Figlio di Erebor – I’ll follow you until my last breath

di Tigre Rossa
(/viewuser.php?uid=260581)

Disclaimer: questo testo è proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Capitolo 2 – Cosa significa ‘casa’

 

 

 

 

“Non devi preoccuparti.

Se tu desideri restare qui con tutto il cuore, allora il tuo cuore è qui. E se il tuo cuore è qui, allora ‘qui’ è il posto dove devi essere.”

- Bleach

 

 

 

 

“Di nuovo, ragazzo. Dall’inizio.”  disse un nano dagli occhi gentili, chiudendo un grosso volume e studiando il suo giovane allievo da sopra gli occhiali.

Bilbo annuì, facendo dondolare le corte gambe sotto il tavolo. “Le grandi Casate sono sette, come i primi sette nani creati di Mahal stesso, all’inizio di tutto.” esordì con sicurezza, o almeno con tutta la sicurezza che può avere un bambino di nove anni, ed iniziò ad elencarle, contandole sulle dita “Ci sono i Barbedure, i Piediroccia e i Nerachiave, che furono l'unica stirpe dei Nani ad allearsi con l'Oscuro Signore. Poi vengono i Pugniferro, che in passato hanno combattuto contro molti dei loro fratelli. Ma le più importanti Casate sono altre tre, i Barbafiamma, i Vastifasci e i Lungobarbi.”

Il maestro sorrise e gli fece segno di continuare, e lo hobbit si affrettò ad aggiungere, come se avesse paura di non riuscire a dire tutto quello che sapeva “I Barbafiamma sono stati i primi a creare maglie di acciaio ad anelli e elmi da guerra capaci di resistere alle fiamme dei Draghi. I Vastifasci sono invece i fabbri più bravi, e a questa Casata appartenevano il grande Telchar e il suo maestro Gamil Zirak .”

“I Lungobarbi, invece?” chiese il nano, inclinando appena la testa.

Il giovane Baggins si morse l’interno della guancia, raccogliendo per bene le idee “In Khuzdul sono chiamati Sigin-tarâgi e sono il clan più antico, numeroso e importante. Sono i guerrieri più valorosi di tutti e gli artigiani più abili. Sono anche maestri nella lavorazione del Mithril, uno dei più grandi tesori dei Nani di cui Erebor ha il monopolio, da quando è caduta Moria.” disse vittorioso, ricordandosi quello che gli aveva raccontato una volta il principe Thorin, quando con i suoi due fratelli era andato a trovarlo nella forgia del Re. “Su di loro regna la Casa di Durin, ovvero i discendenti di Durin il Senzamorte, i cui ultimi eredi diretti sono il Re Sotto la Montagna Thror, il principe Thrain e i suoi figli Thorin, Frerin e Dis.”.

Il nano sorrise ed annuì, accarezzandosi la lunga barba scura già striata d’argento. “Bene, molto bene Bilbo.” si complimentò, facendogli un buffetto affettuoso e guardandolo con orgoglio “Hai un’ottima memoria e la tua mente è sempre disposta ad imparare cose nuove. Quanto vorrei che Dis si fosse applicata anche solo una volta la metà di quanto fai tu ogni singolo giorno.” sospirò, scuotendo la testa rassegnato. “D’accordo, allora adesso vediamo quella traduzione che ti avevo assegnato . . .”.

Il bambino si mosse inquieto sulla sedia “A dire vero, signor Balin, volevo chiedervi un favore.” borbottò incerto, senza riuscire ad incontrare lo sguardo del suo insegnante “Ecco, oggi Frerin si fa il suo primo tatuaggio e io ci terrei tantissimo ad esserci. So che c’è ancora quasi un’ora di lezione, ma mi stavo chiedendo se, almeno per questa volta, potremmo fermarci prima.”.

“Ah è vero, ieri ha avuto la sua prima missione fuori le mura di Erebor.” commentò il figlio di Fundin. I nani erano soliti farsi dei tatuaggi per ricordare gli avvenimenti più dolorosi o quelli più importanti della propria vita, e per molti il primo di questi coincideva con l’iniziazione nel gruppo di ricognizione, al termine del lungo periodo di addestramento. Studiò attentamente l’allievo, come se volesse cercare qualcosa, ma alla fine sospirò “Dubito che riuscirei a tenerti qui anche solo per un altro mezzo minuto, quindi sì, vai pure. Ma domani voglio che tu sia in anticipo, d’accordo?”.

“Davvero? Âkminrûk zu!” esclamò incredulo e felice lo hobbit, saltando giù dalla sedia come se scottasse “Domani recupererò ogni singolo minuto perso oggi, ve lo prometto!”

Balin rise e scosse la testa divertito, facendogli segno di andare “Ci conto, ci conto. Vai pure, ragazzo. E fai a Frerin i miei auguri.”

Il piccolo annuì, mentre infilava alla rifusa i libri nella sua borsa di cuoio. “Aye. A domani, signore!” disse, per poi correre via come se fosse inseguito da uno stormo di corvi arrabbiati mentre il maestro lo osservava con affetto e tratteneva un’altra risata spontanea al suo entusiasmo genuino.

Bilbo chiuse la porta alle sue spalle con abbastanza delicatezza da non farla sbattere come al suo solito e poi riprese a correre, attraversando il lungo corridoio che portava verso il centro della Montagna. Dopo aver superato la quattordicesima porta iniziò a rallentare, riprendendo un po’ fiato, e i suoi vispi occhi blu non ebbero nemmeno il tempo di guardarsi attorno che una voce femminile e calda lo raggiunse “Ci sei riuscito, ‘ilbo?”.

Si fermò e si voltò verso una nicchia riservata, appena un anno fa, ad un grosso candelabro che era andato ‘misteriosamente’ distrutto. Lì stava seduta, come al solito, una giovane nana dai bei capelli d’oro raccolti in una pratica treccia e dai penetranti occhi chiari che lo scrutavano divertiti.

Lo hobbit si strinse nelle spalle, molto semplicemente “Sono qui, no?”.

La bionda si lascò sfuggire un fischio sommesso “Non so come fai a ingannare tutti così. Le tue bugie sono assolutamente perfette.” commentò, sinceramente colpita

Quelle parole parvero indispettire l’altro, che le lanciò un’occhiataccia e incrociò le braccia a mo’ di protesta “Le mie non sono bugie, e io non inganno nessuno. Dico sempre la verità.” negò con decisone, salvo per poi aggiungere con un pizzico di imbarazzo nella voce “Solo che a volte non è proprio tutta tutta.”.

Dis scoppiò definitivamente a ridere e scese dalla nicchia con un salto, per poi spolverarsi gli abiti maschili che indossava “Gli hobbit e i loro giri di parole.” sbruffò, tirandogli una gomitata “E continui a sostenere di non essere un bugiardo?”

L’amico si massaggiò il punto colpito, più per abitudine che per altro. Ormai aveva preso tante di quelle gomitate negli anni che quel particolare punto del suo corpo era diventato insensibile, o quasi almeno. A volte si chiedeva se la pelle dei nani fosse tutta così, talmente abituata ai colpi da non sentire nulla. Questo avrebbe spiegato davvero molte cose.

“Non lo sono. Un bugiardo avrebbe promesso di recuperare quest’ora perduta il giorno dopo?” ribatté ostinato, ma poi decise di lasciar perdere il discorso, almeno per quella volta. Si sfilò la borsa, si sollevò sulle punte e la mise al sicuro nella loro nicchia-nascondiglio, come ogni volta che saltava una lezione e non poteva tornare nella sua stanza a lasciare i pesanti volumi in Khuzdul. “Dai muoviamoci, o faremo davvero tardi per vedere Frerin. Non vale la pena sprecare chiacchierando quest’ora rubata, no?”.

La principessa, allora, sorrise e Bilbo fece lo stesso, e se ci fosse stato qualcun’altro in quel corridoio sempre vuoto probabilmente sarebbe subito corso negli appartamenti reali a cercare il re Thror per avvisarlo che la sua pestifera nipote e il suo fedele complice stavano per combinare un’altra delle loro.

Perché, quando i flagelli di Erebor sorridevano in quel modo, bisognava davvero iniziare a preoccuparsi.

 

~~~~΅΅~~~~

 

 

Nascosti al sicuro dietro un angolo, Dis si piegò in avanti, osservando con sguardo attento il corridoio fortunatamente vuoto, mentre al suo fianco lo hobbit, quasi rannicchiato su se stesso, controllava che nessuno li sorprendesse proprio in quel momento.

Dopo essersi assicurati dell’assenza di testimoni, la principessa si voltò verso il compagno e sussurrò, a voce così bassa che le acute orecchie dell’altro riuscirono appena  a coglierla “D’accordo, a quest’ora in cucina ci sono solo il figlio maggiore di Bomfur, Bombur, e un paio di altri apprendisti a rassettare. Se passiamo dall’entrata laterale e evitiamo la zona dei forni non ci vedranno nemmeno.”.

Il bambino tirò su con il naso, facendolo inconsapevolmente ruotare come ogni volta che pensava attentamente a qualcosa “Ne sei sicura?” chiese “Se mastro Bomfur ci prende. . .”

“Hai paura, hobbit?” lo interruppe con tono di sfida l’amica, studiandolo con i grandi occhi chiari mentre le labbra sottili e screpolate, così poco da principessa, si piegavano in un ghigno provocatorio.

Bilbo le rifilò un’occhiataccia “Io non ho mai paura, mia signora.” ribatté con forza, stringendo i piccoli pugni, e quando la nana sorrise vittoriosa, soddisfatta di quella risposta, borbottò un “Andiamo, sì o no?”.

“Aspetta.” sibilò questa, voltandosi a controllare la strada un’ultima volta, e quando fu certa che non sarebbero stati visti scattò in avanti, sapendo che l’amico l’avrebbe seguita come sempre.

I due ragazzini scivolarono silenziosi lungo la parente, attenti a non fare rumore, fino ad una piccola porticina seminascosta da una colonna. Allora, Dis si piegò in modo che l’altro potesse salirle sulle spalle e guardare attraverso la serratura. Non vedendo nessuno, il piccolo hobbit si mise ad armeggiare con la maniglia, fino a quando questa non fece un quasi impercettibile rumore e cedette. Si lasciò scivolare giù dalla schiena dell’amica e dopo uno sguardo d’intesa aprì la porta quanto bastava per scivolare dentro non visti l’uno dietro l’altra. Una volta entrati si nascosero dietro un armadio per scope e stracci, studiando attentamente la situazione.

Le cucine di Erebor erano gigantesche, tanto da poter rivaleggiare con la zona del mercato o addirittura con le sale degli allenamenti. Erano ben due locali enormi, per non contare la gigantesca stanza dedicata alle provviste; un’infinita quantità di cuochi, panettieri e pasticcieri armeggiavano per ore e ore ai numerosi forni, sfornando prelibatezze su prelibatezze. A dirigere il tutto c’era mastro Bomfur, che difendeva quel posto magico come un drago geloso del proprio tesoro. Guai a provare anche solo ad avvicinarsi, con lui nelle vicinanze. Ma visto che a quell’ora andava alla locanda del giovane nipote Bifur per farsi due o tre boccali di birra e un sano riposino pomeridiano . . .

“Dove li avranno nascosti, stavolta?” sussurrò il più piano possibile Bilbo, sperando che gli apprendisti fossero ancora impegnati con la loro altissima torre di stoviglie da lavare.

La bionda si morse il labbro “C’è un unico posto in cui non abbiamo ancora guardato, anche se è assolutamente improbabile. Ma ormai abbiamo scoperto tutti i loro nascondigli, non gli resta che quello.”.

L’altro aggrottò la fronte “Quale?”.

Gli fece segno di seguirla in silenzio e poi sgattaiolò fuori dal loro nascondiglio, dirigendosi verso il fondo della stanza e nascondendosi appena vedeva qualche nano comparire quasi dal nulla alla ricerca di un piatto o roba simile. Il bambino le andò dietro fino a quando non raggiunsero il fondo della sala, dove un’enorme portone di ferro separava il resto dei locali dalla dispensa. Proprio lì accanto, un numero sterminato di botti di vino rosso era disposto in ordinati gruppi da due dozzine, abbastanza per soddisfare un piccolo banchetto. E proprio sopra alcuni di loro, lasciati a raffreddare, stavano i famosissimi biscotti al cioccolato di mastro Bomfur.

“Ma dai!” si lasciò sfuggire ad alta voce il più piccolo, incredulo.

Dis non si degnò nemmeno di zittirlo, troppo stupita anche lei di aver indovinato un nascondiglio talmente improbabile “Prendiamone solo uno per ogni teglia.” propose, guardando vittoriosa il piccolo bottino “Magari non si accorgeranno che li abbia presi e, illudendosi di aver trovato il nascondiglio perfetto, li lasceranno qui anche la prossima volta.”.

Lui annuì e i ragazzi iniziarono a riempirsi i fazzoletti di tutti i biscotti che potevano per poi scivolare via, zitti zitti com’erano venuti, e tornare alla porticina.

Dis si affacciò appena per controllare che non ci fosse nessuno e poi uscì per prima, seguita dallo hobbit che armeggiò un po’ per richiudere per bene la porta senza fare rumore. Poi, i due presero a correre più veloci che potevano e quando furono abbastanza lontani si fermarono a prendere fiato su uno scalino. L’erede di Erebor esclamò, vittoriosa “Ce l’abbiamo fatta! Ce l’abbiamo fatta, e non ci ha visto nessuno, questa volta!”.

“Cos’è che sareste riusciti a fare, esattamente?” chiese alle loro spalle una voce profonda ed inaspettata che li fece letteralmente congelare sul posto. I due piccoli ladri si bloccarono per un lungo, interminabile momento, per poi voltarsi all’unisono con inquietante lentezza.

Il Principe Ereditario Thrain, le braccia incrociate e il cespuglioso sopracciglio sollevato a formare un arco perfetto, li studiava in silenzio, aspettando una risposta.

Dis, tentando di mascherare il proprio terrore, disse con tono incredibilmente controllato “Non pensavo che tu e il nonno aveste finito con le udienze per oggi, adad. Cosa ci fai qui?”.

Quella finta calma non sembrò né turbare né sorprendere il genitore, che si limitò a rispondere, non senza un pizzico di malcelato affetto nella voce “Vi colgo in fragrante, a quanto pare, ghivasha.”. Lanciò uno sguardo a metà strada tra lo sconfortato e il rassegnato alle loro tasche piene e sospirò “E così i flagelli di Erebor sono diventati anche due giovani scassinatori ai danni del povero Bomfur. Dovresti sapere, nathith, che questa non è un’attività onorevole per nessuno, in particolar modo per un’erede di Durin.”.

La biondina abbassò lo sguardo ed esitò, non sapendo cosa dire, e a quel punto Bilbo si fece avanti, la schiena ben dritta e il mento sollevato quasi con fierezza, mentre i profondi occhi blu oceano brillavano in mezzo a quel visino improvvisamente illeggibile “Qui c’è solo un giovane scassinatore, mio signore Thrain.” lo corresse con tutta la serietà e sicurezza di questo mondo, aggiungendo poi con grande stupore della complice “Ho organizzato tutto io. Dis non centra niente. Sono stato io a spingerla.”.

Il nano inclinò appena la testa, studiando ora il piccolo hobbit “Ma davvero?” domandò, sorpreso da quelle parole e da quello sguardo.

Il bambino annuì, senza un momento di esitazione “Sì, mio signore.”.

A quel punto la principessa, rimasta a guardare confusa l’amico, scattò ed affermò con forza “Non è vero! L’ho convinto io a farlo!”.

Il più piccolo abbassò la testa e la sua voce uscì quasi spezzata, come se fosse profondamente pentito “Ora non cercare di proteggermi, Dis. Non ne vale la pena.”

La ragazza lo fissò completamente spiazzata “Ma  . . .” il suo debole tentativo di protesta si spense quando Thrain sbruffò e scosse appena il capo.

“Sei diventato anche un bugiardo, oltre che un pestifero ladro in erba.” borbottò, gli occhi fieri illuminati da divertimento e da qualcosa che i due piccoli non potevano ancora comprendere “Ma almeno hai dell’onore, piccolo Baggins.”. Sorrise e scompigliò i capelli sia alla sua figliola sia al suo protetto “Andate, e non fatevi più ritrovare a girare attorno alle cucine, nessuno dei due.” li ammonì seriamente, prima di andarsene silenzioso com’era arrivato.

La figlia di Erebor seguì il padre con lo sguardo fino a quando quest’ultimo non svanì nei lunghi corridoi. Allora si girò verso il compagno e chiese, sinceramente confusa “Perché hai mentito a mio adad? L’idea è stata mia.”.

Bilbo si strinse nelle spalle, come se ciò che aveva appena fatto non fosse nulla. “Come tu proteggi me, io proteggo te.” spiegò, molto semplicemente. “Siamo una squadra, no?”.

Dis rimase un momento in silenzio, prima di fare il più grande e luminoso dei suoi sorrisi “Certo che siamo una squadra. Siamo i flagelli di Erebor, la scapestrata principessa Dis e il suo hobbit bugiardo.” disse, gli occhi penetranti colmi d’affetto.

Lo hobbit sbruffò, sconfortato “ Per l’ultima volta, non sono un bugiardo.”.

“No.” concordò la ragazza “Sei solo un ingannatore.”. Sorrise un’altra volta e si portò le mani alle tasche, dove la loro refurtiva attendeva pazientemente “Dai, andiamo a vedere Fre che si fa il tatuaggio.”.

Lo hobbit annuì e i due ripresero a correre, riempiendo per l’ennesima volta la Montagna delle loro grida e delle loro risate.

 

 

~~~~΅΅~~~~

 

 

La stanzetta solitaria in cui mastro Tudin tatuava nani e nane di tutte le età era vicino al mercato, appena ad un centinaio di passi dal pub di Bifur. Per raggiungerlo in fretta i giovani di Erebor usavano vari corridoi e viuzze secondarie che conoscevano meglio delle proprie tasche, e visto che lo hobbit era ancora troppo piccolo per sapersi orientare bene in quel complesso labirinto fu la bionda a guidarlo, tirandolo per il polso, fino a quando non sbucarono in un grande corridoio ben illuminato e colmo di negozietti. Era insolitamente vuoto; solo un gruppetto di cinque bambini nani, tra i diciannove e i ventisei anni, lo animava con le loro voci alte e le loro battute sgradevoli.

Nel vederli Bilbo esitò e l’amica, notando la sua tensione, gli fece segno di stare tranquillo e di continuare a camminare. I due presero ad attraversare il corridoio come se non fosse successo nulla, ma subito il più giovane del gruppo fischiò sommessamente e richiamò l’attenzione dei proprio compagni “Guardate chi c’è.”.

I cinque si voltarono e alla vista dello hobbit dei ghigni divertiti gli illuminarono di una luce crudele i visi sporchi. Il capo, un giovane nano dai capelli color terra e gli occhi neri, incrociò le braccia e lo studiò con cattiveria “Che ci fai qui, ratto della Contea? Sei scappato dalla gonna multicolore della tua sciocca amad?” chiese, per poi ghignare divertito e indicarlo ai propri amici “Guardate quella specie di vermiciattolo storto che gli pende al lato del viso! Pensi davvero che vestirti come uno di noi e tentare di intrecciarti i capelli ti renderà un nano?“

Il gruppo scoppiò in una risata malvagia e la mano di Bilbo si strinse d’istinto attorno alla sue treccia, che finalmente aveva imparato a fare dopo mille tentativi e di cui andava tanto fiero, mentre i suoi grandi occhi blu tremavano impercettibilmente. Dis strinse con rabbia la mascella e gli posò una mano sulla spalla in maniera rassicurante, mentre il suo sguardo da aquila era fisso sui ragazzi con l’intensità delle fiamme di un drago. “Tappati quel buco che chiami bocca e fila via, Goind, se non vuoi un pugno in faccia.” sibilò, la sua voce colma di gelida furia “Sarebbe dura spiegare a tuo adad perché improvvisamente ti mancano tutti i denti, non credi anche tu?”.

Goind le lanciò uno sguardo di pura rabbia, ma non poteva fare nulla, non contro la figlia di Thrain. Così, si limitò ad inchinarsi in maniera sarcastica, senza mai distogliere quelli occhi freddi dai suoi, e rispondere ironicamente “Le mie scuse, principessa.”. Pronunciò quel ‘principessa’ con tutto il disprezzo che un ragazzo di ventisei anni poteva avere, e gli occhi della bionda bruciarono per questo, ma ella sapeva di dover lasciar correre, almeno per il momento. Dopo uno sguardo di puro disprezzo, trascinò via lo hobbit con sé, dirigendosi decisa verso lo studio di Tudin.

“Lascia stare Goind e la sua banda. Sono solo un gruppo di ishmeti e non sono degni nemmeno di un pizzico della tua considerazione.” gli sussurrò per l’ennesima volta “Tu non sei un ratto, tua madre non è una sciocca, la tua treccia è decisamente a regola d’arte e tu sei più nano di tutti loro messi insieme. Shândabi?”.

Bilbo annuì, tentando di mostrarsi più calmo di quanto in realtà non fosse “Ormai quasi non li ascolto più.” replicò, nonostante non fosse per niente vero. E comunque, non devi prendere sempre le mie difese.”.

Lei alzò gli occhi al cielo, come se fosse la cosa più stupida che avesse mai sentito “Devo, invece.” rispose, per poi ripetere con sicurezza quello che l’amico aveva detto poco prima “Come tu proteggi me, io proteggo te. Siamo una squadra, no?”.

Il piccolo sbruffò “Odio quando usi le mie parole contro di me.” si lamentò, ma l’accenno di un sorriso gli illuminava nuovamente il viso e questo a Dis bastava ed avanzava.

La ragazza ghignò, dandogli una scherzosa pacca sulla schiena “Non sei l’unico intelligente, qui.” disse divertita, per poi aprire la porticina mezza distrutta dello studio ed entrare con l’amico al suo fianco.

Nel sentire la porta scricchiolare, il vecchio nano dai capelli grigi e il giovane che stavano dentro si voltarono verso di loro. Il viso del ragazzo si illuminò come il sole al momento del suo sorgere, e Frerin batté felice le mani come un bambinetto entusiasta e non come un nano che aveva appena concluso la sua prima missione.

“Ma tu guarda chi è venuto a trovarmi!” esclamò felice, guardando con affetto quelli che ormai erano i suoi ragazzi “Tu non avevi una lezione con Balin?”.

Lo hobbit sorrise “Questo era più importante” gli rispose semplicemente, mentre Dis si sfilava dalle tasche un fagottino pieno pieno di biscotti e glielo depositava nelle manone segnate da pugnali e coltelli corti.

“Sono per me?” chiese ancora più felice il biondo, sciogliendo il nodo e sbirciando curioso il contenuto. La sorella annuì, mentre anche Bilbo gli porgeva il suo fagottino “Il nostro regalo post-missione.” spiegò, mettendosi le mani sui fianchi.

“Avete fatto un altro salto nelle cucine?”

“Ma no, cosa te lo fa credere?” replicarono insieme i due ragazzini, strappando una risata cristallina al più grande.

“Beh, credo che questo sarà il nostro piccolo segreto.” sussurrò fingendo di non volersi far sentire dal tatuatore e facendogli l’occhiolino. Dietro di loro la porta si aprì per la seconda volta e i tre si girarono quasi in contemporanea per vedere entrare un giovane nano dai corti capelli neri e gli occhi azzurri come il cielo.

Il viso del principe si illuminò per la seconda volta nell’arco di due minuti “Nadad!” esclamò, raggiungendolo e andandogli quasi addosso per l’entusiasmo “Sei venuto!”.

Un piccolo sorriso si fece spazio sul viso severo di Thorin, che scompigliò al fratellino i capelli come se fosse appena un bambino “Non potevo perdermelo, lo sai.” disse con affetto, per poi aggiungere “Dopotutto, vederti piagnucolare è sempre divertente.”.

“Ah-ah. E io che mi illudevo che ti avesse spinto un qualche istinto fraterno.” sbruffò sarcastico l’altro, mentre i due ragazzini lo affiancavano. Gli occhi azzurri del più grande saettarono verso di loro “Ero certo di trovarvi qui.” borbottò, mentre dava una lieve pacca sulla spalla alla sorella e riservava un minuscolo sorriso allo hobbit. Poi, notando i fagottini tra le mani di Frerin, aggrottò la fronte “Quelli sono biscotti?”.

“Aye.” intervenne la ragazza, affrettandosi ad aggiungere a mo’ di spiegazione “Un regalo di mastro Bomfur per Frerin.”.

Thorin alzò gli occhi al cielo e sbruffò un per niente convinto “Certo, come no.”, ma prima che potesse dire altro mastro Tudin si avvicinò zoppicando con la sua gamba di ferro e chiese “Vogliamo iniziare?”.

Frerin, diventando di colpo serio, annuì e affidò alla sorellina i suoi biscotti, per poi seguire il vecchio nano, sedersi al centro della stanza e togliersi la tunica, mentre gli altri tre si disponevano in silenzio attorno a lui. Tudin tirò fuori i suoi strumenti, si pulì gli occhiali sporchi e domandò con tono severo “Sei sicuro? Non voglio sentire ripensamenti, dopo che avrò iniziato.”.

Il biondo si limitò a stringere la mascella e a sibilare “Non ce ne saranno.”, e solo allora il tatuatore annuì ed iniziò ad incidergli la pelle. I nani non si tatuavano alla stessa maniera degli uomini; la loro era una tecnica infinitamente più dolorosa, e ogni tatuaggio era visto come un passo importante nella vita di un figlio di Mahal, come una cicatrice a vita impressa di propria spontanea volontà nelle carni.

Fre non emise nemmeno un gemito; rimase fermo, con gli occhi luminosi fissi sulla mano del vecchio, ad osservare mentre incideva sul petto nudo due asce nere incrociate, lo stesso identico tatuaggio di suo fratello.

Thorin si lasciò sfuggire un altro sorriso nel vedere la sua serietà e la sua fermezza e gli poggiò una mano sulla spalla, stringendolo forte, mentre i più piccoli non gli staccavano gli occhi di dosso, impressionati com’erano da quel momento che a loro sembrava quasi storico.

“Pensa che tra dieci anni sarà il mio turno.” sussurrò quasi sognante Dis all’amico, la voce già bassissima coperta dai colpi di tosse del vecchio.

Bilbo annuì, mentre osservava Thorin stringere ancora più forte la spalla di Fre e rivolgergli un cenno d’incoraggiamento “Sei preoccupata per domani?” domandò poi, quasi esitante.

“Preoccupata?” ripeté, come se quella domanda l’avesse colta di sorpresa “No, non direi. Eccitata, più che altro.”.

Un sorriso entusiasta le illuminava il volto e nel vederlo lo hobbit non poté non provare un pizzico di invidia. “Beata te. Non sai come vorrei essere al tuo posto.” ammise, stringendosi nelle spalle.

Dis gli tirò la treccia, cercando di risollevarli il morale “Dai, ti manca solo un anno.”.

“Un anno che sembra un’eternità.” sbruffò il più piccolo, i grandi occhi blu ora pieni di sconforto “Io voglio combattere ora!”.

“Combatterai.” gli promise seriamente l’amica, colpendogli il pugno con il proprio “E presto io e te massacreremo orchi insieme.”.

Il bambino la guardò, un po’ rassicurato, e aprì la bocca per dire qualcosa, quando Tudin li riproverò, seccato “Allora, la volete finire? Se siete qui per chiacchierare, quella è la porta.”.

Bilbo arrossì, imbarazzato, e chiese scusa sommessamente mentre la bionda alzava gli occhi al cielo e gli rifilava non vista una vigorosa linguaccia. Poi, si accoccolò meglio e riprese ad osservare il petto di Frerin, già arrossato e un po’ sanguinante nonostante non fossero nemmeno a un terzo del tatuaggio, lasciando vagare la mente.

I nani dividevano il periodo che portava all’età adulta in numerose fasi, che tutti i loro figli dovevano affrontare. Iniziavano a studiare, privatamente o a piccoli gruppi, dall’età di dieci anni, per poi terminare una volta giunti al venticinquesimo anno di età. Dopo, iniziavano gli addestramenti. Ogni nano, che fosse maschio o femmina, ricco o povero, doveva essere capace di proteggere la propria vita, quella dei propri cari e la Montagna. Per dieci anni o anche di più venivano educati alla lotta corpo a corpo, all’uso delle armi, al combattimento con l’ascia e la spada e al lancio della scure. Venivano introdotti nel mondo dei guerrieri e quando erano ritenuti pronti venivano mandati fuori dalla Montagna con un gruppo di ricognizione. Se quell’uscita andava bene e dimostravano il loro valore, potevano iniziare una vita diversa, un lungo periodo che li preparava a diventare dei veri nani di Erebor. Dovevano scegliere con quale arma specializzarsi, trovare qualcuno disposto a prenderli come apprendista nella propria attività per insegnargli un lavoro, iniziavano a prestare servizio obbligatorio nelle guardie. Ciò durava fino al compimento dei cinquanta anni, quando diventavano adulti a tutti gli effetti e gli veniva data la facoltà di scegliere. Potevano abbandonare il loro apprendistato e iniziarne un altro, specializzarsi in qualche attività per iniziare a lavorare seriamente, entrare ufficialmente nell’esercito reale, sposarsi, decidere di andare a vivere in un altro regno. Dai cinquanta anni, la loro vita iniziava davvero.

Dis, proprio come i suoi fratelli, stava seguendo quel percorso. Aveva trascorso gli ultimi quindici anni a studiare con Balin e nonostante avrebbe continuato in seguito con degli studi speciali per prepararsi al proprio ruolo di erede al trono l’indomani mattina, il giorno del suo venticinquesimo anno, avrebbe iniziato il proprio addestramento. Bilbo non dubitava che sarebbe stata bravissima, forse la migliore nana ad essersi mai allenata nelle sale di Erebor. Dis era una guerriera nata e il sangue di Durin le scorreva orgoglioso nelle vene; era certo che non avrebbe avuto problemi a trovare il suo posto nella Montagna.

Il suo cammino di cresciuta era invece stato deciso diversamente, anche a causa del numero molto inferiore di anni che caratterizzano la vita di uno hobbit. Aveva iniziato a studiare attorno ai sei anni, ma già prima accompagnava Dis alle sue lezioni e restava ad ascoltare, quasi stregato dalle spiegazioni del buon Balin. Avrebbe continuato almeno fino ai quindici anni, forse un pochino di più, e al compimento dei dieci anni avrebbe iniziato anche ad addestrarsi con gli altri giovani nani. Poi, il resto spettava a lui. Se fosse stato abbastanza abile, a vent’anni avrebbe potuto fare parte di un gruppo di ricognizione e poi vivere come qualsiasi altro giovane nano fino ai suoi trentatre anni, la maggiore età degli hobbit. Non aveva alcuna idea di quello che avrebbe fatto dopo, ma non gli interessava. Tutto quello che voleva era far parte del popolo di Erebor, essere realmente uno di loro. I figli di Thrain erano buoni con lui e gli volevano bene, e anche il Re e il Principe lo trattavano gentilmente, per non parlare di Balin. Ma ormai Bilbo stava crescendo, e si rendeva conto che la sua presenza non era accettata dalla maggior parte dei nani della Montagna. Sua madre era un’eroina, aveva salvato il Principe ed era consigliera del Re, e di conseguenza aveva guadagnato il diritto di vivere lì e di avere il rispetto del popolo di Durin. Ma lui era solo un bambino hobbit che voleva disperatamente essere come loro e che secondo molti non avrebbe dovuto in alcun modo condividere la loro vita, la loro cultura e le loro tradizioni. Goind e gli altri ne erano la prova. Non importava quanto si sforzasse o quanto ci tenesse: ai loro occhi non sarebbe mai stato uno di loro.

Il piccolo scosse la testa e si alzò, sussurrando a Dis “Devo andare. Se amad non mi vede tornare alla solita ora potrebbe insospettirsi.”.

La ragazza, che sapeva benissimo che l’amico non aveva il permesso di girare per la Montagna dopo le sue lezioni, annuì e sillabò un ‘vengo a prenderti dopo’, a cui il bambino rispose con un sorriso. Fece un segno di saluto a Frerin e Thorin, che risposero appena con un cenno del capo, e uscì dallo studio, seguito dalle lamentele del vecchio Tudin.

Si allontanò di corsa per il corridoio, cercando di non pensare a niente se non recuperare in fretta i propri libri e tornare nelle sue stanze prima che la madre iniziasse a cercarlo. Forse fu per questo che non si accorse dei passi pesanti che iniziarono a seguirlo appena raggiunse il mercato, né di una risatina malvagia soffocata in silenzio proprio alle sue spalle. O forse, il piccolo Bilbo era ancora troppo ingenuo per immaginare di doversi già guardare le spalle.

 

 

~~~~΅΅~~~~

 

 

Bilbo si strinse forte lo stomaco, quasi rannicchiandosi su se stesso e soffocando un gemito. La pancia gli pulsava, reduce di così tanti calci e pugni da averne perso il conto, ma non era nulla rispetto al dolore che provava al viso. Il labbro spaccato bruciava  e poteva sentire in bocca il sapore metallico del sangue, mentre aveva la sensazione che l’occhio destro stesse iniziando a gonfiarsi, tirandolo dolorosamente le pelle che bruciava.

Rimase lì, steso per terra, con la borsa dei libri ancora ordinatamente chiusa accanto a lui, senza nemmeno sapere per quanto tempo. Potevano essere passati benissimo pochi minuti o lunghe ore, quando una voce, l’ultima che avrebbe voluto sentire in quel momento, spezzò quel mortale silenzio, ferendogli le orecchie sensibili.

“Bilbo!”

Lo hobbit udì tre paia di passi raggiungerlo in fretta e poi due braccia gentili sollevarlo delicatamente da terra, attente a non fargli ancora più male. Sentì distintamente Dis trattenere il fiato e Frerin sobbalzare, e dovette letteralmente lottare contro se stesso per aprire gli occhi e guardare i visi sconvolti dei suoi amici.

La principessa lo guardava scioccata, una mano sulla bocca e l’altra stretta a pugno, e al suo fianco il fratello, il petto fasciato da bende fresche, non riusciva a distogliergli gli occhi di dosso. Doveva essere ridotto ancora peggio di quanto immaginava, per sconvolgerli in quel modo.

“Mahal.” imprecò la ragazza a mezza voce, mentre le braccia delicate di Thorin sembravano sorreggerlo e cullarlo allo stesso tempo. “Chi ti ha fatto questo?” chiese, gli occhi d’aquila che si infiammavano di furia selvaggia nel vedere l’amico ridotto in quello stato.

“N-nessuno.” riuscì a balbettare a fatica il piccolo, sentendo lo spacco sul labbro aprirsi ancora di più a quel minimo movimento. Era tutto quello che riusciva a fare, tutto quello che si sentiva di dire.

Frerin aggrottò la fronte, il viso di solito giovale e luminoso colmo di rabbia “Non può essere stato nessuno, Bilbo.” disse, aspettando quasi che lui borbottasse qualche nome. Ma Bilbo non l’avrebbe fatto. Non  poteva farlo. Cosa gli avrebbero fatto la prossima volta, se avessero scoperto che aveva detto tutto ai figli di Thrain?

Dis si avvicinò di un passo a lui, stringendo ancora con più forza entrambi i pugni “Dicci chi è stato a farti questo e gliela faremo pagare.” sibilò, troppo furiosa per riuscire a dire altro.

Lo hobbit provò appena a scuotere la testa ma non ci riuscì, e nel suo silenzio l’amica trovò la conferma di quello che sapeva dal momento stesso in cui l’aveva visto per terra.

“È stato Goind con la sua banda, vero?” insistette, anche se conosceva già fin troppo bene la risposta. Non avrebbe dovuto permettere a Bilbo di andarsene da solo, non dopo aver visto quello sguardo malvagio sul viso di Goind. Avrebbe dovuto capire che sarebbe successo qualcosa. Avrebbe dovuto essere con lui.

Il bambino chiuse gli occhi nel sentire quel nome, come per scacciare le immagini di quell’attacco inaspettato e cercare d’allontanare da sé il dolore che diventava ogni momento più forte.

“Non è stato nessuno.” sussurrò con voce strozzata, deciso a non dire nulla.

Dis strinse la mascella e Frerin le lanciò un’occhiata d’intesa, per poi rivolgersi di nuovo al piccolo “Bilbo . . .” iniziò, ma a quel punto lo hobbit era troppo stanco per continuare. Non avrebbe detto niente, non a loro, e non avrebbe sopportato un momento di più i loro sguardi compassionevoli.

“Non è stato nessuno, va bene?” esclamò con tutto il fiato che aveva in gola, spalancando gli occhi lucidi. “E ora lasciatemi in pace!” gridò, divincolandosi dalle braccia del più grande quasi con disperazione, per poi scivolare a terra, afferrare la sua borsa e correre via più in fretta di quanto il suo corpicino ferito e dolorante glielo permettesse.

“Bilbo!” lo chiamò l’amica e fece per seguirlo, ma Thorin la bloccò e le fece segno di no con la testa.

“Lo seguo io e lo porto al sicuro.” la rassicurò, per poi lanciare uno sguardo attento ai suoi due fratellini. Avrebbe voluto dirgli di non fare sciocchezze, ma li conosceva bene e sapeva quello che avrebbero fatto nel preciso istante in cui gli avrebbe voltato le spalle. E sinceramente non se la sentiva di biasimarli. “Voi due non esagerate.” si limitò ad ammonirli, sapendo che non avrebbero ascoltato nessun altro ordine su quell’argomento “Passereste dalla parte del torto, e allora non sarebbero puniti come meritano.”.

Cercò lo sguardo di Frerin, che capì ed annuì, posando una mano sulla spalla della più piccola e trascinandola delicatamente via. Solo allora il principe dai capelli corvini si voltò e seguì quasi di corsa il piccolo hobbit, che dopo qualche dozzina di passi esitanti si era accasciato contro la parete, stringendosi la pancia e respirando affannosamente.

Il ragazzo lo raggiunse e, quando fu ad appena un paio di passi da lui, lo chiamò dolcemente, con quel soprannome che ormai usava da anni. “Akhûnith . . .”.

Il bambino si chiuse ancora di più a riccio, cercando di allontanarsi da lui il più possibile, come se temesse che potesse fargli del male come gli altri. “Lasciami stare.” sussurrò, la rabbia di qualche momento prima che sfumava in una rassegnazione quasi sofferente.

Il giovane nano sospirò e si inginocchiò di fronte a lui, non troppo vicino per non farlo sentire a disagio e non troppo lontano per non poterlo prendere al volo se le gambe gli fossero cedute.

“Non voglio costringerti a dirmi chi è stato, se non te la senti. Non voglio costringerti a fare niente. Ma lascia che ti riporti a casa.” disse piano, cercando di non spaventarlo ancora di più “Kahomhîlizu.”.

Lo hobbit rimase in silenzio per lunghi minuti, gli occhi chiusi con forza e il cuore che batteva ancora forte, ma alla fine, esitante, annuì. Allora Thorin si fece lentamente più vicino, gli sfilò la borsa dalle manine e se la fece scivolare su una spalla, per poi prenderlo tra le sue braccia come se fosse un qualcosa di fragile sul punto di spezzarsi. Bilbo si rannicchiò quasi senza accorgersene nella sua tunica, stringendone così forte il tessuto da rischiare di strapparlo, ma il nano non sembrò curarsene, intento com’era ad osservare le sue ferite. Il labbro era spaccato e il sangue aveva già iniziato a seccarsi, mentre uno dei suoi spettacolari occhi blu si stava gonfiando e stava diventando nero. Aveva dei tagli superficiali sulle braccia e più profondi sulle manine, piccole dolorose prove di quanto avesse cercato in ogni modo di tenere testa ai propri aggressori. La sua treccia era stata tagliata, più per sfregio che per fargli davvero male.

Il principe si sentì ribollire il cuore di rabbia. Come si faceva a colpire un bambino? Come si poteva fare male volontariamente a qualcosa di così piccolo ed innocente? Come si poteva scegliere di tirare un pugno al suo viso, prenderlo per i capelli e ferirlo ancora ed ancora? Come potevano dei bambini, degli altri bambini che più di chiunque altro avrebbero dovuto essere dalla sua parte, essere così crudeli?

Gli sfiorò appena i capelli, sperando che quel gesto potesse in qualche modo rassicurarlo, e in parte funzionò, poiché sentì il suo respiro rallentare e i battiti del suo cuore terrorizzato diminuire. Allora, facendo attenzione, si sollevò da terra e, quasi cullandolo tra le sue braccia, iniziò a camminare, senza però mai distogliere lo sguardo dal suo visino ferito, che Bilbo nascose d’istinto contro il suo petto appena sentì passi di nani sconosciuti avvicinarsi.

Throin non sapeva come comportarsi. Anche Fre e Dis avevano avuto le loro litigate e risse quando erano più piccoli, ma ovviamente non si erano mai fatti nulla di grave. Erano i figli del Principe Ereditario; nessuno avrebbe potuto torcergli nemmeno un capello senza rischiare l’ira del Re. E sopratutto non erano mai stati attaccati in quel modo, con cieca furia e come unico scopo quello di fargli male, davvero male, solo per la colpa di essere diverso. Cosa poteva dire o fare per curare quel cuoricino sanguinante?

La strada che portava agli alloggi dei due hobbit gli parve diecimila volte più lunga, quella volta, e quando arrivò di fronte alla porticina fu con l’anima pesante che bussò.

La porta si aprì quasi all’istante, mentre il viso preoccupato di Belladonna faceva capolino dall’uscio, sulle labbra sottili già pronto l’ennesimo rimprovero per il ritardo del figlio che soffocò nel momento stesso in cui vide il suo piccolino rannicchiato tra le braccia del nano.

“Bilbo!” esclamò, senza fiato, mentre i suoi occhi ansiosi saettavano dal figlio al principe e poi tornavano sul suo povero figliolo “Che cosa è successo?”.

“L’hanno picchiato.” spiegò il figlio di Thrain “Stava tornando qui da solo quando l’hanno attaccato. L’abbiamo trovato poco fa, steso per un corridoio deserto. Dis crede che sia stato un gruppo di ragazzini più o meno della sua età.”.

Si morse le labbra, l’incredulità, la rabbia e il dolore che le facevano bruciare gli occhi gentili “Grazie di averlo riportato da me, Thorin.” disse, quasi senza fiato “Ci penso io a lui, ora.”. Si piegò in avanti e prese tra le proprie braccia il figlio, che si rifiutava di aprire gli occhi “Non preoccuparti tesoro mio, ci sono qui io ora.” gli sussurrò, accarezzandogli piano i ricci sconvolti e tentando di rassicurarlo, per poi prendere anche la borsa che il nano le porgeva.

Thorin strinse i pugni, senza sapere cosa dire “Troveremo i responsabili e li puniremo come meritano, signora Baggins. Ve lo premetto al nome di mio padre e di mio nonno.”.

Ella annuì “Grazie ancora, principe. Vi siamo debitori.” si limitò a dire, per poi voltarsi e chiudere la porta alle sue spalle, lasciando il ragazzo solo con se stesso e i suoi pensieri.

 

Belladonna strinse il piccolo a sé il più delicatamente possibile, lo fece sedere sul suo letto, poggiò la borsa a terra e si inginocchiò di fronte a lui. Il bambino aveva finalmente aperto gli occhi, ma si ostinava a tenere lo sguardo sui suoi pungi chiusi, come se si vergognasse ad incontrare il suo.

“Bilbo, guardami.” gli ordinò dolcemente la mamma, sollevandogli appena il mento in modo che i loro occhi, così simili eppure così diversi, potessero incontrarsi. “Lo so che ti sei spaventato, ma adesso è tutto finito. Il Re farà punire chi ti ha fatto del male, e sicuramente Dis è la fuori da qualche parte a dargli già una bella lezione con Frerin. Ora pensiamo un po’ a rimetterti in sesto, s’accordo?”.

Lo hobbit non disse nulla e bella gli depositò un bacio leggero sulla fronte, prima di alzarsi per recuperare acqua fresca e bende. Tornò ad inginocchiarsi di fronte a lui e iniziò a pulirgli e a fasciargli le ferite, incominciando da quelle sulle mani. Bilbo rimase in silenzio tutto il tempo, osservando le mani della mamma, segnate da cicatrici di infinite lotte e battaglie, lavorare instancabilmente. Lei lo lasciò calmarsi un po’, ma quando finì di occuparsi del braccio destro decise di parlare. “Sai, anche io sono stata picchiata, quand’ero piccola. Ricordo fin troppo bene ogni singolo pugno, calcio o spinta. Spesso tornavo a casa piena di lividi, e a volte non tornavo proprio, per quanto ero ridotta male. Non ho mai detto nulla a mio padre perché credevo che si sarebbe arrabbiato con me, per non essere stata abbastanza furba da evitare una situazione simile o abbastanza veloce da fuggire via.” raccontò quasi con noncuranza, come se si trattasse di qualcosa di poco conto “Ma ricordo quanto avevo bisogno di parlare, dopo quei momenti, quando la paura e la vergogna svanivano. E sappi che tu puoi parlare con me di qualsiasi cosa, piccolo mio. Anche di questo.”.

Bilbo alzò improvvisamente lo sguardo, guardandola come se fosse un qualche mistero straordinario e sorprendente a cui non riusciva a trovare una soluzione.  Dopo un lungo momento di esitazione una sola parola uscì dalle sue labbra spaccate “Perché?”.

Belladonna inclinò appena la testa, continuando a fasciare l’altro braccio “Perché cosa?”

“Perché ti hanno picchiata?” chiese, guardandola come se non riuscisse a capire “Eri nella Contea, a casa tua, tra mille hobbit tali e quali a te. Allora perché ti hanno picchiata?”.

La madre sospirò “Perché io non ero tale e quale agli altri hobbit. Ero diversa.” spiegò, molto semplicemente “Non mi comportavo come una qualsiasi bambina hobbit e non mi sentivo a casa in quel piccolo mondo a sé stante che era la Contea. Ero sempre lì, a giocare nell’acqua e a cercare elfi nel bosco, eternamente affamata di avventure. Questo agli altri non piaceva, e quindi mi picchiavano. Allora, quando ho raggiunto l’età giusta per andarmene, sono fuggita via alla ricerca di avventure e di una vera casa tutte per me.”.

Il bambino la studiò a lungo con i suoi occhioni intelligenti, cercando di immaginare quello che sua madre aveva vissuto, e allora lei chiese, con tutta la naturalezza di questo mondo, finendo la fasciatura “Perché hanno picchiato te, invece?”.

 Il piccolo abbassò lo sguardo a terra e strinse forte i pugni, il volto trasfigurato dalla rabbia e dal dolore. “Perché io non appartengo ad Erebor. Secondo loro la Montagna Solitaria non è casa mia e non lo sarà mai. Quando gli ho risposto che avevano torto, loro allora hanno riso e mi hanno attaccato. ” mormorò solamente, la voce spezzata “Tanto sapevano che non avrei mai potuto difendermi come uno di loro. Non sono un nano, dopotutto.”

A quelle parole, Bella si fermò all’improvviso, osservando senza parole il viso ferito del figlio.

Rimase in silenzio per qualche momento, per poi fare un grande respiro e prendere le sue manine chiuse tra le proprie.

“Bilbo, ascoltami. Tu cosa credi che sia una casa?” domandò seriamente ma con dolcezza, dopo che il piccolo ebbe finalmente alzato lo sguardo su di lei.

Il bambino restò qualche momento in silenzio, a pensare, per poi rispondere con attenzione “Direi il posto in cui si vive, ma non sarebbe la risposta giusta, vero?”.

Belladonna sorrise ed annuì “Vedi, una casa non deve essere per forza il posto in cui si nasce, si cresce o si vive. Una casa non è nemmeno sempre un luogo.”.

Bilbo le lanciò uno sguardo strano, e la mezzadonna, cogliendo la confusione nei suoi occhi, si affrettò a continuare “È un qualcosa che fa parte di te così tanto che tu non potresti immaginare di vivere senza, che ti cambia dentro e resta nella tua anima e nella tua mente anche quando sei lontano. È un luogo, un edificio o anche una persona a cui senti di appartenere, a cui vuoi appartenere. Una casa è qualcosa che ti manca quando non ce l’hai e che è padrone del tuo cuore. Anzi, la casa è il posto dove sta il tuo cuore, dove torna ogni volta che pensi a qualcosa di bello o di prezioso, a qualcosa che proteggeresti al costo della vita, un qualcosa che senti tuo. “.

Si portò le mani del bambino proprio sopra al cuore, continuando a stringerle con dolcezza tra le sue, e sorrise “Nessuno può dirti se qualcosa è o non è casa tua. Se tu vuoi far parte di Erebor, se senti dentro il tuo cuore che Erebor è casa tua, allora è così, e non importa se tu non sei un nano come tutti gli altri. Nessuno può dirti il contrario. Nessuno.”.

Il ragazzino continuò a fissare le loro mani intrecciate, riflettendo sulle sue parole, e a quel punto la madre sospirò e aggiunse, con il cuore pesante “Ma se tu non senti questo posto come tuo, possiamo andarcene, sai. Non sei costretto a vivere in un posto che non ami, in mezzo a gente che ti tratta male, che non stimi e rispetti. Non voglio costringerti ad un’infanzia come la mia.”. Che illusa che era stata. Era fuggita ad Erebor nella speranza di far sì che il sangue avventuroso della sua famiglia non fosse anche per lui una maledizione, ma avrebbe dovuto immaginare che qui sarebbe stato tutto più difficile “Possiamo tornare nella Contea e ricominciare la nostra vita lì. Forse non sarà facile all’inizio, ma . . .”

“Ma ghukhil!” la interruppe d’istinto il piccolo, i grandi occhi blu che tornavano a brillare mentre strappava le mani da quelle della mamma e iniziava a gesticolare, mosso da qualcosa di troppo intenso per essere controllato. “Io amo Erebor. La amo con tutto me stesso, e voglio che diventi la mia vera casa. La Contea per me non è nulla, se non un posto lontano nei tuoi racconti. Voglio restare qui e dimostrare a tutti che appartengo davvero a questo posto.” affermò con fierezza, l’antica sicurezza che gli illuminava il volto ferito, per poi aggiungere come motivazione, solo in parte scherzosa “E poi, qui c’è Dis. Lo sai che sarebbe persa senza di me.”.

Belladonna sorrise e gli scompigliò affettuosamente i capelli, felice di vedere il viso del suo figlioletto animarsi di nuovo “E tu senza di lei.”. A quel punto non riuscì più a trattenersi e lo strinse forte in un abbraccio che significava tante cose, ma che Bilbo era troppo piccolo per poterle comprendere tutte. Nonostante ciò si fece abbracciare, e madre e figlio rimasero stretti a lungo, fino a quando il piccolo chiese, in una domanda che era solo all’apparenza casuale “Mamma, qual è casa tua?”.

Lei sciolse l’abbraccio, ma non ebbe bisogno di tempo per pensare alla sua risposta “Per lungo tempo è stata Erebor. Poi è stata tuo padre. E adesso sei tu, piccolo mio.” disse, con un altro dolce sorriso, sistemandogli un po’ con le dita i ricci sconvolti.

“Quindi si può avere più di una casa?” chiese ancora il bambino, incuriosito.

“Sì, se si vuole.”

“Allora anche io voglio avere più case.” affermò fieramente e quasi orgoglioso, mentre la mamma si abbassava per riordinare le bende rimaste inutilizzate.

“E quali sarebbero?” domandò sorpresa, non aspettandosi quella risposta.

Iniziò a elencare, contando ogni parole sulle dita “Erebor. Tu. E poi Dis. E Frerin, anche.”.

Bella aggrottò la fronte, un po’ confusa  “E Thorin no? Poverino, cosa ti ha fatto?”  commentò “E’ sempre molto buono con te, e ti tratta come se fossi uno dei suoi fratellini.”

Bilbo improvvisamente arrossì, senza alcuna ragione apparente “N-nulla.” disse, preso alla sprovvista “Semplicemente non avevo pensato a lui, tutto qui.”.

La hobbit osservò per un lungo momento il figlioletto e poi ridacchiò, accarezzandogli le gote rosse e pensando tra sé che sì, in quello somigliava al suo Bungo in una maniera quasi imbarazzante.

 

 

 

 

La tana dell’autrice

 

Ed ecco qui una sopravvissuta alla maturità! Ancora non riesco a crederci, sapete? Eppure è finita davvero! Ed ora finalmente, dopo quasi tre settimane senza computer, posso tornare a scrivere. Sono un vulcano di idee ultimamente, e non vedo l’ora di rendervi partecipi di tutto ciò che sto buttando giù!

Allora, niente da dire su questo capitolo, solo che mi sono divertita davvero tanto a scriverlo, adoro il piccolo Bilbo e tutto quello che lo riguarda. Qui lo troviamo un po’ più cresciutello, alle prese con una realtà che non si aspettava sarebbe stata così dura. Ah, ho preferito non descrivere la scena in cui viene picchiato da Goind e la sua banda, sarebbe venuta troppo cruda e ancora non mi sembra il momento di essere eccessivamente forte, non ancora almeno.

Spero con tutto il cuore che questo nuovo capitolo vi sia piaciuto! Non vedo l’ora di sapere cosa ne pensate!

Un abbraccio

 

T.r.

 

 

Pillole di Khuzdul

 

Nadad:  Fratello

Nathith : Figlia

Aye:  Sì

Ma ghukhil : Nemmeno per sogno

Âkminrûk zu : Grazie

Ghivasha : Tesoro

Adad  : Padre

Amad : Madre

Ishmeti : Idioti

Shândabi : D’accordo

Akhûnith : Piccolino

Kahomhîlizu : Per favore





Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3692543