Primus amor purus Leopardium

di Lady I H V E Byron
(/viewuser.php?uid=843657)

Disclaimer: questo testo è proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Note dell'autrice: tanto succederà come con le altre mie storie; il primo capitolo prenderà, ma poi la storia perde di smalto e diventa una schifezza...
Per una parte mi sono ispirata a "Il Giovane Favoloso".

------------------------------------------------


Silvia, rimembri ancor
Giacomo posò la penna d’oca sulla scrivania, sospirando.
Abbassò lo sguardo, malinconico. Provò un dolore persino più forte di quelli che provava alla schiena, ormai deformata dalla gobba.
Silenzioso, si alzò, prendendo la candela che fino ad allora gli era servita per far luce sul foglio su cui aveva intenzione di scrivere l’ennesima poesia.
Si avvicinò alla finestra: era notte, e la luna illuminava i tetti di Pisa, dandole un aspetto tetro, ma altrettanto affascinante.
Ma la mente di Giacomo vagava altrove.
Era il 1828.
Dieci anni. Dieci anni erano passati da quell’evento che lo aveva sconvolto. Dalla morte di Teresa, la figlia del cocchiere di casa Leopardi.
Era solo una serva. No, per il giovane poteva significare molto di più.
Ricordava ancora quel giorno, quando lui e i parenti lo vennero a sapere: sua madre Adelaide era più preoccupata che Teresa avesse ricevuto i sacramenti o mostrasse cristiana rassegnazione, durante la malattia, piuttosto che fare le sentite condoglianze al cocchiere. La sua freddezza non aveva proprio limiti. Giacomo la disprezzava proprio per questo motivo.
Lui, invece, era entrato proprio nella casa di Fattorini, assistendo alla veglia della povera ragazza. Per un attimo, gli era sembrato che ella, nonostante il pallore della morte, avesse ancora gli occhi aperti, che lo osservavano con disprezzo e rabbia, come per dirgli: “Se veramente provavi qualcosa per me, hai sprecato la tua occasione. E ora è troppo tardi.”
Avrebbe tanto voluto prendere la tisi al suo posto. Lei non aveva motivo di morire, lui sì. L’ambiente familiare, lo studio obbligato, il suo destino ormai scritto e deciso dalla sua famiglia… un mondo da cui, tanto tempo addietro, non sapeva come uscirne. La morte sarebbe stata la via più efficace per la libertà.
Tale mondo non gli aveva nemmeno permesso di conoscere Teresa, di parlare con lei; tutto quello che c’era stato tra di loro altro non era che un semplice gioco di sguardi o freddi saluti distaccati. Era come se avessero creato tra di loro, da soli, la tipica barriera che divideva i due strati della società a cui appartenevano.
Giacomo versò una lacrima a quei ricordi, quando la sentiva cantare, in cortile, mentre tesseva, e anche ai non ricordi: rimpianti che avrebbero aggravato su di lui per sempre, occasioni perdute per timore delle reazioni del padre, mere illusioni su lui e Teresa, se fossero riusciti a superare quella barriera invisibile che si erano creati, se Giacomo non avesse avuto paura della reazione del padre, nel momento in cui l’avesse visto insieme a lei, forse sarebbe potuto nascere qualcosa tra di loro.
Se lei, invece, avesse davvero provato qualcosa per lui? Il giovane non lo seppe mai.
Pensò tutta la notte ad una storia, su cosa sarebbe successo se lui e Teresa fossero andati oltre i semplici sguardi sfuggenti. Anche un semplice amore platonico, ma pur sempre la storia di un amore, in realtà, mai sbocciato.




Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3683060