Still Standing (...on the borderline?) - capitolo 4
How to save a life
P.O.V.
LAURI
Sono
in piedi davanti alla porta da mezz'ora ormai. Osservo ancora il
legno massiccio e scuro che conosco fin troppo bene, la targhetta
bianca e sgualcita sul campanello. Si può ancora leggere il
tuo nome, scritto con un pennarello verde. Non lo voglio leggere.
Non
so perchè sono qui. Quando qualche giorno fa Sarja è
venuta a casa mia e mi ha dato il mazzo di chiavi ho sentito che
sarei venuto, ma ho sentito anche che non avrei retto. Ho passato le
dita sulla chiave rossa decine di volte, ricordando ogni istante che
potesse esservi collegato, ogni istante che avevo dimenticato.
E
ora sono qui. Ancora con la chiave tra le mani, davanti alla tua
porta. Come tante altre volte. Solo che oggi so che nessuno mi
aprirà. Quando ansimante ho raggiunto in pianerottolo ho fatto
per suonare il campanello. Non mi sono ancora abituato a tutto
questo.
Chiudo
gli occhi per un attimo, poi esitante infilo la chiave nella toppa e
giro. La porta si apre con uno scatto e mi chiedo per l'ultima volta
come mai l'ho fatto.
Varco
la soglia e mi richiudo la porta alle spalle. L'oscurità è
opprimente. Con mano tremante cerco l'interruttore e accendo la luce.
Sento formarsi un groppo in gola mentre osservo il salotto. Dicevi
sempre che era piccolo, troppo piccolo. Ma quando lo dicevi avevi il
sorriso sulle labbra, il sorriso di chi si accontenta senza problemi.
E allora io esclamavo che a me piaceva così e mi lasciavo
cadere sul divano, con in mano una bottiglia di birra o un nuovo cd o
lo schizzo per il nostro prossimo graffito. Sorrido istintivamente a
quel ricordo, sfioro la tela bianca che ricopre il divano e getto uno
sguardo al panorama oltre la finestra. Il porto. Quante ore abbiamo
passato seduti sul davanzale, con i capelli al vento e lo sguardo sul
mare, con nelle orecchie solo il fischio dei gabbiani che al tramonto
si lanciano sui pesci.
Sento
il groppo in gola sempre più forte, ma non piango, non riesco
a piangere. Cammino lentamente verso la cucina, passando il dito su
ogni cosa, come se con questo semplice gesto potessi riportare la tua
vita dentro di me.
Un
ricordo mi fa fermare sulla soglia. Mi appoggio allo stipite, con gli
occhi persi nei meandri della mia mente.
<<
... e quindi dobbiamo andare a registrare, in studio, noi!
>> ero seduto sul piano della cucina, ti guardavo con gli occhi
colmi di gioia. Non credo risplenderanno mai più di
quell'emozione.
Tu
ridacchiavi, eri felice per noi, per me, te lo si leggeva in faccia.
<>
avevi detto, avvicinandosi e fermandosi davanti a me. Mi avevi preso
il mento in una mano e mi avevi guardato. <>
Io
ti avevo sorriso e in quel momento mi ero detto che qualunque cosa
fosse successa, non avrei lasciato che la nostra amicizia finisse.
Non
sono riuscito a mantenere la promessa. E nonostante sia stato tu a
compiere il gesto che ci ha allontanati, sono stato io a spingerti a
farlo. Nemmeno la morte avrebbe dovuto rompere il nostro legame. Io
ho lasciato che lo facesse. “C'è sempre un'altra scelta...”
me lo ripetevi sempre, perchè non l'hai pensato anche quel
giorno?
Mi
volto, do le spalle alla cucina e a quel ricordo, cammino verso
quella stanza in cui non vorrei andare, ma in cui devo andare.
I battiti del mio cuore aumentano, aumenta la paura di vedermi
sbattuta nuovamente in faccia la verità, aumenta la voglia di
un tuo sguardo rassicurante,di un tuo abbraccio, di una tua mano a
scompigliarmi i capelli.
Prendo
un respiro tremante e spingo la porta della tua stanza. La sensazione
che provo muovendo i primi passi all'interno è strana. Il
resto della casa è vuoto, di quel vuoto opprimente e
soffocante. Qui ti sento. Sento la tua presenza, il tuo profumo, la
tua voce che si alza dai miei ricordi, sento la tua risata, le tue
emozioni contrastanti, le emozioni in cui mi nascondevo e le emozioni
che non sono riuscito a combattere per te. Ciò che non sento è
il tuo abbraccio. Ciò che in questo momento desidero di più
al mondo. Perchè tu non ci sei più. Nonostante le mie
urla e i miei incubi, nonostante le mie lacrime, la mia disperazione,
tu non ci sei più.
Ed
è qui che è finito tutto; o cominciato, dipende dai
punti di vista. Nella tua stanza, tra queste quattro mura che hanno
sentito tutte le nostre parole, le nostre risate, i nostri progetti
... Avrei voluto una camera così, te lo dicevo sempre.
Trasudava di indipendenza e per me che ancora vivevo con i genitori
era la cosa più bella del mondo. Tu mi guardavi, sorridevi e
mi spingevi sul letto. Poi ti voltavi e pescavi qualche cd dalla
cassettiera. Me li mostravi e con la solita faccia mi chiedevi:
“Quale metto?”.
Ridacchio,
avvicinandomi al letto e non riuscendo a sedermici. Piano piano sento
le lacrime premere per uscire. Lascio che mi bagnino le guance,
mentre fisso il pavimento davanti a me. E' qui che è successo,
è qui che ti hanno trovato. Overdose. Non era la prima volta e
io non l'ho capito. Mi sono lasciato abbindolare dalle tue parole,
dai tuoi “ho smesso con quella robaccia!”... non mi avresti mai
mentito, se non per farmi stare meglio, per farmi sorridere, per non
caricarmi di un ennesimo problema. E io ci credevo. Piangevo tra le
tue braccia per Siiri che mi aveva lasciato, per il mio comportamento
da bastardo, per i sensi di colpa che mi divoravano ogni secondo, per
tutte le amicizie che avevo rovinato, per la band che non andava
bene, per Janne che se ne voleva andare, per i miei complessi inutili
... tu mi abbracciavi e mi dicevi che sarebbe andato tutto bene.
Perchè non mi hai detto che cosa ti stava succedendo? Perchè
non mi hai urlato che i tuoi problemi erano peggiori dei miei? Perchè
non hai lasciato che fossi io per una volta ad aiutarti?
Perchè sei stato così maledettamente protettivo al
punto di nascondere il tuo dolore per lenire il mio?
Le
lacrime sgorgano ormai liberamente dai miei occhi quando mi ricordo
delle parole di Sarja quando, saputa la notizia, ero corso a Helsinki
nel bel mezzo del tour.
“C'era
lo stereo acceso quando l'hanno trovato” .
Mi
avvicino allo stereo trascinando i piedi, colto da una sensazione
orribile che mi stringe lo stomaco. Una pila di cd è
appoggiata li accanto, tutto è come l'hai lasciato. Li sfioro,
come a ritardare il mio prossimo gesto.
Alzo
un dito tremante, premo un pulsante. Lo sportellino si apre e espelle
un cd. Vorrei urlare quando lo riconosco, ma non riesco. Mi limito a
fissarlo, prenderlo in una mano. Alcuni disegni astratti su sfondo
bianco. Una scritta nera. Hellofatester. The Rasmus. Sto
in silenzio qualche secondo, come a prepararmi all'esplosione. Non
riesco a trattenermi. Lo lancio per terra, urlando e calciandolo
ancora più lontano. Sbatte contro il muro e si rompe in
qualche grosso pezzo. Le lacrime continuano a cadere, mentre
scaravento tutti i cd, tutto ciò che trovo a terra, urlando,
disperato. Sei morto ascoltando la mia voce. Io non c'ero. Dovevo
essere con te, dovevo urlarti di non farlo, di non farti ancora, di
smetterla. Dovevo dirti che ti sarei stato accanto, che sarei morto
per te, che avrei fatto qualunque cosa per tirarti fuori da
quell'inferno. Avrei dimenticato tutti i miei problemi per te. E
invece no. Ero a vivere il mio sogno, mentre tu vivevi il tuo incubo.
E il requiem che ti ha accompagnato nel tuo ultimo incubo è
stata la mia voce. Che avrebbe dovuto salvarti. Quando riesco a
fermarmi ho distrutto mezza stanza. I cd sono a terra, rotti, i pochi
libri hanno le pagine strappate sul letto, un mobiletto è
rovesciato e tutto il suo contenuto è uscito. C'è una
foto, quella non si è strappata. Mi chino a raccoglierla.
Siamo noi due. Sorridiamo, mi abbracci scompigliandomi i capelli e
per un attimo sento le tue braccia avvolgermi la vita e le tue mani
spettinarmi la chioma ora corvina. Ansimando e continuando a piangere
mi lascio cadere a terra, contro un mobile.
Mi
odio.
E
ricordo una frase che ti avevo urlato un giorno, non so nemmeno per
quale motivo, nè in quale circostanza.
“Per
te un milione di volte!”
E
l'avrei fatto davvero. E se non me ne hai dato la possibilità
è solo colpa mia.
Sono
un fallito.
Grazie a Lucifers Claw per la recensione! ^-^
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