iohaa
Disclaimer: Personaggi e musica non mi
appartengono
Ma sono di
proprietà dei rispettivi autori.
La storia è
scritta senza fine di lucro.
I’m
Only Human
After
All
.
.
.
C’è un
che di catartico nel frastuono cicaleggiante di Coney Island: è simile allo
sciabordio delle onde sulla battigia, si infrange contro la sua schiena allo
stesso modo delle spuma, gli graffia le orecchie al pari degli infinitesimali
sassolini trasportati nel reflusso mastodontico dell’Oceano.
Il mondo
caleidoscopico del parco divertimenti giganteggia alle sue spalle, mentre la
più ben quieta realtà dell’orizzonte dorme, placida e letargica, davanti ai
suoi occhi; lui è nel mezzo, tra caos e silenzio assoluto, tra calma e
singultante ronzio –Coi piedi a mollo ed una mela caramellata tra i denti.
L’alone
di luce tremola sulla cresta delle onde, rabbrividisce e si ritira all’ombra
che liquida s’allunga tra i fasci colorati ed il bianco sorriso della sabbia.
“Una
posa molto bohemien da parte tua.”
“Che
fai? Mi pedini?”
“No. È stato
Happy a dirmi dov’eri.”
La
vocetta logica e vagamente isterica dentro la testa di Anthony Stark gli fa
notare quanto sia molto poco professionale essere tutto pappa e ciccia con
quello che ora è considerato dai mass media il più grande traditore del sogno
americano, nonché dissacratore per antonomasia della bandiera a stelle e strisce.
Dà un
secondo morso alla mela caramellata e scrolla le spalle.
La
vocetta logica e vagamente isterica si accontenta, almeno per questa volta, e
tace.
“Non ho
bisogno di un life coach.”
“Per la
miseria, ancora? Quante volte te lo
devo dire? L’avevano spacciata per una buona causa.”
Un
sogghigno arcua la bocca del magnate che, pulitosi la bocca con un fazzoletto,
si volta a guardare la figura nera, a contrasto col bagliore notturno di Coney
Island; la ruota panoramica è una corona bianca, rossa e blu, che ne circumfonde
di fiammelle i capelli scarmigliati.
“Ti stai
facendo crescere la barba?”
“Non ho avuto
molte occasioni di radermi, di recente.”
“Secondo
me è per l’aria da bel tenebroso.”
“Non
sono venuto qui per parlare della barba.”
“Sicuro?
Perché posso darti alcuni consigli…”
“Tony.”
Conversazione
sulla barba finita.
Lo
schiamazzo di Coney Island copre il crocchiolio della sabbia nel momento in cui
Steve Rogers si siede, allungando le gambe verso il bagnasciuga; alza lo
sguardo e gli occhi azzurri, un po’ più stanchi, un po’ più vecchi, si
sollevano a cercare lo sguardo ostinatamente fisso del magnate, ancora in
piedi.
“Non ci
pensare neanche.” Lo previene questi “E’ un completo firmato.”
Il
fu-Capitan America rilascia un sospiro, si toglie la giacca di pelle stazzonata
e la stiracchia bene accanto a sé, modellandola alla meglio in una sorta di
gibboso pouf sintetico.
Solo
allora Tony si accomoda accanto a lui e i pantaloni si sollevano, a scoprire la
caviglia brillante di salino.
“Forse
sono stato troppo duro col ragazzo.” Commenta, passando la mela caramellata a
Steve.
L’uomo
afferra lo stecco dopo alcuni secondi, lo rigira tra le dita fino a trovare un
punto non ancora violato dalla bocca del magnate e vi affonda i denti,
succhiandone tra le labbra la copertura zuccherina. Tony lo osserva per qualche
secondo e lo fa in silenzio, perché l’altro possa gustarsi quel piccolo
frammento di normalità dopo chissà quanto tempo.
“I padri
sono sempre duri coi propri figli.”
“Io non
sono suo padre.” Stark tende la mano per farsi passare nuovamente la mela
caramellata “Anche se non mi dispiacerebbe esserlo.”
“Immaginavo.
Ho visto una foto di sua zia.”
Tony si
ritrova a ridacchiare ed anche Steve sorride un poco, sollevando l’angolo
sinistro delle labbra.
La forma
bianco-argentea di un gabbiano scivola ad ali spiegate sopra le loro teste e
nel posarsi diviene una goccia di pittura candida sulla tela nero vestita della
notte.
Lo
sguardo di Steve si abbevera del profilo che lento dondola e galleggia sul
dorso liquido delle onde –La bellezza delle piccole cose, anche le più minuscole,
tasselli della perfezione del mondo. Vorrebbe chiederglielo, Tony, come diavolo
possa vedere la meraviglia anche nel nulla più assoluto, lì, in quel limbo tra
finito e infinito, silenzio e frastuono.
Alla fine,
tuttavia, non emette suono. Non crede nemmeno ci sia una risposta alla sua
domanda: è una cosa che a Steve riesce naturale ed è probabile che Happy lo
abbia mandato da lui proprio per la sua desueta, nonché inusitata qualità.
In un
gesto la mela caramellata è di nuovo tra le dita dell’ex Capitano, come un
microfono.
“Quel
ragazzo ha un grande futuro davanti a sé.” Dichiara “Ha un cuore buono. È l’eroe
di cui la gente ha bisogno e che noi abbiamo smesso di essere: abbiamo guardato
troppo in alto, abbiamo volato fino al sole, orgogliosi e dimentichi del mondo
sotto di noi. Ce ne siamo ricordati troppo tardi e l’impatto ci ha fatto di
nuovo sanguinare.” Scuote la testa “Ci siamo convinti di essere al pari di
Thor, Dei capricciosi arrogatisi il diritto di decidere della sorte dell’essere
umano.”
“Non
credo che a Thor piaccia essere chiamato
capriccioso. Quell’appellativo
calza di più a Rinascerò-Cervo-A-Primavera-Loki.”
Steve
gli lancia uno sguardo di ammonimento, quindi gli passa di nuovo la mela
caramellata: non ne sono rimasto che un paio di bocconi –Un po’ come la loro
conversazione. Tony sa che l’uomo non è lì per fermarsi a lungo e che,
appostato da qualche parte, qualcuno veglia, con occhi attenti, perché niente
di male gli accada: si è scoperto parecchio per arrivare fin lì, dove chiunque
potrebbe riconoscerlo, segnalando la sua presenza alle autorità. Non ha esitato
ad arrivare, però, schifosamente altruista come al solito ed ancora roso dal
senso di colpa.
“Capisco cosa tu voglia dire, comunque.” Prosegue
“Peter è…Semplice. Non in senso negativo. Non solo in senso negativo, ma è un ragazzino del Queens che ferma ladri di biciclette o sventa
rapine ai bancomat e, dannazione, una
vecchietta gli ha regalato un churros dopo che le ha dato indicazioni. Non è
roba da supereroi, questa. È—Non lo so neanche io, cos’è. Germe iniziale dell’eroicità?
Livello base? Tutorial?”
“Cos’è
un tutorial?”
“Lascia
perdere. Quello che voglio dire è che lui ha questa voglia matta di diventare
un Vendicatore e di stendere gli alieni con le Fatality---“
“Puoi parlare normale, per cortesia?”
“---Quando
invece ci sono già troppi di noi che si danno alle schermaglie spaziali o
extra-dimensionali e Dio solo cos’altro! E guarda cos’è successo! Siamo
crollati come una castello di carte. Le minacce globali non hanno bisogno di
Spider-Man.”
“Ma le
signore anziane sì.”
“Hai un
talento speciale per ridurre ai minimi termine le mie frasi pomposamente più
riuscite.”
Un
sorriso di scuse da parte dell’altro, insieme al riverbero luminoso nel fondo
degli occhi altrimenti cupi.
“Voglio
solo che non si perda.” Stark tiene lo stecco tra l’indice ed il pollice “Non
deve finire per essere inghiottito dal suo costume. L’Uomo Ragno funziona
perché è il cuore di Peter Parker che batte sotto di esso. È l’Uomo Ragno che
non può esistere senza Peter Parker, non il contrario: è questa la sua più
grande forza. Deve capirlo, prima che sia troppo tardi.”
Prima
che finisca come me, è il sottinteso che non riesce a dire –Ma che Steve ha
inteso benissimo.
“Se non
è niente senza il costume, allora non dovrebbe indossarlo.”
Non sta chiedendo l’approvazione dell’altro,
nel ripetergli la frase rivolta a Peter. Non sta cercando una conferma delle
sue azioni, né sta facendo paragoni con una frase simile, pronunciata anni
distanti una vinta intera.
L’uomo
di fianco a lui inclina appena la testa e socchiude le palpebre, con fare
indagatore –Addirittura, per ripicca nei suoi confronti, arriva ad accarezzarsi
l’accenno di barba a punta di dita.
“Dove ho
già sentito una frase simile?”
“Da un
vegliardo che mi ha insegnato il valore della pazienza.”
Steve
emette un verso indignato. Sì, quei video lo perseguiteranno a vita.
“Colpito e affondato, Testa Di Ferro.”
Il
fracasso della loro risata si perde, si confonde, si mescola e si scompone al
murmure della marea, sminuzzato e triturato dai jingle sempiterni dei
baracchini, dalle musiche saltellanti e dal crepitio della folla.
C’è
ancora un morso, uno solo, sulla stecca che ormai cola caramello come lacrime
gonfie di cristalli e di zucchero.
Un
ultimo morso. Un’ultima domanda prima del commiato.
“E tu,
Tony? Adesso, senza la tua armatura, chi sei?”
Tony
prende fiato ed apre la bocca, sul punto di dare una risposta.
Un
genio, miliardario, playboy, filantropo. Gli ha risposto così, la prima volta,
ma quanto di vero è ancora rimasto? Possiede ancora la medesima sfacciataggine
di allora? La superbia, finanche il rancore? Oppure esse sono invecchiate fino
ad irrancidire e con la guerra sono scolorite al punto da perdere ogni
significato, ridotti a ricordi in bianco a nero?
Adesso,
nell’istante in cui l’acqua gli bagna la punta dei piedi e la sabbia si insinua
tra le dita, adesso, chi è?
Tony
Stark. Facile.
Eppure
non esiste niente di più complicato della risposta che non è in grado di formulare.
Chi è?
Un genio, sì, lo è ancora. Un Futurista le cui mani lavorano senza sforzo verso
un orizzonte lontano quanto il mare, e il cui cervello è una fucina dove le
idee schiamazzano e fanno centro, dove il profumo dello zucchero filato non
riesce a coprire la muffa, la tristezza, la solitudine di una vecchia giostra
cigolante, tutta ruggine, un carosello marcescente di cavalli con gli occhi da
ubriachi e la schiuma alle labbra e il volto bianco di biacca. È un uomo
stanco, adesso, che avverte il freddo salirgli dentro le ossa, un uomo che ha
avuto e ha perso, che è arrivato sulla cima ed è crollato, ha perso la presa,
gli è mancato l’ossigeno. Un uomo che ha costruito un Impero, le cui insegne
sono divenute polvere fra le mani.
È un
uomo che ha sperato, ha avuto paura, è stato travolto dalla ferocia; un uomo la
cui mano ha dato parimenti carezze e pugni, dalla cui bocca è scaturito il riso
e l’ingiuria, la bestemmia e la preghiera. Il suo sguardo ha scandagliato le
vastità del cielo e la profondità dell’Abisso –E’ stato nell’Abisso, nell’Inferno
che ha i tratti canini dei Chitauri ed un volto amico devastato dalla menzogna.
In fin
dei conti, dunque, Tony Stark è un uomo.
Ecco chi
è.
Ma non è
in grado di dirlo: un’armatura ben più spessa lo circonda, nascondendolo agli
occhi del mondo.
Quindi,
tace.
Steve
mastica lentamente, schiaccia la polpa tra i denti con tale forza che per
qualche istante mandibola e mascella rimangono incollati dal suo sapore
stizzoso, troppo forte, adesso, per non dare quasi fastidio.
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