli. Entrambe rimasero in silenzio. Avevano mille cose di cui discutere, eppure sentivano che non c'era nulla da dire. La bambina arrivò poco dopo e si arrampicò sullo sgabello di fianco a Emma. Si era già impossessata di un pezzo di mela quando Regina le chiese se avesse lavato le mani. In risposta, la piccola levò entrambe le mani sotto il naso di Emma, in attesa che le annusasse. Leggermente titubante, Emma si protese di poco in avanti e constatò che i palmi odoravano di sapone.
“Ok, sono pulite” dichiarò e subito il sorriso della bambina la contagiò. Tutta contenta, la piccola agguantò di nuovo la sua fetta e, dopo averla trangugiata ad una velocità record, annunciò che sarebbe uscita in giardino a saltare con la corda.
Non appena la porta si fu richiusa alle spalle della bambina, Emma avvertì un movimento nella stanza. Si voltò e rimase sconcertata. Di fronte a sé c'era... lei.
"Hey" disse la sua versione del futuro. I capelli avevano bene o male la stessa lunghezza, il viso solo qualche ruga attorno agli occhi. Nella parte superiore indossava una semplice maglia chiara, senza fiori o fronzoli di alcun tipo, mentre sotto indossava gli stessi identici pantaloni che portava lei in quel momento. Emma non sapeva come risponderle. Rimase semplicemente a fissarla mentre si avvicinava a Regina, che subito le poggiò una mano sulla spalla in segno di incoraggiamento.
"Mi spiace per il viaggio inaspettato, ma avevo bisogno di assicurarmi che non facessi una cazzata."
Emma abbassò lo sguardo sulla tazza che aveva fra le mani.
"So che in questo momento ti sembra la cosa più logica da fare, ma non lo è se vuoi essere felice."
Emma si portò la tazza alle labbra e bevve un sorso di caffè.
"Ti prego, abbi il coraggio di dare retta al tuo cuore."
Emma non rispose. Erano mesi che trovava difficile guardarsi allo specchio, posare gli occhi su quella versione di sé era tanto intrigante quanto doloroso. Eppure con la coda dell'occhio vedeva il modo il cui Regina la sfiorava e provava uno strano senso di gelosia e di orgoglio al tempo stesso. Il pensiero la fece arrossire leggermente e cercò di nasconderlo bevendo un altro sorso di caffè. Notando il suo disagio, Regina si staccò dall'altra Emma e si avvicinò a quella che in quel momento non era esattamente la versione migliore di sé. Alzò lo sguardo alla sua sinistra e si perse in quelle pozze calde che erano gli occhi della donna di cui era innamorata da anni. Regina le prese il viso fra le mani, accarezzandole lievemente le guance con i pollici.
"Ti prego, Emma, non sposarlo."
Poi, lentamente, si chinò e la baciò.

Emma si svegliò di soprassalto. Nel proprio letto.
"Ehi, Swan, stai bene?"
Si voltò e si trovò accanto Killian, lo sguardo ancora assonnato.
"Mai stata meglio" affermò spingendo via le coperte e scendendo dal letto. Indossò un paio di jeans e, quando le capitò fra le mani la maledetta camicia a fiori la gettò a terra e si immerse nell'armadio alla ricerca di qualcosa che le appartenesse davvero.
"Che diavolo stai facendo?" chiese di nuovo l'uomo.
"Mi sto risvegliando" rispose Emma infilandosi una maglia blu e uscendo dalla camera. Si fiondò giù dalle scale e fuori dalla porta d'ingresso. Salì sul suo maggiolino giallo e attraversò la città a tutta velocità. Si fermò solo al 108 di Mifflin Street, scese dal veicolo e chiuse forte la portiera. Aprì il cancellino di ferro ma non perse tempo a richiuderlo. Scattò lungo il vialetto e saltò i gradini con un balzo. Nello slancio rischiò di sbattere il naso contro la porta d'ingresso, che cominciò quasi a prendere a pugni.
Ci volle poco perché si aprisse, rivelando in tutta la sua bellezza una Regina Mills scocciata e ancora non perfettamente sveglia sebbene impeccabilmente vestita.
"Miss Swan, sei impaz..."
La baciò.


NDA
Buondì.
La storia prende vita da un sogno fatto qualche tempo fa.
So che Silente afferma che è sbagliato indugiare nei sogni, ma a me era piaciuto tanto.




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