LE
ORME DEL PADRE
Nell’angolo
dello studio un orologio segnava i secondi con un regolare ticchettio.
Nel silenzio della stanza era l’unico rumore udibile, mentre
il solo occupante era immerso nella lettura di un libro, uno dei tanti.
Gli
scaffali erano ricolmi di volumi appena riposti, sulla quale la polvere
non aveva fatto ancora in tempo a posarsi. Le librerie erano nuove, i
libri erano nuovi, la scrivania era nuova. Inspirando profondamente si
poteva ancora sentire l’odore del legno e della pittura con
la quale erano stati verniciati i mobili.
Gohan
si sistemò gli occhiali sul naso, prestando la completa
attenzione al testo che stava leggendo, sul tavolo altri cinque o sei
tomi erano aperti su pagine all’apparenza casuali. Alle sue
spalle la luce filtrava dalla grande finestra.
Il
giovane si mosse solo quando sentì l’esigenza di
scrivere un appunto sul foglio di un taccuino poggiato accanto al libro
che stava leggendo. Di nuovo si scostò gli occhiali e senza
distrarsi restò immerso nel suo studio.
Se
non fosse stato per il leggero movimento delle carte e il fruscio
dell’aria, Gohan non si sarebbe nemmeno accorto che la sua
non era più la sola presenza nella stanza. Per istinto
sollevò lo sguardo, giusto in tempo per vedere suo padre
abbassare la mano che fino ad un istante prima aveva tenuto premuta
sulla fronte. “Ciao” lo salutò con
cordialità, “Ehilà” rispose
il genitore. Goku sorrise, con quell’immancabile espressione
serena che sembrava non abbandonarlo mai.
Gohan
osservò suo padre da capo a piedi. Indossava gli abiti da
lavoro, quelli che metteva la mattina per andare ad arare e prendersi
cura dei suoi campi. In mano una sottile cartelletta nella quale erano
stati riposti dei fogli con relativa cura. “La mamma ti ha
chiesto di portarmi i conti dell’ultimo mese?” gli
domandò in riferimento alle carte. Goku abbassò
lo sguardo su di esse, si grattò la nuca
“Già” ammise ridendo, porgendo al figlio
maggiore l’oggetto del discorso.
Una
volta nelle sue mani, il giovane ricercatore cominciò ad
osservare le tabelle. Erano semplicistiche e strutturate con schemi
elementari che chiunque, persino un uomo di bassa istruzione come suo
padre, era in grado di capire. La mano che le aveva compilate
però non era quella di Son Goku, né della moglie
Chichi. Gohan riconobbe all’istante la calligrafia del
fratellino Goten che nel suo piccolo dava il contributo
all’attività agraria del padre.
Goten
aveva diligentemente segnato sulla tabella i conteggi
dell’ultimo raccolto e del guadagno che Goku aveva ottenuto
rivendendo i suoi prodotti. A Gohan sarebbe spettato il compito di
articolare con migliore precisione e complessità tutti i
conti restituendoli poi alla madre che si prendeva cura
dell’economia in casa Son.
Goku
si soffermò ad osservare il figlio per diversi minuti,
studiando i suoi gesti con estrema cura. Lui e la matematica non erano
mai andati d’accordo e oltre alle lezioni elementari ottenute
dal Maestro Muten aveva imparato poco altro a riguardo. Per lui i
numeri erano solo un’incombenza, così come lo era
leggere o scrivere. Sebbene fosse in grado di farlo aveva sempre
bisogno di un aiuto in più.
Era
cresciuto tra le montagne, dove il nonno adottivo gli aveva insegnato a
sopravvivere, prima della notte che lo aveva portato via.
L’avventura era sempre stata la sua maestra di vita e non
aveva mai avuto bisogno di contare o di leggere. Muten lo aveva
obbligato, insieme all’amico Crilin, ad esercitare la mente
oltre al corpo. Tuttavia, dopo aver lasciato la Kame House, Goku non
aveva più ripreso i suoi studi. All’epoca aveva
dodici anni, circa l’età che oggi aveva il figlio
minore.
Dopo
un’attenta contemplazione del primogenito, ancora immerso
nella lettura, Goku si guardò attorno, osservando tutti i
libri che lo circondavano, senza vederne l’attrattiva o il
beneficio. Poi i suoi occhi si scostarono verso la parete sulla quale
la laurea era già stata diligentemente incorniciata ed
appesa.
Non
era passato molto tempo da quando il figlio l’aveva ottenuta,
Goku ricordava ancora con quanta insistenza Chichi lo aveva obbligato
ad indossare l’abito buono per l’occasione. A meno
di un mese di distanza da quel giorno, il saiyan aveva addosso ancora
la sensazione di disagio per essere stato costretto in un abbigliamento
per lui così poco consono.
“È
stato un buon raccolto questo mese” commentò
Gohan, alzando lo sguardo verso il padre ancora concentrato nella sua
contemplazione. “Cosa? Ah… immagino di
sì” concordò il contadino, tornando con
la mente al presente. In un gesto consueto si grattò la nuca
accompagnato da una vaga risata.
Il
figlio maggiore lo fissò per un breve istante, aggrappandosi
ad un pensiero che per un attimo vagò nella propria testa,
ma che si dissolse prima che lui potesse prenderne piena
consapevolezza. Tuttavia una leggera amarezza sembrò
perseverare come uno sgradevole ricordo mai del tutto svanito.
“Ehm…” disse, cercando di scacciare la
sensazione “Darò alla mamma i conti appena
avrò finito” lo rassicurò,
istintivamente scostando lo sguardo sui fogli per evitare quello del
padre.
Il
sorriso di Goku si affievolì nel momento in cui vide il
figlio chinare il capo.
“Gohan,
il pranz… oh! Ciao Goku” esordì Videl,
entrando nello studio e notando il suocero in piedi al centro della
stanza. Su di lei due paia di occhi pressoché identici si
fissarono in perfetta sincronia. “Ehilà”
la salutò Goku, accompagnando l’ossequio con un
gesto amichevole della mano che fino a quel momento era rimasta sul
capo.
“Non
sapevo fossi qui” aggiunse lei, per nulla sorpresa
dell’improvvisata. Ci pensò per un secondo,
“Ho appena messo il pranzo in tavola, vuoi unirti a
noi?” gli domandò cortese. Goku valutò
l’alternativa per un attimo. Chichi stava indubbiamente
cucinando in quel momento, a casa tra i Monti Paoz, ma l’idea
di un secondo pranzo non parve dispiacergli. D’altra parte
non poteva mai dire di no ad un pasto completo,
“Sicuro” rispose con ritrovato entusiasmo,
sorridendo alla nuora.
Videl,
che fino a quel momento era rimasta in piedi davanti alla porta
d’ingresso dello studio, si scostò per lasciarlo
passare. Fu solo quando Goku le passò accanto, anticipandola
nel salotto, che la giovane donna si voltò per guardare
negli occhi del neo-marito, scoprendo nel suo sguardo una punta di
rammarico riflessa dietro le lenti degli occhiali.
***
Goku
unì i polsi delle proprie mani torcendo il busto verso il
fianco destro, in un gesto che aveva ripetuto un milione di volte.
“Ka…” iniziò osservando lo
spazio davanti a sé, “...
me…”piegò le ginocchia in cerca di
stabilità, “... ha…” il suo
piede destro si spostò di appena un millimetro,
“... me”era tutto pronto, esitò un solo
secondo, “HA!” urlò muovendo le braccia
davanti a sé.
Sebbene
avesse eseguito il movimento come da manuale, nessuna sfera di energia
scaturì dalle sue mani, a scuotere l’aria ci fu
solo il vento prodotto dalla velocità dei suoi gesti. Per un
breve momento nessuno si mosse, fino a quando Goku non
stabilì che la sua esibizione era stata sufficiente per
imprimerla nella mente dell’unico spettatore.
Aspettandosi
un commento, uno qualsiasi, si voltò ad osservare il bambino
seduto sul prato. Lo colse una strana sensazione quando si accorse che
il figlio era tutt’altro che interessato a quello che gli
stava mostrando.
“Ehi,
Gohan…” lo richiamò un po' timidamente,
nella speranza di riottenere la sua attenzione. Il piccolo non si
voltò nemmeno, “Guarda papà, una
farfalla” gli disse, indicando quello che era diventato per
lui motivo di maggior interesse.
Seguendo
con gli occhi ciò che gli era stato indicato, Goku
osservò l’insetto riposarsi sul tronco di un
albero a pochi passi dal ragazzino. “Oh”
farfugliò in risposta, con vago interesse. I suoi occhi neri
tornarono sul figlio di quattro anni, che continuava a dargli le spalle.
Goku
non era ancora abituato alla paternità. L’idea che
questo bambinetto dipendesse così tanto da lui era un
concetto che faticava ancora del tutto ad afferrare. Era sempre stato
solo con sé stesso, senza particolari legami o obbligazioni
verso nessuno, ma da quando aveva accettato e sposato Chichi molte cose
erano cambiate. L’idea di avere un figlio era stata della
moglie, Goku le aveva solo frettolosamente risposto ok,
senza conoscerne le conseguenze.
Gohan
gli piaceva però, c’era qualcosa in lui che gli
suscitava un’innata simpatia. Forse, pensò nella
sua ingenuità, era perché gli ricordava
sé stesso. Tuttavia le somiglianze sembravano fermarsi al
livello fisico, dagli occhi neri ai capelli ribelli dello stesso
colore, fino alla coda che ai vecchi tempi era stata anche una sua
caratteristica.
“No!
È volata via” si lamentò il bambino
osservando la compagna di pochi istanti alzarsi in cielo in cerca di un
nuovo luogo sulla quale riposarsi.
La
porta della casetta alle loro spalle si aprì, consentendo a
Chichi di osservare la scena per un breve momento, il figlio con lo
sguardo ancora rivolto verso il cielo, il marito che in silenzio lo
stava osservando restando in piedi ad alcuni passi di distanza.
“Come vanno gli allenamenti?” chiese a lui dopo
essersi avvicinata, “Mh” mormorò Goku
sovrappensiero, senza distogliere lo sguardo dal bambino.
Riconoscendo
la voce di sua madre, Gohan si voltò additando un punto
imprecisato della volta celeste. “C’era una
farfalla, mamma” le spiegò il piccolo, agitando la
coda alle sue spalle come un cucciolo.
Chichi
gli sorrise, “Davvero? Che tipo era?” gli chiese
comprensiva e Gohan aggrottò le sopracciglia lasciandosi
sopraffare da un vago pensiero, “Mh… non lo
so” commentò amareggiato. La giovane madre parve
riflettere, “Se le farfalle ti piacciono tanto posso
comprarti un libro la prossima volta che vado in città a
fare la spesa” gli promise, leggendo negli occhi del figlio
un ritrovato entusiasmo.
Goku
si voltò ad osservare la moglie. Era una cosa che faceva
spesso, di conseguenza la cameretta del bambino era ricolma di libri
che il padre stesso faceva fatica a leggere. Non aveva nulla da
obbiettare, d’altra parte Chichi lo aveva avvisato
più volte, “Arrendi,
Goku…”
gli ripeteva sempre “Nostro
figlio diventerà uno studioso”.
Lui
si era arreso, in parte. Sapeva che Gohan preferiva leggere e scrivere
anziché combattere, ma in cuor suo continuava a sperare.
Almeno una Kamehameha doveva imparare a lanciarla.
***
Goku
svanì nel nulla, accompagnato solo da un fruscio leggero e
da un impercettibile movimento dell’aria. Di lui
restò solo un’immagine residua negli occhi di chi
lo aveva visto volatilizzarsi appena le sue dita si erano posate sulla
fronte.
Videl
abbassò la mano che aveva usato per salutare il suocero,
prima che questi si dissolvesse. Fissò il punto esatto in
cui egli si era trovato un istante prima, infine si voltò
verso il giovane marito in piedi accanto a lei. “È
stato bello avere tuo padre a pranzo con noi, non trovi?” gli
domandò.
Contrariamente
alle sue aspettative, Gohan non le sorrise. Gli occhi scuri del giovane
ricercatore si abbassarono sul terreno sottostante i propri calzari,
“Mh” rispose vago, troppo impegnato a lottare con i
suoi pensieri.
La
moglie lo studiò con particolare attenzione ancora per un
attimo. C’era qualcosa che non andava in lui, si accorse
subito. Non era il ragazzo gentile e sempre sorridente che aveva
conosciuto, qualcosa sembrava disturbare le sue emozioni.
“Gohan, va tutto bene?” gli chiese preoccupata,
“Sì” mormorò lui e Videl
comprese nell’attimo stesso in cui pronunciò
quella singola parola che stava mentendo.
La
giovane donna si poggiò le mani ai fianchi e
fissò il marito con severità,
“Gohan…” lo rimproverò
costringendolo ad alzare lo sguardo, “... siamo sposati da
meno di un mese e tu stai iniziando a nascondermi le cose. Sono tua
moglie adesso, se c’è qualcosa che non va devi
dirmelo” ammonì.
Gohan
le sorrise, rivedendo la ragazzina conosciuta tra i banchi di scuola
che con caparbietà correva fuori dall’aula per
combattere i criminali. “Hai ragione”
concordò con un sospiro, lasciandosi cadere sul divano alle
proprie spalle. Valutò la situazione per un paio di secondi
ancora, cercando le parole per esprimere un concetto che il suo
subconscio non aveva ancora del tutto afferrato. “Si tratta
di mio padre” ammise infine, lottando con sé
stesso. Videl aveva ragione, doveva esternare i propri pensieri, ma
sentire la propria voce dar sfogo ad una confessione sembrò
inizialmente metterlo a disagio.
“Tuo
padre?” lo rimbeccò lei, quando notò
l’esitazione. Con calma si accomodò al suo fianco,
osservando le mani del marito stringere la stoffa dei pantaloni sulle
proprie ginocchia.
Gohan
annuì “Ho come l’impressione…
di…” restò in silenzio per un secondo
“... di averlo… deluso”
esternò infine dando libero sfogo a quella scomoda
riflessione. “Deluso?” ripeté sorpresa
Videl, che non si aspettava nulla del genere, “Cosa te lo fa
pensare? Perché mai Goku dovrebbe essere deluso di
te?” chiese genuinamente sorpresa.
A
dire il vero, Gohan non sarebbe stato in grado di dire da dove nascesse
con esattezza questo suo dubbio, era rimasto sorpreso lui stesso quando
per la prima volta aveva elucubrato una tale probabilità.
Era davvero possibile che Son Goku fosse deluso del primogenito? Dopo
tutti i risultati che Gohan aveva già ottenuto nonostante la
giovane età e una laurea che emanava ancora odore
d’inchiostro fresco?
“Non
lo so” confessò
“Però…” storse la bocca in
una smorfia, “Però, ecco…
lui… è l’unico che non mi ha ancora
detto di essere orgoglioso”. Si voltò ad osservare
gli occhi azzurri di sua moglie “Tu, la mamma,
Piccolo… persino Goten, mi avete tutti fatto i complimenti,
ma papà non si è ancora espresso e ho come la
sensazione che questo
non è ciò che che voleva da me” se una
parte di lui fu felice di togliersi un peso dallo stomaco, un altro
lato del suo subconscio si rimproverò per averlo fatto. Aver
esternato i propri sentimenti, persino a Videl, gli diede la sensazione
di essere un figlio ingrato.
Videl
lo abbracciò, nel tentativo di dargli il suo sostegno
morale. “Gohan, sono sicura che tuo padre è tanto
orgoglioso di te come tutti quanti noi. Forse ha solo bisogno di
più tempo” gli disse poggiandogli la testa sulla
spalla.
Sebbene
la sensazione d’inettitudine non si dissipò
completamente, Gohan si sentì grato alla moglie, avendo
l’ennesima prova che al mondo non esisteva compagna di vita
migliore di lei.
***
Fu
solo grazie alla sua prontezza di riflessi che riuscì ad
evitare la Kamehameha mirata al suo indirizzo. Goku schivò
il colpo giusto in tempo e con immensa soddisfazione comprese, nel
momento stesso in cui l’energia lo sfiorò, che se
lo avesse preso in pieno avrebbe subito una notevole
quantità di danni.
Con
un sorriso osservò le mani di Gohan abbassarsi
nell’istante in cui la scia lasciò i suoi palmi.
Era stata un’esecuzione maestrale, considerato che il bambino
aveva solo sette anni. Alla stessa età Goku nemmeno sapeva
cosa fosse una Kamehameha e scoprire giorno dopo giorno il talento di
suo figlio gli diede un’enorme soddisfazione.
Distratto,
non si accorse che l’onda di energia non era altro che un
semplice diversivo. Il pugno che lo centrò in pieno viso,
arrivando dalla sua sinistra, lo colse alla sprovvista facendo
precipitare il saiyan al suolo.
All’impatto
i suoi capelli persero l’alone dorato che fino ad un istante
prima lo circondava. Seppur dolorante, il suo viso non perse il sorriso
che al contrario della sua trasformazione non si era dissipato.
“Ahia”
si lamentò massaggiandosi lo zigomo contuso. “Sei
sempre il solito sbadato, se ti fossi impegnato saresti riuscito a
schivarlo. Si può sapere a cosa stavi pensando?”
lo sgridò una voce al di fuori della sua visuale. Goku fu
costretto a sollevare il capo per osservare, al contrario, Piccolo
atterrare con grazia pochi passi di distanza da lui.
Goku
rise, “Eheh, niente di particolare” rispose
all’amico namecciano che in risposta incrociò le
braccia. “Ti sei fatto male papà?” si
assicurò Gohan, poggiando a sua volta i piedi al suolo. Per
osservare lui, il padre fu invece costretto a sedersi tra i detriti che
si erano formati dopo la sua rovinosa caduta. “Non
preoccuparti, non è nulla” lo rassicurò
scostando la mano dal viso, consapevole che non gli sarebbe rimasto
nemmeno il livido.
Sul
volto del piccolo saiyan, fino ad un secondo prima contratto in
un’espressione preoccupata, si fece largo un sorriso.
“Ah, menomale” sospirò il bambino.
Piccolo
osservò il volto del suo giovane amico per un breve istante.
Contrariamente ai due guerrieri adulti, il piccolo saiyan apparve
sudato e senza fiato. “Forse è bene fare una
pausa, Gohan mi sembra stanco” suggerì il nativo
di Namecc, “N… no! Io posso ancora
continuare!” esclamò il giovane, stringendo
entrambi i pugni a dimostrazione della sua determinazione.
Per
un lungo momento Goku e Piccolo si scrutarono. Il dialogo che avvenne
in silenzio non aveva bisogno di essere accompagnato da inutili parole.
Goku si voltò verso il figlio “No,
anch’io sono stanco” mentì
“Piccolo ha ragione, dovremmo fare una pausa” disse
in accordo con l’amico.
Tradendo
una certa gratitudine, Gohan sembrò rilassarsi, osservando
il padre alzarsi dal terreno sulla quale era seduto. Passando lo
sguardo dal genitore al mentore, il piccolo saiyan comprese che erano
ufficialmente autorizzati a tirare un sospiro di sollievo.
Esitò
per alcuni secondi, prima di cercare una capsula che fece comparire
dall’interno della propria cintura. Alzò gli occhi
all’indirizzo dell’altro saiyan
“Papà, ti dispiace se leggo un libro durante la
pausa? Ho promesso alla mamma che non avrei trascurato gli
studi” domandò speranzoso. Goku gli sorrise,
“Beh, se l’hai promesso alla mamma”
concordò.
Il
sorriso di Gohan illuminò il suo giovane viso e senza
farselo ripetere pigiò il tasto della capsula dalla quale
comparve uno dei suoi libri. Dopo un educato saluto si
allontanò dai suoi compagni d’allenamento per
trovare un angolo all’ombra. Alle sue spalle due paia di
occhi lo seguirono in ogni gesto, mentre il bambino si
accomodò sull’erba.
Dopo
aver contemplato la scena, Piccolo si voltò verso
l’amico, “A proposito dei cyborg di cui parlava
Trunks…” cominciò a dire, ma quando i
suoi occhi si posarono sul viso del saiyan, si accorse che stava
guardando un padre orgoglioso.
***
Seduto
a gambe incrociate sul tettuccio del proprio trattore, Goku stava
osservando i suoi campi senza realmente guardarli. I suoi pensieri
erano lontani quanto l’orizzonte e su di esso aveva posato lo
sguardo.
Tra
le mani la scatola ormai vuota di un bento che gli era stato preparato
e confezionato con cura dalla moglie. Si era concesso una pausa dopo
ore di lavoro e sebbene avesse concluso le incombenze odierne ben
più tardi del solito, il saiyan non parve
dell’idea di voler rientrare a casa, nonostante il sole
avesse già cominciato la sua lenta discesa dietro le
montagne sulla quale era cresciuto.
Goku
seppe di non essere più solo svariati minuti prima che
l’altro poggiasse i piedi al suolo. Lo aveva percepito da
quando aveva lasciato la piccola casetta nascosta tra le vallate, nella
quale era spesso ospite, e ne aveva seguito i movimenti in direzione
del santuario di Dio, sapendo che lì era diretto.
All’atterraggio,
Piccolo incrociò le braccia in un gesto a lui consono,
osservando le spalle dell’amico saiyan per contemplarne
l’umore. Non poté fare a meno di notare
l’inusuale compostezza, pur sapendo che l’altro
aveva senza dubbio avvertito il suo arrivo.
“Di
solito non hai già terminato di lavorare a
quest’ora? Cosa ci fai ancora qui?” gli
domandò il namecciano dopo alcuni istanti. L’altro
parve riflettere per un istante, “Stavo facendo una
pausa” rispose senza voltarsi, lo sguardo ancora fisso sui
semi di lattuga che aveva sotterrato giusto qualche ora prima.
Piccolo
lo contemplò, cercando di ricordarsi che stava parlando con
Son Goku, non con quell’altro saiyan.
Come
se potesse servire a leggergli la mente scostò
anch’egli lo sguardo sulle piantagioni e il terreno coltivato
che si estendeva per chilometri. Qualsiasi altro contadino avrebbe
avuto bisogno di aiuto per prendersi cura di tanti campi, ma non un
alieno dalla forza sovrumana che era in grado di farlo con una mano
legata dietro la schiena.
“Vedo
che l’hai allargato” commentò notando le
nuove piantagioni visibili all’orizzonte,
“Già” rispose Goku, indicando nella
direzione in cui era posato il suo sguardo, “Gohan mi ha
detto che potevo coltivare anche in quella zona”
spiegò. Il namecciano si fermò a riflettere per
un attimo, “A proposito di Gohan, come si trova con il suo
nuovo lavoro?” chiese al padre del suo amico e discepolo.
Il
contadino riportò la mano sul bento ancora poggiato sulle
sue gambe, alzò le spalle “Bene…
credo” “Credo?” sottolineò
Piccolo. Per la prima volta Goku rise, rendendolo peraltro
più riconoscibile quando si grattò la nuca in un
gesto a lui abitudinario, “Mi sono dimenticato di
chiederglielo” spiegò.
Alle
sue spalle l’alieno dalla carnagione verde
aggrottò le sopracciglia, assottigliando lo sguardo per
poter studiare meglio il suo interlocutore, “Ti sei dimenticato
di chiedere a tuo figlio se gli piace il suo nuovo lavoro?”
rilevò con immancabile sagacia. “Eheh…
già” gli rispose l’altro che nella sua
sbadata e genuina natura tornò ad essere l’amico
che per un attimo Piccolo aveva faticato a riconoscere, “Non
ne parliamo mai” aggiunse poi il saiyan.
L’ultima
volta che il namecciano aveva parlato con il giovane era stato alcuni
giorni prima che questi cominciasse il nuovo impiego, quello era stato
il solo e unico argomento di conversazione. Piccolo aveva passato la
maggior parte del tempo ad ascoltare Gohan illustrare con l'entusiasmo
di un bambino i compiti che gli sarebbero stati assegnati con la sua
nuova carica all’università. Non lo aveva mai
visto così emozionato come in quella occasione. Incluso il
giorno del suo matrimonio.
“Toglimi
una curiosità Goku…” riprese a dire
all’improvviso, “Cosa provi per Gohan in questo
momento?” gli domandò perspicace. Il contadino
guerriero si voltò a guardarlo per la prima volta da quando
l’altro era atterrato alle sue spalle,
“Eh?” mormorò colto alla sprovvista.
“Ti ho chiesto cosa pensi di tuo figlio” gli
ripeté con pazienza il namecciano. Goku parve rifletterci,
poi alzò le spalle “Beh, sono felice per
lui” ammise accompagnato da un mezzo sorriso, ma
l’affermazione sembrò non bastare. Piccolo
continuò ad osservarlo con intensità, come se
potesse leggergli la mente. “Sei felice
per lui o sei orgoglioso
di lui?” lo punzecchiò, notando una certa
esitazione da parte del saiyan che parve in difficoltà per
trovare una risposta alla domanda.
***
In
qualche modo il rientro a casa riservava sempre strane sorprese. Gohan
aveva compreso quanto particolare
fosse la sua famiglia stando a stretto contatto con comuni terrestre
durante le ore scolastiche.
Quando
gli capitava di far visita alle case dei suoi amici si scopriva ad
osservare scene di vita quotidiana che aveva visto solo in scenari
televisivi. Persino Mr. Satan, quando andava a trovare Videl, si era
fatto trovare in atteggiamenti più naturali per gli standard
del pianeta Terra.
Sapeva
che la sua era una famiglia straordinaria che di ordinario aveva ben
poco; pertanto quando si scoprì ad osservare suo padre
seduto al tavolo della cucina davanti ad un quotidiano, temette per un
istante di aver sbagliato casa. Se non fosse che l’abitazione
si trovava immersa nella natura a chilometri di distanza da altra forma
di vita umana.
“P…
papà…?” farfugliò
strabuzzando gli occhi, cercando di capacitarsi della scena tanto
inusuale. Goku sollevò lo sguardo verso l’ingresso
della cucina, osservando la figura del primogenito che sembrava essersi
materializzato all'improvviso, sulla spalla portava ancora la tracolla
nella quale riponeva i testi scolastici.
“Ehilà” lo salutò gioviale.
Gohan
passò lo sguardo dal genitore al giornale, “Cosa
stai facendo?” gli chiese incerto, tornando a guardarlo.
Seguito il movimento dei suoi occhi, il padre comprese il motivo della
domanda. A sua volta riportò la propria attenzione al
quotidiano “Tua madre dice che devo trovarmi un
lavoro” spiegò seguito da una smorfia che rese
palese il suo malcontento. “Ah” commentò
il ragazzo, ora consapevole della soluzione dietro al mistero.
Si
sentì empatico nei riguardi di suo padre. Sapeva
perché la mamma insisteva nel volere che suo marito trovasse
una stabile occupazione, ma Gohan comprendeva le ragioni che rendevano
papà così restio.
Durante
le varie radunate con gli amici di famiglia riaffioravano di sovente
ricordi dei tempi andati, quando erano tutti ragazzini senza obblighi
familiari. Aveva sentito spesso racconti che riguardavano suo padre e
lo spirito d’avventura che lo aveva portato a scoprire il
mondo trascinando con sé i suoi amici. Era dunque
consapevole che Son Goku non aveva mai avuto un vero lavoro in vita sua.
Gohan
regalò al padre un sorriso comprensivo, lasciandosi passare
il laccio dello zaino scolastico sopra la testa. “Se vuoi
posso aiutarti” si offrì avvicinandosi al tavolo
attorno alla quale trovò un posto, abbandonando la propria
borsa sulla sedia accanto. Goku sollevò nuovamente lo
sguardo con gratitudine, “Davvero?” chiese con
ritrovata speranza, come se suo figlio fosse la soluzione ai suoi
problemi.
Dopo
un breve cenno affermativo del capo, Gohan cominciò a
leggere le inserzioni di lavoro nel giornale aperto sul tavolo. Per una
persona qualsiasi, anche senza eccessiva istruzione, sembravano esserci
sufficienti opportunità. Tuttavia bastò poco meno
di un minuto al sedicenne per comprendere che nessuna di esse era
adatta per suo padre.
Ogni
tipo d’impiego che scorreva sotto il suo sguardo sembrava
avere qualche sorta d’incompatibilità con lo
spirito e il carattere del saiyan. In breve tempo Gohan si accorse che
qualsiasi lavoro pagato e retribuito sarebbe stata una condanna per il
vivace genitore e il suo entusiasmo per nuove sfide quotidiane. Non
riusciva ad immaginare suo padre svegliarsi alla mattina per recarsi in
un luogo che lo avrebbe visto costretto a fare e rifare sempre le
stesse cose giorno dopo giorno. Con la tristezza nel cuore
ipotizzò che questo avrebbe, al lungo andare, distrutto il
carattere brioso e sempre sorridente del padre che tanto amava anche e
soprattutto per il modo gioviale che aveva di vivere la vita.
All'improvviso
richiuse il quotidiano, Goku lo guardò con sorpresa.
“Papà…” esordì il
liceale, “Hai mai pensato di iniziare
un’attività tutta tua, invece di lavorare per
qualcun altro?” “Eh?” mormorò
Goku, “Ma io non sono bravo con queste cose” disse
ridendo, grattandosi la folta chioma nera perennemente in disordine.
Gohan
parve riflettere, riservando al genitore uno sguardo serio.
“Mmm…” farfugliò
“Crilin mi ha raccontato che quando vi allenavate con il
vecchio Muten vi faceva arare la terra, dico bene?” Goku
annuì “Beh, potresti trovarti un campo tutto tuo
da coltivare e poi vendere i tuoi prodotti. Il resto puoi darlo alla
mamma che potrebbe usarlo in cucina e non avrebbe bisogno di comprarli
al mercato” per un secondo il genitore sembrò
riflettere, ma Gohan non aveva ancora finito, “Inoltre con la
tua forza impiegheresti solo mezza giornata per prenderti cura delle
piantagioni e avresti il resto del pomeriggio per fare tutto quello che
vuoi. Infondo le piante cresceranno da sole, non
c’è bisogno che tu stia lì per tutto il
tempo” “Avrei comunque tempo per
allenarmi?” si assicurò il guerriero. Gohan
annuì, “Penso di sì. E poi anche
coltivare la terra sarebbe un allenamento come lo era con il vecchio
Muten” concluse.
Nello
sguardo di Goku si accese la speranza, l’idea
cominciò ad entusiasmarlo. Sarebbe stato in grado di far
contenta Chichi e sé stesso allo stesso tempo. “Io
potrei aiutarti a far quadrare i conti se hai bisogno”
rincarò la dose il giovane.
“Come
sta andando la ricerca, Goku?” domandò la moglie
raggiungendo padre e figlio in cucina. Il saiyan scattò in
piedi e circondò il figlio con un braccio,
“Chichi, il nostro Gohan ha appena avuto un’idea
fantastica!” esclamò stringendo la presa.
“Dici davvero?” domandò lei osservando
il primogenito che stretto nell’abbraccio di suo padre parve
quasi soffocare. Tuttavia quando incrociò lo sguardo con la
madre le diede un sorriso rassicurante che servì a riempirla
d’orgoglio.
***
Era
raro che si vedesse costretto a passare tutta la giornata tra i campi.
In genere bastavano un paio d’ore o una mattinata per
svolgere la maggior parte delle mansioni. Tuttavia capitava anche che
dovesse impegnarsi per lavori fuori dall’ordinario,
posticipando il suo rientro a casa di molte ore.
Quel
giorno aveva impiegato metà pomeriggio ad arare una nuova
zona sul lato della montagna e a piantare semi di lattuga. Le restanti
ore, grazie anche all’aiuto di Piccolo, si era fermato a
riflettere su questioni alla quale non aveva mai pensato.
“Sei
tornato tardi” lo accolse la voce di sua moglie quando lo
udì aprire l’ingresso. Goku si affacciò
alla porta della cucina da dove aveva sentito la donna,
“Sì, scusa Chichi. Stavo…” si
bloccò quando i suoi occhi si posarono sul tavolo pieno di
carte. “Ciao papà” lo salutò
con cortesia Gohan, poggiando le spalle sullo schienale della sedia
sulla quale era seduto. Il padre lo fissò per un secondo,
“Ehilà” gli rispose infine.
“Gohan
è venuto a farci visita” gli spiegò
ovvia Chichi, sorridendo al giovane che ricambiò.
“Vi ho riportato i conti che mi hai consegnato qualche giorno
fa” gli spiegò indicando con lo sguardo i fogli
sparpagliati sulla superficie attorno alla quale madre e figlio erano
seduti. Goku prestò a loro un attimo di attenzione,
“Oh” farfugliò vagamente interessato.
Non
erano più gli stessi pezzi di carta che aveva lasciato nelle
mani di Gohan. Ora erano scritti al computer organizzati in tabelle e
grafici che al contadino parvero solo macchie colorate che non riusciva
a comprendere.
“L’ultimo
raccolto è andato bene, Goku. Abbiamo guadagnato un sacco di
zeni, per i prossimi mesi non avremo problemi” lo
informò Chichi, leggendo i diagrammi con concentrazione.
“Sì, il lavoro di papà è
stato ottimo” rincarò la dose il giovane saiyan.
Goku guardò entrambi a turno, si ricordava che Gohan aveva
già fatto un’osservazione del genere quando gli
aveva consegnato le tabelle scritte da Goten; anche in quel momento si
era trovato a domandarsi come fosse riuscito a definirlo senza aver
nemmeno visto i campi. Tuttavia che motivo aveva di dubitare? Se Gohan
aveva fatto una tale affermazione, ottenendo lo stesso risultato dai
suoi calcoli, allora era senz’altro l’inconfutabile
verità.
“Sono
a casa” salutò l’ultimo membro della
famigliola, apparendo alle spalle del padre. Su di lui tutti puntarono
lo sguardo, dando il tempo al bambino di guardarsi attorno nel
contempo. “Ciao Gohan!” esclamò quando
vide il suo fratellone, ma la risposta del maggiore fu anticipato dalla
madre.
Chichi
si alzò di scatto dalla propria sedia additando il
più piccolo dei suoi figli, “Goten!”
urlò allarmata, “Cos’hai
combinato?” sbraitò assumendo la tipica postura
severa con le mani appoggiate ai fianchi.
Il
piccolo guerriero si guardò da capo a piedi, come se avesse
appena notato lo stato dei suoi abiti sporchi di fango e lacerati in
più punti. In aggiunta a ciò una grossa ferita
gli copriva buona parte dello zigomo sinistro e Goten parve essersene
ricordato solo in quel momento.
“Ehm…
io e Trunks ci siamo allenati insieme” confessò
chinando il capo con aria colpevole. La risposta non sembrò
piacere a sua madre che continuò ad osservarlo con
un’espressione di rimprovero. “Domani
dovrò fare quattro chiacchiere con Bulma”
minacciò al vuoto e Goten cercò lo sguardo di suo
padre in per ottenere il suo supporto. Goku gli sorrise, arruffandogli
i capelli neri già spettinati.
“Coraggio,
vieni con me” ordinò la donna avvicinandosi al
bambino, spintonandolo delicatamente in direzione del bagno
“Dobbiamo medicare quella brutta ferita”
“Ma… mamma… io volevo passare del tempo
con Gohan” mormorò il più giovane
“Non in queste condizioni” decretò lei,
ponendo in qualche modo fine alla conversazione.
Rimasti
soli, padre e figlio si fissarono per un istante, infine Gohan si
alzò. “È ora che vada. Videl mi aspetta
per cena” annunciò afferrando alcuni fascicoli che
aveva portato con sé, facendoli quindi sparire
all’interno di una borsa. Goku restò ad osservarlo.
Gli
occhi del guerriero saiyan si scostarono sul tavolo inondato di fogli
ancora sparpagliati, poi si rivolse al figlio.
Goku
era un combattente, un lottatore e un esperto di arti marziali. Nella
sua vita si era allenato senza mai fermarsi. Il suo primo ricordo
risaliva alle lezioni con nonno Gohan, quando l’anziano gli
aveva insegnato le basi primordiali del combattimento. Aveva appreso
molto dai suoi maestri, dal vecchio Muten a Re Kaioh, passando dal
Saggio Karin e dall’anziano Dio in persona.
Sapeva
quanta fatica e dedizione era necessaria per affinare una tecnica al
punto tale da far conoscere al proprio corpo i movimenti da compiere
senza la necessità di dover pensare, liberando
così il cervello che aveva quindi modo di reagire in tempo
agli attacchi dell’avversario. Goku conosceva molte tecniche
e aveva passato anni a perfezionarle tutte, sudando fino allo
sfinimento.
Tuttavia
non aveva la minima idea dell’impegno necessario per
apprendere formule matematiche o per conoscere concetti sempre
più complicati ed essere in grado di ripeterle con la
massima accuratezza a chi spettava il compito di assegnare un voto. Non
sapeva quante ore e notti insonni erano d’obbligo da passare
sui libri per ottenere i risultati sperati. Leggere e contare per Goku
erano un mezzo mistero.
Nulla
di tutto questo era il suo campo, niente gli era familiare e quando gli
era stato detto che Gohan avrebbe preso la tanto sospirata laurea era
stata Chichi ad informarlo che doveva esserne felice. Goku aveva
ubbidito, ma non ne aveva compreso pienamente il motivo. Era un uomo
dalla mente semplice, troppo per comprendere i risultati che aveva
ottenuto suo figlio.
Tuttavia,
guardandolo con gli occhiali poggiati sul naso che gli conferivano un
aspetto colto, con una borsa nuova che gli dava un'aria di
professionalità e gli abiti sempre impeccabili, Goku
sentì una nuova emozione farsi largo tra i suoi pensieri.
“Gohan”
lo chiamò costringendo il ragazzo a fermarsi quando lo aveva
già superato, in direzione dell’ingresso di casa.
Il giovane si voltò e suo padre fece altrettanto,
“Sono orgoglioso di te” gli disse guardandolo negli
occhi.
La
bocca del figlio si spalancò con sorpresa. Colto alla
sprovvista lasciò la presa della borsa che cadde al suolo.
Con slancio si lanciò verso suo padre per stringerlo in un
abbraccio, “Papà!” mormorò
poggiandogli la testa sulla spalla.
“Ah!
Piano! Così mi soffochi!” si lamentò
Goku, stretto da quel gesto d’affetto che non si era
aspettato. Tuttavia, anziché mollare la presa il giovane
strinse più forte, “Sono così contento
papà” gli sussurrò in un orecchio, non
riuscendo più a trattenere le lacrime causate da una
così forte ed improvvisa emozione.
Goku
gli poggiò una mano sulla spalla, dopo un attimo
d’esitazione, “Ti
chiedo scusa per averti fatto aspettare, figliolo”
pensò tra sé, stringendo il figlio come se fosse
ancora un bambino. Bambino che non era più, era un uomo
ormai, un adulto forte e responsabile che aveva cominciato a percorrere
da solo la sua strada.
Forse
in cuor suo il guerriero saiyan aveva sperato in qualcosa di diverso,
qualcosa che si sentiva in grado di capire. Tuttavia, Gohan non gli era
mai sembrato così felice e qualunque padre non avrebbe
potuto desiderare di meglio per il proprio figlio.
FINE
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