Capitolo
2
Notte
di Natale 1873
Anna sedeva tra
le panche della piccola chiesa,
stretta tra Elsa e sua madre, allungando il collo per cercare di
scorgere
Kristoff da qualche parte nelle prime file. Elsa le diede un pizzicotto
sulla
mano “Siedi composta”, la rimproverò.
“Sai
dov’è Kristoff?”, le chiese, cercando di
rimanere quanto più ferma possibile. L’amico le
aveva detto che sarebbe stato
lì quella sera e lei gli aveva portato un piccolo dono per
festeggiare il suo
compleanno. Ne avevano parlato tanto ed ora lui non c’era.
Guardando bene si
accorse che anche Bulda cercava il figlio tra la folla dei fedeli
assiepati tra
le panche. Doveva essere successo qualcosa.
Elsa scosse la
testa leggermente, guardando
davanti a sé.
Ultimamente era
strana, più distaccata, la
trattava quasi come se lei le avesse fatto uno sgarbo. Ma
più ci pensava più
non riusciva a trovare un motivo per quel comportamento.
Alla fine della
funzione tutti gli abitanti si
riversarono nella piazza, sistemandosi attorno al grande albero
adornato a
festa, cantando a voce alta nonostante il freddo intenso di quella
notte. I
fuochi delle candele e dei bracieri, collocati alle
estremità dello spiazzale,
facevano brillare tutto di incantevoli bagliori ambrati, conferendo
un’atmosfera surreale all’evento,
complice anche una lattiginosa luna piena. Si respirava aria di festa,
di
tranquillità, lì in quel piccolo paese nel cuore
delle montagne.
Eppure quella
notte la quiete placida di
Lillehammer venne interrotta.
Il lupo fece la
sua prima carneficina proprio allora.
Il suo ululato risuonò chiaro e terrificante
nell’immobilità della foresta,
raggiungendo i cittadini assopiti fin nelle loro case. Non era strano
che da
quelle parti del paese si aggirassero lupi solitari o branchi poco
numerosi, ma
quel verso così potente non apparteneva a nessun animale che
i cacciatori
avessero mai visto.
All’indomani,
quando vennero scoperte le
carcasse di decine di animali azzannati senza pietà e
smembrati, in parte
svuotati delle interiora, gli abitanti capirono subito di non trovarsi
di
fronte ad un semplice lupo di passaggio nella regione.
Il salvabile
venne salvato: i cadaveri vennero
sotterrati, per non attirare altri predatori, e gli animali feriti
gravemente
vennero macellati. Tutti rimasero sconvolti dalla brutalità
di un tale attacco,
bisbigliando che forse era stato il demonio in persona a commettere
quell’atrocità in una delle notti più
sacre dell’anno. Ma, superstizione a
parte, esaminando le ferite degli animali gli allevatori non ebbero
dubbi a
riguardo: si trattava di un grosso lupo famelico.
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“Dove
credi di andare?” Idunn fermò Anna per un
braccio, prima che potesse mettere un piede fuori dalla porta.
“In
chiesa, a trovare Kristoff.” La sera
precedente non si era fatto vivo nemmeno al falò e
cominciava davvero a
preoccuparsi. L’amico non aveva mai disatteso uno dei loro
appuntamenti. Appena
sveglia il suo primo pensiero era stato lui. Aveva aperto i regali in
fretta e
furia, facendo a brandelli la carta dei pacchi senza tante cerimonie,
sotto lo
sguardo irritato della madre e della sorella, mentre suo padre aveva
sorriso
della sua caratteristica foga. Dopo era andata di corsa ad infilarsi
qualcosa
con l’intenzione di correre a vedere cosa gli fosse successo.
“Non
voglio che tu esca dopo quello che è
successo stanotte.”
“Non
mi allontanerò, andrò dritta in canonica,
senza deviazioni. Non devi preoccuparti, farò attenzione e
se vedrò il lupo
scapperò.” Ridacchiò, come se i fatti
accaduti la notte precedente non
l’avessero nemmeno sfiorata.
“Anna,
non scherzare.” Idunn sospirò. Non c’era
modo di far desistere Anna. Se si era messa in testa di andare dal suo
amico,
niente l’avrebbe fermata. “Hai mezz’ora
di tempo. Poi, se non sarai qui, verrò
a prenderti.”
Anna non se lo
fece ripetere due volte.
Schioccò un bacio a sua madre e si precipitò in
strada. “Non correre! Potresti
scivolare sul ghiaccio.” la sentì gridarle dietro.
Rallentò, cercando di
mantenere un passo sostenuto e non appena fu fuori dalla strada di casa
sua,
cominciò a correre a perdi fiato verso la chiesa, cercando
di fare presto.
Dopotutto aveva i minuti contati e voleva passarne quanti
più possibili in
compagnia di Kristoff.
Quando
bussò alla porta nessuno le venne ad
aprire, almeno non subito. Saltò da un piede
all’altro per scaldarsi,
soffiandosi sulle mani congelate: aveva dimenticato per
l’ennesima volta di
infilarsi i guanti prima di uscire. Passò un buon minuto
prima che Pabbie
spuntasse sulla soglia, il bastone in una mano e gli occhiali inforcati
sul
naso tuberoso.
“Buon
Natale, padre. Kristoff è in casa?” non
aspettò nemmeno che il vecchio chierico la salutasse.
“Vorrei dargli il suo
regalo di compleanno. Ieri sera non ho potuto farlo perché
lui non c’era. A
proposito, sta bene?”
Il parroco
sospirò, abituato all’infinita
quantità di parole che fluivano dalla bocca di Anna, e alla
velocità con cui
riusciva ad esprimersi. “È qui, ma non
è in grado di ricevere visite.”
“Cos’è
successo?” il panico le strinse lo
stomaco a quell’affermazione, ma cercò di rimanere
calma e di non saltare
subito alle conclusioni più tragiche.
“Niente
di grave, figliola. Solo un malanno di
stagione, vedrai che si riprenderà presto.” Le
sorrise rincuorante. Ma Anna non
si lasciò sfuggire il tremolio dell’occhio destro
di Pabbie e lo sguardo
pensieroso.
Rimasta
stranamente
a corto di parole, abbassò lo sguardo, studiandosi gli
stivaletti che sbucavano
dall’orlo della gonna. “Oh.”
Riuscì solo a dire.
“Gli
dirò che sei passata. Gli farà molto
piacere.”
Si riscosse,
cercando di non lasciar trapelare
troppo il suo disappunto. “Potrebbe dargli questo da parte
mia?”, tirò fuori
dalla tasca un piccolo pacchetto, avvolto in carta da pacchi e chiuso
da uno
spago.
Lo depose nella
mano di Pabbie. “Grazie. Glielo
darò quando si sveglierà. Ora torna a casa, prima
di congelare.” Le batté piano
una mano sulla testa quasi per rabbonirla. “Sono sicuro che
tua madre starà
scalpitando nell’attesa del tuo ritorno.”
La ragazzina
sorrise nervosa, annuendo. “Saluti
Kristoff e Bulda da parte mia.” Agitò una mano in
segno di saluto e si avviò
piano da dove era venuta.
Sapeva che
qualcosa non andava. Non riusciva a
ricordare quando era stata l’ultima volta che Kristoff si
fosse ammalato. Forse
pensandoci bene non era mai successo. A differenza sua e di Elsa, che
si
ammalavano quasi ogni inverno, lui era sano come un pesce. Mai un
raffreddore,
né febbre, né tantomeno la scarlattina. Lei
l’aveva avuta qualche anno prima ed
era stata un’esperienza assolutamente orribile! Non aveva
potuto vedere Elsa per
giorni interi, per evitare che anche lei venisse contagiata, e solo la
mamma si
era occupata di lei, cercando di abbassarle la temperatura e di
alleviare il
suo pressante prurito con impacchi di latte e menta. Kristoff era
venuto a
farle visita di nascosto un pomeriggio, portandole i biscotti di Bulda.
Lei
aveva cercato di scacciarlo, dicendogli che era pericoloso, ma lui non
aveva
voluto sentir ragioni. Alla fine lei era guarita e lui non si era
ammalato.
Forse ora si era
ammalato per tutte le volte
che non lo era stato! E se questa grave malattia l’avesse
portato alla morte?
Anna si
fermò di botto e scrollò la testa per
dissipare quel terrificante pensiero.
Quando
tornò a casa la mamma fu sorpresa del
suo così largo anticipo. Idunn infatti aveva già
previsto di dover andare a
trascinare via Anna dalla chiesa, ed invece la figlia era tornata
appena
quindici minuti dopo essere uscita, con il viso mogio e le spalle
incurvate.
“Mamma
potresti andare da Bulda domani? Kristoff è
malato, ma non so cos’abbia.
Forse potresti aiutarla.”
“Andrò
appena possibile, tranquilla.” Guardò la
figlia allontanarsi pensierosa.
Quella era una
novità e non una di quelle
positive. Sperò solo che non fosse una cosa grave.
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Bulda sedeva
accanto al letto del figlio,
immobile ed in silenzio. Interrompeva la sua staticità solo
per bagnare uno
strofinaccio in un catino e poggiarlo sulla fronte febbricitante di
Kristoff.
La febbre non si era abbassata e il ragazzo tremava e delirava,
rigirandosi tra
le coperte. Quella mattina l’avevano ritrovato nel cimitero,
riverso tra le
tombe, con i vestiti laceri, privo di conoscenza e sporco di sangue.
Lei e
Pabbie avevano faticato non poco a portarlo dentro, senza che nessuno
li
vedesse. Non riusciva ancora a credere a quello che era accaduto.
All’inizio
aveva temuto che qualche balordo lo
avesse ferito a chissà quale scopo, ma ripulendolo dal
sangue si era accorta
che non era suo; a parte qualche graffio superficiale non aveva alcuna
ferita
che potesse spiegare tutto quel sangue. Poi era arrivata la notizia
della
strage di bestiame e la sua mente era esplosa. Come era possibile?
Era sconvolta,
atterrita, disperata. Più
cercava una spiegazione meno riusciva a rimanere lucida. Pabbie non
aveva detto
molto, si era solo limitato ad aiutarla a cambiare Kristoff e a
metterlo a
letto, poi si era rintanato nel suo studio, tra i suoi libri e le sue
scartoffie.
Verso
metà mattina aveva sentito bussare alla
porta della canonica. Il cuore le era balzato in gola per la paura che
qualcuno
fosse venuto a prendere il figlio, poi
aveva sentito la voce squillante di Anna e si era rilassata, per quanto
possibile in una situazione del genere. Pabbie era rientrato poco dopo,
posando
un pacchetto sul comodino accanto al letto, le aveva stretto una spalla
e poi
era uscito di nuovo.
Si sentiva
abbandonata. Non sapeva cosa fare.
La sua prima preoccupazione era quella di prendersi cura del figlio e
poi?
Voleva delle risposte e l’unico che avrebbe potuto dargliele
giaceva sofferente
sotto i suoi occhi.
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Era sicuro di
star bruciando tra le fiamme
dell’inferno. Ogni parte del suo corpo, dalla punta dei piedi
alla cima dei
capelli, doleva come mai prima d’allora. Fiamme fameliche gli
lambivano il
petto e il collo, lasciandolo senza fiato. Era un’agonia
insopportabile, avrebbe
voluto urlare, chiedere aiuto, ma la voce era bloccata sul fondo della
gola.
Ogni appendice
del suo corpo fremeva, scossa da
violenti brividi, ed aveva come l’impressione, nel suo stato
di delirio, che il
suo stesso corpo stesse cercando di farsi a pezzi
dall’interno. Riusciva quasi
a sentire la pelle lacerarsi e gli schiocchi secchi delle ossa che si
spezzavano e si riallineavano in nuove posizioni.
Non credeva
potesse esistere un tale tormento.
Non pensava che un corpo fatto di sangue e carne potesse sopportare
tanto
dolore.
Pregò
che la morte lo raggiungesse presto.
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La sera del 25,
come promesso alla figlia,
Idunn si recò da Bulda per accertarsi delle condizioni di
Kristoff. Non lo
faceva solo perché Anna glielo aveva chiesto, ma anche
perché da quando era
arrivato in fasce a Lillehammer, non aveva potuto non affezionarsi a
lui. Lo
aveva visto crescere con le sue due bambine, diventare loro amico,
proteggere
Anna dai bambini più grandi, sfidare Elsa nelle gare
più improponibili,
diventare un giovane rispettabile ed infine farsi uomo.
Quella sua
improvvisa malattia la destabilizzava.
C’erano poche costanti nella sua vita da medico e una di
quelle era che, in diciotto anni di vita,
Kristoff Bjorgman non aveva mai avuto bisogno delle sue cure.
Quando Bulda le
venne ad aprire, le sembrò esitare, come se non volesse
lasciarla entrare. Poi però il senso materno della
perpetua prevalse sulla sua paura.
Quando lo vide
riverso nel suo letto, sudato e
delirante, non riuscì a credere ai suoi occhi. Doveva
trattarsi di qualcosa di
brutto, un morbo insidioso che aveva covato a lungo o
un’infezione fulminea che
lo stava lentamente portando all’oblio.
La madre aveva
fatto tutto il possibile per
accelerare il decorso della malattia, ma senza risultati. Idunn lo
visitò,
facendosi aiutare da Bulda e Pabbie per voltarlo di schiena. Il ragazzo
era
massiccio e alto per la sua età, inamovibile come una
montagna secondo Anna,
non avrebbe potuto spostarlo da sola nemmeno volendo.
All’apparenza sembrava
andare tutto bene: auscultando non le parve di sentire alcun rumore
degno di
nota e ad un esame attento della gola e del torace non
individuò nulla che
potesse spiegare quella febbre così alta. Solo
alcuni tagli superficiali le diedero da
pensare: forse aveva contratto il tifo? Ma i sintomi non
corrispondevano.
Quella
situazione la turbava.
Dopo aver
consigliato a Bulda il trattamento da
seguire per la guarigione, fece rientro a casa.
Non appena
varcò la soglia, Anna si precipitò
da lei, piena di speranza. “Allora?”
“Non
preoccuparti, si rimetterà presto.”,
riuscì solo a dirle, ma in realtà non era tanto
sicura che Kristoff avrebbe
visto il nuovo anno.
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Anna
aspettò con pazienza che Kristoff
rispondesse al suo biglietto d’auguri, rassicurandola sulla
sua salute e
rivolgendole i suoi apprezzamenti per il regalo. Ma la sua attesa fu
vana. Nonostante
la mamma l’avesse rassicurata che presto sarebbe guarito, a
due giorni dal
nuovo anno il suo amico non si era ancora fatto vivo e lei cominciava a
preoccuparsi davvero.
Chi invece aveva
attestato a voce alta la
propria presenza era stato il lupo che, nelle due notti successive al
primo
attacco, aveva battuto il bosco e le fattorie limitrofe alla cittadina,
finendo
ciò che aveva cominciato la notte di Natale. Gli allevatori
erano sgomenti e il
sindaco, suo padre, aveva fatto di tutto per placarne gli animi.
Il 31 dicembre,
quando ormai rattristata aveva
perso ogni speranza, la ragazza si era incamminata a passo spedito
verso la
chiesa. Aveva percorso quel tragitto migliaia di volte e avrebbe potuto
farlo
anche ad occhi chiusi, ma quel giorno le sembrò
più lungo e faticoso.
L’amarezza era un fardello pesante da portarsi dietro.
Bussò
alla porta della canonica come sempre e
le venne ad aprire Bulda. La donna aveva l’aria stanca,
sembrava mantenersi a stento in piedi, e gli occhi erano arrossati come
se non avesse fatto altro che
piangere negli ultimi giorni. Anna quasi si spaventò: cosa
aveva potuto ridurre quella donna così forte in un fantasma
di se stessa? “È al capanno.”
riuscì a dirle Bulda, cercando di sorriderle.
A quelle parole
quel
persistente
senso di pesantezza si acuì, schiacciandole i
polmoni come un macigno.
Eppure
cercò di scacciarlo, stampandosi un
accenno di sorriso sulle labbra. Raggiunse il capanno e lo vide, vivo
ed in
apparente perfetta salute davanti ai suoi occhi, intento a scavare
un’enorme
buca. Nonostante il suo recente malanno se ne stava nell’aria
gelida di fine
dicembre con solo una giacca indosso sprezzante del freddo e della neve.
“Avresti
potuto avvisarmi della tua
guarigione.” Lo salutò, cercando di non suonare
noiosa. “Io ero a casa a preoccuparmi
per la tua vita e tu invece te ne stavi qui a scavare buche
per…”
“Seppellire
le
mie pecore.” Concluse lui, continuando a tenere
la testa china sulla
vanga tra le sue mani, concentrato sulla terra che aveva ghiacciato
sotto la
coltre spessa di neve.
Solo in quel
momento si accorse del piccolo
ammasso di lana dietro alle sue spalle: i corpi senza vita delle sue
bestie. A
qualcuna di loro aveva anche dato un nome, con sommo disappunto di
Kristoff,
che le aveva intimato di non affezionarsi, tanto il loro destino era
segnato.
“Il
lupo?”gli chiese, senza approfondire. Era
sicura che Pabbie gliene avesse parlato.
“Già.”
Continuava a non
guardarla. Il corpo era teso e
l’espressione del viso seria. Nonostante la sua riluttanza a
considerare quegli
animali come qualcosa di più che semplici oggetti di
sostentamento, doveva
esserci rimasto male per la loro morte. Riusciva a leggerglielo nelle
labbra
tirate e nelle sopracciglia aggrottate.
“Stai
bene?”
Riuscì
ad infilare ancora una volta la vanga
nel terreno ghiacciato. “Si.”
“Sicuro?”
Asportò
della terra, lanciandola dietro di sé
verso una piccola montagnola che cresceva di colpo in colpo.
“Sicuro.”
“Va
bene.”
“Va
bene.”
Anna
gonfiò le guance, trattenendo il respiro
per non urlargli in faccia. “Sei uno stupido.”
Buttò fuori d’un fiato, qualche
colpo di vanga dopo.
Kristoff si
voltò a guardarla, continuando a
scavare.
“Che
c’è? Pensavo stessimo giocando al gioco
dell’eco.” Fece spallucce, per niente intimorita
dalla sua espressione tetra.
“Mi
perdonerai, ma non sono in vena di giochi,
come puoi vedere.” Rivolse di nuovo lo sguardo al suo lavoro.
“Non
sei nemmeno in vena di sincerità da quel
che mi risulta.” Ribatté lei.
“Cosa
vuoi, Anna?” le chiese con tono aspro,
piantando con un gesto secco la vanga nel terreno. L’attrezzo
rimase in
equilibrio, mentre lui si ripuliva le mani sui pantaloni con gesti quasi
rabbiosi.
Un verso
scioccato le sfuggì dalle labbra.
“Cosa…cosa voglio? Sapere come sta il mio amico.
Se si è rimesso dal suo
malanno e se gli è piaciuto il mio regalo per il suo
compleanno. Ecco tutto.”
“Sto
bene, mi vedi.” Sospirò. “Non ho ancora
aperto il tuo regalo, mi dispiace. Ho avuto altro a cui
pensare.” Strusciò i
piedi nella neve, facendola scricchiolare sotto la suola degli stivali.
Ad Anna venne
quasi da piangere: aveva
impiegato così tanto tempo per quel regalo e lui non
l’aveva ancora nemmeno
visto. “D’accordo, non fa nulla.” La sua
voce non suonò sincera nemmeno alle
sue orecchie. “Quando lo aprirai mi farai sapere cosa ne
pensi?”
“Certo,
grazie comunque.” Kristoff tornò alla
sua vanga, senza degnarla di uno sguardo, dichiarando chiusa la loro
conversazione.
“Quando
vorrai parlare sai dove trovarmi.”
Disse fra sé, sperando che la sentisse. Mentre si
allontanava, il
vento le sferzò i capelli, facendo
svolazzare il mantello rosso alle sue spalle.
Sulla via di
casa rimuginò su quanto appena
accaduto, ripetendo tra sé il loro dialogo. Il suo amico non
era mai stato un
gran parlatore, né un amante dei convenevoli, ma in
quell’occasione le era sembrato
un eremita scorbutico sprovvisto delle basilari buone maniere. Qualcosa
si era
incrinato in lui ma non avrebbe saputo dire se la cosa fosse da
imputare al suo
stato di salute. Eppure era da un po’ che si comportava
così, evitando se
possibile la compagnia degli altri giovani di Lillehammer.
Cacciò
un sospiro nervoso. Desiderò solo che le
cose tra loro tornassero ad essere come una volta.
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Una folata di
vento aveva accompagnato Anna
mentre si allontanava da lui, portando al suo naso il suo
caratteristico odore
dolciastro. Si ritrovò ad annusare inconsciamente
l’aria alla ricerca di quel
delicato sentore di menta e cioccolata e di…qualcosa di
delizioso che non
riusciva ad identificare.
Solo dopo averlo
fatto, si rese conto di
essersi leccato le labbra. Sconcertato gettò la pala nella
neve e si allontanò
nella direzione opposta, verso il bosco.
Le cose avevano
già cominciato a cambiare
irreparabilmente.
NdA:
era da molto tempo che non riprendevo questa ff tra
le mani e, nonostante abbia cercato di mantenermi coerente con lo stile
e il
registro dei precedenti due capitoli, credo d’aver cambiato
qualcosa per
strada. Spero vi sia piaciuto e di ricevere comunque pareri e
considerazioni a
dispetto di tutto il tempo che è passato
dall’ultimo aggiornamento. Non abbiate
paura di scrivere qui sotto e di inoltrarmi le vostre opinioni/idee. A
differenza del lupo, io non vi mangio mica! E dopo questa freddura me
la
squaglio ^3^
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