Fine della fiera (degli imbecilli)
Mos
Eisley è sempre il solito casino. Scendiamo dal trasporto in
mezzo a
un caos di alieni di ogni specie. Ci sono i tusken che si aggirano
fra i viaggiatori nella speranza di isolare qualcuno, pestarlo e
depredarlo di ogni avere, i jawas sempre alla ricerca di qualche
pezzo meccanico da rubacchiare, gli hutt che con tracotanza cercano
di fermare qualche ingenuo, farsi passare per guardie o personaggi
importanti del luogo e compiere sul malcapitato ogni genere di abusi,
e insomma tutto il colore locale con il caldo soffocante, i fetori,
il clamori e soprattutto la birra in vendita ovunque alla faccia dei
B’omarr.
Qualche
pattuglia di Sandtrooper controlla che i vari ladri, manutengoli,
scippatori e truffatori rimangano nei limiti non tanto della legge,
quanto piuttosto delle regole non scritte dello spazioporto.
Raggiungo
un gruppetto di soldati imperiali e mi qualifico.
Il
capo della squadra, un sergente, mi guarda con la massima
tranquillità. Probabilmente, l’unica cosa strana
ai suoi occhi è
che sono un ufficiale della flotta e qui non ci sono basi di TIE
fighter o Star Destroyer. Il resto del mio gruppetto, ovvero il
vecchio rincoglionito, i tre scemi, il necrofilo e i civili, qui sono
banale routine. “Cosa posso fare per lei,
capitano?” mi chiede,
con la tipica deferenza informale del soldato che ha passato anni in
zone di servizio ‘calde’.
“Mi
servono un trasporto per la Morte Nera e un toydariano,
sergente.”
“Un
toydariano? Se deve comprare qualcosa sono meglio i jawas, signore.
Fregano lo stesso, ma perlomeno non tentano di narcotizzare i
potenziali clienti per venderli come schiavi agli hutt.”
Come
se non lo sapessi. “Non mi serve un toydariano qualsiasi.
Cerco il
vecchio Qirra Nabb, mi deve un favore.”
Il
sergente inclina la testa da una parte, tipico movimento del
sandtrooper o dello stormtrooper perplesso. Immagino che il bravo
sottufficiale abbia una gran voglia di chiedermi perché
conosco Nabb
e come faccio a trovarmi nelle condizioni di avere un credito presso
di lui, ma sa anche molto bene che ci sono domande che è
meglio non
porre, se non si è preparati a determinate risposte. Si
consulta con
uno dei suoi uomini, poi mi dice: “Sta nella parte vecchia
del
mercato, ha un magazzino di parti di ricambio.” Poi, dopo una
pausa: “Non serve che le dica di stare attento, vero,
capitano?”
“Non
si preoccupi, sergente, conosco il posto,” gli rispondo
disinvolto.
Il
sergente, al contrario, si preoccupa. Non credo per buon cuore nei
miei confronti, ma in previsione delle montagne di moduli e rapporti
che dovrebbe compilare nel caso il sottoscritto, ai suoi occhi un
azzimato damerino della flotta ignaro di qualsiasi cosa, si
volatilizzasse nelle profondità del mercato vecchio senza
lasciare
traccia.
“Le
mando dietro un paio di ragazzi?” propone.
“Figurarsi,
poi Nabb scompare come un droide se ci sono in giro dei jawas.
Conosco i miei bog-wing, sergente.” Indico la zavorra dei
miei
nefasti accompagnatori. “Piuttosto, se nel frattempo potessi
lasciare questi qui nella vostra postazione sarebbe una gran
cosa.”
Non
posso vedere la faccia del sandtrooper, ovviamente, ma lo sguardo che
si scambia con il suo caporale la dice lunga.
“Veramente...”
comincia.
Per
fortuna la twi’lek, che alla vista di tanta balda soldataglia
era
già a fare sfoggio di push-up e giarrettiere, al profilarsi
della
possibilità di finire in una bella caserma saluta con la
manina
adorna di Coruscant manicure e sfarfalla le ciglia.
“Ci
lascia anche quella, capitano?” si
informa il sergente.
“Certo.”
“Affare
fatto.”
Parcheggiati
gli inutili, mi addentro con libidine nei postacci più
luridi di Mos
Eisley.
Fa
un po’ strano, in effetti, un grigioverde ufficiale della
flotta
che si aggira in mezzo a bettole e botteghe di cianfrusaglie, tanto
che i numerosissimi grassatori sempre in attesa di vittime da
depredare non osano nemmeno avvicinarsi, temendo chissà
quale
raffinata trappola. Probabilmente pensano che io sia una specie di
esca, oppure che sia un soldato talmente massiccio che se si
avvicinassero li ospedalizzerei tutti quanti con mosse di arti
marziali o roba del genere.
Ancora
una volta, la pubblicità è l’anima del
commercio.
Mi
infilo nel mercato. Man mano che mi avvicino alla parte vecchia i
vicoli diventano più stretti e più tortuosi, le
botteghe più
sordide e i venditori più insistenti. Il clima torrido di
Tatooine,
non più mitigato da climatizzatori o altro, si fa sentire in
tutta
la sua pesantezza. Nell’aria aleggiano odori di cibi alieni e
dei
cumuli di rifiuti nei quali razzolano gruppetti di ugnaught.
Finalmente
arrivo al magazzino di Nabb, che è un enorme capannone
stipato di
pezzi meccanici di ogni genere, dalle paratie antilaser glitterate
per navi di lusso alle guarnizioni usate degli scarichi dei gabinetti
iperspaziali.
Vari
droidi vanno su e giù trasportando cose.
Qirra
Nabb svolazza in giro imprecando all’indirizzo dei droidi,
delle
cose trasportate, dei clienti, del clima, della sabbia,
dell’Impero,
dei ribelli e anche degli ugnaught che grugniscono contendendosi il
pattume.
“Ehi,
vecchio filibustiere,” lo saluto.
Il
toydariano si gira verso di me, stringe gli occhi scrutandomi con
diffidenza. “Io conosco te, ufficiale?” mi chiede.
Un
dubbio che non riuscirò mai a togliermi: perché i
toydariani non
sono in grado di parlare una forma grammaticalmente corretta di
Galattico Base? In ogni caso, gli rispondo: “Certo che mi
conosci:
sono Roy Veers.”
L’alieno
rimane per un po’ in silenzio, di nuovo mi scruta con
attenzione,
facendosi addirittura comparire una ruga di intenso lavorio mentale
sulla fronte. La sua tozza proboscide si muove nella mia direzione
per fiutarmi. Alla fine arretra come se fossi radioattivo.
“Oh!
Ah!” esclama inorridito, “Tu
‘disgrazia’ Veers. Tu stai
lontano da me!” Fa segni che nella sua cultura equivalgono a
scongiuri potentissimi contro malocchio, voodoo e peste nera.
“Che
brutto modo di accogliere un vecchio amico,” depreco.
“Tu
amico come attacco di emorroidi,” replica lo svolazzante
manutengolo, “tu ricordi cosa successo tua ultima volta
qui?”
“Ero
ubriaco. E poi non sapevo che il tybanio esplodesse così
facilmente.”
“Ah,
tu non sapevi? Mio magazzino
scoppiato, pezzi sparsi
per tutto il deserto dello Jundland, povero Qirra rovinato come un
rovista-pattume ugnaught.”
“Il
povero Qirra si è preso anche un
bell’indennizzo
dall’Impero, se non sbaglio,” replico, insensibile
al tipico
piagnisteo toydariano come Boba Fett alle implorazioni delle sue
vittime. “Inoltre ricordo bene, nonostante la sbronza, che
nel
magazzino scoppiato del povero Qirra sono venute fuori certe cose, e
un simpatico ufficiale imperiale ha fatto finta di non vederle, dico
bene?”
“Tu
simpatico come attacco di diarrea quando hai appuntamento con femmina
più bella della galassia,” risponde il mio
interlocutore.
“Noto
che comunque ti ricordi l’episodio.”
Segue
un momento di teso silenzio. Il toydariano mi scruta di nuovo
stringendo gli occhi, infine dice: “Vecchio Qirra non nato
ieri.
Cosa vuoi tu da me, ‘disgrazia’ Veers?”
“Ora
ti spiego.”
Espletata
la funzione toydariana, percorro il mercato in senso inverso,
passando dai posti più sordidi a quelli più chic,
di nuovo senza
venire nemmeno avvicinato dai vari ladri, scippatori, rapinatori,
stupratori di orifizi a prescindere e commercianti di organi. Torno
alla mia simpatica pattuglia di Sandtrooper.
Fjo’ona
sta tenendo banco. La squadra con cui ho parlato ha finito il turno,
quindi sono tutti in uniforme grigia ad acclamare l’aliena,
che sta
facendo un numero di lap dance intorno al palo che consente la
discesa rapida dal primo piano.
Il
colonnello Waxen sta raccontando un aneddoto di guerra a
un’armatura
collocata sull’apposito supporto, ed è molto
compiaciuto della sua
educazione e della sua pazienza.
I
tre soldatini, nonnizzati dai più anziani come si suole fare
in ogni
caserma dell’universo, sono chiusi dentro altrettanti
armadietti a
fare i juke-box, con la soldataglia da deserto (notoriamente la
peggiore dell’Impero) che butta dentro crediti attraverso le
fessure e chiede i brani più disgustosamente volgari di
tutto il già
trucido sottogenere delle canzoni soldatesche.
Hyaskon
finalmente è riuscito a ingerire la sua manciata di farmaci
ed è
steso in un angolo in stato di morte apparente.
Manca
la Du Bal.
Che
non è un gran problema, obiettivamente. L’unica
cosa che mi
dispiacerebbe, casomai si fosse persa da qualche parte, è
che non
potrò sguinzagliarla in giro per la Morte Nera.
Cerco
il sergente di prima, che sta compilando un rapporto su una vecchia
tastiera. L’ufficio in cui sta lavorando ha le pareti
intonacate di
color deserto e un ventilatore a pale che pende dal soffitto. La
temperatura evoca un altoforno a pieno regime di lavoro.
“Si
prenda una birra, capitano,” mi accoglie senza neanche
girarsi.
“Là, nel droide guasto.”
In
un angolo c’è un R2-D2 di cui è rimasto
praticamente solo
l’involucro esterno, debitamente isolato e riempito di
ghiaccio
secco.
Alzo
la calotta a semisfera ed estraggo una lattina.
“Sergente
Arvid,” si presenta il sottufficiale. “Tasti di
merda,”
prosegue poi. “Se deve comprare qualcosa, capitano, non vada
mai
dai jawas. Sono dei piccoli bastardi.”
“Ma
non avete le forniture imperiali?” chiedo perplesso.
Si
gira verso di me. “Ha mai provato a far funzionare un cf-19
in
mezzo a questa sabbia? Vanno in avaria dopo tre giorni.”
“Capisco.”
“Chi
inventa quella roba è gente abituata a starsene sul ponte di
comando
di uno Star Destroyer con l’aria condizionata e
microfiltrata. Cosa
vuole che ne sappiano? Senza offesa, eh.”
“Non
pervenuta.”
Passa
qualche minuto di un silenzio rotto solo dal lento ticchettare dei
tasti e da qualche imprecazione del sergente Arvid, poi il
sottufficiale termina il rapporto, lo spedisce e mi fa:
“Sbaglio o
mi aveva detto che le serve un trasporto per la Morte Nera?”
“Non
sbaglia, sergente. Devo fare rapporto sulla mia missione a Lord Vader
e al Governatore Tarkin.”
“Auguri.
Dicono che da ieri Vader sia inavvicinabile.” Poi, dopo una
pausa:
“È sicuro che lo vuole subito
il trasporto? Magari, sa come
vanno queste cose, ci potrebbe essere un’avaria, una carenza
di
personale… e intanto lassù si calmano le
acque.”
Comincia
a trafficare col terminale, bestemmiando di tanto in tanto per i
tasti che non vanno.
Pondero
l’eventualità: un po’ di Mos Eisley,
qualche cocktail
gamorreano, magari mi faccio prestare un’armor e me ne vado
un po’
in giro con questi tizi, che mi sembrano simpatici…
“Ah,
però.” La voce di Arvid mi distoglie dai miei
pensieri. “Lei fa
Veers di cognome, vero?”
“Affermativo.”
“Prenda
un’altra birra, vedo che la sua sta finendo.
C’è un trasporto a
priorità uno per lei.”
“Cosa?
priorità uno? Cioè, tipo l’Imperatore o
cose del genere?”
Nella
mia mente comincia a lampeggiare un’enorme scritta rossa: cazzi
orribili.
“Non
vanno in avaria le navette a priorità uno?” mi
informo speranzoso.
Arvid
scuote la testa. “Negativo, signore. P1 significa che il
primo
trasporto che va sulla Morte Nera è il suo, a prescindere
dal tipo
di navetta e dal carico che porta, fosse anche pattume
liofilizzato.”
Stappo
la seconda birra. “Pattume liofilizzato?”
“Per
la serra dell’ammiraglio Ozzel, signore. Concime naturale,
credo.”
Faccio
mente locale. Mi devo giocare bene la faccenda, altrimenti mi sa che
divento io il concime naturale della serra di
Baffetto.
“Mi
servono almeno due posti sulla navetta,” dico dopo un
po’.
Arvid
mi fissa perplesso. “Due posti?” Poi, con
l’aria di quello a
cui è sfuggita una cosa assolutamente logica: “Ah,
il colonnello,
certo.”
“No,
niente colonnello. Quello me lo mandate col trasporto dopo.”
Il
sergente è sempre più perplesso. “Temo
di non capire, signore.”
“Lo
so, non è per niente facile da capire. Ora io e lei andiamo
a fare
un’ispezione alla Dianoga in Piedi, se
c’è ancora, e mentre ci
beviamo un paio di pinte di Imperial Stout le spiego due
cosette.”
“Come
fa a conoscere la Dianoga in Piedi?”
“Io
ne ho viste, cose…”
§
§ §
Vader
passeggiava su e giù nervosamente. Arriverà,
quel maledettissimo
figlio di una bagascia tusken, pensava furibondo. Arriverà,
prima o poi.
Gli
addetti al pontile di atterraggio XR-44 si scambiarono uno sguardo
preoccupato, poi tornarono a fissare con estrema intensità i
monitor
che mostravano il vettore di avvicinamento.
“Torre
da Due Sette Sierra Bravo.”
“Sierra
Bravo, avanti.”
“Sierra
Bravo, decollato da Mos Eisley, in bound a pontile Xray Romeo quattro
quattro che stima ai tre cinque.”
“Avvisate
quando pronto per la procedura di atterraggio, Sierra Bravo.”
“Roger.”
Il
signore dei Sith, che in gioventù era stato un abile pilota,
seguì
con attenzione la manovra di avvicinamento. Lui era
lì, lo
sentiva.
Lui
e la Imperial Platinum, naturalmente.
Finalmente
comparve all’orizzonte il puntino di una Tydirium in
avvicinamento.
La navicella arrivò al limitare della rampa,
abbassò i pannelli
alari e si dispose all’atterraggio. Vader fece fatica a
trattenersi
mentre sulla piattaforma veniva ripristinata l’atmosfera.
Con
un leggero ronzio si aprì il portellone, subito dopo
uscì la
scaletta, poi non successe più nulla.
“Sierra
Bravo, qualche problema?” chiese la torre dopo un
po’.
“Negativo,
torre. I passeggeri stanno per scendere.”
Passarono
altri secondi. Continuava a non succedere nulla.
“Sierra
Bravo?”
Dal
portello uscì svolazzando un toydariano, che si
guardò intorno con
un’occhiata che sembrava direttamente calcolare il valore di
ognuna
delle strutture che lo circondavano. “Ah, bella
roba,” constatò
soddisfatto. “Questa vale molto money.”
Sogghignò e con due
delle tre dita che aveva in dotazione per ogni mano fece il gesto di
contare banconote.
Sulla
piattaforma era calato frattanto un silenzio siderale, rotto solo dal
lento respiro del signore dei Sith.
L’alieno
si girò verso l’inquietante personaggio e
frullò nella sua
direzione. “Bel posto!” apprezzò facendo
un movimento ampio e
circolare con il braccio. “Bello. Roba di prima classe. First
qualità. Tu signore Darth Vader, sì?” E
senza aspettare
risposta, soggiunse: “Io toydariano, con me trucchi di mente
non
funzionano. Quindi tu non muovere tua manina per strozzare.”
Mimò
il gesto nell’aria, casomai non fosse chiaro. “Va
buono?”
Subito
dopo si tolse da una delle borse che aveva in cintura un generatore
di ologrammi e lo attivò.
Comparve
il capitano Roy Veers, che si portò due dita della destra
alla
fronte in un informale saluto e disse: “Salve.”
Vader
fissò l’ologramma, che sembrava seduto al tavolo
di una bettola di
Mos Eisley e aveva davanti una pinta di birra. Alle sue spalle
lampeggiava un neon con una dianoga stilizzata e sotto la scritta
‘in
piedi’.
“Mi
riceve, signor Vader?” chiese l’ologramma. Poi,
dopo una pausa:
“Beh, consideriamo di sì. Allora, le spiego un
paio di cosette
sulla Imperial Platinum, d’accordo? È vero,
sì, diciamo che l’ho
presa in prestito per un po’. Ma avevo
intenzione di
ridargliela, giuro. Volevo solo comprare una bambola gonfiabile di
gamorreana obesa per Tarkin e fargliela recapitare durante un
briefing, tutto lì. Solo che prima che potessi riprendermi
dalla
sbronza qualcuno mi ha agguantato, infilato dentro
un’uniforme
tropicale e spedito a cercare Kurtz. E io, del tutto
accidentalmente, mi sono ritrovato la sua carta di credito in
tasca.”
Fece
una pausa, vuotò il bicchiere con un rispettabile sorso da
mezza
pinta, quindi disse: “Un’altra, cara.”
Una
twi’lek verde depose un bicchiere pieno sul tavolo.
“Grazie,
tesoro.”
Veers
tornò a voltarsi verso il registratore di ologrammi.
“Stavamo
dicendo? Ah, sì: la carta. Meno male che l’avevo
con me, signore.
Ha presente Sullust? Ecco, di basi imperiali non ce
n’è una che
funzioni per il verso giusto. Ci siamo dovuti pagare tutto. Lei ha
mai sentito parlare di un nostro contatto locale che si fa chiamare
Mister Beruwela? Ecco, cinquantamila crediti tutti anticipati per
trasporti ed equipaggiamento, se no si andava a dorso di
bantha.”
Altro
sorso di birra.
“E
diciamo due parole anche della guarnigione di Kandy, già che
ci
siamo,” riprese l’ologramma. “Diecimila
crediti per alloggiare
nella caserma, mi spiego? O diecimila o dormire in città col
rischio
di essere trasformati in pastura per dianoghe. Veda lei.”
Altro
sorso, fine del bicchiere, la twi’lek ne depose un altro.
“Potrei
andare avanti. Trasporti per Kamino, trasporti – molto
più
importanti – da Kamino, e così
via. In ogni caso, alla fine
di tutto questo casino abbiamo anche trovato Kurtz. Simpatico da
parte vostra, fra l’altro, farmi scoprire che razza di
personaggio
stavo andando a cercare solo quando sono arrivato su
Sullust.” Fece
una pausa, che utilizzò per vuotare il bicchiere, quindi in
tono
grave concluse: “Ora, se dopo aver sentito tutto questo ha
ancora
voglia di tirarmi il collo, devo pensare che abbia ragione Tarkin
quando la definisce un permaloso iracondo che sfoga la sua
frustrazione sugli altri perché…” Fece
un gesto soldatesco ed
inequivocabile sostenendosi un avambraccio con l’altro e
lasciando
penzolare la mano del primo.
L’ologramma
tremolò e scomparve lasciandosi dietro un silenzio in cui si
sarebbe
sentita una twi’lek pensare.
Nell’unanime
costernazione, il toydariano raccolse il generatore di ologrammi, se
lo infilò in saccoccia e disse: “Vecchio Qirra
Nabb ha fatto sua
parte. Ora ‘disgrazia’ Veers fa da solo.
Saluti.”
Svolazzò
verso la navetta in attesa e vi scomparve dentro.
Passarono
altri lunghi secondi, il silenzio permaneva inviolato.
Infine
il signore dei Sith vide una testa con tanto di berretto da ufficiale
che si affacciava circospetta dal portello della tydirium.
“Signor
Vader, posso uscire?” si informò Veers.
“È rimasto convinto dal
mio messaggio?”
Nessuna
risposta.
“Lo
prendo come un sì, signore?”
Mentre
i negoziati erano in questa delicata fare del loro svolgimento, si
presentò sulla piattaforma XR-44 il Governatore Tarkin in
persona.
Questi
apostrofò da lungi il circospetto capitano:
“Veers! La pianti di
giocare a nascondino e venga fuori. Pensa che possiamo permetterci di
perdere la giornata dietro le sue cialtronerie?”
“Beh,
ecco, cialtronerie fino a un certo punto, signore. Se posso
permettermi, naturalmente. Si tratta della mia pellaccia.”
“Venga
fuori immediatamente!”
Il
capitano uscì dalla tydirium.
Subito
Vader tese una mano verso di lui. Il capitano fece un passo indietro
con l’aria di chi è allergico alle rose e
tutt’a un tratto si
trova nel bel mezzo di un vivaio in piena fioritura. “La
Imperial
Platinum,” ordinò il gigante nero. “E
poi discuteremo di quello
che mi ha detto nel messaggio olografico.”
Veers
tirò fuori di tasca la targhetta di plastica, ma
arretrò fino al
bordo della piattaforma e da lì passò al supporto
dell’antenna,
una sottile passerella che si protendeva su un abisso profondo
più
di mille metri. Si passò un dito nel colletto
dell’uniforme. “Se
lei mi strozza, Vader, la carta di credito finisce con me nel
reattore principale.”
“Venga
qui, capitano.”
“Allora
che fa, mi strozza o no?” Allungò la mano che
reggeva la Imperial
Platinum sull’orrendo baratro. Dal basso proveniva una
corrente
d’aria che gli faceva sventolare le falde della giacca e
l’irriverente ciuffo biondo.
A
questo punto intervenne Tarkin: “Vader, lascialo
stare!”
Il
capitano circondò l’antenna con un braccio.
Guardò giù per un
attimo e fece l’espressione di uno che ha appena addentato un
limone, poi però disse: “Morto per morto, almeno
lei non si gode
nemmeno i punti Imperial Rewards.”
“Vader,
basta così! Ci deve ancora dire dov’è
Kurtz.”
Il
signore dei Sith abbassò il braccio. “Se
così desideri.” Poi,
dopo una pausa: “E comunque, tu ed io dobbiamo parlare di
certe
cose che vai dicendo su di me.”
“Eh?”
“Chiedilo
a quel tipetto là in fondo.” Indicò il
capitano, che stava
ritornando sulla piattaforma d’atterraggio con
l’aria di uno cui
è appena passata tutta la vita davanti agli occhi.
“Che
cosa dovrei chiedergli?”
E
Vader, di rimando: “E tu che cosa vai dicendo di
me?”
“Non
so di che parli.” Poi, rivolto all’ufficiale:
“Veers, venga
qui!”
“Al
tempo, signore. Un altro po’ e finivo per assomigliare a un
gungan
stitico.”
“Veers!”
“Mi
scusi, Governatore, ma il signore dei Stih, qui, ha la manina
piuttosto pesante.”
“Non
mi interessa la mano del signore dei Sith.”
Veers
fece un sorrisetto e sollevò un sopracciglio, tutti fecero
finta di
non notare.
Tarkin
insisté: “Mi dica subito quello che ha scoperto su
Kurtz. Cosa
intendeva quando ha detto che non sarà più una
minaccia per
l’Impero? È morto, forse?”
“Beh,
proprio morto morto no, signore. Ecco, non ancora.
Ma magari,
con un po’ di pazienza...”
“Si
spieghi meglio.”
“Il
colonnello Kurtz vive da solo su un’isoletta e passa le
giornate a
pescare, signore. Niente più monarchia teocratica, genocidi
e altro.
Solo pesca d’altura quando è in vena di
trasgressioni.”
“E
lei come fa a saperlo?”
“Me
l’ha detto lui, signore.”
Passarono
lunghi secondi di silenzio. Tarkin e Vader si scambiarono
un’occhiata.
Infine,
con voce tagliente il Governatore disse: “Io
non so come lei sia venuto in possesso di queste informazioni,
capitano. Posto che siano vere, naturalmente. Ma conoscendola sono
certo che avrà usato dei metodi indegni di un ufficiale
imperiale.
Voglio un rapporto completo sulla mia scrivania entro
un’ora!”
“Un
rapporto completo sulla sua scrivania?” fece eco Veers, che
un
volta scongiurata la morte era di nuovo tranquillo come se stesse
parlando del tempo. “Decisamente ha dei gusti inconsueti,
signore.
E poi non le sembra un po’ prematuro? In fondo non ci
conosciamo
poi così bene…”
“Non
quel
tipo
di rapporto!” si affrettò a rispondere Tarkin. Era
certo di essere
arrossito. Dannato Veers, lui e le sue battute idiote.
“Non
si deve sentire in imbarazzo se ha certi gusti, signore,”
rispose
il capitano imperturbabile, “tantissime persone molto a modo
hanno
tendenze particolari.”
“Veers,
la smetta! Io non ho tendenze particolari di nessun tipo!”
ribatté
il governatore, con voce forse un po’ troppo stridula.
“Mi
scusi se lo dico, signore, ma accettare se stessi è il primo
passo
per una vita serena…”
“Insomma,
basta! Io non devo accettare proprio nulla…”
cominciò Tarkin, ma
in quel frangente si avvicinò un piantone e si
fermò davanti a lui
sull’attenti.
“Ebbene?”
chiese il Governatore.
“Signore,
un messaggio per lei sulla frequenza prioritaria,”
annunciò il
soldato.
Tarkin
si avvicinò a un monitor e lo attivò. Comparve la
faccia rugosa di
un vecchietto con un bel paio di baffi all’insù.
“Wilhuff,
vecchio mio!” disse l’immagine, “Che
piacere rivederti!”
“Colonnello
Waxen,” fu la gelida risposta dell’altro.
“Come
te la passi?” proseguì l’attempato
ufficiale, del tutto
indifferente al tono glaciale dell’altro. “Hai
visto che siamo
pieni di navi nemiche?”
“Navi
nemiche, colonnello?”
“Ah
ah, sei proprio distratto! Tutti questi Mon Calamari che girano qui
intorno dove li vogliamo mettere? Li vogliamo lasciare liberi di fare
i loro comodi? Ma non ti preoccupare, ho già attivato il
laser: non
andranno lontano, quei lestofanti!” Ghignò
compiaciuto al pensiero
di quello che stava per succedere.
Tarkin
sbiancò. “Cos’ha fatto?”
“Il
laser, quello grosso. Tempo due minuti e facciamo piazza
pulita.”
Per
la prima volta da quando era ufficiale dell’Impero, Tarkin
proferì
un’imprecazione che lasciò basito chiunque si
trovò ad
ascoltarla. Persino dal bunker degli artiglieri, che si vedeva alle
spalle di Waxen, una voce commentò:
“Sticazzi.”
Subito
dopo il Governatore si buttò sul blocco di emergenza e
attivò
l’allarme generale. Sempre imprecando in maniera orribile
partì di
corsa lungo un corridoio.
Da
un passaggio laterale saltò fuori una donna scarmigliata con
addosso
un’approssimativa sottana bianca, berciò qualcosa
che poteva
somigliare a “Nonno!” e lo placcò
mandandolo a rotolare sul
pavimento.
Furono
necessari quattro stormtrooper per ridurla all’impotenza. Nel
frattempo una specie di azzurra estetista twi’lek
piagnucolava che
aveva bisogno di un bagno e non riusciva a trovarlo.
Nell’improvviso
casino, Veers e Darth Vader rimasero soli sulla piattaforma.
“Tutto
questo è opera sua, non è vero?” chiese
il signore dei Sith dopo
un lungo silenzio.
Il
capitano si strinse nelle spalle.
“È
qui da nemmeno venti minuti ed è già riuscito a
far partire un
allarme generale.”
“Non
ho fatto tutto io, signore,” si schermì
l’ufficiale. Il tono era
quello di chi è stato trovato su una pila di rangkor morti
con in
mano un temperino e si trova impropriamente attribuiti tutti gli
abbattimenti.
Ci
fu un altro lungo silenzio. Infine, Vader disse: “Io credo,
capitano, che lei abbia un talento per creare problemi, scardinare
gerarchie e suscitare confusione dove non ce ne dovrebbe
essere.”
“Signore,
lei mi lusinga.”
“È
riuscito a far bestemmiare Tarkin.”
“Solo
una grazie all’intervento del signor colonnello.”
Il
Sith tacque di nuovo. Nel cupo silenzio si udivano fievoli le
pittoresche imprecazioni di Qirra Nabb, che era nella tydirium e
protestava perché la navetta non stava decollando alla volta
di
Tatooine.
Alla
fine Veers alzò lo sguardo per fissare il suo interlocutore.
“Allora… io andrei?” propose.
Esibì uno dei suoi celebri
sorrisi disarmanti, in particolare la versione ‘OK,
è stato bello.
Allora ciao, eh?’
“Non
così in fretta, capitano,” disse però
Vader.
Il
sorriso disarmante si raffreddò alquanto, assumendo le
connotazioni
di un trisma tetanico. “Ehm…
c’è altro, signore?”
“Lei
cosa ne dice, Veers?”
“Beh,
signore, lei è di Tatooine, se non ricordo male, quindi
conosce il
proverbio: non chiedere a Chalmun se la sua birra è
buona.”
Vader
si piegò sull’ufficiale sovrastandolo con la sua
mole. L’altro
avrebbe volentieri fatto un passo indietro per sottrarsi a quella
nefasta influenza, ma era sul bordo della piattaforma e non poteva.
Con
tono minacciosamente basso, il signore dei Sith gli disse:
“Lei si
è impadronito della mia carta di credito e l’ha
usata a suo
piacimento, ha lasciato vivo un pericoloso criminale che le era stato
espressamente ordinato di uccidere, ha sbeffeggiato il suo superiore
in tutti i modi possibili, si è ubriacato ripetutamente in
servizio
e di certo mi sono dimenticato qualcosa. Se volessimo vedere la sua
situazione da una prospettiva strettamente militare, Veers, lei
adesso dovrebbe andare sotto processo per almeno diciotto crimini
diversi.”
L’ufficiale
deglutì. Aveva alle spalle un baratro di mille metri,
davanti Darth
Vader incazzato e come prospettiva la corte marziale.
Nel
silenzio siderale propose: “Immagino che non servirebbe a
niente
invitarla a riconsiderare la questione davanti a una birra?”
L’altro
abbandonò la posizione di minaccia ed emise un sospiro.
“Io devo
ancora capire, Veers, se lei è molto coraggioso o molto
stupido.”
Il
capitano sospirò a sua volta e si passò il dorso
della mano sulla
fronte imperlata di sudore freddo. “Ah, non lo so, signore.
Io
propenderei per la seconda. Ora posso spostarmi da qui, per favore?
Incomincio ad avere le chiappe un po’ strette, con rispetto
parlando.”
Vader
si fece da parte per permettergli di passare e in un fugace attimo si
sorprese a rimpiangere di non poter più bere birra.
“Quando è
stato l’ultima volta al bar di Chalmun?” gli chiese.
“Ci
ho fatto un salto proprio ieri, signore. Sa che ha cambiato il
bancone?”
“Ah,
non è più quello in resina di sarlacc?”
“Nossignore.
Adesso ne ha uno di pietra di Kashi. Quello prima gliel’ha
sfasciato uno hutt ubriaco che ci è caduto sopra.”
“Sull’altro
c’erano le mie iniziali…”
“Davvero,
signore?”
“Già.
Nell’angolo in fondo. Ha presente dove Chalmun teneva quel
punch
schifoso che smerciava ai contrabbandieri rodiani?”
“Ah,
ora ho capito. A e S, giusto?”
Vader
annuì. “Bei tempi.”
“Eh,
sì. Non si offenda, temo di averci anche vomitato sopra una
volta.
Ero sbronzo.”
“Cose
che succedono.”
“È
vero.”
Si
avviarono lungo il corridoio fianco a fianco. L’allarme
continuava
a suonare come impazzito, raggi laser senza controllo fendevano lo
spazio. Sotto i potentissimi colpi, ignari sistemi astrali venivano
disintegrati uno dopo l’altro.
PICCOLO
ANGOLO DELL’AUTORE:
Cari
lettori, care lettrici,
e
così abbiamo finito anche questa storia. Basta con imperiali
squinternati e avventure demenziali su e giù per le galassie.
Un
enorme grazie a tutti coloro che mi hanno seguito, a chi mi ha
commentato, a chi mi ha messo in qualcuna delle sue liste ma anche a
chi è passato, ha dato un’occhiata e se
n’è andato,
sperabilmente dopo aver fatto una risata.
Grazie
davvero a tutti, e ora vado a devastarmi di birra con Veers!
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