COMINCIÒ
A CANTARE
I primi giorni erano trascorsi nel
silenzio, interrotti solo dalle visite in ospedale. Stava abbastanza bene da non
aver bisogno di un ricovero, ma d’altro canto continuare a stare nella
residenza presidenziale non era più opportuno.
Per via del processo.
Così, Peeta era
stato praticamente rispedito nella sua vecchia stanza al Centro di
Addestramento, con buona pace delle raccomandazioni mediche sul ridurre lo
stress emotivo. Tuttavia, dal momento che l’idea ti tornare in quell’appartamento
non l’aveva turbato, e che serviva un posto dove fosse possibile tenerlo sotto
controllo pur lasciandogli una certa libertà di movimento, quella fu ritenuta
la soluzione migliore.
Per via del processo.
L’unica cosa che ora lo rendeva inquieto
era non sapere dove si trovasse Katniss. Presumeva
fosse rinchiusa da qualche parte, e immaginava che non se la passasse molto
bene, visto come si era dibattuta prima di essere portata via di peso. Che non
gli permettessero di incontrarla aveva un senso, in fondo – ufficialmente era
ancora la più grande minaccia per lei. Ma che non gli riferissero nulla nemmeno
sulla sua prigionia o sul suo stato, era snervante e immotivato. Forse tutti
quanti temevano un suo raptus improvviso e violento contro di lei, mentre la
Ghiandaia Imitatrice serviva ancora viva.
Per via del processo.
Una volta sedato il pandemonio iniziale e
fatta sgombrare la folla radunata nell’Anfiteatro, le decisioni più importanti
vennero prese in poche ore. Entro sera, il vicepresidente era subentrato al
ruolo della Coin, la commissione per delle rapide e nuove elezioni era già
stata riunita, e il tribunale che avrebbe giudicato Kaniss
Everdeen era stato convocato. Tutti coloro che avrebbero
preso parte a vario titolo alla difesa o all’accusa erano stati contattati e
invitati a non lasciare Capitol City. Peeta, che aveva seguito le guardie che avevano portato via
Kantniss finché non era stato riportato a viva forza
nella stanza assegnatali nella residenza presidenziale, aveva ricevuto la
convocazione scritta come testimone e un richiamo a voce come possibile
complice. Per questo era necessario cambiare alloggio.
Tutte le persone che avevano avuto a che
fare con Katniss erano in questa situazione ambigua,
a partire dai vincitori ancora in vita coi quali aveva partecipato a una
riunione a porte chiuse con la stessa Coin, di cui solo le alte sfere
conoscevano il contenuto, fino alle diverse persone che con lei avevano
intrattenuto rapporti più o meno stretti – Gale, sua madre, ma anche Effie o lo staff di preparatori. Tuttavia, tra tutte queste
persone, che erano caldamente state invitate a non allontanarsi da Capitol City e sottilmente avvisate di essere tenute
strettamente d’occhio, Peeta era l’unico che le si
era avvicinato subito dopo quel gesto.
I suoi precedenti rapporti con Katniss e il suo stato
mentale dei mesi scorsi non erano stati nominati, tuttavia erano un chiaro
sottinteso quando giustificarono il suo trasferimento come causato dalla
situazione delicata.
In realtà – delicata – era quantomeno un eufemismo.
Haymitch
era venuto a dirglielo poche ore dopo l’arresto di Katniss,
accompagnato da un paio di ufficiali muniti di convocazione e richiamo, come
conseguenza della notizia dell’imminente processo alla Ghiandaia Imitatrice per
l’assassinio della neoeletta presidentessa Coin. Questo aveva in qualche modo
placato la sua ansia, se non altro perché lo svolgimento di un processo avrebbe
potuto comportare un’assoluzione, e quindi la probabile esecuzione di Katniss fosse evitabile. Forse.
Davanti alle guardie, Haymitch,
sfacciato, aveva anche detto qualcosa di sibillino sul fatto che probabilmente
tutti i conoscenti dell’imputata avrebbero avuto difficoltà a incontrarsi, per
evitare cospirazioni. Peeta si era ormai arreso al
fatto di non condividere col loro mentore quel sesto senso che sembrava
accomunarlo con Katniss, tuttavia interpretò la frase
come un invito a stare in guardia. Oppure, vista la naturalezza con cui aveva
parlato davanti ai soldati, stavano tutti definitivamente impazzendo una volta
per tutte. E amen.
Cominciò
a cantare. Alla finestra, sotto la doccia, nel sonno. Ore e ore di ballate,
canzoni d’amore, canti di montagna. Tutte le melodie che suo padre le aveva
insegnato prima di morire, perché da quel momento in poi nella sua vita c’era
stata ben poca musica. La cosa incredibile era la chiarezza con cui se le
ricordava. Le arie, le parole. La sua voce, che all’inizio era roca e si
spezzava sulle note più alte, diventò calda e magnifica. Una voce che avrebbe
fatto ammutolire le ghiandaie imitatrici e poi le avrebbe rese così desiderose
di unirsi al canto da inciampare l’una nell’altra. Passarono i giorni, le
settimane. Osservò la neve cadere sul davanzale della sua finestra. E in tutto
quel tempo, la sua voce fu la sola che sentì.
La prima volta che sentì la sua voce, credette di essersela immaginata.
Va
bene. Sono impazzito del tutto. Quantomeno ne sono consapevole.
Si era detto.
Peeta era
appena tornato dal processo, dove aveva testimoniato per la prima volta per la
difesa. Aveva ancora i segni dei denti sul dorso della mano. Erano passati
pochi giorni dal ritorno al Centro di Addestramento e la grossa sala delle
conferenze della residenza presidenziale, adibita a tribunale apposta per
l’occasione per lasciare spazio a pubblico e telecamere, era il secondo luogo
che vedeva, dopo l’ospedale. Non che la cosa gli desse fastidio: non aveva
voglia di incontrare nessuno e al dodicesimo piano aveva solitudine e una certa
libertà di movimento, limitata solo da alcune porte chiuse a chiave. Passava la
maggior parte del tempo in camera, dove gli avevano fatto trovare dei fogli e
delle matite; camminando per le stanze cercava di non fare rumore con la gamba
artificiale, per non turbare quella surreale tranquillità. Sarebbe salito
volentieri sul tetto, ma quando trovò la porta prevedibilmente bloccata non se
ne diede troppa pena. Solo il primo giorno, solo una volta si era fermato
davanti alla stanza di Katniss. Dove avevano dormito abbracciati l’ultima notte a Capitol City, l’ultima notte prima dell’arena dell’Edizione
della Memoria. L’ultima notte insieme, quando lui era ancora lui.
Era rimasto a guardare la porta per un
tempo indefinito, senza provare ad entrare: se fosse riuscito a stendersi di
nuovo su quel letto, temeva vi sarebbe sprofondato per sempre, inghiottito dal
materasso, dissolto nelle lenzuola. Distolse lo sguardo e tornò nella sua
stanza solo quando si rese conto che era esattamente quello che desiderava.
A tratti riviveva momenti di confusione, ma
stavano diventando sempre più circoscritti e gestibili: il tempo trascorso e
l’industriale dose di morfamina ricevuta per le
ustioni dovevano avere avuto qualche effetto, probabilmente. Dal canto suo,
ricordava l’esperimento proposto da Prim, quindi – non
appena in ospedale si era accorto di essere sotto calmanti – nei momenti di
coscienza aveva cercato di pensare con la maggiore concentrazione possibile a
tutto ciò che di oggettivo
riguardasse Katniss.
Un vestito che aveva indossato. Il modo in
cui impugnava la penna a scuola. Il pane al formaggio che le piaceva tanto. Il
dente di leone che aveva raccolto quella volta. La chiave delle manette. La
perla che le aveva regalato.
Inoltre, in questo modo credeva di rendere
onore alla memoria di Prim, cosa che lo faceva
sentire un poco meglio, dopo aver ricordato quello che era infelicemente
riuscito a vedere all’Anfiteatro. Una respiro a pieni polmoni in mezzo alla
tristezza densa che gli opprimeva il petto quanto ci ripensava. O pensava a
come potesse stare Katniss.
Katniss,
che alla fine non era riuscita a proteggere sua sorella.
La sua testimonianza al processo l’aveva
lasciato insoddisfatto e abbattuto. Era stato il primo della seconda giornata,
e non aveva la più pallida idea di cosa fosse successo durante l’udienza
precedente. L’espressione di Haymitch in aula non era
incoraggiante, e Peeta non capiva se fosse dovuta al
generale andamento del processo o alla mina vagante che potevano essere le sue
parole. Cosa diavolo vuoi dirmi!?
Avrebbe voluto urlargli, ma si rendeva conto che non sarebbe stato un grande
piano. Nel tratto in cui fu scortato dalla porta al banco mise insieme una
sorta di piano d’azione. Decise che avrebbe marciato sulla faccenda della
confusione mentale, prendendosi tempo per rispondere. Scartò subito ogni riferimento
alla proposta di nuovi Hunger Games,
almeno fino a quando non avrebbe capito che cosa avessero già detto gli altri
vincitori – se ne avessero detto
qualcosa. Scartò anche ogni richiamo alla missione auto assegnata e
sinceramente, considerato lo stato in cui verteva durante l’incursione in Capitol City, avrebbe avuto ben poco da dire in ogni caso.
Scelse di puntare tutto sull’effetto che la morte di Prim
doveva aver avuto su Katniss, unico motivo che lui
stesso aveva immaginato davanti al suo benestare per i Giochi proposti dalla
Coin. Forse l’aveva ritenuta colpevole di aver autorizzato una tredicenne a
intervenire in una guerra. Ma ci doveva essere qualcosa di enorme, sotto,
qualcosa che come al solito non gli era stato detto.
E così Peeta si
prese delle lunghe pause per rispondere con calma, parlò della dedizione che
legava Katniss alla sorellina, e che poteva solo
immaginare quanto potesse essere sconvolta dalla sua perdita. Ogni volta che
fiutava allusioni a una possibile complicità o premeditazione faceva cadere
casuali considerazioni sul fatto che le rispettive condizioni dopo la fine
della guerra avevano impedito a entrambi anche solo di rivolgersi la parola
prima del giorno dell’esecuzione, e come la stessa Katniss
non si sarebbe mai lasciata scappare l’occasione di uccidere Snow. Per sicurezza, quando si presentò l’occasione, disse
anche che probabilmente non toccava un arco dall’ultimo pass-pro, nel caso
qualcuno di molto ingenuo in giuria immaginasse avesse solo sbagliato a tirare.
A quanto pareva, con le parole ci sapeva ancora fare.
Dal momento che era stato convocato a
deporre, rimase in aula per tutta l’udienza, ascoltando le altre testimonianze. Questo gli permise di intuire la linea della
difesa, una linea piuttosto fragile e alla quale lui non aveva dato grande
sostegno, cosa che l’aveva demoralizzato ulteriormente. In sintesi, il dottor Aurelius, Haymitch, Plutarch, e praticamente tutti i teste della difesa,
rincaravano generosamente la descrizione di una Katniss
traumatizzata dagli eventi e assolutamente non padrona dei propri gesti. Non
che tutti gli altri fossero molto presenti a se stessi, onestamente parlando.
E così, quando sentì la sua voce, in un
primo istante pensò semplicemente di aver perso la testa.
Ma le note scorrevano, e nel silenzio
assoluto della casa risuonavano limpide e reali come quelle della canzone della
Valle ascoltata a scuola oltre dieci anni addietro. Prima ancora porsi
ulteriori domande, Peeta aveva già spalancato la
porta della propria stanza. Nel corridoio si era fermato in sospeso,
trattenendo anche il respiro per cercare di risalire la corrente della sua voce
e trovarne la fonte, trovare lei.
Si mosse con cautela, come se temesse di
turbare il ruscello sonoro che si stava dipanando nelle stanze del dodicesimo
piano del Centro di Addestramento. Non ci mise molto a ritrovarsi davanti alla
porta della camera di Katniss. Istintivamente provò
ad aprirla con veemenza, senza ottenere il minimo spostamento: era come cercare
di spostare un muro.
Katniss
era a pochi metri da lui! Katniss stava bene e stava
cantando dietro una dannatissima porta chiusa! Katniss
era così vicina e forse nemmeno lo sapeva!
Sollevò i pugni, ma si fermò appena in
tempo per non sbatterli contro il pannello.
Non
lo sapeva.
A che scopo attirare la sua attenzione?
Perché farle sapere che lui le era così vicino? Per quale motivo cercare di
comunicare con lei, se non poteva portarla via di lì e salvarla, né
fisicamente, né tantomeno legalmente?
Le braccia ricaddero lungo i fianchi. La
stanza non era sigillata per caso. Il processo non stava andando bene, si
preannunciava lungo, e la difesa stava basando tutto sullo stato mentale di Katniss, cercando di far passare quello che a tutti era
sembrato un colpo di stato come un colpo di testa. Incontrarla avrebbe solo
peggiorato tutto, avvalorando la tesi latente del complotto. E a quel punto
nessuna porta al mondo, in alto su una torre o nelle profondità della terra,
avrebbe più filtrato quella voce.
Peeta
appoggiò la schiena al pannello e si lasciò scivolare a terra. Chiuse gli
occhi, e rimase a sentire di nuovo la voce che l’aveva rapito dodici anni
prima.
BHA, BUBBOLE!
E alla fine esordisco anche con Hunger Games. Che mi ha preso in una
maniera in cui davvero non credevo fosse (più?) possibile. <3
Il passaggio in cui Katniss
canta durante la prigionia mi è piaciuto tantissimo, racchiude un qualcosa di
epico, assoluto e delirante. E all’improvviso mi sono chiesta: e se invece
qualcuno l’avesse sentita?
Sinceramente non credo sia molto
intelligente chiudere Peeta al dodicesimo piano con
lei, per quanto possano essere sorvegliati, ma man mano che scrivevo mi è quasi
sembrata una soluzione verosimile… Dove tenerli
meglio sotto controllo, del resto? Ma in fondo non è che i personaggi della
saga brillino per le idee geniali. Tipo mettere in mano una freccia a una
tiratrice con un evidente disturbo post traumatico da stress.
Alla fine la storia è venuta fuori come una
specie di scatola cinese temporale, con trapassati remoti che si sprecano.
Sicuramente ad un certo punto ho sbagliato qualche passato, ma del resto “che
schifo l’ordine cronologico”. In ogni caso rileggendola mi è sembrata chiara.
2000 parole esatte! ^_^ #teamPeeta!
=P
Se vi va, fatemi sapere che ne pensate! ;)
Dagli
amici mi guardi Dio, che dai nemici mi guardo io!
Possa
la buona sorte essere sempre a vostro favore!